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Autore: BlackColey    05/07/2007    1 recensioni
Ambientato dopo Dirge of Cerberus, ma ignorando ciò che è accaduto, la storia si concentra sulle nuove vite degli ex-membri Avalanche, con l'aggiunta di nuovi personaggi.
Genere: Dark, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6: Queen Rachael

E’ finita! Lunedì mattina ho terminato il mio esame di maturità! WOHOOO! Non potete immaginare la mia felicità! Queste sì che sono delle soddisfazioni!!!!! Questo capitolo (scritto con un carattere leggermente più leggibile, come mi è stato suggerito J ) è più breve dei precedenti, ma recupererò presto, dato che ora ho tutto il tempo che voglio per scrivere. Da adesso le cose per Coley e Gaia cominceranno a precipitare. (Bwahahah.. come sono sadica!)

Ho anche ri-iniziato Dirge of Cerberus e… le missioni speciali sono un calvario, che è al di là delle mie capacità! (Dannato toro del piffero!)

Tornando alla storia, il bello arriverà fra poco. Grazie per le recensioni, vi adoro!

 

DISCLAIMER: mi sembra ovvio che Final Fantasy VII e Square-Enix non siano miei…

 

Capitolo 6:


But wait.
A fine line's between fate and destiny.
Do you believe in the things that were just meant to be?
When you tell me the stories of your quest for me.
Picturesque is the picture you paint effortlessly.
And as our energies mix and begin to multiply.
Everyday situations, they start to simplify.
So things will never be the same between you and I.
We intertwined our life forces and now we're unified.

 

Never be the same again –Mel C-

 

Era passato già molto tempo da quando Yuffie aveva lasciato Wutai.

Eppure la rabbia ed il disgusto di Godo non davano cenno di diminuire.

Il vecchio uomo aveva deciso di stemperare gli odi verso la figlia e tutti i suoi compagni, ritirandosi in disparte nei suoi alloggi, dove avrebbe avuto molto tempo per meditare.

Gli occhi grigi di Godo, appesantiti dalla vecchiaia scrutavano con malinconia il panorama che splendeva dal di fuori della sua stanza. La bellezza di quell’antica città era a di poco incantevole, nonostante le difficoltà che aveva attraversato lungo il corso del tempo.

Godo sospirò, massaggiandosi le tempie con entrambe le mani.

 

…Arriverà il giorno in cui Wutai dimenticherà la sua bellezza perché la disperazione e la rassegnazione saranno la sola fonte da cui attingere risorse. Arriverà il giorno in cui i ciliegi in fiore deperiranno e i loro preziosi boccioli si seccheranno, sbriciolandosi in polvere amara; arriverà il giorno in cui la terra sarà così arida e fredda che non potrà più donarci mezzi per sopravvivere; arriverà il giorno in cui le cinque divinità di Da Chao piangeranno alla vista di una Wutai deserta. Ciò che più mi irrita è che Wutai arriverà alla rovina per mezzo della testardaggine della mia famiglia…

 

Gli occhi di Godo iniziarono a bruciare, irritate da lacrime d’ira. Il suo pensiero si arrestò per un attimo di formulare previsioni catastrofiche, anche se faticava a rimanere lucido. Yuffie era la sua unica salvezza, la sua unica figlia e perciò la sua unica erede. Wutai avrebbe trovato una garanzia per sopravvivere proprio nella figura della giovane Yuffie. Ma con l’ultima piega presa dagli eventi ormai non era più così.

Il suo piccolo telefono portatile cominciò a squillare. Godo si infilò una mano all’interno del suo kimono, estraendo l’apparecchio. Sul display esterno lesse –numero privato- ed intuì al volo chi lo stesse cercando.

“Sì?” l’anziano uomo disse, portandosi il telefono all’orecchio.

“Il presidente è furioso.”

Dall’altra parte della linea squillò una voce femminile stridula ed acida, velata di rancore nascosto a fatica.

“E cosa c’entro io?”

“La posizione e la creazione del progetto JEP3-3 dovevano rimanere segreti. Sono trapelate delle informazioni e a causa di ciò c’è stato un contrattempo molto fastidioso a Nibelhime: qualcuno ha parlato troppo.”

Godo ispirò profondamente, alzandosi dal tatami su cui si seduto a gambe incrociate per meditare.

“… Io non ho nulla a che fare con quello che è accaduto. Lo posso giurare su ciò che ho di più caro al mondo.”

“Ha-ha… e ti dovrei credere? Non dopo aver visto come tratti i tuoi familiari: le tue promesse sono di poco valore.”

Godo strinse le sue dita ossute contro la superficie liscia e fredda del telefonino.

“Che cosa vorresti insinuare? Che non sono un uomo di parola? Alluderesti ad una faccenda simile dopo tutto quello che ho fatto per voi della Shinra?” Godo sbottò, agitando davanti a se la mano libera dalla presa del telefono.   

“Voglio solo dire che non mi fido di un uomo che ha venduto la propria nipote in cambio di cinque miliardi di Gil. Una bella somma ma… come si dice: la vita umana non ha prezzo. E considerato che eri a conoscenza che Coley non sarebbe andata di certo in un istituto privato o in vacanza a Costa del Sol… beh, devo dire che sei un personaggio poco affidabile.”

Godo ascoltò in silenzio, analizzando ogni parola, ogni variazione di voce dell’interlocutore dall’altra parte del telefono, ogni significato nascosto in quelle frasi. Terminato il discorso e realizzato ciò che gli era stato rimproverato, Godo uscì dalla stanza, camminando sotto l’ennesimo porticato del palazzo Imperiale, cercando di dimenticare la rabbia crescente con una breve passeggiata.

“Scarlet… Mi hai chiamato per rimproverarmi od altro?” l’uomo chiese con ironia.

“Volevo solo accertarmi che la talpa in questione non fossi tu dato che sei tra i pochi civili a conoscenza di JEP3-3. Dato che non ho ricevuto alcuna certezza, condurrò delle ricerche e spero-proprio-per-te che tu sia innocente.”

“Ci puoi giurare.”

Dall’altra parte del ricevitore echeggiò una breve risata di sfida.

“Scarlet… Coley come sta?”

“Hmph.. buona serata, Godo…”

 L’uomo si fermò di camminare, udendo il segnale ipnotizzante e ripetitivo di linea libera. Passò qualche istante prima che Godo riuscisse a staccare l’apparecchio dal suo orecchio, riponendolo nella tasca interna del kimono. Voleva essere sicuro che la Shinra operasse in modo tale che la nipote mai e poi mai avrebbe rimesso piede a Wutai. E di sicuro non avrebbe abbandonato la speranza di ottenere questa informazione.

Godo tornò nella sua stanza, continuando a pensare a ciò che Scarlet gli aveva riferito. Nella telefonata l’uomo aveva tralasciato la parte in cui ammetteva di aver fatto ben poco per impedire a Yuffie e a suoi compagni di partire a salvare Coley. Come aveva evitato di riportare che gli ex membri di Avalanche erano a conoscenza delle famose informazioni riservate, sfuggite dai quartieri generali Shinra per bocca di una talpa.

Ma ciò non significava che Godo avesse rinunciato al suo doppio gioco.

 

Quando arriverà il momento giusto, lo dirò a Scarlet.

 

 

 

Scarlet appoggiò con una mano il suo telefono sul grembo, mentre l’altra era indaffarata a premere un sacchetto contenente alcuni cubetti di ghiaccio sul volto, sfigurato dalla sassata di Gaia. Per la donna era difficile ignorare il dolore provocato dalla ferita, dato gli scossoni che riceveva stando seduta sull’elicottero che da Nibelhime li avrebbe ricondotti a Midgar.

Rude e Reno erano seduti ai posti di pilotaggio, mentre il Turk di riserva si era appisolato seduto accanto ad un Hojo sempre più silenzioso. Il professore fissava il cielo fuori dal piccolo finestrino posto al suo fianco, stringendo a se il prezioso blocco di materia di restrizione.

Scarlet lo osservò, socchiudendo ogni tanto gli occhi, e soffocando parole di stizza non appena l’elicottero saliva o perdeva quota. Da quando Hojo aveva visto la donna racchiusa nel cristallo di Mako, qualcosa lo aveva reso più docile del normale.

“Tutto bene professore? E’ soddisfatto della riuscita un po’ rocambolesca di questa missione?” la donna domandò accavallando le gambe. Il telefono scivolò, andandosi ad infilare sotto la seduta di Hojo.

“Hmmmmmmmsì…” il professore rispose a denti stretti.

Scarlet sorrise e fece di tutto per evitare di fare delle domande riguardo quella strana donna incontrata a Nibelhime.

“Presto saremo di ritorno. Nel rapporto vorrei che tralasciassimo il particolare delle due ragazzine…. Cioè, il presidente è a conoscenza dell’incidente ma non sa che a farci perdere tempo sono state due adolescenti. A proposito… come le avete sistemate?”

 

 

 

Coley si fissò allo specchio, sistemandosi la maglietta nera senza maniche che Lilian le aveva procurato. L’immagine che lo specchio rifletteva era quella di una ragazzina deperita, dal fisico atletico e sfregiato da innumerevoli lividi, tagli e cicatrici. La ragazzina si piegò verso lo specchio, portandosi una mano sul volto.

L’indice e il dito medio della sua mano sinistra scostarono le ciocche di capelli che era abituata ad avere sempre di fronte agli occhi… i suoi occhi… c’era qualcosa di strano che non aveva mai visto prima di allora.

Coley lo notò subito, avvicinandosi ancora di più allo specchio fino a toccarne la superficie con la punta del naso. Era come se nelle iridi si fosse sciolto qualcosa mischiandosi al solito colore cremisi, una sorta di fiume scarlatto che scorreva avvolgendo le pupille, striato occasionalmente da piccoli, isolati, fiotti dorati.

Era un qualcosa di raccapricciante, bello ma velato di negatività, come se dietro quegli occhi ci fosse qualcosa che stava crescendo, assopito, ma pur sempre pronto a svegliarsi chissà quando.

Un ennesimo particolare che la rendeva sempre meno umana.

Lilian entrò nella camera all’improvviso, recando qualcosa tra le braccia, facendo sbattere la porta contro il muro che a causa dell’urto rimbalzò e si richiuse in un attimo. Coley si “staccò” dallo specchio con uno scatto, e, voltandosi, osservò l’assistente.

“Scusa se ho ritardato ma ero al telefono con un caro amico… qui ci sono altri vestiti utili.”

Lilian gettò sul letto una pila di vestiti scuri e semplici, liberandosi le braccia. Poi spostò l’attenzione su Coley, che la stava fissando incuriosita.

“Coley… tutto bene?” Lilian chiese aggrottando le sopracciglia.

La ragazzina rimase con lo sguardo perso nel vuoto per pochi istanti, poi, mentendo, annuì esageratamente con il capo. Anche Lilian si era accorta che in Coley era cambiato qualcosa. Guardarla era come ammirare un tornado pronto all’azione o un incendio in procinto di distruggere una foresta… una ragazzina tremendamente incantevole ma meglio se osservata ad una debita distanza.

“Lilian… davvero quell’uomo di prima non era mio padre?” La giovane assistente sospirò e si avvicinò a Coley, fingendo di non essere inquietata dalla sua vicinanza.

“Per la milionesima volta… no. Quello è Nero, ufficiale Zvet, membro d’elite dell’esercito controllato dalla Shinra. Non ha nulla a che fare con te o la tua famiglia.”

Coley mostrò del disappunto sul suo volto pallido. Anche se aveva capito che Nero e suo padre non erano la stessa persona, la somiglianza folgorante tra i due l’aveva profondamente disturbata.

“Ed ora… finisci di vestirti: l’incontro con i vertici Zvet è fra meno di un’ora.” Lilian, terminò la frase sospirando, mentre osservava distrattamente il suo orologio da polso. L’apparizione di Nero continuava a disturbare la quiete di Coley e l’assistente non ne era affatto soddisfatta.

 

Per fortuna che il signor Reeve è già a conoscenza di tutto.

 

“Quando tornerà Hojo?” Coley domandò, piegata per allacciarsi le stringhe dei suoi stivali di pelle.

 

Spero mai.

 

“Il loro volo arriverà qui stanotte.”

 

“Spero che precipiti nel vuoto. Lui e tutti questi bastardi della Shinra.”

 

Lilian rimase di stucco, fissando ad occhi spalancati Coley. Non aveva mai sentito un commento simile uscire dalle labbra della giovane adolescente.

“Cos’hai detto?” Lilian domandò con un filo di voce. Aveva udito bene le parole di Coley, ma la sua domanda era più un atto di sorpresa, piuttosto che una richiesta dovuta ad una distrazione.

Coley reagì alla domanda che le era stata rivolta alzandosi da terra con uno strano scatto, come se avesse ricevuto uno schiaffo o fosse stata rimproverata di un qualcosa non commesso. La giovane alzò il proprio sguardo su Lilian, fissandola con stupore.

“Io… non ho aperto bocca.” Coley ribatté, lamentandosi come una bambina capricciosa.

“Ma se mi hai appena detto che desideri la morte di tutti quelli della Shinra!” Lilian riferì questa volta con più autorevolezza. Odiava essere presa in giro, soprattutto da una persona molto più giovane che lei.

Il nervosismo di Lilian diminuì, i lineamenti del suo viso si ammorbidirono non appena vide la reazione di Coley.

Negli occhi della giovane vi fu un bagliore dorato, intenso, che affogò chissà dove il solito inquietante colore scarlatto delle sue iridi. Coley si avvicinò a Lilian, osservandola con quello sguardo insolito, raccapricciante, pericoloso, quasi animalesco.

“Posso anche ripeterlo se vuoi..” Coley affermò, sorridendo grottescamente. Nella sua voce traspariva un sentore di minaccia.

“Coley?” Lilian non si domandò il perché di quella domanda, apparentemente stupida. Era solo che le azioni, le parole, lo sguardo di Coley non appartenevano alla Coley che aveva conosciuto (seppure superficialmente) sino ad allora. Non bastava avere davanti i propri occhi il suo corpicino malridotto, indubbiamente quello di Coley, per contraddire la confusione temporanea di Lilian.

Coley non rispose al richiamo. Si avvicinò ulteriormente all’assistente, che, nonostante le sue calzature munite di tacco, era più bassa di lei di qualche centimetro.

“Coley? E’ troppo debole per risponderti in questo momento.”affermò, alzando una mano all’altezza della guancia di Lilian. Le dita sottili e affusolate della giovane accarezzarono un boccolo morbido della chioma della donna, giocando ad allentarlo tra il pollice e l’indice della propria mano. Lilian continuò a rimanere immobile, sull’attenti come se si trovasse di fronte ad una tigre affamata.

“Se questo è uno scherzo, ti conviene smetterlo subito. O altrimenti..”

“Altrimenti cosa?” la ragazzina chiese digrignando i denti, avvicinando la bocca agli occhi dell’assistente.

Lilian si voltò, dando le spalle alla giovane, mostrando un coraggio insolito. Si precipitò verso la porta della camera, pronta a chiamare a gran voce alcune guardie. Coley se l’era cercata questa volta.

Al minimo accenno di aggressività non esitate a chiamare rinforzi… Era sempre quello che Hojo si era raccomandato sin dall’inizio dell’esperimento JEP3-3.

Lilian fece per appoggiare la mano sulla maniglia della porta quando essa si piegò da sola. Qualcuno l’aveva anticipata, aprendo per prima la porta. L’assistente si trovò faccia a faccia con Rosso, provando all’istante un sentimento misto a stupore e sollievo.

“Mi sto perdendo qualcosa?” l’ufficiale chiese ironicamente, ferma a fissare sulla soglia della porta le reazioni delle due persone che si trovava di fronte.

“Stavo per chiamare delle guardie. Oggi Coley è più agitata del solito.” Lilian affermò portandosi al fianco di Rosso. Entrambe le donne rivolsero i loro sguardi inquisitori su Coley. La ragazzina ricambiò le occhiate ricevute con perplessità, la precedente aria aggressiva e arrogante sparita nel vuoto.

“Ah sì?” Rosso aggiunse, picchiettando le dita contro l’imposta della porta. “A me non sembra così pericolosa. Ha un’aria così smarrita…”

Coley abbassò lo sguardo, arrossendo per la vergogna, mentre Lilian era sul punto di scoppiare.

“Non è colpa mia… Lilian scusami…” Coley si scusò, dispiaciuta, senza prestare attenzione alla sua interlocutrice e a Rosso.

Ma Lilian non sembrava affatto convinta.

 

Come posso spiegarglielo? E’ stato più forte di me. Come un incantesimo lanciato all’improvviso. Sentivo un segreto desiderio di trasgredire, di impormi e non ho saputo resistere. Tutta colpa di quello che il professore mi ha fatto. Qualcosa mi ha chiamato, mi ha ordinato di staccare la spina per un attimo, di abbandonare la razionalità, lasciarmi scivolare in un dolce abisso di cedimento. Mi avrebbe soddisfatto in tutto ciò che desideravo inconsciamente. Però, ora che ho conosciuto questo baratro di cui sono ancora lontana dal vederne la fine, ho paura. Temo che “questa cosa”, che non riesco nemmeno a definire, mi sovrasti a tal punto da eliminarmi. Cosa o chi mi ha permesso di dire quelle parole? E’ questo che mi spaventa. Di che cosa è capace? Se si tratta dello stesso istinto che mi ha sovrastata quando ho attaccato Scarlet.. credo proprio che per me non ci sia più speranza.

 

Interrotto la riflessione, la prima reazione di Coley fu quella di sorridere. Un sorriso così finto che sembrava sul punto di frantumarsi lasciando spazio ad un ghigno beffardo, lo stesso che aveva deriso e preso in giro Lilian. Coley agiva come un pupazzo confuso, pareva un pesce fuor d’acqua, non riusciva a tenere il passo della realtà.

“Appena il professore raggiungerà Midgar, verrà informato dell’accaduto.” Lilian bisbigliò a Rosso, senza lasciare con lo sguardo la sagoma di Coley. Rosso annuì, poggiando le mani sui fianchi.

“Il consiglio ti sta aspettando. Avrai tempo di fare la furba più tardi, quando il professore arriverà a Midgar.” Rosso sbottò, scandendo con precisione ogni parola, come se si trattasse di una condanna. Detto ciò, il generale Zvet si voltò verso l’uscita, staccando lo sguardo da Coley nel momento in cui afferrò la maniglia della porta.

Coley abbassò lo sguardo e non lo rialzò più fino a quando non si sarebbe trovata faccia a faccia con il “famoso” consiglio. Rosso aveva capito che nonostante l’apparenza, Coley era più che pericolosa. Perciò per la ragazzina era essenziale evitare ogni sorta di comportamento bizzarro: tagliare ogni contatto con ciò che la circondava era la scelta migliore. Nessuno sguardo da sostenere, nessun ambiente che le facesse riaffiorare ricordi dolorosi, nessun oggetto che le riportasse la mente sulla figura di Hojo; i suoi occhi vedevano solo le monotone righe grigie e blu del pavimento che scorreva sotto i suoi piedi e nient’altro, mentre la sua mente era a chilometri di distanza da quell’infernale edificio nel cuore di Midgar.

 

 

 

Erano passate molte ore da quando Shelke aveva visto per l’ultima volta Eve. In un primo tempo aveva cercato di ignorare la lunga assenza della ragazza, riempiendosi la mente di frasi come “E’ grande, qualsiasi cosa accada saprà cavarsela” oppure “E’ una ragazza responsabile, non si farebbe mai trascinare in situazioni rischiose”.

Eppure questa strategia di distrazione giunse a perdere il suo effetto inibitorio nella mente di Shelke.

Era già pronta a lasciare la casa per iniziare le ricerche, quando udì un suono provenire dal portatile. La ricercatrice abbandonò la finestra dove aveva trascorso buona parte della giornata in attesa del ritorno di Eve, per dirigersi alla ricerca del portatile. Una volta trovato, aprì lentamente il computer e attese che lo schermo si riprendesse dallo stato di stand-by. Dopo qualche attimo apparve un messaggio.

 

[trasferimento dati terminato. Premere invio per visualizzare files]

 

Shelke lesse e sorrise. Le informazioni che la ricercatrice aveva confiscato a Hojo erano finalmente in suo possesso. Magicamente i pensieri sulle due giovani ragazze che l’avevano assillata tutto il giorno svanirono, e con essi anche tutte le preoccupazioni.

Era il momento di sapere tutta la verità.

Shelke spense la televisione, chiuse tutte le imposte della sala e si accomodò sul divano, appoggiando il suo portatile sul grembo. Un breve raccoglimento e poi il suo indice fece delicatamente pressione sul tasto invio.

“Oh cielo…” mormorò sbigottita alla vista di ciò che le era stato inviato.

I dati inviati da Lilian erano una sorta di diario giornaliero che Hojo aveva tenuto dall’inizio dell’esperimento fino a oggi. Shelke scorse la prima e l’ultima pagina dell’enorme documento, notando che la prima data riportata risaliva a circa cinque mesi prima. L’ultima recava la data odierna. Prima di contattare Reeve, come da programma, non seppe resistere alla tentazione di leggere alcune pagine.

 

19W8-007

Il soggetto (nome in codice JEP3-3) stato prelevato. Le sue condizioni fisiche sono relativamente gravi. Il prelevamento ha avuto dei risvolti violenti, e perciò il soggetto ha riportato delle ferite da arma da fuoco in alcuni punti della cassa toracica. PRIORITA ALTA, NON SI PUO PROCEDERE SENZA UN INTERVENTO SANATORIO. Ad una prima analisi sembra essere idonea ai requisiti necessari all’impianto dell’ospite. È necessario compiere qualche intervento preparatorio che ci assicuri al 100% che l’ospite possa essere introdotto nel nuovo corpo senza rischi di rigetto. Non sarà necessario compiere particolari esami per ottenere una mappa completa del patrimonio genetico del soggetto. Basterà rivedere le schede relative il padre.

 

Shelke aggrottò le sopracciglia. Aveva capito ben poco a cosa Hojo si riferisse in quelle prime righe. Ma soprattutto non riusciva a capire che cosa intendesse per “ospite”.

 

20W8-007

JEP3-3 ha subito il primo intervento. In tutto sono stati espiantati quattro proiettili 9 mm parabellum dal torace. Tre avevano raggiunto zone innocue, provocando qualche lieve emorragia. Al contrario il quarto aveva in parte danneggiato la vena cava superiore. L’operazione ha avuto esito positivo, anche se la gravità dei danni ha rallentato il suo decorso. Ora il soggetto è tenuto sotto sedativi e non appena avrà smaltito gli effetti delle tossine che sono state iniettate in preparazione del nuovo intervento, si potrà procedere con la fase pre-impianto.

 

In due giorni, due interventi. Questa notizia non avrebbe reso felice i genitori di Coley. Purtroppo gli incubi di Vincent si stavano materializzando.

 

22W8-007

Il soggetto ha impiegato solamente due giorni per smaltire ben due iniezioni di mako-tossine. Nella mia carriera non mi era mai capitato di avere a che fare con un organismo così resistente. Questa notte inizierà il pre-impianto. L’intervento durerà al 90% delle possibilità dalle 10 ore alle 20 ore a seconda delle complicanze.

 

“20 ore?!” Shelke esclamò anche se nessuno poteva ascoltarla. Quel particolare le fece passare la voglia di proseguire nello spoglio dei dati. Ci avrebbe pensato Reeve.

A proposito di Reeve… doveva assolutamente contattarlo, non c’era più tempo da perdere.

Nonostante il buio della stanza, fatta eccezione per la luce prodotta dal portatile, Shelke trovò al volo il suo PHS e compose con sicurezza il numero di Reeve.

 

 

 

“Numero privato, prego identificarsi!”

La segretaria ormai non faceva altro che ripetere con tono scocciato quelle stesse, identiche, parole tutti i giorni, non appena il telefono sulla sua scrivania di vetro trillava insistentemente. Smise di limarsi le lunghe unghie coperte da smalto rosso fuoco e spinse con l’indice destro il tasto di ricezione chiamata.

“Sono Shelke. Aggiornamento da riportare al presidente”

“Prego attendere…”

La segretaria schiacciò un altro tasto sul telefono, si alzò dalla sua sedia e attraversò la stanza avvicinandosi all’enorme porta che aveva di fronte. Bussò con gentilezza e senza aspettare che dall’altra parte le arrivasse una conferma, entrò nell’ufficio privato del suo superiore.

Come tutte le giovani segretarie, provava una grande attrazione verso il suo capo e cercò di ancheggiare il più possibile per attirare l’attenzione di Reeve. Ma l’uomo non degnò di uno sguardo la povera donna, anzi si aggiustò i suoi eleganti occhiali da lettura e prese in mano un foglio dalla pila che gli copriva la scrivania. Delusa dal suo ennesimo fallito tentativo di farsi notare, la segretaria riportò telegraficamente il messaggio.

“Shelke a rapporto sulla prima linea, signore.”

Reeve alzò lo sguardo dal foglio e sorrise alla segretaria facendole gesto di congedarsi.

La segretaria annuì e si girò sui propri tacchi per uscire. Non appena la porta si chiuse alle sue spalle, Reeve posò il foglio e gli occhiali. Inspirò profondamente prima di rispondere alla chiamata.

 

…il corpo del soggetto è troppo esile. Al primo tentativo di impianto, il cuore ha ceduto più volte. Ma l’affinità tra l’ospite e JEP3-3 è comunque alta, a dispetto di JEP1-3 e JEP 2-3. Mentre il primo si è rivelato un vero fallimento (il soggetto è deceduto 9 giorni dopo l’impianto) il secondo mostrava maggiori capacità, ma si è privato la vita poiché psicologicamente inadatto all’esperimento. JEP3-3 è diversa, è, oserei definirla perfetta. Forse il piacere della vendetta mi sta distraendo dalle vere finalità del progetto. Prevedo che il prossimo tentativo di impianto sarà un successo. La linea di difesa del soggetto è ormai caduta… 

 

Shelke?”

La giovane sobbalzò sul divano, distratta improvvisamente dalla lettura che aveva ripreso nell’attesa di parlare con Reeve.

“Ho buone notizie Reeve. Cioè… diciamo relativamente buone.”

“Sono tutt’orecchi”

“La tua famosa ricercatrice ha terminato il trasferimento dati. Ora ho davanti a me il diario di Hojo.”

 

Reeve si alzò di scatto dalla lussuosa poltrona in cui era stato seduto per tutta la giornata. Alle sue spalle il cielo tetro di Kalm sembrava sul punto di muovere guerra all’arida terra con cascate d’acqua.

“Il diario di Hojo?!”

“Sì… la prima data riportata risale al 19 agosto… cinque mesi fa. L’ultimo scritto ha la data odierna. Ho iniziato a leggere il documento da pochi minuti e… sono già disgustata. Diciamo che ho paura a proseguire dato che nell’arco di due giorni, Hojo ha avuto la possibilità di mettere le mani addosso a Coley ben due volte…”

Una piccola goccia di sudore attraversò la tempia sinistra di Reeve.

“Riesci a spedirmi il tutto? Credi che ci vorrà molto tempo?”

“… il file è enorme, inizierò il trasferimento di modo tale che termini non appena gli altri ti abbiano raggiunto… a proposito… qualche novità?”

“Sono arrivati a Wutai e hanno lasciato la città insieme a Vincent e Yuffie circa alcune ore fa.”

“Almeno questa è una buona notizia.”

“Già…”

 

 

 

Un mare di nuvole separava l’Highwind dalla sottostante superficie piatta e rugosa, meglio conosciuta come mare. Sfrecciava veloce e sicura verso la propria meta. Mancava poco ormai, ma la distanza per i suoi passeggeri sembrava enorme. Soprattutto nel momento in cui la fredda voce di Reeve riportava le novità di Shelke attraverso l’altoparlante della sala conferenze.  

 

  
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