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Autore: Kiki87    19/12/2012    3 recensioni
Kurtbastian Week di Dicembre
1) Playing In The Snow: una visita alla Dalton, nuovi incontri, vecchie conoscenze e una battaglia a palle di neve.
2) Mistletoe: una festa a casa di Rachel, un vischio traditore e una (non sperata) sorpresa.
3) Christmas Presents Beneath The Tree: è il primo Natale di Kurt e Sebastian nella loro casa. Aspettative e realtà a confronto.
4) Christmas Morning: un Natale amaro se lo si dovesse passare soli a NYC dopo una rottura ma se non fosse così solitario?
5) Santa Claus and The Reindeer: Babbo Natale arriva davvero in tutte le case, perché tutte le famiglie sono uguali, vero?
6) Family Fun: sei lettere per sei motivi per cui "apprezzare" il Natale secondo Sebastian Smythe.
7) Crossovers During The Holidays: ritorno nell'Upper East Side dopo un anno. Solita Gossip Girl ma solito Kurtbastian?
Genere: Comico, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe
Note: AU, Cross-over, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Questo è stato il primo racconto che ho scritto della Week (ormai sarete abituati al mio schema tutt’altro che ordinale!) e essendo iniziata a metà Novembre, ho preferito portare questo raccontino in versione A/U, non sapendo bene cosa sarebbe accaduto in Glee. O meglio avevo letto qualche spoiler (e ho visto di recente la puntata coi sottotitoli in italiano), a dirla tutta, ma ho preferito discostarmi.
E’ ambientata, quindi, a partire dalla seconda stagione, come vedrete per contesto, ma ovviamente qui si contempla anche Sebastian.
Prima di iniziare un ringraziamento alla mia Sebastian per la sua splendida recensione che mi ha lasciata, al solito, senza fiato e che rende tanto meraviglioso scrivere di questa coppia! J
Un ringraziamento anche a tutti coloro che hanno inserito la raccolta tra preferite/seguite/ricordate.
Sarò particolarmente curiosa del vostro responso in questa OS ma per un’altra ragione di cui parleremo dopo, per ora buona lettura! :)

 

A tree that smells of pine
A house that’s filled with joy and laughter
The mistletoe says “stand in line”
Loneliness is what I’ve captured
Oh, but this evening can be a holy night
Lets cozy on up the fireplace
And dim those Christmas lights

So please just fall in love with me

this Christmas
There’s nothing else that you will need

this Christmas

(Cold December Night Michael Bublé)

Mistletoe –

Our secret.

 

Poco importava che il calendario segnasse sfacciatamente l’antivigilia di Natale: quella che Kurt Hummel stava affrontando – creme per prevenire le rughe già disseminate con spasmodico ordine sullo scaffale della sua toeletta – era una vera e propria crisi amorosa più idonea alla festività di metà Febbraio. Scosse il capo e prese un bel respiro: c’era ancora tempo, si disse, non era il caso di lasciarsi prendere dall’angoscia e rischiare ulteriore stress per la sua pelle.
Controllò l’orologio ed emise uno stridulo verso: era molto più tardi di quanto avesse sperato e ancora non era completamente sicuro di cosa avrebbe indossato quella sera, alla festa che si sarebbe tenuta a casa di Rachel. Terminò di detergersi il viso e, dopo essersi spalmato una discreta quantità di fondotinta a coprire qualche piccola imperfezione (brufoli di cui nessuno sarebbe mai dovuto entrare a conoscenza!), si volse all’armadio con espressione decisa.
Se aveva già optato per un paio di pantaloni scuri che ne fasciavano perfettamente le gambe ed era tentato da una camicia rossa (probabilmente era più adatta per tema, rispetto a quella viola che, tuttavia, sarebbe stata dell’esatto punto di colore che sarebbe tornata di voga, secondo le anticipazioni di Vogue almeno), non aveva ancora deciso quale soprabito abbinare. Allacciò la cintura in vita ma lo sguardo azzurro era ancora fisso sui due diversi modelli per tessuto, lunghezza e accessori che aveva appeso per la gruccia sull’anta dell’armadio.
Fu in quella silenziosa contemplazione che lo scorse Burt: si era premunito di lasciare la lattina di birra in cucina onde evitare un’altra lavata di capo circa la sua salute e un menù da “coniglio” che gli avrebbe personalmente prescritto.
Si appoggiò allo stipite della porta, un vago sorriso nel contemplarne l’espressione tanto concentrata. Una luce più dolce nello sguardo al pensiero di quanto gli fosse mancato sentirlo girovagare per casa parlando di attrici, modelle, cantanti (o tutte queste categorie insieme) o di una qualche canzone che avrebbe voluto proporre a Mr Shuester alla successiva lezione del Glee Club. Ma sapeva che anteporre il suo benessere e la sua sicurezza al proprio volere, fosse il suo dovere di genitore e doveva ringraziare di aver sposato una donna splendida come Carole che era stata lei stessa promotrice dell’idea di usare i soldi della luna di miele per farlo trasferire alla Dalton.
Si schiarì la gola e solo allora Kurt si volse ad osservarlo.
“Vuoi che ti lasci solo coi tuoi vestiti?” domandò, un vago sorriso sornione sulle labbra. “Ero solo venuto ad avvisarti che c’è quel ragazzo, di sotto, che ti sta aspettando”.
“Blaine è arrivato?” aveva domandato, la voce che era suonata in un falsetto strozzato mentre le guance si pitturavano di un delizioso rosa acceso che ne mise in risalto il colore delle iridi e Burt sospirò, scuotendo leggermente il capo.
“Blaine? Credevo si chiamasse ‘Brillantina’” aveva borbottato, suscitando uno sguardo di muto rimprovero da parte del figlio che si addolcì, tuttavia, con un vago sorriso prima di avvicinarsi all’armadio.
“Blaine è la persona più gentile e premurosa che io abbia incontrato alla Dalton, il che è tutto dire: sono tutti davvero deliziosi. Beh, quasi tutti” aveva soggiunto tra sé e sé prima di volgersi nuovamente all’armadio, indicandolo al genitore.
“Un doppiopetto Marc Jacobs o un classico Armani?” aveva domandato, prendendo entrambe le grucce e trattenendo entrambi i capi a mezz’aria mentre Burt faceva schioccare la lingua sul palato.
“Perché diavolo dovrei sapere qual è la differenza, figliolo?” aveva domandato in tono vagamente interdetto ma questi già non lo stava ascoltando e aveva scostato il cellofan per indossare il lungo cappotto a doppiopetto. Si legò la cintura in vita e aprì l’anta dell’armadio per un’ultima sistemata alla capigliatura prima di studiare il suo riflesso con espressione attenta e meticolosa, continuando a commentare frasi sconnesse come “Armani è troppo austero” “Marc Jacobs non è mai scontato” e cose simili.
Burt scosse il capo.
“Significa che sei innamorato di lui?”.
“Pà!” lo aveva apostrofato Kurt, terrorizzato alla prospettiva che il ragazzo interessato potesse sentirlo e Burt sollevò le mani come a scusarsi prima di entrare nella camera e chiudersi la porta alle spalle.
“Tranquillo, l’ho lasciato in soggiorno con Finn e Carole”.
Ma ciò non parve rassicurarlo, al contrario sembrò persino più agitato.
“Ragione per cui devo sbrigarmi prima che lo faccia scappare con la sua dipendenza da videogiochi”.
“Kurt” Burt lo aveva richiamato e gli aveva posto le mani sulle spalle.
“Non hai risposto alla mia domanda: che cosa c’è tra te e il brillantinato?”.
“Prima di tutto, Blaine fa uso di gel e, d’accordo, a volte forse esagera ma soltanto perché ha qualche problema ad accettare i suoi riccioli che trovo deliziosi e sbarazzini-“.
Burt aveva sospirato e si era portato una mano sulla tempia. Quelle precisazioni di make-up gli avrebbero procurato un mal di testa da guinness, almeno come quando aveva cercato di spiegargli la sua teoria sulle premesse per poter acquistare un anello di fidanzamento. Come in quei suoi consigli fosse riuscito a parlare di arte, di storia e di moda, ancora non era certo di aver compreso ma era stato molto più semplice – e meno doloroso! – assecondarlo.
“Vai avanti” lo esortò e Kurt si morsicò il labbro prima di stringersi le spalle.
“Forse ho una cotta per lui” aveva ammesso e lo sguardo di Burt era sceso sull’agenda del ragazzo dove spiccava il disegno di un cuore con i loro nomi iscritti e ricalcati con la penna rossa.
“Forse?” aveva domandato e Kurt si permise di arrossire, seppur dondolandosi con le spalle quasi a volerselo ingraziare. “Anche lui è gay, sto facendo progressi” aveva commentato e Burt aveva socchiuso gli occhi prima di prendere un bel respiro.
“E questo” aveva gesticolato quasi a cercare di ricordarne il nome.
“Blaine” Kurt era parso vagamente offeso, le braccia incrociate al petto e le sopracciglia inarcate.
“E’ al corrente dei tuoi sentimenti?” aveva chiesto, infine e si era preparato a trattenere il fiato: forse era ancora in tempo per evitare qualche spiacevole conseguenza. Al cenno di diniego del figlio dovette ricorrere a tutta la propria compostezza per non esultare come avrebbe fatto durante una partita di football al punto della sua squadra.
Si era schiarito la gola e ne aveva stretto la spalla.
“Non perderti d’animo: hai tempo per trovare il ragazzo giusto” aveva commentato più dolcemente e Kurt aveva sollevato gli occhi al cielo.
“Da quando parli per aforismi?”.
“Kurt, quello che sto cercando di dirti è che non devi essere impaziente: lo conosci da poco e… non voglio che tu soffra” aveva concluso in tono meno burbero e più somigliante ad una sospirata richiesta che lo aveva fatto sorridere più dolcemente.
“Niente di affrettato, promesso”.
“Bene. E comunque, aspetterò il tuo ritorno: sobrio e solo” aveva specificato al che il giovane aveva sollevato gli occhi al cielo.
“Stiamo andando ad un party di Rachel: l’unico motivo per cui qualcuno si ubriacherebbe è evitare le sue manie ossessive compulsive da povera solita incompresa”.
“Kurt”.
“D’accordo, pà”.
“E’ bello riaverti a casa, figliolo. Molto più caotico e rumoroso ma bello” avevano sorriso entrambi prima che Burt lo stringesse a sé per un breve istante. Appoggiò il mento contro i suoi capelli profumati e morbidi e per un istante fu come riavere quel bambino che lo svegliava al primo incubo spaventoso, come stringere un fantasma del passato.
“Mi sei mancato anche tu, papà”. Aveva sussurrato e quel nodo in gola sembrò molto più serrato mentre si scostava e gli batteva sulla spalla, un sorriso più allegro.
“Vai ora e divertiti. Ma stai lontano dal vischio”. Lo ammonì con finta espressione severa.
“Questo non posso prometterlo”. Ribatté Kurt con un accenno di sorriso più compiaciuto.
“E io non posso promettere che il tuo amico uscirà di casa”.
 
 
~
 
Come aveva detto a suo padre, l’unico motivo per cui si potesse bere ad un party indetto da Rachel Berry, era la noia. O la disperazione. O magari entrambe. Ma era una fortuna che Kurt Hummel fosse astemio perché quella sera tutto sembrava, invece, indurlo a volersi sgolare qualsiasi bevanda alcolica tanto per evitare di fare qualcosa di terribilmente pericoloso: pensare.
Se aveva sperato che l’atmosfera natalizia potesse giovarlo a farsi avanti con Blaine, non aveva fatto i conti con la stessa Rachel.
Era già abbastanza frustrante passare intere ore con lui tra i corridoi della Dalton o alle riunioni tra i Warblers e avere la netta sensazione di essere completamente invisibile ai suoi occhi. Ma che una disperatamente single Rachel Berry cercasse di manipolarne sempre l’attenzione, coinvolgendolo in duetto, tanto da lodare con uno squittio irritante che “solo un grande talento può confrontarsi col mio ed uscirne indenne. “era più di quanto potesse tollerare.
Decise di censurare nella sua mente il ricordo di come lo avesse ignorato per far strada a Blaine che – educato, dolce e splendido (va bene, questo lo aveva aggiunto come bonus!) – non aveva potuto che ringraziarla per aver cortesemente esteso l’invito anche a lui. Certo, che poi lei lo prendesse sotto braccio per trascinarselo dietro come un pupazzo (forse avrebbe dovuto trovarle un ragazzo: sarebbe stato uno splendido fioretto natalizio), era ulteriormente frustrante.
Si era, tuttavia, lasciato avvincere dalla gioia e dalla commozione nel riabbracciare i vecchi compagni del Glee Club ed era passato da “Il mio unicorno!” di Brittany al “Allora, quanti Usignoli ti sei portato in gabbia? Dillo al tuo Puckmentore” prima di sedersi accanto a Mercedes e abbandonare il capo contro la sua spalla.
“Sai com’è Rachel” lo aveva consolato quest’ultima, come sempre in linea di sintonia con il suo pensiero, senza bisogno di particolari spiegazioni circa il suo stato d’animo. “E per fortuna che Blaine è gay” aveva soggiunto in una risatina mentre Kurt sospirava, sollevando appena gli occhi al soffitto.
“Non credo che le importi più di tanto” no, a giudicare da come ne stringeva saldamente il braccio: lui stesso aveva sperimentato quanto quelle manine, apparentemente delicate, potessero attanagliarsi con artigli appuntiti nell’avvinghiare qualcuno.
“Ma importa a lui” aveva sottolineato Mercedes, prendendone il mento ed osservandolo, l’espressione improvvisamente addolcita. “Hai intenzione di parlargli?”.
Un lieve rossore sfiorò le gote di Kurt ma annuì fermamente, un vago sorrisetto ironico.
“Vuoi dire prima che Rachel si infili sotto il suo papillon?” aveva sollevato il mento con espressione più decisa nel continuare a scrutare i due che si trovavano in fondo alla sala e sembravano scegliere, tra gli spartiti, l’ennesimo numero da provare insieme.
“Oh, sì, assolutamente”.
Non era mai stato un tipo religioso ma aveva amato quel periodo dell’anno: soprattutto quando sentiva ancora la voce della madre mentre cantava, il profumo dei suoi biscotti dalla forma dei fiocchi di neve e tutte le decorazioni che affiggeva per casa e che suo padre, dalla sua scomparsa, cercava goffamente di imitare. Quasi sperando che un ambiente simile a quello in cui avevano vissuto per anni, potesse riportarla indietro.
Non credeva nell’esistenza di una creatura soprannaturale, ma se qualcosa di sacro vi era, lo respirava nel ritorno a casa tra i suoi affetti o in quella stanza tra le persone che aveva amato e il ragazzo che occupava il suo cuore.
Si era appena liberato da Rachel e lo aveva cercato con lo sguardo: gli aveva sorriso e Kurt aveva sentito il cuore fermarsi nel petto. Quasi spontaneamente – non credeva di aver più controllo della contrazione dei muscoli facciali – ricambiò il sorriso.
Scambiò uno sguardo con Mercedes che gli fece un cenno di assenso silenzioso e si rimise in piedi. Lisciò la camicia da pieghe inesistenti e si passò una mano tra i capelli prima di prendere un bel respiro per avvicinarsi.
Quello era il suo momento e niente e nessuno glielo avrebbe rovinato, aveva pensato con così tanta intensità che temette quasi lui potesse scorgerlo chiaramente nel riflesso delle iridi.
Pensò anche a quanto sarebbe stato bello ballare insieme, con quella dolce musica di sottofondo, le luci soffuse e poterne inspirare il profumo, abbastanza vicino da sentire i loro battiti confondersi e risuonare all’unisono. Magari, poi, riuscire ad allontanarlo dalla sala così da poter restare soli e magari consegnargli il regalo di Natale prima che partisse per la vacanza coi genitori e si potessero incontrare soltanto ai primi dell’anno.
Fu con quel proposito che si diede nuova forza per farsi avanti: lo stava attendendo e non aveva smesso di sorridergli con quella luce calda nello sguardo, accentuandone una sfumatura ambrata, dolce almeno quanto il miele e che era capace di procurargli quel singhiozzo all’altezza della gola.
Si era sentito letteralmente camminare sulle nuvole o quella era stata l’impressione… fino a quando Rachel non lo aveva nuovamente stretto il braccio.
Blaine aveva distolto lo sguardo: aveva nuovamente sorriso alla giovane – solo la pazienza dimostrava che era davvero un ragazzo perfetto – e aveva cercato di dire qualcosa, probabilmente un modo educato per congedarsi.
Era stato allora che Brittany era apparsa tra loro e aveva tenuto sollevato sopra le loro teste quello che somigliava straordinariamente ad un ramoscello da cui pendeva…
Ricordò il monito del padre come una sorta di ironica presa in giro.
Non stava realmente accadendo, si disse ma a poco valse che Santana rubasse il vischio per avvicinarsi con sguardo eloquente a Sam, o che Blaine apparisse interdetto mentre Rachel sorrideva nervosamente. Seppur non riuscisse a sentirla – in realtà era come contemplare una scena di un vecchio film drammatico in bianco e nero nel quale tutti i personaggi, improvvisamente, indossavano abiti di alta sartoria del dopoguerra – immaginò che avesse commentato qualcosa in tono stucchevole e dietro lo sguardo di cerbiatta, Kurt scorse quella belva famelica di successo e di attenzioni. Il suo lato oscuro.
“Oh, ti prego, Fringuello: dalle quello che vuole, prima che le si secchino le ovaie” aveva berciato Santana in tono evidentemente ironico che aveva fatto arrossire Rachel ad una maniera mortificata.
Kurt paradossalmente lo seppe prima di tutti: di Puck che aveva fischiato, di Lauren che stava lamentandosi della mancanza di un vero uomo degno di lei, di Finn che restò attonito con le labbra schiuse e il panino addentato, di Brittany e che si tappava gli occhi e di Santana che, tra le braccia di Sam, stava dando loro una sorta di anteprima.
Lo seppe ma non poté sopportarlo malgrado fosse stato solo un casto sfiorarsi di labbra.
Qualcosa dentro di sé sembrò rompersi e, incurante del richiamo preoccupato di Mercedes, e dei fischi o delle frasi di divertimento dei presenti, uscì dalla casa e si rimise in fretta il cappotto.
Era stato Blaine ad accompagnarlo ma avrebbe comunque preferito ignorare il proprio SUV e camminare a piedi: una passeggiata sarebbe stata l’ideale per schiarirsi la mente o, semplicemente, non pensare.
Si allontanò, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni e lo sguardo perso in un punto indefinito.
Neve ovunque ma cielo sgombro di nuvole.
Una perfetta rappresentazione di sé: animo scalpitante e solitudine forzata.
 
~
 
Sapeva che si trattava soltanto di un bacio da vischio. Sì, lo sapeva. Avrebbe dovuto saperlo, continuava ad ammonirsi per la propria reazione. Eccessiva, come era tipico di lui d’altronde: non sembravano mai esistere mezze misure, soprattutto in amore.
O un silenzio doloroso e straziate come quello che lo aveva portato a negare persino la sua omosessualità e i sentimenti per Finn, o l’irruenza come quando aveva reagito alle angherie di Karofsky. Pessimi risultati in entrambi i casi, evidentemente era lui ad avere qualcosa di sbagliato.
Scosse il capo ed ignorò l’ennesima chiamata di Rachel e i suoi sms ma non ebbe il coraggio di aprirne uno da parte di Blaine.
Continuò, invece, la sua solitaria camminata, si confuse tra gli altri passanti: osservò le coppie strette per proteggersi dal freddo, i bambini impazienti del giorno di Natale che passeggiavano coi genitori o le amiche che si davano appuntamento per un’ennesima pattinata prima di chiudersi in un bar per un’ultima cioccolata calda prima di coricarsi. Avrebbe preferito essere qualsiasi altro di quei personaggi, non quel puntino anonimo e solitario tra la folla.
Vi era stato davvero quel periodo in cui il Natale era fonte di calore e di spensieratezza, del sentimento di vicinanza; mai si era sentito così solo e lontano da tutto ciò.
Mai aveva desiderato così tanto non sentirsi intrappolato in quel corpo mentre la consapevolezza di aver sbagliato si faceva largo ma l’orgoglio non avrebbe sopportato di tornare indietro.
Con le sopracciglia inarcate, osservò l’insegna della sua caffetteria preferita prima di entrare e sorridere alla barista, la solita ordinazione e prese posto.
“Buon Natale, Kurt” sussurrò tra sé e sé, osservando il paesaggio dal finestrino e portandosi il caffè alle labbra con un sospiro.
Gli sarebbero davvero venute le rughe precoci.
“Non è un po’ patetico farsi gli auguri da solo?” giunse la voce beffarda, limpida e suadente e poteva persino immaginare il sorrisetto diabolico che aveva accompagnato quella frase.
Poco ci mancò che non sputasse il contenuto del proprio bicchiere o si scottasse la lingua: pregò perché quella fosse solo un’allucinazione dovuta allo stress (esistevano allucinazioni uditive?!), ma sembrò tutto vano quando il giovane circumnavigò il tavolo.
Sollevò il proprio bicchiere, a mo’ di saluto, quel sorrisetto beffardo sulle labbra e, a parte il lungo soprabito, era il solito Sebastian Smythe che incontrava – o meglio detto con il quale si scontrava – tra i corridoi della Dalton. O per dirla in modo più schietto e diretto, spesso attaccato al fondoschiena di Blaine, seppur non nel modo volgare nel quale sicuramente sperasse, ogni volta che desse il meglio (peggio) del suo repertorio da indomito conquistatore dongiovanni gay.
“Ma ripensandoci” approfittò del fatto che Kurt stesse ancora elucubrando circa la sua presenza effettiva per continuare il suo soliloquio. “faccia da checca e patetico sono sinonimi, quindi.” scrollò le spalle con gesto non curante e si sedette.
Ciò era soltanto un piccolo riassunto del tipo di particolare relazione che si era instaurata tra i due da che Kurt era giunto alla Dalton: era stata una sorpresa scorgervi quel ragazzo – non lo aveva visto durante quella prima escursione, tra l’altro fallimentare, a scopo di spionaggio gratuito – e una spiacevolissima coincidenza avvedersi che anch’egli fosse gay e anch’egli avesse puntato lo sguardo su Blaine. Era stato un momento carico di tensione quello nel quale si erano scrutati con cipiglio evidente di reciproca ostilità mentre il bel moretto appariva chiaramente troppo euforico all’idea di frequentarli entrambi dallo scorgere quella che – Nick così la chiamava bonariamente – sembrava la “cortina di ferro” della guerra fredda. Se erano abbastanza affettati e capaci di improvvisare finti sorrisi di cortesia e di complicità, non mancavano momenti nei quali dovessero ricordarsi reciprocamente quanto si detestassero: il che avveniva ogni volta che Blaine si allontanasse per prendere uno spartito, per un assolo o per l’ordinazione ad entrambi alla caffetteria della Dalton.
Kurt sospirò stoicamente: evidentemente il karma doveva averlo punito. Aveva esultato non poco, persino benedetto l’iniziativa di Rachel alla quale ovviamente Sebastian sarebbe stato escluso – nota per sé: mai permettere che Rachel e Sebastian si conoscessero a meno che non dovessero distruggersi a vicenda – ma evidentemente doveva pagare lo scotto di aver partorito pensieri poco puri e da atmosfera natalizia.
“Non dovevi tornare a Parigi?” gli chiese in tono evidentemente stizzito, sbuffando al vederlo prendere posto senza la benché minima intenzione di allontanarsi.
“Cambio di programma” spiegò svogliatamente, stringendosi nelle spalle mentre sorseggiava il proprio caffè – immaginò corretto come lo beveva anche alla Dalton con grande stupore di Blaine – senza togliergli gli occhi di dosso.
“e poi è così… difficile staccarsi da certi luoghi, persone, camere da letto…” si era lambito le labbra dopo aver posato il suo bicchiere ma con fare così languido e lascivo che Kurt dovette distogliere lo sguardo, il pugno stretto sul ginocchio.
“Non vedo Blaine” aveva commentato ad un certo punto e Kurt era certo che fosse l’unico motivo per il quale si stesse intrattenendo con lui, non che volesse dargli alcuna soddisfazione aggiuntiva oltre al trovarlo solo a due giorni dal Natale. “… lo hai lasciato coi tuoi amichetti della scuola pubblica?” pronunciò la frase con evidente alterigia di chi si riteneva troppo speciale ed importante per frequentare un liceo statale, un altro motivo che glielo rendeva così particolarmente inviso.
Non si era tuttavia aspettato che sapesse. Certo, non era un’informazione nuova che Blaine e Sebastian si parlassero tramite telefono o social network e ovviamente Blaine era libero di frequentare chiunque gli fosse gradito, ma… e in che termini gliene aveva parlato? Doveva cercare di carpire qualcosa di più, senza tuttavia compromettersi.
Assunse un’espressione di pacato fastidio – non che dovesse fingerlo! – e sospirò.
“E tu come fai a saperlo?” chiese, lasciando intendere quanto gli fosse fonte di insofferenza il suo conoscere gli impegni e le frequentazioni del moretto. Evidentemente doveva aver centrato il bersaglio perché Sebastian sorrise, il viso inclinato di un lato e le sopracciglia inarcate.
“Sembrava davvero… impaziente” disse e Kurt cercò di non mostrarsi troppo compiaciuto alla rivelazione: sperò che i suoi battiti convulsi non dovessero tradirne lo stato d’animo.
“Povero innocente Blaine che non scorge la tua disperazione” concluse con un sorrisetto allusivo e Kurt non dovette sicuramente improvvisare il rossore che gli colorò le guance. Strinse gli occhi in due fessure, le sopracciglia aggrottate e il mento sollevato.
“Disse il disperato stalker che ne conosceva ogni singolo impegno personale” lo canzonò con voce flautata che fece soltanto sogghignare Sebastian. Posò il suo bicchiere, evidentemente non avendo più particolare attenzione per ciò che stava bevendo e si sporse in sua direzione così da parlare ad una maniera più “privata”.
“Ti ho già detto che con lui non hai alcuna speranza, vero?”.
“Ti ho già detto che la tua opinione non mi interessa, vero?” replicò a tono. “Come se poi tu sapessi qualcosa dell’amore” aveva soggiunto tra sé e sé, lo sguardo nuovamente volto ad osservare il paesaggio fuori dalla finestra.
Nuovamente una fitta allo stomaco all’idea di aver lasciato il ragazzo nel covo del suo ex Glee Club anziché poter condividere con lui quei momenti prima della sua vacanza.
Sebastian non parve affatto aversela a male. Al contrario sogghignò, continuando a studiarlo, le labbra smosse in una vaga smorfia.
“Come se tu sapessi qualcosa del sesso o dell’essere vagamente sexy” aveva replicato in tono velenoso, riscuotendo l’attenzione di quel paio di iridi cerulee che sembrò inchiodare nelle proprie più smeraldine perché il messaggio gli giungesse più limpido. “… avrai notato come scodinzola in mia presenza oppure i tuoi singhiozzi trattenuti coprono tutto il resto?”.
Kurt si rimise bruscamente in piedi: non voleva scorgesse quanto quelle parole potessero innescargli quell’irrigidimento. Soprattutto intorno ad un tema tanto delicato che gli aveva già creato non poche paranoie personali, soprattutto la sua scarsa esperienza in ambito sentimentale. Il ricordo di quell’unico bacio, tra l’altro strappatogli da Karofsky, ne fece bollire le guance mentre si rimetteva frettolosamente il cappotto, neppure curandosi di terminare la sua bibita.
“Se vuoi scusarmi, la mia soglia della sopportazione è arrivata al limite” aveva commentato, in tono altezzoso.
“Fammi indovinare” la voce di Sebastian era giunta troppo vicina perché gli stesse parlando dal tavolo e fu con orrore che si avvide che lo stava seguendo fuori dal locale.
“Neppure stasera sei riuscito ad aprirgli il tuo cuore?”.
Kurt non aveva risposto e aveva soltanto accelerato il passo ma con rapide falcate delle gambe più lunghe, Sebastian riuscì facilmente ad adattarsi a quel ritmo e non mancò di sorridergli ancora mentre lo affiancava. Ostentò quell’aria di altezzosa indignazione nel volerlo ignorare: le mani conficcate nuovamente nelle tasche del soprabito – noncurante di star apparendo poco elegante in simile frangente – e lo sguardo dritto innanzi a sé.
“Magari se gli cantassi un pezzo di Katy Perry nudo” continuò a canzonarlo l’altro, lo sguardo fisso sul suo profilo, il perenne sorrisetto divertito.  “se non altro potremmo sempre farci qualche risata” aggiunse con un lieve scrollare di spalle che fece incupire Kurt nel fermarsi.
Così fece Sebastian.
Sollevò gli occhi al cielo e si volse in sua direzione.
“Mi stai seguendo o-?” si interruppe al suono del cellulare e la suoneria di Lady Gaga, estrasse l’apparecchio soltanto per rifiutare l’ennesima telefonata di Rachel, facendo fischiare Sebastian in tono di evidente scherno.
“La faccia da checca offesa: deve essere andata peggio del previsto” convenne, scrutandolo mentre, con un movimento stizzito, rimetteva il cellulare nella tasca. Scosse il capo e riprese a camminare, Kurt, persino più rapidamente.
Digrignò i denti perché nuovamente Sebastian gli si affiancò.
“Lo Scandals è chiuso per ferie o è stato sequestrato dal reparto sanità pubblica?” aveva domandato, suscitandone soltanto una risatina divertita.
“Sono davvero commosso per come ti preoccupi della mia vita sociale tra le lenzuola ma-“.
“E’ già abbastanza stressante sapere che dovrò rivederti ogni giorno alla Dalton fino alla fine dell’anno-“.
“Puoi sempre ritornare nella tua scuola di disadattati senza talento” sorrise affettato, le braccia incrociate al petto. “Sono sicuro che anche lì sei invisibile. E non preoccuparti per Blaine, ci sarò io a fargli compagnia”. Aggiunse con tono serafico che lo fece ulteriormente incupire.
Cercò di ignorare quel suo riferimento al suo sentirsi spesso messo in secondo piano: qualcosa che gli aveva già suscitato più di un malessere quando, settimana dopo settimana, era Rachel ad avere il podio delle Nuove Direzioni e quando alla Dalton era lo stesso Blaine ad avere quasi tutti gli assoli. Ma quell’ultima scoccata sul ragazzo stesso, gli procurò un’ulteriore fitta di gelosia che lo fece incupire e ne rese lo sguardo più fosco.
“Sei un illuso se credi che Blaine uscirebbe con uno come te!” era la prima volta, forse, che rivolgeva tanto disgusto nei confronti di qualcuno e per qualcosa che non riguardasse un comportamento omofobo o una competizione canora. Si trattava della più basilare delle rivalità e non avrebbe mai pensato di pronunciare simili parole o di ritenere che qualcuno non fosse degno di essere amato.
Probabilmente guardandosi dall’esterno si sarebbe sorpreso di come riuscisse, quasi, a farne sbloccare persino quella sfaccettatura più forte della sua personalità.
Ma, soprattutto, era ulteriormente sconcertante come Sebastian sembrasse insensibile a simili commenti.
“Chi ha parlato di uscirci?” aveva chiesto, infatti, le sopracciglia inarcate. “Non sono io la femminuccia che sogna ad occhi aperti leggendo i romanzi di Nicholas Sparks”.
Un’altra scoccata che Kurt subì con un irrigidimento della mascella. Ecco un altro motivo per il quale la sua avversione per Sebastian era tanto ustionante: se fosse stato in competizione con un ragazzo altrettanto innamorato di Blaine, avrebbe anche potuto trarvi un motivo di sollievo. Qualunque cosa fosse accaduta e chiunque Blaine avrebbe scelto, avrebbe avuto al suo fianco qualcuno che lo apprezzasse e non soltanto per il suo aspetto.
“Sei disgustoso” commentò, infatti, in tono impietoso ma, da come Sebastian sorrise, sembrò soltanto trarvi un ulteriore complimento mentre si stringeva nelle spalle.
“Punti di vista, sono solo sincero”.
Si erano fermati e stavolta Kurt non avrebbe saputo quale altro espediente utilizzare: stava fissando, infatti, la sagoma della sua stessa casa. Non voleva neppure correre il rischio di continuare a vagare e magari incontrare qualcuno che sarebbe rientrato dal party di Rachel.
Stava ancora cercando una soluzione al suo silenzioso dilemma quando Sebastian sogghignò nello scrutare l’insegna.
“E così è qui che vive il figlio di un meccanico”.
“Se pensi che ti inviti ad entrare-“.
“Un giorno, quando capirai di essere davvero gay e non una ragazzina piena di estrogeni, allora mi supplicherai e ti renderai conto dell’occasione persa”. Commentò Sebastian in tono così sicuro di sé ed arrogante che Kurt emise uno sbuffo ironico, un vago sorriso velenoso.
“Un giorno, quando e se mai perderò il senno, sarò lieto di litigare con te per tutto il percorso di ritorno. Ma quel giorno non è oggi e-“.
Si erano entrambi interrotti: un cumulo di neve era caduto tra loro e Kurt levò lo sguardo curiosamente, imitato dall’altro.
Fu allora che, illuminato dalle luci di Natale affisse intorno ad un pioppo e alle decorazioni esterne, scorse un ramoscello di vischio, abbarbicato intorno allo stesso come un parassita, mentre un silenzio incredulo scendeva tra loro.
Vischio, pensò Kurt tra sé, gli occhi sgranati e le labbra schiuse.
Sebastian stesso sembrò restare immobile: si scrutarono per un lungo istante nel quale nessuno dei due parlò ma vi fu una nuova tensione, completamente diversa da quella che precedeva uno dei soliti litigi. Piuttosto la realizzazione che qualcosa fosse richiesto.
Qualcosa che entrambi, ovviamente, non desideravano. Ma per quanto fosse scontato, sembrava una debolezza doverlo ammettere a voce alta.
“Io credo…” fu Kurt il primo a spezzare il silenzio divenuto intollerabile, accennando all’ingresso: se fosse stato abbastanza fortunato, suo padre sarebbe uscito e avrebbe intimato a Sebastian di rispettare una distanza di almeno tre metri tra loro.
Evidentemente non era la sua serata fortunata perché Sebastian colse quel mormorio e sogghignò di fronte alla sua esitazione prima di chinarsi pericolosamente verso il suo volto.
Si avvicinò al suo orecchio, schiuse le labbra e rilasciò un respiro che fece intirizzire la pelle di Kurt.
“Se aspetti un bacio sotto il vischio per una stupida tradizione, temo, cara Miss Hummel, che dovrai gettarne un intero cespuglio addosso a Blaine”.
Si scostò bruscamente, le guance arrossate per la vergogna e l’indignazione: ancora una volta sentendosi non poco oltraggiato dal modo in cui si scherniva di lui, soprattutto in quell’ambito personale, d’altro canto biasimando se stesso per aver reagito, al solito, a quella maniera insicura.
“Non voglio essere baciato da-“.
Si interruppe, un gemito di sorpresa ne sgorgò dalle labbra quando Sebastian lo attrasse a sé, lontano dall’albero, e si chinò verso il suo viso.
Fu un movimento così fluido e rapido che Kurt riuscì a stento a realizzarlo: aveva sentito l’alone del suo respiro sul viso, il suo profumo avvolgerlo stuzzicante ed intenso e, l’attimo dopo, ne aveva carpito le labbra.
Un lungo respiro trattenuto nel quale perse la cognizione di sé.
Tremò e sbatté le palpebre prima di socchiudere gli occhi, completamente avvinto dalla sua vicinanza, da quei battiti divenuti persino più intensi e da quel calore che lo aveva fatto istintivamente (era istinto, ovviamente, la sua mente era offuscata da “normali reazioni fisiologiche”, si sarebbe detto da lì ai giorni seguenti) socchiudere gli occhi nella sua morsa.
Se fino a quel momento, il suo cuore era sembrato strozzato dal pensiero di quel bacio tra Blaine e Rachel sotto il vischio, non vi fu che Sebastian nella sua mente, in quel preciso istante.
Mai si era sentito così consapevole del suo corpo: di quel brivido che scorreva sotto pelle, di quel calore che sembrava direttamente provenire dalle labbra di Sebastian e diffondersi in tutto il suo corpo, malgrado si trattasse di un tocco sfiorato. Ma forse era proprio la sicurezza con la quale lo aveva avvinto a sé, una risoluzione che Kurt aveva sempre sognato, seppur rivolti da un bel altro giovane. Ma era tutto reale, così sentito che non poté che sentirsi avvolgere da quell’emozione, domandandosi se avvicinandosi ulteriormente o trattenendone il viso, ne avrebbe volto un’altra sfumatura.
Fu solo un momento di indecisione ma Sebastian si scostò e Kurt dovette trattenersi dal tastarsi le labbra tremanti.
Seguì un lungo istante di silenzio nel quale boccheggiò, lo sguardo fisso su Sebastian mentre questi conficcava svogliatamente le mani nelle tasche del soprabito, ancora intento ad osservarlo.
“P-Perché l’hai…?” era stata una domanda sincera, spontanea seppur si fosse sentito un bambino che cerchi di comprendere una realtà che appaia troppo difficile da assimilare.
Timoroso della risposta ma, soprattutto, di comprendere cosa si aspettasse e cosa fosse significato per lui quel contatto, se lo shock per il bacio strappatogli da Karofsky era stato paralizzante, in quel caso vi era stato quel solo istante nel quale si era persino abbandonato alla pressione. O aveva persino immaginato di prolungarlo.
Sebastian non parve minimamente turbato, un vago sorriso ancora a sfiorarne le labbra malgrado le iridi apparissero più offuscate ma lo rimandò ad un effetto della luce notturna.
“Non avevo ancora baciato un vergine questa sera” fu la pacata risposta e il cuore di Kurt sembrò fermarsi e la sua mente congelarsi.
L’urto dello schiaffo rimbalzò nel silenzio.
Sebastian non si scompose: continuò a scrutarlo curiosamente, le sopracciglia inarcate e la mano che si massaggiava la guancia lesa, il viso inclinato di un lato.
“Più passione in uno schiaffo che in un bacio… interessante” commentò in tono del tutto casuale.
“Stai-lontano-da-me!”.
Si era scostato più bruscamente, improvvisamente aveva davvero il bisogno di sfiorarsi le labbra quasi a volerle pulire da quel contatto, quasi a voler sentirsi meno contaminato dalla sua presenza o quello che sembrava aver innestato in quel folle istante.
“Ci vediamo a Gennaio, Miss Hummel” gli gridò dietro quando, dopo essersi bruscamente voltato ed aver superato il cancello, si fermò davanti alla porta di casa.
Rientrò e sbatté la porta di ingresso, facendo sussultare il padre che si era assopito sulla poltroncina del salotto.
“Com’è andata alla festa?” aveva chiesto, togliendosi il cappello e sfregandosi le dita sugli occhi, osservandolo attentamente.
L’immagine del padre che seguiva Sebastian con una mazza da baseball era piuttosto seducente ma forse gli avrebbe procurato un infarto.
“Noiosa e banale” replicò in tono neutrale, stringendosi nelle spalle.
“Ti hanno chiamato sia Rachel sia Brillantina, sei sicuro che sia andato tutto bene?” aveva assunto quell’aria più guardinga e preoccupata, malgrado fosse ancora decisamente assonnato.
“Sicuro” gli sorrise con naturalezza. “Sono uscito per fare quattro passi ma avevo il cellulare scarico, vado subito a chiamarli, grazie. Buonanotte” aggiunse con un sorriso prima di salire le scale verso il piano superiore.
Sospirò, detestava mentire a suo padre.
Entrò in camera e si lasciò cadere sul letto, aprì la cartella dei messaggi e, dopo aver sospirato ed ignorato quelli di Rachel, aprì il messaggio che Blaine aveva mandato poco dopo la sua rapida fuga dalla festa.
[Da Blaine] [11.23 pm]
Mercedes mi ha detto che stavi poco bene. (Kurt benedisse la presenza di una persona abbastanza premurosa e sveglia: sicuramente era stata credibilissima).
Avresti dovuto dirmelo, ti avrei riaccompagnato a casa! Rachel è stata molto gentile ma avrei preferito passare più tempo con te. Rimettiti, mi raccomando, e fammi sapere cosa farai in questi giorni.
Un caffè alla caffetteria della Dalton al mio ritorno?
Buonanotte Kurt, mi sei mancato.
 
Un sorriso ne sfiorò le labbra e si abbandonò sul materasso: un sospiro più trasognato mentre leggeva e rileggeva quelle righe, soprattutto quei passi di particolare dolcezza. Quasi volendo immaginare il suo volto mentre le scriveva, il suo sorriso mentre gli dedicava la buonanotte e gli diceva quanto gli era mancato e quanto avrebbe voluto trascorrere quel tempo in sua compagnia.
Fece per premere il tasto di risposta ma si riscosse all’arrivo di un nuovo sms: sperava in un’ulteriore buonanotte di Blaine ma inarcò le sopracciglia nel constatare che fosse un numero sconosciuto, quello del mittente.
Aggrottò le sopracciglia e lesse.
 
[Numero Sconosciuto] [00.38 am]
 
Le tue labbra sono più morbide di quanto immaginassi: forse quel burro cacao, che spalmi ogni cinque minuti, non è così male.
Mi domando cosa ne penserebbe Blaine.
Sognami stanotte,
XXX (Aveva emesso uno strillo indignato a notare un commiato con ben tre baci e scritti in lettera maiuscola).
S.
 
Quasi schifato, lasciò cadere il cellulare sul materasso, un verso stridulo di indignazione e di sgomento prima di aggrottare le sopracciglia nel fissare il soffitto.
Tipico di Sebastian, rovinare sempre tutto.
L’umore non migliorò neppure quando, sotto le coperte, prossimo al sonno, quel viso sembrò nuovamente far capolino nei suoi pensieri. E così la sensazione di quel profumo avvolgerlo, il calore di quel contatto e la morbidezza delle sue labbra.
Sbatté le palpebre e strinse i denti.
Stupido vischio e stupido Sebastian.

 
Come vi dicevo, sarò particolarmente curiosa delle vostre reazioni soprattutto perché, mentre scrivevo questo raccontino, immaginavo di convertirlo in una storia a più capitoli (avrei già creato un piccolo schema in cui appuntare qualche scena visto questo finale sembra averne tutti i presupposti) che pubblicherei a partire dal 2013 con il titolo, appunto, di “Our Secret”.
Fatemi sapere cosa ne pensate :) Intanto vi do appuntamento a domani con “Christmas Presents beneath the tree” e ancora grazie dell’attenzione.
Kiki87
 
   
 
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