E’ finita!
Lunedì mattina ho terminato il mio esame di maturità! WOHOOO! Non potete
immaginare la mia felicità! Queste sì che sono delle soddisfazioni!!!!! Questo
capitolo (scritto con un carattere leggermente più leggibile, come mi è stato
suggerito J ) è più breve dei precedenti, ma recupererò presto, dato
che ora ho tutto il tempo che voglio per scrivere. Da adesso le cose per Coley
e Gaia cominceranno a precipitare. (Bwahahah.. come
sono sadica!)
Ho anche ri-iniziato Dirge of Cerberus e… le missioni speciali sono un calvario, che è al
di là delle mie capacità! (Dannato toro del piffero!)
Tornando alla
storia, il bello arriverà fra poco. Grazie per le recensioni, vi adoro!
DISCLAIMER: mi
sembra ovvio che Final Fantasy VII e Square-Enix non siano miei…
Capitolo 6:
But wait.
A fine line's between fate and destiny.
Do you believe in the things that were just meant to be?
When you tell me the stories of your quest for me.
Picturesque is the picture you paint effortlessly.
And as our energies mix and begin to multiply.
Everyday situations, they start to simplify.
So things will never be the same between you and I.
We intertwined our life forces and now we're unified.
Never
be the same again –Mel C-
Era passato già
molto tempo da quando Yuffie aveva lasciato Wutai.
Eppure la
rabbia ed il disgusto di Godo non davano cenno di diminuire.
Il vecchio uomo
aveva deciso di stemperare gli odi verso la figlia e tutti i suoi compagni,
ritirandosi in disparte nei suoi alloggi, dove avrebbe avuto molto tempo per
meditare.
Gli occhi grigi
di Godo, appesantiti dalla vecchiaia scrutavano con malinconia il panorama che
splendeva dal di fuori della sua stanza. La bellezza di quell’antica città era
a di poco incantevole, nonostante le difficoltà che aveva attraversato lungo il
corso del tempo.
Godo sospirò,
massaggiandosi le tempie con entrambe le mani.
…Arriverà il
giorno in cui Wutai dimenticherà la sua bellezza perché la disperazione e la
rassegnazione saranno la sola fonte da cui attingere risorse. Arriverà il
giorno in cui i ciliegi in fiore deperiranno e i loro preziosi boccioli si
seccheranno, sbriciolandosi in polvere amara; arriverà il giorno in cui la
terra sarà così arida e fredda che non potrà più donarci mezzi per
sopravvivere; arriverà il giorno in cui le cinque divinità di Da Chao piangeranno alla vista di una Wutai deserta. Ciò che
più mi irrita è che Wutai arriverà alla rovina per mezzo della testardaggine
della mia famiglia…
Gli occhi di
Godo iniziarono a bruciare, irritate da lacrime d’ira. Il suo pensiero si
arrestò per un attimo di formulare previsioni catastrofiche, anche se faticava
a rimanere lucido. Yuffie era la sua unica salvezza, la sua unica figlia e
perciò la sua unica erede. Wutai avrebbe trovato una garanzia per sopravvivere
proprio nella figura della giovane Yuffie. Ma con l’ultima piega presa dagli
eventi ormai non era più così.
Il suo piccolo
telefono portatile cominciò a squillare. Godo si infilò una mano all’interno
del suo kimono, estraendo l’apparecchio. Sul display esterno lesse –numero
privato- ed intuì al volo chi lo stesse cercando.
“Sì?” l’anziano
uomo disse, portandosi il telefono all’orecchio.
“Il
presidente è furioso.”
Dall’altra
parte della linea squillò una voce femminile stridula ed acida, velata di
rancore nascosto a fatica.
“E cosa c’entro
io?”
“La
posizione e la creazione del progetto JEP3-3 dovevano rimanere segreti. Sono
trapelate delle informazioni e a causa di ciò c’è stato un contrattempo molto
fastidioso a Nibelhime: qualcuno ha parlato troppo.”
Godo ispirò
profondamente, alzandosi dal tatami su cui si seduto a gambe incrociate per
meditare.
“… Io non ho
nulla a che fare con quello che è accaduto. Lo posso giurare su ciò che ho di
più caro al mondo.”
“Ha-ha… e ti
dovrei credere? Non dopo aver visto come tratti i tuoi familiari: le tue
promesse sono di poco valore.”
Godo strinse le
sue dita ossute contro la superficie liscia e fredda del telefonino.
“Che cosa
vorresti insinuare? Che non sono un uomo di parola? Alluderesti ad una faccenda
simile dopo tutto quello che ho fatto per voi della Shinra?” Godo sbottò,
agitando davanti a se la mano libera dalla presa del telefono.
“Voglio solo
dire che non mi fido di un uomo che ha venduto la propria nipote in cambio di
cinque miliardi di Gil. Una bella somma ma… come si dice: la vita umana non ha
prezzo. E considerato che eri a conoscenza che Coley non sarebbe andata di
certo in un istituto privato o in vacanza a Costa del Sol… beh, devo dire che
sei un personaggio poco affidabile.”
Godo ascoltò in
silenzio, analizzando ogni parola, ogni variazione di voce dell’interlocutore
dall’altra parte del telefono, ogni significato nascosto in quelle frasi.
Terminato il discorso e realizzato ciò che gli era stato rimproverato, Godo
uscì dalla stanza, camminando sotto l’ennesimo porticato del palazzo Imperiale,
cercando di dimenticare la rabbia crescente con una breve passeggiata.
“Scarlet… Mi
hai chiamato per rimproverarmi od altro?” l’uomo chiese con ironia.
“Volevo solo
accertarmi che la talpa in questione non fossi tu dato che sei tra i pochi
civili a conoscenza di JEP3-3. Dato che non ho ricevuto alcuna certezza,
condurrò delle ricerche e spero-proprio-per-te che tu
sia innocente.”
“Ci puoi
giurare.”
Dall’altra
parte del ricevitore echeggiò una breve risata di sfida.
“Scarlet… Coley
come sta?”
“Hmph..
buona serata, Godo…”
L’uomo si fermò di camminare, udendo il
segnale ipnotizzante e ripetitivo di linea libera. Passò qualche istante prima
che Godo riuscisse a staccare l’apparecchio dal suo orecchio, riponendolo nella
tasca interna del kimono. Voleva essere sicuro che
Godo tornò
nella sua stanza, continuando a pensare a ciò che Scarlet gli aveva riferito.
Nella telefonata l’uomo aveva tralasciato la parte in cui ammetteva di aver
fatto ben poco per impedire a Yuffie e a suoi compagni di partire a salvare
Coley. Come aveva evitato di riportare che gli ex membri di Avalanche erano a
conoscenza delle famose informazioni riservate, sfuggite dai quartieri generali
Shinra per bocca di una talpa.
Ma ciò non
significava che Godo avesse rinunciato al suo doppio gioco.
Quando
arriverà il momento giusto, lo dirò a Scarlet.
Scarlet
appoggiò con una mano il suo telefono sul grembo, mentre l’altra era
indaffarata a premere un sacchetto contenente alcuni cubetti di ghiaccio sul
volto, sfigurato dalla sassata di Gaia. Per la donna era difficile ignorare il
dolore provocato dalla ferita, dato gli scossoni che riceveva stando seduta
sull’elicottero che da Nibelhime li avrebbe ricondotti a Midgar.
Rude e Reno
erano seduti ai posti di pilotaggio, mentre il Turk di riserva si era
appisolato seduto accanto ad un Hojo sempre più silenzioso. Il professore
fissava il cielo fuori dal piccolo finestrino posto al suo fianco, stringendo a
se il prezioso blocco di materia di restrizione.
Scarlet lo
osservò, socchiudendo ogni tanto gli occhi, e soffocando parole di stizza non
appena l’elicottero saliva o perdeva quota. Da quando Hojo aveva visto la donna
racchiusa nel cristallo di Mako, qualcosa lo aveva reso più docile del normale.
“Tutto bene
professore? E’ soddisfatto della riuscita un po’ rocambolesca di questa
missione?” la donna domandò accavallando le gambe. Il telefono scivolò,
andandosi ad infilare sotto la seduta di Hojo.
“Hmmmmmmmsì…”
il professore rispose a denti stretti.
Scarlet sorrise
e fece di tutto per evitare di fare delle domande riguardo quella strana donna
incontrata a Nibelhime.
“Presto saremo
di ritorno. Nel rapporto vorrei che tralasciassimo il particolare delle due
ragazzine…. Cioè, il presidente è a conoscenza dell’incidente ma non sa che a
farci perdere tempo sono state due adolescenti. A proposito… come le avete
sistemate?”
Coley si fissò
allo specchio, sistemandosi la maglietta nera senza maniche che Lilian le aveva
procurato. L’immagine che lo specchio rifletteva era quella di una ragazzina
deperita, dal fisico atletico e sfregiato da innumerevoli lividi, tagli e
cicatrici. La ragazzina si piegò verso lo specchio, portandosi una mano sul
volto.
L’indice e il dito
medio della sua mano sinistra scostarono le ciocche di capelli che era abituata
ad avere sempre di fronte agli occhi… i suoi occhi… c’era qualcosa di strano
che non aveva mai visto prima di allora.
Coley lo notò
subito, avvicinandosi ancora di più allo specchio fino a toccarne la superficie
con la punta del naso. Era come se nelle iridi si fosse sciolto qualcosa
mischiandosi al solito colore cremisi, una sorta di fiume scarlatto che
scorreva avvolgendo le pupille, striato occasionalmente da piccoli, isolati,
fiotti dorati.
Era un qualcosa
di raccapricciante, bello ma velato di negatività, come se dietro quegli occhi
ci fosse qualcosa che stava crescendo, assopito, ma pur sempre pronto a
svegliarsi chissà quando.
Un ennesimo
particolare che la rendeva sempre meno umana.
Lilian entrò
nella camera all’improvviso, recando qualcosa tra le braccia, facendo sbattere
la porta contro il muro che a causa dell’urto rimbalzò e si richiuse in un
attimo. Coley si “staccò” dallo specchio con uno scatto, e, voltandosi, osservò
l’assistente.
“Scusa se ho
ritardato ma ero al telefono con un caro amico… qui ci sono altri vestiti
utili.”
Lilian gettò
sul letto una pila di vestiti scuri e semplici, liberandosi le braccia. Poi
spostò l’attenzione su Coley, che la stava fissando incuriosita.
“Coley… tutto
bene?” Lilian chiese aggrottando le sopracciglia.
La ragazzina rimase con lo sguardo perso nel
vuoto per pochi istanti, poi, mentendo, annuì esageratamente con il capo. Anche
Lilian si era accorta che in Coley era cambiato qualcosa. Guardarla era come
ammirare un tornado pronto all’azione o un incendio in procinto di distruggere
una foresta… una ragazzina tremendamente incantevole ma meglio se osservata ad
una debita distanza.
“Lilian… davvero quell’uomo di prima non era
mio padre?” La giovane assistente sospirò e si avvicinò a Coley, fingendo di
non essere inquietata dalla sua vicinanza.
“Per la milionesima volta… no. Quello è Nero, ufficiale Zvet, membro d’elite
dell’esercito controllato dalla Shinra. Non ha nulla a che fare con te o la tua
famiglia.”
Coley mostrò del disappunto sul suo volto
pallido. Anche se aveva capito che Nero e suo padre non erano la stessa
persona, la somiglianza folgorante tra i due l’aveva profondamente disturbata.
“Ed ora… finisci di vestirti: l’incontro con
i vertici Zvet è fra meno di un’ora.” Lilian, terminò la frase sospirando,
mentre osservava distrattamente il suo orologio da polso. L’apparizione di Nero
continuava a disturbare la quiete di Coley e l’assistente non ne era affatto
soddisfatta.
Per
fortuna che il signor Reeve è già a conoscenza di tutto.
“Quando tornerà Hojo?” Coley domandò, piegata
per allacciarsi le stringhe dei suoi stivali di pelle.
Spero mai.
“Il loro volo arriverà qui stanotte.”
“Spero che precipiti nel vuoto. Lui e tutti questi
bastardi della Shinra.”
Lilian rimase di stucco, fissando ad occhi
spalancati Coley. Non aveva mai sentito un commento simile uscire dalle labbra
della giovane adolescente.
“Cos’hai detto?” Lilian domandò con un filo
di voce. Aveva udito bene le parole di Coley, ma la sua domanda era più un atto
di sorpresa, piuttosto che una richiesta dovuta ad una distrazione.
Coley reagì alla domanda che le era stata
rivolta alzandosi da terra con uno strano scatto, come se avesse ricevuto uno
schiaffo o fosse stata rimproverata di un qualcosa non commesso. La giovane
alzò il proprio sguardo su Lilian, fissandola con stupore.
“Io… non ho aperto bocca.” Coley ribatté,
lamentandosi come una bambina capricciosa.
“Ma se mi hai appena detto che desideri la
morte di tutti quelli della Shinra!” Lilian riferì questa volta con più
autorevolezza. Odiava essere presa in giro, soprattutto da una persona molto
più giovane che lei.
Il nervosismo di Lilian diminuì, i lineamenti
del suo viso si ammorbidirono non appena vide la reazione di Coley.
Negli occhi della giovane vi fu un bagliore
dorato, intenso, che affogò chissà dove il solito inquietante colore scarlatto
delle sue iridi. Coley si avvicinò a Lilian, osservandola con quello sguardo
insolito, raccapricciante, pericoloso, quasi animalesco.
“Posso anche ripeterlo se vuoi..” Coley affermò, sorridendo grottescamente. Nella sua voce
traspariva un sentore di minaccia.
“Coley?” Lilian non si domandò il perché di
quella domanda, apparentemente stupida. Era solo che le azioni, le parole, lo
sguardo di Coley non appartenevano alla Coley che aveva conosciuto (seppure
superficialmente) sino ad allora. Non bastava avere davanti i propri occhi il
suo corpicino malridotto, indubbiamente quello di Coley, per contraddire la
confusione temporanea di Lilian.
Coley non rispose al richiamo. Si avvicinò
ulteriormente all’assistente, che, nonostante le sue calzature munite di tacco,
era più bassa di lei di qualche centimetro.
“Coley? E’ troppo debole per risponderti in questo
momento.”affermò, alzando una mano all’altezza della guancia di Lilian. Le dita
sottili e affusolate della giovane accarezzarono un boccolo morbido della
chioma della donna, giocando ad allentarlo tra il pollice e l’indice della
propria mano. Lilian continuò a rimanere immobile, sull’attenti come se si
trovasse di fronte ad una tigre affamata.
“Se questo è uno scherzo, ti conviene
smetterlo subito. O altrimenti..”
“Altrimenti cosa?” la ragazzina chiese
digrignando i denti, avvicinando la bocca agli occhi dell’assistente.
Lilian si voltò, dando le spalle alla
giovane, mostrando un coraggio insolito. Si precipitò verso la porta della
camera, pronta a chiamare a gran voce alcune guardie. Coley se l’era cercata
questa volta.
Al minimo accenno di aggressività non esitate
a chiamare rinforzi… Era sempre quello che Hojo si era raccomandato sin
dall’inizio dell’esperimento JEP3-3.
Lilian fece per appoggiare la mano sulla
maniglia della porta quando essa si piegò da sola. Qualcuno l’aveva anticipata,
aprendo per prima la porta. L’assistente si trovò faccia a faccia con Rosso,
provando all’istante un sentimento misto a stupore e sollievo.
“Mi sto perdendo qualcosa?” l’ufficiale
chiese ironicamente, ferma a fissare sulla soglia della porta le reazioni delle
due persone che si trovava di fronte.
“Stavo per chiamare delle guardie. Oggi Coley
è più agitata del solito.” Lilian affermò portandosi al fianco di Rosso.
Entrambe le donne rivolsero i loro sguardi inquisitori su Coley. La ragazzina
ricambiò le occhiate ricevute con perplessità, la precedente aria aggressiva e
arrogante sparita nel vuoto.
“Ah sì?” Rosso aggiunse, picchiettando le
dita contro l’imposta della porta. “A me non sembra così pericolosa. Ha un’aria
così smarrita…”
Coley abbassò lo sguardo, arrossendo per la
vergogna, mentre Lilian era sul punto di scoppiare.
“Non è colpa mia… Lilian scusami…” Coley si
scusò, dispiaciuta, senza prestare attenzione alla sua interlocutrice e a
Rosso.
Ma Lilian non sembrava affatto convinta.
Come
posso spiegarglielo? E’ stato più forte di me. Come un incantesimo lanciato
all’improvviso. Sentivo un segreto desiderio di trasgredire, di impormi e non
ho saputo resistere. Tutta colpa di quello che il professore mi ha fatto.
Qualcosa mi ha chiamato, mi ha ordinato di staccare la spina per un attimo, di
abbandonare la razionalità, lasciarmi scivolare in un dolce abisso di
cedimento. Mi avrebbe soddisfatto in tutto ciò che desideravo inconsciamente.
Però, ora che ho conosciuto questo baratro di cui sono ancora lontana dal
vederne la fine, ho paura. Temo che “questa cosa”, che non riesco nemmeno a
definire, mi sovrasti a tal punto da eliminarmi. Cosa o chi mi ha permesso di
dire quelle parole? E’ questo che mi spaventa. Di che cosa è capace? Se si
tratta dello stesso istinto che mi ha sovrastata quando ho attaccato Scarlet..
credo proprio che per me non ci sia più speranza.
Interrotto la riflessione, la prima reazione
di Coley fu quella di sorridere. Un sorriso così finto che sembrava sul punto
di frantumarsi lasciando spazio ad un ghigno beffardo, lo stesso che aveva
deriso e preso in giro Lilian. Coley agiva come un pupazzo confuso, pareva un
pesce fuor d’acqua, non riusciva a tenere il passo della realtà.
“Appena il professore raggiungerà Midgar,
verrà informato dell’accaduto.” Lilian bisbigliò a Rosso, senza lasciare con lo
sguardo la sagoma di Coley. Rosso annuì, poggiando le mani sui fianchi.
“Il consiglio ti sta aspettando. Avrai tempo
di fare la furba più tardi, quando il professore arriverà a Midgar.” Rosso
sbottò, scandendo con precisione ogni parola, come se si trattasse di una
condanna. Detto ciò, il generale Zvet si voltò verso l’uscita, staccando lo
sguardo da Coley nel momento in cui afferrò la maniglia della porta.
Coley abbassò lo sguardo e non lo rialzò più
fino a quando non si sarebbe trovata faccia a faccia con il “famoso” consiglio.
Rosso aveva capito che nonostante l’apparenza, Coley era più che pericolosa.
Perciò per la ragazzina era essenziale evitare ogni sorta di comportamento
bizzarro: tagliare ogni contatto con ciò che la circondava era la scelta
migliore. Nessuno sguardo da sostenere, nessun ambiente che le facesse
riaffiorare ricordi dolorosi, nessun oggetto che le riportasse la mente sulla
figura di Hojo; i suoi occhi vedevano solo le monotone righe grigie e blu del
pavimento che scorreva sotto i suoi piedi e nient’altro, mentre la sua mente
era a chilometri di distanza da quell’infernale edificio nel cuore di Midgar.
Erano passate molte ore da quando Shelke
aveva visto per l’ultima volta Eve. In un primo tempo aveva cercato di ignorare
la lunga assenza della ragazza, riempiendosi la mente di frasi come “E’ grande,
qualsiasi cosa accada saprà cavarsela” oppure “E’ una ragazza responsabile, non
si farebbe mai trascinare in situazioni rischiose”.
Eppure questa strategia di distrazione giunse
a perdere il suo effetto inibitorio nella mente di Shelke.
Era già pronta a lasciare la casa per iniziare
le ricerche, quando udì un suono provenire dal portatile. La ricercatrice
abbandonò la finestra dove aveva trascorso buona parte della giornata in attesa
del ritorno di Eve, per dirigersi alla ricerca del portatile. Una volta
trovato, aprì lentamente il computer e attese che lo schermo si riprendesse
dallo stato di stand-by. Dopo qualche attimo apparve
un messaggio.
[trasferimento dati
terminato. Premere invio per visualizzare files]
Shelke
lesse e sorrise. Le informazioni che la ricercatrice aveva confiscato a Hojo
erano finalmente in suo possesso. Magicamente i pensieri sulle due giovani
ragazze che l’avevano assillata tutto il giorno svanirono, e con essi anche
tutte le preoccupazioni.
Era il
momento di sapere tutta la verità.
Shelke
spense la televisione, chiuse tutte le imposte della sala e si accomodò sul
divano, appoggiando il suo portatile sul grembo. Un breve raccoglimento e poi
il suo indice fece delicatamente pressione sul tasto invio.
“Oh
cielo…” mormorò sbigottita alla vista di ciò che le era stato inviato.
I dati
inviati da Lilian erano una sorta di diario giornaliero che Hojo aveva tenuto
dall’inizio dell’esperimento fino a oggi. Shelke scorse la prima e l’ultima
pagina dell’enorme documento, notando che la prima data riportata risaliva a
circa cinque mesi prima. L’ultima recava la data odierna. Prima di contattare
Reeve, come da programma, non seppe resistere alla tentazione di leggere alcune
pagine.
19W8-007
Il soggetto (nome in codice JEP3-3) stato prelevato. Le
sue condizioni fisiche sono relativamente gravi. Il prelevamento ha avuto dei
risvolti violenti, e perciò il soggetto ha riportato delle ferite da arma da
fuoco in alcuni punti della cassa toracica. PRIORITA ALTA, NON SI PUO PROCEDERE
SENZA UN INTERVENTO SANATORIO. Ad una prima analisi sembra essere idonea ai
requisiti necessari all’impianto dell’ospite. È necessario compiere qualche
intervento preparatorio che ci assicuri al 100% che l’ospite possa essere
introdotto nel nuovo corpo senza rischi di rigetto. Non sarà necessario
compiere particolari esami per ottenere una mappa completa del patrimonio
genetico del soggetto. Basterà rivedere le schede relative il padre.
Shelke
aggrottò le sopracciglia. Aveva capito ben poco a cosa Hojo si riferisse in
quelle prime righe. Ma soprattutto non riusciva a capire che cosa intendesse
per “ospite”.
20W8-007
JEP3-
In due
giorni, due interventi. Questa notizia non avrebbe reso felice i genitori di
Coley. Purtroppo gli incubi di Vincent si stavano materializzando.
22W8-007
Il soggetto ha impiegato solamente due giorni per
smaltire ben due iniezioni di mako-tossine. Nella mia carriera non mi era mai
capitato di avere a che fare con un organismo così resistente. Questa notte
inizierà il pre-impianto. L’intervento durerà al 90%
delle possibilità dalle 10 ore alle 20 ore a seconda delle complicanze.
“20 ore?!”
Shelke esclamò anche se nessuno poteva ascoltarla. Quel particolare le fece
passare la voglia di proseguire nello spoglio dei dati. Ci avrebbe pensato
Reeve.
A
proposito di Reeve… doveva assolutamente contattarlo, non c’era più tempo da
perdere.
Nonostante
il buio della stanza, fatta eccezione per la luce prodotta dal portatile,
Shelke trovò al volo il suo PHS e compose con sicurezza il numero di Reeve.
“Numero
privato, prego identificarsi!”
La
segretaria ormai non faceva altro che ripetere con tono scocciato quelle
stesse, identiche, parole tutti i giorni, non appena il telefono sulla sua
scrivania di vetro trillava insistentemente. Smise di limarsi le lunghe unghie
coperte da smalto rosso fuoco e spinse con l’indice destro il tasto di
ricezione chiamata.
“Sono Shelke. Aggiornamento da riportare al
presidente”
“Prego
attendere…”
La
segretaria schiacciò un altro tasto sul telefono, si alzò dalla sua sedia e
attraversò la stanza avvicinandosi all’enorme porta che aveva di fronte. Bussò
con gentilezza e senza aspettare che dall’altra parte le arrivasse una
conferma, entrò nell’ufficio privato del suo superiore.
Come tutte
le giovani segretarie, provava una grande attrazione verso il suo capo e cercò
di ancheggiare il più possibile per attirare l’attenzione di Reeve. Ma l’uomo
non degnò di uno sguardo la povera donna, anzi si aggiustò i suoi eleganti
occhiali da lettura e prese in mano un foglio dalla pila che gli copriva la
scrivania. Delusa dal suo ennesimo fallito tentativo di farsi notare, la
segretaria riportò telegraficamente il messaggio.
“Shelke a
rapporto sulla prima linea, signore.”
Reeve alzò
lo sguardo dal foglio e sorrise alla segretaria facendole gesto di congedarsi.
La
segretaria annuì e si girò sui propri tacchi per uscire. Non appena la porta si
chiuse alle sue spalle, Reeve posò il foglio e gli occhiali. Inspirò
profondamente prima di rispondere alla chiamata.
…il corpo del soggetto è troppo esile. Al primo tentativo
di impianto, il cuore ha ceduto più volte. Ma l’affinità tra l’ospite e JEP3-3
è comunque alta, a dispetto di JEP1-3 e JEP 2-3. Mentre il primo si è rivelato
un vero fallimento (il soggetto è deceduto 9 giorni dopo l’impianto) il secondo
mostrava maggiori capacità, ma si è privato la vita poiché psicologicamente
inadatto all’esperimento. JEP3-3 è diversa, è, oserei definirla perfetta. Forse
il piacere della vendetta mi sta distraendo dalle vere finalità del progetto.
Prevedo che il prossimo tentativo di impianto sarà un successo. La linea di
difesa del soggetto è ormai caduta…
“Shelke?”
La giovane
sobbalzò sul divano, distratta improvvisamente dalla lettura che aveva ripreso
nell’attesa di parlare con Reeve.
“Ho buone
notizie Reeve. Cioè… diciamo relativamente buone.”
“Sono tutt’orecchi”
“La tua
famosa ricercatrice ha terminato il trasferimento dati. Ora ho davanti a me il
diario di Hojo.”
Reeve si
alzò di scatto dalla lussuosa poltrona in cui era stato seduto per tutta la
giornata. Alle sue spalle il cielo tetro di Kalm sembrava sul punto di muovere
guerra all’arida terra con cascate d’acqua.
“Il diario
di Hojo?!”
“Sì… la prima data riportata risale al 19
agosto… cinque mesi fa. L’ultimo scritto ha la data odierna. Ho iniziato a
leggere il documento da pochi minuti e… sono già disgustata. Diciamo che ho
paura a proseguire dato che nell’arco di due giorni, Hojo ha avuto la
possibilità di mettere le mani addosso a Coley ben due volte…”
Una
piccola goccia di sudore attraversò la tempia sinistra di Reeve.
“Riesci a
spedirmi il tutto? Credi che ci vorrà molto tempo?”
“… il file è enorme, inizierò il
trasferimento di modo tale che termini non appena gli altri ti abbiano
raggiunto… a proposito… qualche novità?”
“Sono
arrivati a Wutai e hanno lasciato la città insieme a Vincent e Yuffie circa
alcune ore fa.”
“Almeno questa è una buona notizia.”
“Già…”
Un mare di
nuvole separava l’Highwind dalla sottostante superficie piatta e rugosa, meglio
conosciuta come mare. Sfrecciava veloce e sicura verso la propria meta. Mancava
poco ormai, ma la distanza per i suoi passeggeri sembrava enorme. Soprattutto
nel momento in cui la fredda voce di Reeve riportava le novità di Shelke
attraverso l’altoparlante della sala conferenze.