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Autore: Elbereth    05/07/2007    6 recensioni
Il fatto che, distrutta la pietra filosofale, Silente non fosse morto, fu un evento che incuriosì l'intera comunità magica inglese.
Genere: Romantico, Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Minerva McGranitt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Denial




Il fatto che, distrutta la pietra filosofale, Silente non fosse morto, fu un evento che incuriosì l'intera comunità magica inglese. Era risaputo che l'uomo era ormai quasi giunto alla veneranda età di centocinquant'anni, e lo stupore di saperlo non soltanto in vita, ma più vispo e rubizzo che mai, portò molti a ritenere -piuttosto scioccamente- che in lui ci fosse qualcosa di anormale.
Chiaramente, i pochi che ebbero il coraggio di dare voce ai loro dubbi si espressero con eccessiva approssimazione. Dal canto suo, Silente enumerava con una sorta di infantile soddisfazione le teorie a riguardo, e spesso ci scherzava sopra. A quanto pareva -e cosa più divetente ancora, a sua insaputa-, era immortale. Un dio in terra. Una creatura angelica. Un messaggero.
Di cosa, poi, se lo chiedeva pure lui.
Probabilmente la comunità magica non era una fan delle antiche tradizioni, o avrebbe smesso molti anni prima di fornire schiaccianti prove a sostegno della tesi. Da ciò era fin troppo semplice dedurre che non meno di quattro generazioni di studenti avevano disertato -se non fisicamente, perlomeno cerebralmente- tra i cinque e i sette anni di Storia della Magia. Non che questo fosse sorprendente, in ogni caso.
Se soltanto avessero prestato un minimo di attenzione, comunque, avrebbero scoperto con facilità che Silente non era nè un dio in terra, nè una creatura angelica, nè un messaggero.
Silente era un Mago.
Uno di quei maghi con la emme maiuscola.
Ora, sarebbe possibile per chiunque puntualizzare che la differenza tra un mago e un Mago risiede nella grammatica. Sebbene la teoria sia ineccepibile, la pratica indica chiaramente che tra le due parole intercorre una differenza a stento quantificabile, e sicuramente non trascurabile.
L'origine le unisce, ed insieme le divide.
Entrambe indicano un individuo dotato di un potere che trascende la sua stessa comprensione, ma il possesso di tale potere -se mai si possa veramente affermare di "possedere" la magia- viene elargito in misura differente.
Le cronache dei giorni antichi riportano che il Potere nacque assieme agli uomini, ed Atlantide fu la loro iniziale dimora. Lì la magia crebbe, si sviluppò, nutrì coloro che si servivano di essa. Lì i Padri vissero per secoli, prima che l'Impero venisse sommerso dalle acque, e diedero origine ad una numerosa discendenza. Niente li distingueva da quelli che avevano scelto di rinunciare volontariamente alla magia, salvo la lunghezza delle loro vite. Vivevano infatti a lungo, per quasi tre vite d'uomo, e tale consuetudine sopravvisse finchè l'isola fu abbandonata ed i suoi abitanti costretti a mescolarsi con genti di altre razze.
Inevitabilmente i loro lunghi anni diminuirono, la loro forza venne meno. Eppure, nei secoli, alcuni di quelli che conservavano ancora puro nelle loro vene il sangue dei Padri vennero al mondo, e vissero per molto tempo, e furono grandi. Tra di essi vi erano Merlino, e la bella Morgana, ed una nutrita schiera di coloro che venivano volgarmente definiti stregoni da quelli che da generazioni, ormai, non possedevano della magia che uno sbiadito e lontano ricordo.
Tra i grandi, Silente era il più grande. Era semplicemente troppo potente. Non esisteva alcun essere vivente, di qualsiasi natura ed origine e forma, che potesse sperare di uscire vincente -o perlomeno vivo- da uno scontro diretto senza che lui lo volesse. Nessuno poteva colpirlo o ferirlo, a meno che lui stesso non decidesse che così doveva essere, per qualche strano ed imperscrutabile motivo.
Era questo che Minerva McGranitt ripeteva instancabilmente a chi le chiedeva come aveva potuto, il mago più potente del mondo, morire per mano di Severus Piton.
Morire.
Per settimane la vacuità di questo concetto l'aveva resa incapace di capire. Perchè intorno a lei tutti chinavano il capo ogni volta che si parlava di Albus? Lui non era morto. Era semplicemente là fuori, da qualche parte, trattenuto dai suoi consueti affari di importanza vitale. Un giorno come tanti altri l'avrebbe visto tornare, silenzioso come se n'era andato, carico di risposte, di nuovi enigmi, del suo dirompente e contagioso amore per tutto ciò che è buono ed onesto. Sarebbe tornato perchè l'aveva promesso, perchè c'era un estremo, disperato bisogno di lui.
Perchè lei aveva bisogno di lui.
E poi, quando i giorni erano diventati settimane e un mese era ormai passato senza che il familiare suono di passi lenti e cadenzati risalisse eccheggiando la scala che conduceva ai suoi alloggi, aveva compreso. Troppo tardi per essere al fianco di coloro che sin dall'inizio sapevano, troppo presto per impedire che il dolore le implodesse nel petto e la trapassasse da parte a parte con la stessa violenza di mille lame d'acciaio.


"Albus?"
Era in piedi accanto alla finestra, lo sguardo fisso all'orizzonte velato di brume oltre le cime della Foresta Proibita. L'inverno stava quasi per finire.
"Cosa hai intenzione di fare?"
Lui si voltò lentamente, guardandola a lungo al di sopra degli occhiali a mezzaluna con i suoi chiarissimi occhi azzurri.
Poi sorrise.
"Andrò, Minerva."



Se n'era andato davvero.
Ma, questa volta, per sempre.
Minerva McGranitt sfiorò appena il marmo bianco del monumento, una figura nera ed esile contro il candore abbagliante della tomba.
Una tomba che, per lei, non aveva mai avuto alcun significato.
Eppure, in quella giornata ventosa di inizio luglio, crollò in ginocchio innanzi ad essa e pianse.


  
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