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Autore: EleonoraRosi    20/12/2012    0 recensioni
La notte è buia, ma cosa importa? I suoi occhi come fari, illuminano di speranza questa fredda sera di inverno.
Ho paura...Paura di scoprire quella verità che mi spaventa tanto.
Fremo dalla voglia di dirgli quello che penso,sempre che io possa pensare,cosa di cui non sono sicura,chi pensa ragiona, e se io ragionassi ora non sarei qui con lui.
Sento la sua mano che sfiora dolcemente il mio collo,ho un fremito.Il fatto di essere in qualche modo emozionata è l'unica certezza che ho un questo momento.
Qualcosa..Un qualche sentimento strano sta crescendo dentro di me,non so se sia paura,o peggio,quella strana emozione, che tutti chiamano amore...
Non so bene cosa sia,Ma so con certezza che questa "cosa" si sta espandendo,partendo da quel punto, sul mio collo da lui sfiorato...
Facendosi spazio, e finendo per occupare ogni parte del mio corpo...Ogni parte del mio cuore.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Allora prima di tutto vorrei cominciare col ringraziare ancora le persone che leggono questa storia, ed ancor di più le persone che la recensiscono, grazie mi aiutate molto a migliorare. Spero che continuerete ad aiutarmi ed ad apprezzare il mio impegno. Un bacione grande grande, la vostra Ela, buona lettura.

Lo guardai.
Non spesso, non molto, ma comunque lo guardai. Lui continuava a fissare il panorama fuori dalla finestra così mi promisi di chiedergli cosa ci fosse di tanto interessante dal suo punto di vista li fuori. A me quel panorama metteva tristezza, lo paragonavo a quello che vedevo a casa dei miei nonni e pensavo a quanto fosse monotona la città, per lui non doveva essere lo stesso. Casermoni su casermoni, di quei colori pastello scoloriti dalle intemperie, non dovevano metter troppa gioia.
Mentre lo osservavo notai che mi guardava dal riflesso del vetro della finestra, e abbassai lo sguardo, risi fra me e me e dopo poco tornai ad osservarlo. Contavo i suoi difetti fisici, non è una bella cosa a dirsi, ma i suoi difetti fisici erano molti a pensarci, era quasi brutto, e mentre riflettevo su questa cosa mi resi conto che probabilmente visto che lui veniva considerato anche un minimo ed a me no, e visto che la bellezza era una delle cose più importanti, io dovevo essere ancora più brutta di lui.
Alla fine delle sei ore, ancora lo scroscio continuo della pioggia invadeva l'ambiente, così io ed Angelo decidemmo di restare fino alle quattro in Biblioteca.  Mi disse di andare a pranzare in un bar, ma io gli feci presente che io non pranzavo mai, mangiavo solo un panino nel bar fuori la biblioteca, i pasti a scuola infatti mi erano offerti dalla borsa di studio.
Così dopo aver mangiato ci recammo in Biblioteca, sul divanetto dove ci eravamo parlati.
"Allora Federica, ti va se facciamo un gioco? Domanda e risposta, una volta per uno" nei suoi occhi c'era uno sguardo di pura sfida, e il suo sorriso era sghembo.
"Perché guardi sempre fuori dalla finestra?" Risposi serena. Non se l'aspettava, l'avevo stupito ed avevo preso in mano la situazione cogliendo al volo la sfida, abbassai lo sguardo e sorrisi, compiacendomi di me stessa.
"Guardo come si comporta la gente che passa, come si veste, e dove va, cerco di immaginarmi le loro mete, alcuni è chiaro che vanno al lavoro, con quel passo svelto si capisce, altri posso immaginarmeli" aveva risposto con molta calma, ma con molta più fretta aggiunse "E tu perché ogni volta che sorridi lo fai abbassando lo sguardo?"
Se avevo mai avuto il controllo della situazione lo persi in quel momento, non mi ero accorta neanche io di quell'atteggiamento, era una cosa involontaria:"Non lo so" farfugliai e stava per controbattere così aggiunsi:"non lo faccio apposta, è una cosa impulsiva, forse non amo il mio sorriso o cose del genere, del tipo traumi infantili nascosti nell'inconscio?" la buttai sull'ridere, e ci riuscii perché Angelo sorrise.
Avrei voluto chiedergli tante cose, personali, ma non ne avevo il coraggio così chiesi:"Il tuo colore preferito?" ci fissavamo negli occhi mentre parlavamo, ma non era imbarazzante ci stavamo solo divertendo.
"In questo momento il marrone, tendente al verde". Colore strano pensai, mi piacevano le cose strane.
"E tu mi guardi spesso in classe?" Il ragazzo al contrario di me non si faceva problemi a chiedermi cose intime, e decisi che io non mi sarei fatta prolemi nel rispondere.
"Non spesso, guardavo sempre li, così per abitudine da sempre, ed adesso ci sei tu, quindi sei in mezzo alla traettoria. Come hai fatto a notarlo?" l'avevo scampata, con una bugia poco convincente.
"Notarlo non è stato un problema, ho guardato per un attimo il vetro e ti ho vista, ma pensavo fosse un caso, poi mi hai chiesto perché guardavo sempre fuori, e questo voleva dire che tu stavi sempre a guardare me che guardo fuori. Elementare Whatson" sorrise di gusto, e quanto mi piaceva quando sorrideva così. Sorrise perché aveva in mano la situazione e lo sapeva. Ed io sorrisi insieme a lui perché gli volevo già bene.
Si parlò anche del più e del meno, in modo meno impacciato, scoprii tante cose di lui, ad esempio che amava le felpe, ma non le magliette, quelle poche che si metteva erano larghe, infatti era convinto d'esser eccessivamente magro, ed a dirla tutta aveva ragione.
Mi raccontò dei suoi vecchi amici, e di quello che faceva con loro, scoprii che amava giocare a calcio e nuotare, il suo libro preferito era "Il signore degli anelli" e il suo film preferito il "Titanic", scoprii che aveva avuto due ragazze e che era stato lasciato da entrambe per un altro ragazzo, e che per questo soffriva di complessi d'inferiorità.
Io da parte mia confessai d'essere una ragazza chiusa, che odia la città in cui vive, che ama leggere, e che come libro preferito ha la saga di Twilight, confessai che "Titanic" era anche il mio film preferito, e rivelai una certa passione non curata per la scrittura, dissi che non praticavo alcuno sport, senza spiegare il perché, ma aggiungendo che probabilmente era per quello che ero parecchio in carne.
Accennò un:"Non sei grassa" che sfumò con una mia occhiataccia.
Dopodiché ci avviammo fuori l'edificio.
La sua mini-car aveva l'aria condizionata, che servì molto alle mie mani ghiacciate, fu gentile ad accenderla per me, gliene fui grata. Così mentre andavamo a comprare i mobili pensai a quanto fosse generoso quel ragazzo.
Parcheggiò lontano dal negozio, la città era un vero e proprio ingorgo di macchine e il parcheggio più vicino era comunque molto lontano. Rimpiansi ancora una volta la campagna.
Prima che potessi aprire la portiera della macchina, l'aveva aperta lui, che gentiluomo. Poi vidi che il suo posto era dal lato della strada, così capii che mi aveva fatto quella gentilezza solo perché sarebbe in ogni caso dovuto spostarsi dal mio lato. Ne fui felice ugualmente e quando  mi resi conto di quanto maligna fosse stata la mia osservazione nei riguardi di un gesto così ben accetto, e mi riperei a mente "Carpe diem".
Che per me non era solo un "cogli l'attimo" ma un "goditi l'attimo".
Si, si, io dovevo proprio cominciare a Carpe diem. Ed alla svelta anche.
  
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