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Autore: Ale_kiss_    19/12/2012    1 recensioni
-Che vuole da me …?- domandai tremante. Fece un passo avanti e si rivolse a tutti nonostante solo io la capissi.
-Lo tiene lui. È suo prigioniero da quasi sempre. Ha portato il suo corpo nella propria dimora dopo aver bruciato il vostro palazzo. Vuole parlarti Erika, si tratta proprio di questo!-
Genere: Drammatico, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Penso sia il momento giusto per andare-
- Selene?-
- Ce la farà-



Arrivammo alla fermata dei Taxi dopo il tramonto, mentre stavamo nascosti nel motel. Selene peggiorava, pareva sempre in fil di vita ma riusciva sempre a resistere, retta da noi che la facevamo bere e le cambiavamo le bende ogni qual volta ci sembrava opportuno. Soren mi aprì la portiera del taxi ed io ci entrai. Poi la richiuse. Abbassai il finestrino.
- Spero ci rivedremo presto …- dissi mentre lo guardavo negli occhi con le mani che tremavano. Stavo per partire per una missione più grande di me, ma dovevo farlo. Michael e Soren si dovevano occupare di Selene, non potevo permettermi il lusso di viaggiare anche assieme a qualcuno, la mia amica aveva bisogno d’aiuto!
- Non è un addio, Erika. Sta’ tranquilla, il prima possibile ti raggiungerò- provò a rassicurarmi. Scossi il capo.
- No, tornerò prima io. Riuscirò a compiere la mia missione-
- È grande il traguardo che ti sei prefissata … ed anche molto lontano- mi riprese, nonostante la sua voce tradisse la preoccupazione che provava. Sorrisi dolcemente ed abbassai lo sguardo.
- Soren … io … so che ci posso riuscire- gli risposi convinta alzando la testa verso di lui e giocando nervosamente con il vestito.
- Ne sono certo- mi disse. Gli accarezzai il viso.
- Sei il migliore amico che una ragazza possa avere ma …-
- Lo so, tranquilla. Me ne sono reso conto. Spero solo tu lo possa ritrovare, te lo auguro. Ma … se non fosse così …-
- Qualsiasi cosa accada, Soren, tu avrai sempre una parte del mio cuore, ti voglio bene-
- Anche io, Erika- mi baciò la fronte e si ritrasse. L’autista alzò il finestrino. Guardai per l’ultima volta Soren e poi appoggiai la mano sinistra al vetro. Lui la mise sulla mia, e nonostante ci fosse una lastra a separarci, potevamo sentire uno il calore dell’altro. Poi, il taxi partì. Sospirai profondamente guardandomi alle spalle. Lui era ancora fermo nello stesso punto che non distoglieva lo sguardo dal taxi. Poi rigirai la testa e decisi di guardare avanti. Presi lo zainetto che avevo preparato e me lo misi sulle ginocchia. Lo aprii. Ci avevo messo qualche bottiglia, il biglietto, il portafoglio, una T-shirt e un paio di jeans, quei jeans che mi destavano una strana sensazione. Li osservai per qualche istante. Poi, prendendoli, vidi cadere un foglietto sul fondo dello zaino. Lo presi incuriosita. Era ingiallito e spiegazzato in molti lati. Lo aprii. Improvvisamente il cuore mi balzò in gola e a stento non svenni.

13 febbraio  1704
Amore mio,
sta notte è stato bellissimo. Tu sei una dea per me, spero di non dover tenere nascosto ancora per molto il nostro amore. Da quando ti ho conosciuta è cambiato tutto e la prima volta che t’ho vista …


Alzai lo sguardo da quel biglietto, la mia mente, senza che io lo volessi, tornò indietro nel tempo, al 1701, tre giorni prima di Natale. Forse fu il mio inconscio ad ordinarglielo, sta di fatto che d’un tratto tutto divenne chiaro ed io capii la causa di tutta la mia sofferenza, capii da chi era stata causata, capii che tutto poteva non accadere, se io avessi solo per un attimo, posato i piedi per terra invece che pensare solo a me stessa e alla mia felicità. Sta di fatto che ritornai all’inizio, al principio di quella che sarebbe diventata la mia seconda vita, una vita che avevo completamente sbagliato.

23 dicembre 1701
Pulivo distrattamente un tavolo di legno sporco di vino. Quei maledetti ubriaconi facevano sgobbare me e mia sorella ogni sera come schiave. Lavoravo in quella locanda da ormai quindici anni, da quando mio padre aveva ucciso mia madre dinanzi ai miei occhi, e poi si era suicidato. Lui era un alcolizzato e avevamo dei grossi debiti con il padrone del pub. Zsuzsa lavorava lì già da un po’. Il padrone mi aveva assunta con un sospiro, poiché mia sorella l’aveva pregato di farmi svolgere il lavoro solo di cameriera, diversamente da lei. Avevo compiuto i ventisette anni da ormai due mesi ed ormai Finn non aveva più intenzione di tenermi lì se non avessi cambiato i miei standard. Avevo l’ultimatum di Natale. Ero spaventata ed ogni tanto piangevo asciugandomi le lacrime con gli stracci sporchi di alcool. Stava per iniziare il turno della notte. Non vedevo Zsuzsa da qualche ora, dopo che era andata a prendere una botte dal nostro fornitore. Dopo essermi guardata attorno per essere sicura che non ci fosse nessuno, mi concessi di mettermi a cavalcioni di una sedia. Appoggiai la testa allo schienale e la avvolsi con le braccia. Chiusi gli occhi e mi scese una lacrima. Non volevo che la mia prima volta fosse così, non era ciò che desideravo. Volevo solo farmi una vita, una famiglia. Senza rendermene conto scivolai nel sonno.
Improvvisamente un forte ceffone mi colpì il viso. Caddi dalla sedia e sbattei la testa sul pavimento. Lanciai un guaito.
- Non ti pago per dormire, sgualdrina!- mi appoggiai una mano alla guancia. Bruciava ed il solo appoggiare la mano mi provocava un dolore indescrivibile. Vidi la porta del locale aprirsi ed entrarono cinque uomini vestiti di scuro, dietro ad uno molto imponente, ma non riuscivo a vederli bene. Senza notarmi presero posto ad un tavolo. Finn si accucciò e mi guardò negli occhi digrignando i denti e corrugando la fronte.
- Che cosa stavi facendo, Erika?!- domandò tra i denti. Tremavo di paura, sapevo cos’era capace di fare. Mi appiattii contro il bancone e misi un braccio davanti al viso impaurita.
- Perdonami … non succederà più …-
- Ne sono sicuro!- alzò un braccio stringendo il pugno. Mi rannicchiai tra le mie braccia, terrorizzata e strinsi gli occhi. Aspettavo da un momento all’altro sentire il suo pugno sferrarsi sul mio viso ma non successe nulla. Riaprii lentamente un occhio.
- Ehi, buono vecchio- disse una voce. Era così calda, e nonostante avesse usato quella parola come offesa, il suo tono pareva comunque pacato e cortese. Può sembrare assurdo ma così la sentivo. Riaprii anche l’altro. Vidi l’uomo che prima stava a capo del gruppo che era entrato, tenere per il polso il braccio di Finn. Si mise una mano in tasca e ne estrasse un piccolo sacchetto che pareva contenesse monete.
- Questi bastano perché tu la possa perdonare?- gli occhi di Finn si illuminarono. Pareva fosse la prima volta che vedesse del danaro, e nonostante non fosse la prima volta, era la prima che ne vedeva così tanto in un sol colpo. Ma poi si ricompose. Fece sì che l’uomo lasciasse la presa e si massaggiò il polso.
- Questa femmina non rispetta i miei ordini! E quei pochi compiti che ha, li svolge male o svogliatamente! Se non vuole che la cacci deve rispettare l’ultimatum!- borbottò ad alta voce puntandomi il dito contro.
- Che ultimatum? Si tratta di soldi?- chiese il ragazzo. Aveva i capelli di nero corvino, leggermente ricci, lunghi sino alle spalle, limpidi. I suoi occhi erano grigi con varie screziature d’indaco. Era l’uomo più bello che io avessi mai visto. Il suo viso aveva una strana luce, quasi … irreale. Pareva un dio greco.
- No!- rispose sgarbatamente il mio padrone. L’uomo mi guardò e nei miei occhi intuì di cosa veramente trattava quell’ultimatum.
- Accetta i soldi, vecchio! A lei ci penso io. Andiamo- mi porse una mano. Non volevo accettarla, ma mi sentii obbligata, come se qualcosa mi spingesse a toccarlo. Ero eccitata all’idea di poter sentire l’entità della sua pelle. Così, tremante, misi la mia nella sua. La sentii liscia, morbida e per un attimo mi parve pure di sentirne l’essenza. La sua presa era ferrea e possente e mi alzò quasi con violenza. Mi sentii tradita da quel gesto.
- Quanto vale lei?-
- Bah, non più di quindici ghinee- rispose alzando le spalle. Rimasi a bocc aperta, ero una persona! Non un oggetto! Quindici ghinee … ma scherziamo!
- Bene!- gli lanciò un altro sacchetto e poi mi guardò. Quello sguardo mi fece tornare alla realtà e una lacrima mi rigò il viso.  No! Mancavano ancora tre giorni! Era troppo presto per me! Strinsi i pugni e trattenni le lacrime che già mi inumidivano gli occhi. Nello stesso momento vidi entrare mia sorella dalla porta del locale. Girai il viso verso di lei con gli occhi arrossati. Scossi leggermente il capo spaventata e spaesata.
- ERIKA!- gridò con voce straziata. Lasciò la botte di vino ed inizio a correre verso di me. Aveva capito cosa stava succedendo.
- Ferma! FERMA! Se non è oggi è domani!- esclamò il padrone bloccandole le braccia e impedendole di venire da me.
- No! Sorellina ti prego! Rifiuta! Questa non è la tua strada! Ribellati! Fa qualcosa! Scappa!- mi gridò sgraziatamente sino a che il sangue non le affluì alla faccia ed i suoi occhi iniziarono a lacrimare.
- Andiamo, ho perso già abbastanza tempo- mi disse l’uomo. Sospirai profondamente, non c’era altra strada …
- Seguitemi …- gli sussurrai a testa bassa e tenendomi il vestito leggermente alzato per non calpestarlo, salii le scale ed arrivai ad una stanza. Lui entrò a sua volta ed io chiusi la porta a chiave. L’uomo si distese sul letto ed estrasse dalla tasca una sigaretta ed un pacchetto di fiammiferi. Ne accese uno e poi anche la sigaretta che già teneva in bocca. Lo guardai per qualche attimo, poi mi tolsi il grembiule e lo lasciai cadere a terra. Mi levai anche le scarpe col tacco. Diedi le spalle all’uomo e cominciai a slacciare l’abito singhiozzando.
- Scusa … che cosa stai facendo?- mi domandò fingendosi stupito. Sospirai e mi asciugai una lacrima.
- Quello per cui sono qui …- dissi con la voce smorzata. Lo sentii alzare dal letto e strinsi gli occhi. Mi venne dietro e cominciò a riallacciarmi il vestito.
- Non voglio farti assolutamente nulla, non volevo vederti picchiata da quel rozzo barista- mi girai verso di lui.
- Nessuno ha mai portato rispetto per me, signore-
- Chiamami Kraven, Kraven da Leicester, milady- mi baciò una mano e trattenne le labbra sul dorso per altri secondi.
- Io sono Erika, sign … Kraven …-
- Il tuo nome ha un significato magnifico, e non sarò certo io ad infangarlo- gli sorrisi dolcemente.
- Cosa significa?- domandai con uno sguardo sognante.
- Ricca d’onore-
- Non penso mi rispecchi …- abbassai la testa. Lui mi prese il mento dolcemente con pollice ed indice, mi fissò negli occhi e mi sussurrò
- Io penso di sì-

24 dicembre 1701
Erano ore che lo aspettavo. Guardavo l’ora in continuazione, erano le undici e un quarto. Dov’era? Mi aveva promesso che sarebbe venuto … la sera prima non era venuto ma in compenso era arrivato la mattina presto, però aveva avuto solo il tempo di salutarmi. Mi aveva svegliata poco prima dell’alba e poi era dovuto scappare. Diceva che era tardi e che non aveva tempo ma aveva mantenuto la parola ed era passato. Due sere prima eravamo stati assieme per ore ed ore a parlare delle nostre vite. Aveva voluto che gli raccontassi la mia più di tre volte. Non voleva parlare di lui, aveva detto solo di essere un nobile di una grande casata, e che mentre il suo padrone era presente e lui non aveva compiti da svolgere, poteva girare il mondo, ed era capitato per caso in quel pub. Pulivo nervosamente il pavimento prima dell’arrivo della baraonda di gente per Natale. Kraven aveva detto che quella notte mi avrebbe fatto un regalo. Io … mi ero innamorata di lui, e non mi importava di nulla di materiale se non del suo amore. Sapevo che non poteva ricambiare: io ero solo una serva e lui un nobile … non avrebbe mai potuto esserci nulla. Le undici e cinquanta, non sarebbe venuto … mi ero solo illusa! Dalla rabbia battei un pugno sul tavolo. Improvvisamente vidi entrare Kraven e Finn. Il mio padrone era tutto orgoglioso. Strinse la mano a Kraven e si diresse verso il bancone. I miei occhi si illuminarono e sul mio viso nacque il sorriso più grande che avessi mai fatto.
- Vai da lui, sta sera niente lavoro per te- mi disse. Io girai la testa e lo guardai con le sopracciglia alzate.
- Quanto t’ha pagato?- gi domandai con voce atona.  Lui fece uscire una risata sguaiata facendomi capire che ci avevo azzeccato e poi si mise a pulire un calice senza smettere di ridere. Mi tolsi il grembiule e lo ripiegai sopra il bancone di Finn.
- Buona serata capo- gli dissi tutta orgogliosa ed andai da Kraven. Lui era appoggiato con una spalla alla porta del locale e mi aspettava con un sorriso.
- Ciao …- gli sussurrai arrossendo. Lui mi aprì la porta e mi tese una mano facendo un inchino.
- Buona sera milady, posso essere il suo cavaliere per questa sera?- domandò con un tono quasi ridicolo. Io risi e misi la mia mano sulla sua.
- Oh, ne sarei onorata, milord- si rialzò da quella strana postura che aveva assunto e mi strinse un braccio attorno ai fianchi. Io trasalii e rimasi rigida, non si era mai lasciato andare a tanto. Lui lo notò e mi diede un bacio sulla guancia.
- Ehi, stai tranquilla- mi sussurrò piano all’orecchio. Io annuii ed appoggiai la mia mano su quella che lui teneva sul mio fianco.
- È solo … strano per me …- sorrise e mi portò fuori. C’era la neve alta. Non la vedevo da quasi tre anni, era bellissima. Non nevicava più ma faceva molto freddo. Istintivamente mi strinsi a Kraven ma non appena mi resi conto del gesto che avevo compiuto, mi staccai. Lui però più rapido mi mise una mano sulla spalla e mi tenne dov’ero. Alzai lo sguardo ed incrociai i suoi occhi. Erano così dolci, passionali. Quelle screziature d’indaco erano così irreali, tutto di lui era irreale.
***
- Grazie … per ciò che hai fatto …- gli dissi mentre passeggiavamo tra le stradine ricoperte di neve. Lui sorrise beffardamente.
- Cosa?- finse di non capire. Nello stesso momento sentii la sua mano fredda entrare dall’apertura sul collo nel mio vestito ed iniziare ad accarezzarmi la schiena. Non mi sentii per niente in imbarazzo, anzi, fu piacevole e mi strinsi a lui.
- Eddai, lo sai cosa Kraven … grazie- gli sussurrai con voce angelica, ammaliata da lui e da tutto ciò che lo circondava, come se la sua aurea rendesse piacevole ogni cosa.
- Che ore sono?- domandò guardandosi attorno in cerca di un campanile che segnasse l’ora.
- Penso quasi mezzano …- ad interrompere le mie parole fu il suono delle campane della chiesa.
- Buon Natale Erika- mi disse fermandosi e accarezzandomi il viso. Appoggiai la mia mano sulla sua e gliela feci tenere sul mio viso.
- Buona Natale Kra …- mi baciò. Sentii le sue labbra sulle mie. Poi lui iniziò a mordermele ed io feci lo stesso con le sue, strinsi le mie braccia attorno alle sue spalle e lui le sue sui miei fianchi. La sua lingua trovò la mia e s’intrecciarono sino a formare un’unica cosa. Senza smettere di baciarmi mi portò dietro il pub e mi fece sedere sopra degli scatoloni di legno che andavano a formare una pila abbastanza alta. Mi circondò il corpo con le sue braccia possenti mentre io gli avvinghiavo i fianchi con le gambe e cercavo di tenere la gonna alta perché non andasse a dividere il mio ventre dal suo. Prima di fondermi completamente a lui sentii le sue mani che salivano per la mia schiena nuda.
***
- Sai che ti ho promesso un regalo?- mi guardò con un sorriso sghembo. Annuii timidamente, non facendogli capire che ero un po’ ansiosa anche per quello come se fossi una bambina. Mi stavo riordinando le ciocche di capelli in una coda e finivo di riallacciarmi il vestito. Fino a cinque minuti prima pareva che il mondo fosse stato solo un Paradiso dove nessuno era infelice, ed io, men che meno. Lui era entrato in me come un angelo ed io lo avevo accolto a braccia aperte. Non avevo avuto paura, non ero stata esitante, non avevo provato dolore … era lui l’uomo della mia vita.
- Ho pagato il debito della tua famiglia, non devi più lavorare lì, e nemmeno tua sorella! Siete libere- smisi immediatamente di fare tutto ciò che stavo facendo e lo fissai negli occhi.
- Stai scherzando?-
- No Erika, puoi finalmente avere una vita-
- Ti rendi conto di quanto alto era il debito?- lo guardai rimproverandolo – sei un pazzo! Non puoi aver pagato tutto quel denaro! Sarai in bancarotta adesso!- rise di gusto e mi accarezzò il viso.
- No amore mio, no! Per niente! Anzi! Io voglio solo che tu sia felice-
- La mia felicità sei tu …- gli sussurrai con gli occhi lucidi – non voglio che tu faccia sacrifici per me, a me basta starti accanto per sempre-
- I sacrifici per te non esistono, esistono solo i piaceri- mi gettai tra le sue braccia e lo strinsi forte a me.
- Grazie, grazie, grazie- mi baciò la testa mentre io piangevo di felicità sul suo petto e la neve scendeva dal cielo.
- Voglio che tu venga con me in Ungheria, Erika, voglio che tu diventi una della mia casata, mia moglie-

14 gennaio 1702
Soren, uno del gruppo di Kraven, comandava i cavalli sulla carrozza. Io dormivo dolcemente tra le braccia di Kraven, mentre mia sorella stava seduta dalla parte opposta. Non appena arrivammo mi spaventai di fronte all’imponenza di quel palazzo oscuro nel quale avrei vissuto. Era inquietante e mi spaventava. Soren e un altro uomo presero le nostre valige ed entrarono nel palazzo. Kraven scese e mi tese la mano per aiutarmi. Non appena all’entrata lo aspettai esitante. Ammetto che avevo un po’ di paura. Quando entrai tutti mi fissavano come se volessero mangiare me e mia sorella. Kraven mi condusse alla sua camera, dove sarei stata. Era completamente viola e nera, con un grande quadro sopra un caminetto, una grande vetrata dietro ad una scrivania. C’era un divano, un tavolino lì in parte, due poltrone, un tavolo in un angolo con quattro sedie e molte lampade attaccate alle pareti, a forma di fiamma di vetro. Lì ci trovai anche una ragazza mora, alta e magra, in una tuta di latex nera. Frugava tra i fogli della scrivania di Kraven con aria furiosa.
- Selene! Che cosa cerchi?- domandò sbuffando Kraven, entrando nella camera e buttando la sua giacca sul divano. Non vedevo letti, probabilmente dormiva proprio su quel sofà.
- Che cosa t’importa?- borbottò lei.
- Beh, sai, fino a prova contraria, è camera mia!- si distese sul divano e mi fece segno di stendermi su di lui. Io mi levai il cappellino ed i guanti e li misi su un attaccapanni di legno d’acero. Poi mi stesi su di lui che iniziò ad accarezzarmi la testa e la schiena.
- Sto cercando quella dannata relazione di Nathaniel riguardo i Lyca …- si girò proprio in quel momento.
- Chi è questa?- sbottò quasi scocciata incrociando le braccia al petto.
- Erika- rispose dandomi un bacio sui capelli.
- Le sai le regole Kraven, non è una di noi! Deve prima diventarlo per entrare dentro la casa di Viktor-
- Taci Selene! Questi non sono affari tuoi-
- No appunto, lo sono di tutti!- e così detto, prese un blocco di fogli ed uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle. Io lo guardai quasi sentendomi colpevole ma lui mi guardò togliendo ogni mio pensiero e mi baciò.
- Lasciala perdere, sono io che decido la mia vita, lei non è nessuno-
***
La notte mi svegliai nel silenzio e nel buio del palazzo. Kraven non c’era. Mi alzai lentamente, senza fare rumore, ed iniziai a cercare le mie valige, poiché essendo buio, non avrei mai trovato la mia camicia da notte nera ma per ironia della sorte ci inciampai sopra così risolsi il problema. La infilai velocemente e mi diressi verso la porta. Provai ad aprirla ma era chiusa a chiave. Perché mai Kraven avrebbe dovuto chiudermi dentro? Istintivamente provai a muovere più forte la maniglia e a tirarla ma ovviamente non la smossi di un millimetro. Le diedi un altro tiro e mi ritrovai addosso al muro. Ce l’avevo fatta!
- La smetti di fare tutto questo baccano?- irruppe una voce monotona che avevo già sentito. Riaprii gli occhi che avevo chiuso all’impatto. Vidi Selene sull’uscio con una chiave in mano. No, non ero stata io ad aprirla.
- Come … come fai ad avere la chiave di …?-
- Kraven? Beh … ci conosciamo da secoli, e lui si fida di me, diversamente da come io lo vedo- alzò gli occhi al cielo ed incrociò le braccia al petto dopo aver inserito la chiave nella serratura.
- Non ti piace?- le domandai tirando su una manica dalla spalla, che continuava a scendere. Kraven prima ne aveva rotto qualche filo per sfilarmela.
- Non lo tollero nemmeno, se ti interessa, quindi tienitelo pure. Tornando a prima, perché cercavi di uscire? Non è sicuro per te vagare per i corridoi di Ordoghaz senza di lui-
- Perché?-
- Ah, non te l’ha detto?- mi guardò sgranando gli occhi, ma non troppo sorpresa. Scossi il capo.
- Beh, buon per te, se lui lo ritiene prudente …- rise forzatamente. Poi mi fece segno di seguirla.
- Ti porto da lui- iniziammo a camminare per dei lunghissimi corridoi ricoperti di tappeti color porpora. Scendemmo una scala d’argento ed arrivammo al salone, la prima stanza che avevo visto. C’erano tavoli rotondi d’argento e divanetti di taffetà fucsia scuro, quasi sporco. Facemmo il giro della scala e scendemmo altre scale, sino a dei corridoi con piastrelle di marmo azzurre e grigie sul pavimento. Faceva freddo e mi strinsi tra le braccia. Camminammo per svariati minuti. Poi arrivammo ad una porta. Selene l’aprì e mi fece entrare.
- Questo è il corridoio d’accesso all’Elder. Kraven sta parlando con Viktor, il nostro padrone. Aspettalo qui- e mi indicò una panca di marmo. Annuii un po’ inquietata da tutto quello che mi circondava. Lei se ne andò e la porta si chiuse con un tonfo. Il corridoio era lungo poco più di cinque metri e c’era un enorme portone a metà corridoio. Mi sedetti sulla panca di marmo ed iniziai ad aspettare. Sentii Kraven parlare.
- Non è una minaccia, mio signore, ti prego, non sa ancora nulla di noi, la informerò io stesso non appena sarà sveglia-
- Porti gli umani nella nostra casata per turbarne il naturale equilibrio? Che cosa ti salta in mente! Sei un incosciente!- la voce di quello che doveva essere Viktor era baritonale e severa. Gridava ed era infuriato. Io non capivo, che segreti c’erano? Perché mi chiamava “umana”?
- Provvederò … al più presto … mio signore- balbettò Kraven.
- Bada a te, Kraven, se non la tramuterai al più presto, lo farò io, se non l’avranno già sbranata prima o l’avrò uccisa da me stesso- rabbrividii e non solo per quelle parole. Viktor, senza averlo visto, già m’incuteva timore. Sentii Kraven balbettare qualcos’altro e poi uscire. Aprì le porte. Mi alzai rapidamente dalla panchina e ci fissammo negli occhi. Lui pareva preoccupato. Mi appoggiò una mano sul collo, proprio sulla giugulare che pulsava terribilmente. Avevo tutto il sangue che affluiva alla testa e mille immagini mi balenavano in mente. Sospirò.
- Hai sentito tutto?- mi domandò con un filo di voce. Annuii.
- Forse mi devi delle spiegazioni-

16 gennaio 1702
- Ti piacerebbe restare con me per sempre?- mi chiese quella notte dopo aver fatto l’amore. Io in realtà avevo le idee già abbastanza chiare, sapevo che volevo diventare come lui. Certo, avevo paura, ma non mi importava. Se era l’unica strada per non separarci mai, va bene! Avevo fatto la mia scelta. Mi accarezzava la spalla destra andando su e giù per il braccio con le punte delle dita e facendomi provare piccoli brividi.
- Io voglio restare con te per sempre, Kraven- gli dissi dando un tono di voce più deciso alla seconda parola.
- Hai paura?-
- Tu ne avevi?-
- Non ricordo … ero in punto di morte quando mi trasformò Viktor. Era il 1303. Stavo combattendo una guerra che non ricordo nemmeno qual era, ero in fil di vita quando Viktor passò e mi morse-
- Devo averne?-
- No, tranquilla, non voglio farti male, dura solo pochi attimi, tu pensa sempre che dopo quel morso staremo assieme per tutta la vita-
- Me lo giuri?- gli chiesi voltandomi verso di lui. Annuì. Sospirai profondamente e mi scostai i capelli dal collo.
- Allora vai, forza-
- Ora Erika? Sei sicura?- mi accarezzò la giugulare. Io annuii mordendomi il labbro inferiore. Lo vidi schiudere la bocca. I suoi canini si allungarono e gli occhi grigi divennero di un azzurro pallido. Fuori vibrò un tuono e nello stesso attimo affondò i suoi denti nel mio collo. Provai inizialmente un forte dolore, poi solo passione, una passione forte che si espandeva per tutto il corpo, mi stavo fondendo con lui.

13 febbraio 1704
Ero seduta sulla staccionata di un gazebo dietro Ordoghaz mente Kraven giocava sulla mia schiena nuda con le sue mani. Eravamo scappati da una noiosa riunione tenuta da Viktor riguardante i Lycan. Mentre salivamo le scale fuori dall’Elder Kraven, mi teneva la mano correndo ed io ridevo divertita dalla sua imitazione di Viktor. Eravamo corsi dietro il palazzo, nel nostro posto segreto. Eravamo inciampati sull’erba bagnata poiché pioveva e mi si era strappato l’abito così avevamo cominciato a rotolare nudi sotto il temporale fino a riempirci di fango ma non ci importava. Noi volevamo solo stare uno nel corpo dell’altro. Cosa ci poteva importare che fossimo sporchi, sotto le intemperie, e che potessimo ricevere una strigliata da Viktor? Noi ci amavamo! Se eravamo assieme, anche solo con il pensiero, avremmo superato tutto! Non dormivo più con lui. Viktor mi aveva dato una stanza solo mia. Era bella, ospitante, comoda e con un enorme armadio ma non era la stanza di Kraven ed era fredda senza di lui. Mi mancava la notte non sentire più le sue mani accarezzarmi la pancia e le sue labbra sul mio collo. Oppure quando ci addormentavamo io seduta e lui con la testa sulle mie gambe mentre lo massaggiavo. Tutto ciò mi mancava. Viktor non sapeva nulla del nostro amore e probabilmente l’avrebbe proibito. Lui era un nobile ed io del livello più basso, essendo una tra le ultime arrivate. Presto o tardi, mi prometteva Kraven, lo avrebbe annunciato a tutti e mi avrebbe sposata. E se Viktor avesse rifiutato saremmo scappati, soli, io e lui, amanti maledetti, nella notte e contro la notte. Cosa potevamo volere di più?
- È meglio tornare, si sta facendo tardi- mi disse ad un certo punto riprendendo i suoi vestiti.
- Ed io come torno?- borbottai. Guardò il cielo.
- Ormai è l’alba amore mio, saranno tutti a letto. Vedrai che non ti vedrà nessuno-sbuffai. L’idea non mi piaceva ma accettai comunque, di lui mi fidavo. Entrò per primo nel palazzo e si guardò attorno.
- Vieni amore, non c’è nessuno- mi sussurrò. Io entrai. Corremmo su per le scale ed arrivammo alla sua camera. Avremmo fatto la doccia assieme. Sognavo già lui che mi cullava tra le sue braccia quando …
- CHE CI FAI IN CAMERA MIA?!- gridò Kraven dopo aver lanciato un’imprecazione. Selene frugava tra i suoi cassetti quando alzò lo sguardo. Kraven si parò davanti a me. Lei non mosse ciglio.
- Ti dispiacerebbe dirmi dove si trova quella maledetta pistola che t’ho dato l’altra notte?- borbottò. Lui sbuffò.
- È nel terzo cassetto, sotto la relazione che hai rimesso ieri- lei frugò per qualche attimo e poi la prese. Se ne andò.
- Ma è sempre stata così?- gli domandai. Lui annuì e mi baciò.
- Meglio che fai la doccia in camera tua-
- Sì, assolutamente. Buona notte-
***
Uscii dalla vasca ed indossai la camicia da notte. Uscii dal bagno ed andai verso il letto. Notai sotto la porta della camera una busta. Le presi, la osservai qualche attimo e poi l’appoggiai sulla scrivania. L’avrei letta l’indomani. Ero troppo stanca.















   
 
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