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Autore: Ortensia_    18/12/2012    1 recensioni
Quattro differenti percorsi, e dieci gruppi destinati ad incontrarsi, a spezzarsi e perire, corrotti dall'odio che ogni anima riesce a far fiorire così rigoglioso nelle menti di ogni pedina.
Dopo Berkeley Square ed il Gioco, le Nazioni riusciranno finalmente a scoprire qualcosa sull'entità misteriosa e perversa che da mesi li perseguita?
Il dado è tratto.
[_Fra le storie più popolari dell'anno 2012/13 su Axis Powers Hetalia: più recensioni positive_]
Genere: Dark, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri, Axis Powers/Potenze dell'Asse, Danimarca, Nuovo personaggio, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Can you hear the World?'
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XVIII – Tramonto




Inizialmente pensò si trattasse di un miraggio; poi, quando sentì le mani avvolte da uno strato di acqua fredda, il viso bagnato ripulito dalla polvere appiccicosa, le labbra giovate dalla frescura, capì che quello non era altro che un grosso colpo di fortuna.
Era rimasto a vegliare su Lukas, sotto il sole cocente, per diversi minuti. Forse ore, visto che gli erano parsi interminabili, e ora, la comparsa di un’oasi, era il regalo più bello che il fato potesse riservargli.
Esausto, scosso, con gli occhi e le labbra appesantiti dalla tristezza, sospirò sollevato non appena si immerse nell’acqua, ovviamente di fretta, senza nemmeno togliersi i vestiti.
Non gli importava se ciò avrebbe contribuito ad aumentare il caldo quando ne sarebbe uscito, o se le stoffe, impregnate d’acqua, e quindi appesantite, avrebbero reso più faticosa la sua marcia.
Non gli importava di nulla, in verità.
Si pentiva soltanto di non essere stato abbastanza per Lukas, e di aver lasciato il suo corpo indietro.
Quell’oasi era distante soltanto una casella dal luogo in cui era morto il suo migliore amica: il colmo. Un amarissimo tiro mancino, doloroso come un pugno in piena faccia.

Presto avrebbe dovuto riprendere il suo cammino: mancava ancora una casella, e poi sarebbe arrivato al prossimo cancello chiuso.
Ora che poteva, però, aveva intenzione di bere più che poteva, e poi procedere e arrivare alla meta: il sacrificio del norvegese non sarebbe stato vano.


«Alice? Dobbiamo tirare-»
«Ah-» la lussemburghese distolse a fatica il proprio sguardo dal nuovo numero che le si era inciso sul braccio: un due.
Da quando aveva incontrato Abel, l’uno era scomparso.
«Sì.» si sistemò la manica, e afferrando il dado raggiunse subito il fratello, davanti al decimo cancello chiuso.
«Cosa dice la scatola?»
«Un cambio di percorso, verso sinistra.»
«Era il mio percorso, ma ci conviene continuare su questo.»
Piuttosto convinta, la lussemburghese gettò il dado a terra, e nel mentre questo balzava, rivolse il proprio sguardo all’olandese, ora con’espressione crucciata sul volto.
«Perché?»
«Ci sono Scozia, Germania, Giappone, Italia, Russia, Prussia … sono tutti lì. È meglio procedere qui, con più calma, credo-»
Abel diede un’occhiata al dado della lussemburghese, che si era fermato sullo zero, poi alla sua spalla, già decisamente gonfia sotto le fasciature «sì. Sì, è decisamente meglio. Almeno qui possiamo pensare di essere abbastanza al sicuro.»
Inginocchiato a terra, prese il dado di Alice e gettò il suo, in un movimento breve e conciso.
Alice lasciò andare un sospiro di sollievo, non appena il cancello scattò e le ante si mossero.
«Che cosa è uscito?»
«Uno. Sempre meglio di niente.» alzatosi le restituì il dado, per poi sistemare il suo in tasca ed estrarre la pipa, dirigendosi subito oltre il cancello.

«Abel?»
«Mh?»
«Senti … il discorso che hai fatto prima ad Esperanza-»
L’olandese guardò oltre la sua spalla con espressione piuttosto crucciata, lasciando andare una voluta di fumo dalle labbra, e appena anche dalle narici «ti ho già detto che sono fiero di te, Alice. Dopotutto, se non fossi arrivata t-»
«No. Non è questo.»
«A chi pensavi? A chi pensavi mentre dicevi quelle cose?»
L’olandese tacque un momento, poi le voltò completamente le spalle, riprendendo a camminare.
Dopo aver soffiato fuori dalla bocca altro fumo, finalmente, si decise a parlare.
«Pensavo al sorriso di Sophija quando parla di te.»
Alice si zittì immediatamente: le aveva dato l’unica risposta che mai avrebbe voluto sentire.


«Guarda Gilbert!»
«Oh fantastico! Un’altra scatola-
Ora ci sarà dell’arsenico dentro?»
«Siamo alla nona casella, vero?» Ivan si era già chinato vicino alla scatoletta per scostare il coperchio.
«Non so. Ormai ho perso il conto.» aveva perso il conto, e forse anche la speranza di trovare qualcosa di positivo in quella scatola: ecco perché se ne stava ben lontano dal cancello chiuso, sotto il quale Ivan era chinato.
«È … è un biglietto-!»
«Un biglietto-?» il viso di Gilbert parve illuminarsi, e finalmente si diresse verso il cancello, fino ad arrivare allo slavo.
«Dice che possiamo spostarci nel percorso di destra!»
Gilbert aggrottò la fronte confusa, rivolgendo un’occhiata alle pesanti catene che li dividevano dal percorso designato dal biglietto, poi oltre, alle folte e scure chiome degli alberi.
«Non è meglio continuare su questo percorso?»
Il russo seguì il suo sguardo solo per un attimo, poi annuì appena.
«Come vuoi tu, coniglietto~
Per me uno vale l’altro.»
In risposta, il prussiano annuì deciso, estraendo il dado rosso ed invitando il russo a fare lo stesso.
Quando tirarono ed il risultato fu visibile ad entrambi, le loro labbra non poterono che incrinarsi in smorfie amareggiate.
«Soltanto uno-»
«Da-» anche il russo, questa volta, sembrava aver abbandonato quel continuo, insistente ed insensato sorriso sulle sue labbra, e annuendo appena si limitò a voltarsi verso il cancello per spingere le ante di ferro e spalancarle «speriamo solo che sia l’ultima volta.»


Lo scozzese si era fermato non appena lo spagnolo gli aveva voltato le spalle e si era diretto verso un nuovo percorso.
Lo riteneva un gesto da idioti, eppure avrebbe voluto seguirlo, solo per il gusto di tagliarglielo, quel dito.
Ora fumava, e osservava con diffidenza il dado rosso che stringeva fra le dita.
Presto avrebbe dovuto solcare il cancello nero che gli stava davanti.
Sollevando il viso verso il cielo, lasciò che la sigaretta scivolasse dalle labbra, rotolando fino all’orlo delle rocce, per poi riversarsi nelle acque fredde del fiume, mentre le dita si stringevano ansiose intorno al piccolo oggetto triangolare.
«In my defense, God me defend.» Fu un sollievo vederlo fermarsi sul due.
Il rosso accennò un sorriso soddisfatto, e afferrato il dado si alzò velocemente in piedi, in modo da rimettersi in marcia.


Giunto all’ottava casella, già gran parte dei vestiti del danese si era asciugata a causa del caldo insopportabile, ed era senza dubbio una fortuna, perché la notte fredda come il ghiaccio non ci avrebbe messo molto a raggiungerlo.
Aveva trovato una scatola che gli segnalava il cambio di percorso, ma ciò che gli veniva offerta non era altro che una distesa interminabile di rocce bianche, da quel che era riuscito a vedere.
Evitando di pensare troppo, aveva tirato il proprio dado, e non appena lo aveva visto fermarsi sul due aveva ripreso la sua marcia, più determinato che mai ad arrivare al traguardo.


Ora era più determinata che mai a farla pagare ad Olanda, a Lussemburgo, e a chiunque altro decidesse di sbarrarle la strada.
Più determinata che mai a distaccarsi completamente dalla propria famiglia, perché odiava provare sentimenti negativi per persone che poche volte nei suoi secoli di vita aveva considerato importanti, soprattutto se queste persone portavano il nome di Antonio Fernandez Carriedo.
In un certo modo, l’uno che le si era inciso sul braccio non appena era rimasta sola, al posto del due, le era d’aiuto, ricordandole che per quel momento era totalmente sola, proprio come sarebbe voluta essere per il resto dei giorni.
Lanciò un’occhiata nervosa al dado fermo sull’uno, poi nei dintorni: non avrebbe cambiato percorso come le veniva proposto nel bigliettino trovato nell’ultima scatola.
Afferrò il dado in un gesto rapido, lo intascò, e non si voltò indietro. «Portugal vai ganhar!»
Ora, mentee spingeva le ante del cancello per passare avanti, l’unica cosa che sentiva sua, era la sete di vittoria.


«S-secondo te abbiamo fatto bene a lasciarlo lì-?»
Vladimir si trattenne per l’ennesima volta dal roteare gli occhi, quando sentì la voce preoccupata dell’ungherese porre con titubanza quella domanda.
«Fidati, sta meglio di noi.
Sinceramente non sembra una cattiva idea fermarsi. Insomma, arriverà qualcun altro, no?»
«Vladimir-»
Il tono preoccupato era sparito in un attimo.
Qualche parola, ed il rumeno era già riuscito a farle perdere la pazienza.
«Ti rendi conto dell’idiozia che hai appena detto? Hai visto qualcun altro oltre a noi, Lituania e Bielorussia, sul percorso? No.
Magari gli altri non sono neanche qui. Magari siamo rimasti solo … io e te.» rabbrividì, a quel pensiero, e si ritrovò a deglutire faticosamente, quasi come se dovesse mandare giù un boccone amaro di possibile realtà.
«Sì! E magari dobbiamo anche ripopolare l’ambiente!»
«… Non puoi averlo detto sul serio.»
«Secondo te io farei una cosa simile con te-?!»
«No. Hai paura.
Hai paura perché ti toccherebbe fare la parte della donna.»
All’affermazione convinta dell’ungherese non poté che seguire l’espressione profondamente perplessa del rumeno, che si zittì immediatamente.


«Germania! Giappone!»
Richiamati dalla voce di Feliciano, rivolsero subito l’attenzione davanti ai loro occhi.
Paura, confusione, speranza, furono alcuni dei sentimenti che travolsero i cuori dei tre, non appena videro quel grande cancello nero, molto più alto dei precedenti e dalle forme morbide, innalzarsi verso il cielo.
Nessuno disse una parola, ma piuttosto accelerarono velocemente il passo, impiegando solo un paio di minuti a raggiungerlo.


«Abel-!»
Ruppe finalmente il silenzio, non appena vide quel cancello completamente diverso soltanto a qualche decina di distanza da loro.
«Possibile? Possibile che sia finito-?»
«Andiamo-
Andiamo a vedere!»
E così, a passi rapidi, si diressero verso le sbarre color nero pece.


Il danese si lasciò fuggire una risata stanca, nervosa, stringendo le sbarre del cancello nero con le dita: era arrivato? Possibile?
Non aveva reso vano il sacrificio di Norvegia.
Era arrivato!


«Gilbert! Guarda laggiù!»
L’albino non crebbe ai suoi occhi.
«È diverso rispetto agli altri-» rivolse un’occhiata al russo, ora con un lieve sorriso ad incrinargli le labbra «forse siamo arrivati!
S-sì! Siamo arrivati coniglietto, ne sono sicuro~!»


«Te l’ho detto!
Sei patetico, vuoi fare lo stallone, e poi ti vergogni di me-»
«Sta un po’ zitta, megera.»
Ungheria lo fissò soltanto per un attimo, perplessa, poi strepitò con voce incredibilmente forte.
«Cosa?! Come mi hai chiamata?!»
«Forse …»
«Ehi! Ehi idiota! Rispondimi-!»
«Forse ce l’abbiamo fatta.»
«… Eh-?»
E senza dire altro, si limitò a tendere l’indice verso il grande cancello nero che svettava in lontananza.


Arrivata di fronte a quel grande cancello nero, la portoghese sorrise più divertita che mai, fino a ridere, sentendo aumentare di attimo in attimo quella sete di vittoria.
Senza dire nulla e continuando a ridere, adagiò la schiena alla grata nera, estraendo la pistola per caricarla con attenzione: pronta ad uccidere.


«Oh.»
Il suo ringraziamento mentale fu rivolto subito a Dio, e il suo sorriso trionfante alle grate nere che aveva di fronte.
«Bene, bene.»
Soddisfatto, spense la sigaretta consumata contro una delle sbarre lucide, estraendo il pacchetto per fumarne una nuova.



Eppure, qualcosa, non andava.

Nessuna scatola.
Solo grandi cancelli.
Alti, maestosi, gabbie nere contro l’arancione violento dell’ultimo tramonto.
   
 
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