First chapter
There Goes The
Neighborhood
25
Ottobre 2011
Questa
notte ho sognato il mio passato. Da tempo immemore non rimuginavo sui miei
giorni da umano, o sui primi dopo la transizione. Io e Damon, vicino al lago
fuori dai confini cittadini, a pochi passi dalla cava, dov’era situata la
piccola abitazione di Geoffrey ed Emily Bennett. Seduti sull’erba fresca di
rugiada prima di nutrirci per divenire effettivamente vampiri. Dannati. Damon
era deciso. Senza Katherine la sua vita era nulla. Nonostante lei ci avesse
ingannati. Nonostante avesse giaciuto con entrambi nella stessa notte.
Nonostante avesse utilizzato il nostro amore per frapporsi tra di noi,
deteriorando il nostro saldo rapporto. Nonostante fossimo morti a causa sua e
dei suoi piani. Ma allora non sapevamo nulla e Damon l’amava di un amore puro e
senza confini. L’esistenza di Damon era inutile senza quella di Katherine come
la mia era altrettanto superflua senza la presenza di mio fratello. Damon era
deciso e lo ero anch’io. Sebbene poi tutto fu mutato dalla mia folle scelta di
redimermi agli occhi dell’unico genitore che avevo mai conosciuto e che mi
aveva sempre trattato come il migliore figlio al mondo. Tutta falsità. Mio
padre, anche se ritengo non mi odiasse, non certo desiderava il mio bene. Mi
ero recato da lui anche per parlargli di lei, della dolce Marion. Mi parlò di
lei quel giorno, della sua piccola, della nostra piccola, perché avrei sperato
anch’io di avere la stessa gioia di mio fratello. Di diventare padre. E padre
di un angelo come lo era e lo è ancora Marion. Lo stesso nome di nostra madre.
La ragazza che era la madre della mia unica nipote, Kirsten Smith, aveva
acconsentito al più alto desiderio di mio fratello e, prima di morire per le
agonie del parto, aveva domandato alle consorelle di chiamare quel dolce e
minuscolo dono del cielo come la donna che Damon aveva amato di più durante la
vita. Mi raccontò di averla osservata da quando aveva saputo di lei, la sera
stessa del congedo, quando Frank Manson gli aveva raccontato di Kirsten e della
sua triste sorte. Vedevo il sorriso che gli illuminava il volto stanco e gli
occhi più azzurri del cielo, ereditati da nostro padre. Lo vedevo e non facevo
che chiedermi perché si stesse uccidendo quando avrebbe potuto prendersi cura
di Marion. Davvero l’amore per Katherine era così forte da ottenebrare quello
per sua figlia? Nella mia stoltezza di ragazzo non pensai assolutamente che,
comunque, Damon non avrebbe potuto badare a lei. Perché i vampiri, si sa, non
sono i genitori più adatti per un bambino. Che vita avrebbe avuto la piccola
Marion con un padre vampiro? Non soddisfacente e serena quanto quella avuta in
un convento di gentili e care sorelle.
Stefan Salvatore posò la stilografica sulla pagina ancora
aperta e fresca d’inchiostro nero del suo diario. Aveva sentito un rumore. La
porta di ingresso si era aperta, senza che nessuno avesse suonato o bussato, -
l’avrebbe sentito altrimenti. Con i sensi all’erta, si issò in piedi, scostando
senza produrre alcun rumore la sedia imbottita su cui era accomodato, e
avvicinandosi alla porta della sua camera all’ultimo piano della pensione.
« Chi è?» domandò cauto, scendendo le scale velocemente, ma
non tanto da attirare l’attenzione di un probabile visitatore, - sebbene
fossero pochi gli umani che si sarebbero recati in quella casa con facilità.
Nell’improbabile eventualità, comunque, si limitò. Dopo due anni di pace con
gli abitanti di Mystic Falls, o almeno di non scoperta, non voleva che qualcuno
gridasse al vampiro per le strade del borgo. Sulla soglia scorse tre figure che
non incarnavano assolutamente il suo ideale di cittadino medio. Tre angeli
dannati. I fratelli originali. Il più anziano era elegantemente vestito con
giacca e pantaloni scuri e una camicia candida. Il più giovane di qualche anno,
invece, era più moderno, all’apparenza più trasandato, ma Stefan sapeva che non
era affatto trascuratezza, bensì una scelta consapevole di un uomo che davvero
era consapevole di quanto l’abito non facesse il monaco. Per esprimersi con i
termini del suo caro padre amante della sua bella Italia. In mezzo a loro vi
era la donna che aveva amato di più, dopo Elena e prima di scoprire che
Katherine fosse una vampira. La splendida donna vichinga, fiera, altera ed
estremamente sensuale, che, a distanza di novant’anni, non aveva perso neanche
una minima parte dello charme che la contraddistingueva, « Klaus, Rebekah,
Elijah,» li salutò disincantato, incrociando le braccia al petto e scendendo
gli ultimi scalini, ritrovandosi nell’ingresso di casa sua. Non sapeva perché
li aveva ordinati in quel modo. Come se Klaus fosse il primo nella sua mente.
Accantonò quel pensiero, dicendosi che lo riteneva il più forte e pericoloso
tra di loro,« Cosa ci fate qui?» domandò incuriosito da quello strano trio.
« Io sono venuta a prendere i miei abiti,» rispose Rebekah
con brio, avanzando verso di lui con la sua andatura che tanto l’aveva
incantato negli anni Venti per quella sfrontatezza e quella forza che emanava,
e lasciando che Klaus richiudesse la porta d’ingresso alle loro spalle. Klaus
che sembrava assolutamente contrario all’essere lì, riflesse in un attimo.
Klaus che era troppo pensieroso, troppo turbato. E se Klaus, l’ibrido invincibile
e il più forte essere mai apparso sulla faccia della Terra, era inquieto,
doveva essere per un problema abbastanza insormontabile, - per fare del
sarcasmo. Stefan scosse mentalmente il capo per quei pensieri e concentrò
l’attenzione sulla bella vampira. Stava camminando e i tacchi vertiginosi dei
suoi stivali neri producevano un piacevole ticchettio, un motivo ripetuto a
intervalli regolari di pochissimi istanti.
« Sai dove li hai lasciati allora,» si scostò dal
pianerottolo per lasciarle libero l’accesso ai piani superiori, facendole un
piccolo cenno con il braccio destro. La sua bella e profumata, - di gigli, e
quello lo ricordava benissimo, - chioma bionda, lasciata sciolta sulle spalle
esili e perlacee, si agitò di poco e Stefan non poté impedirsi di aspirare quel
lieve profumo meraviglioso che gli riportava alla mente giorni lontani e
felici. Spensierati. I giorni dello Squartatore di Monterey.
« Dobbiamo parlare,» gli comunicò Elijah con voce greve. Il
sesto senso di Stefan – quello che l’aveva salvato molte volte da situazioni
difficoltose soprattutto nei suoi anni da Squartatore; quello che gli faceva
pronunciare con assoluta sicurezza che oramai non aveva più speranze di tornare
con Elena,- gli suggerì che da quelle premesse nulla poteva prospettarsi
agevole per lui. E l’espressione di Klaus non fece che alimentare i suoi
sospetti.
« Prego, accomodatevi,» sospirò comunque, facendo loro cenno
di entrare nella sala e di sedersi sulle sue poltrone baroccheggianti. Non
sapeva chi avesse scelto l’arredamento della casa. In effetti Villa Veritas, -
che era stata arredata da sua madre in persona poiché l’avvenente quanto
cagionevole Marion Lambert in Salvatore non avrebbe mai permesso che altri decidessero
riguardo qualcosa appartenente esclusivamente a lei,- non era così pretenziosa
né appariscente. Eppure quella casa, soprattutto le due sale contigue, erano
arredate secondo uno stile troppo pomposo e vanesio. Persino Damon concordava
con lui, - e Damon aveva il suo particolare stile di arredamento molto
alternativo al proprio. Scorgendo l’albero genealogico che faceva capo al suo
fratellastro, Joseph Jr., doveva essere stata la ricca Elizabeth Forbes nel
1965.
« Dov’è Damon?» gli chiese curiosamente il maggiore degli
Originali, riportandolo ai due fratelli. Notò subito che Klaus stava rimanendo
in religioso silenzio. I suoi occhi blu oltremare sembravano essere stati
ingrigiti, i suoi tratti erano più duri, la mascella serrata e la fronte poco
ampia solcata da quattro profonde rughe che lo facevano apparire più vecchio di
quanto in realtà non sembrasse. Sebbene la sua avvenenza non era stata
intaccata da quell’espressione così austera. Si stupì per quel pensiero, ma non
lo diede a vedere. Sarebbe stato troppo e il suo autocontrollo era ancora ben
saldo, « Abbiamo bisogno anche di lui. Non vorrei ripetermi,» spiegò Elijah
riportando l’attenzione del vampiro più giovane su di sé. Per poco non lo
ringraziò. I due si erano accomodati sulle due poltrone dinanzi al camino e
Stefan si era seduto sul divano dinanzi a loro, a distanza di sicurezza da
entrambi.
« Non saprei, Elijah,» rispose con sincerità. Damon doveva
essere uscito quella mattina presto – oppure non era ritornato a dormire per la
notte. Non lo vedeva dalla sera prima, da quando Elijah aveva liberato Elena dalle grotte sotterranee. Da
quando avevano riconosciuto entrambi i propri sentimenti e le proprie emozioni.
Aveva ragione. Non era più lo Squartatore. Voleva ritornare a essere lo Stefan
consueto, ma su un particolare era profondamente in errore. Lui non bramava più
l’amore di quell’umana che l’aveva fatto sentire speciale. Sapeva di non
meritarlo e non ambiva nemmeno a cambiare le carte in tavola. Non l’avrebbe
portato comunque a un buon risultato.
« Stai bene?» sbottò Klaus guardandolo direttamente negli
occhi. Quando quelli di Stefan incontrarono le iridi color
non-ti-scordar-di-me, - che era un’espressione abbastanza divertente e ironica
per la situazione,- dell’ibrido immortale, uno strano brivido gli attraversò la
spina dorsale, facendolo quasi sobbalzare. Represse quell’istinto primordiale
soltanto ricordandosi di non essere solo in quell’immensa e oscura sala dalle
tende color cremisi.
« Sì, stavo pensando a qualcosa di complicato e abbastanza
astratto,» si affrettò a rispondere l’eterno diciassettenne, accantonando quei
pensieri spiacevoli, - e abbastanza assurdi, a suo dir,- che lo accompagnavano
da quell’estate. Una piccola menzogna. Quei pensieri lo accompagnavano da quando
aveva visto Klaus per la prima volta. Da quando gli aveva domandato la grazia
di prendere lui al posto di Jenna. Da quando, per avere la cura e salvare la
vita di quel fratello che aveva tanto adorato in vita, - e che in cuor suo
sapeva essere stata la persona più importante della sua esistenza di vampiro,-
aveva venduto se stesso a lui. Da quando, mentre beveva il sangue dalle sacche
dell’ospedale cittadino, aveva scorto un sorriso lascivo distendere le labbra
di quell’essere malvagio, ma estremamente avvenente. Da sempre. Era come se
negli anni Venti avesse trovato il senso alla sua intera esistenza. E quel
senso, quel significante, era dato da lui. Dall’ibrido che lo stava osservando
con un velo di preoccupazione per lui. Come se davvero gli importasse di
conoscere le sue risposte.
« Sai che c’è una ragazza in camera tua?» domandò Rebekah
con i gomiti appoggiati sul corrimano di noce, in quella posa che gli ricordava
tanto quella della giovane Lilian Whitemore, la sua promessa sposa, durante il
ricevimento per il matrimonio del signore e della signora Anderson. Ma Lilian, la povera e cara Lilian, -
che Katherine aveva brutalmente e platealmente ucciso allo stesso ricevimento
dopo aver scoperto che erano legati da un vincolo di fidanzamento ufficiale che
dopo pochi mesi si sarebbe dovuto trasformare in matrimonio,- non aveva
l’avvenenza di Rebekah. Era soltanto un pallido raggio lunare a confronto dello
splendido Sole della vampira Originale.
« Cosa?» esclamò stranito il vampiro dagli occhi verdi e
profondi, aggrottando le sopracciglia. Sulla sua fronte ampia si creò una serie
di piccole rughe poco marcate che gli donarono un’aria più anziana e
pensierosa, - in quei momenti assomigliava in maniere estremamente strabiliante
a suo padre e ringraziava che Damon non potesse vederlo poiché, in effetti,
Damon aveva soltanto gli occhi di Giuseppe, il resto l’aveva ereditato dalla
loro amata madre.
« Ed è anche carina,» aggiunse l’Originale alzando di poco
le spalle e rivolgendogli un sorriso accattivante. Sensuale e bellissima.
Comprendeva benissimo, a distanza di novant’anni, perché lo Squartatore si
fosse avvicinato a lei. Quella giovane donna era quanto di più affascinante e
caparbio avesse mai incontrato nella sua intera esistenza. Pari soltanto al
fratello maggiore. A Klaus. Avevano la stessa bellezza, lo stesso alone di
mistero. Dalle scale si affacciò un’altra figura, meno misteriosa delle due.
Immensamente più amabile e pura. Ciò che la contraddistingueva erano quei due
occhi azzurri, quelle pozze di acque cristalline che tanto la facevano rassomigliare
a suo padre. I capelli, invece, erano di una tonalità più chiara di quelli di
Damon ed erano ricci, come quelli di suo fratello durante la vita. L’incarnato
pallido, a cuore, contornato da due sottili labbra rosee e poco gonfie,
sembrava essere di finissimo marmo, - di Carrara, nella stessa regione della
sua Firenze,- e la struttura esile e magra ricordava tanto quella di un
uccellino, di un usignolo.
« Mary,» la chiamò dolcemente, come se dinanzi a sé avesse
la visione più pura e dolce mai esistita. Ed effettivamente per lui non v’era
nulla di più bello di sua nipote. Percepì gli occhi perforanti di Klaus sulla
propria figura, ma non si volse. In quel momento le importava soltanto di lei.
Della sua piccola Mary.
« Zio Stefan,» lo salutò quella che considerava anche la sua
bambina con un sorriso soave e
delizioso, mentre avanzava verso di lui, senza fare alcun rumore. Il suo
abbigliamento così normale e modesto, - composto da un jeans scuro, una t-shirt
color cielo primaverile e un paio di ballerine nere dal fiocco bianco,- era
così diverso da quello provocante della vampira a pochi passi da lei. Mary non era cambiata. Era sempre la
ragazza introversa, timida e straordinariamente sensibile che aveva incontrato
quasi quindici anni prima al fianco di suo padre.
« Vieni qui, bambina,» la spronò, allargando le braccia
muscolose. Mary si fiondò nel suo abbraccio con la sua velocità vampira e
Stefan la issò in braccio per la gioia di vederla. Era una sorpresa gradita, la
prima da molto tempo per lui. Sua nipote
era davvero l’ospite più benaccetto che avesse potuto desiderare. Perché Mary
era l’unica e sola a poter calmare i furori di suo padre con la sua indole
docile e amabile. Damon avrebbe fatto l’impossibile per sua figlia – e nessuno
era certo di quella verità più di lui,- ma anche Mary non avrebbe esitato un
solo istante a prestargli soccorso se suo padre si fosse cacciato in qualche
guaio, - e quello era molto probabile, « Ogni giorno diventi sempre più bella.
La vecchiaia ti si addice,» continuò gentilmente tra i suoi profumati capelli
scuri. Mary rise deliziata da quella contestazione e Stefan si beò di quella
risata dolce e lieve.
« Anche a te,» mormorò nel suo orecchio, come se gli stesse
rivelando un segreto e Stefan non poté fare altro che sorridere. Le carezzò
lievemente i capelli scuri e lasciati sciolti morbidamente sulle spalle, -
erano incredibilmente lunghi per quell’epoca, le arrivavano sino a metà
schiena,- sino a stringere in modo affettuoso le dita sulla sua nuca, « Scusate,
non volevo interrompere nulla,» continuò imbarazzata, sciogliendo l’abbraccio e
allontanandosi di poco dal suo unico zio, accorgendosi che non erano affatto
soli in quella sala secentesca.
Osservò i tre vampiri Originali quasi con timore, - e Stefan riusciva davvero a
capirla, quel trio era particolarmente inquietante per l’avvenenza e il potere
che emanavano soltanto essendo presenti in una stanza, - e si portò una ciocca
scura dietro l’orecchio, facendo scintillare un piccolo cerchio di diamanti, «
Se vuoi, torno più tardi. Volevo solo sapere dove fosse papà. Sai, volevo
fargli una piccola sorpresa,» concluse timidamente, giocando con le sue dita
corte, di bambina, tornando a guardarlo. Quello che sembrava il più anziano gli
aveva rivolto un sorriso pacifico, che stonava con l’espressione distante dei
suoi grandi occhi scuri e profondi, ma gli altri due, - la donna troppo bella e
l’uomo che osservava suo zio come se fosse stato di sua proprietà,- non le
sembravano troppo rassicuranti. Sperava soltanto che Stefan non fosse in
pericolo.
« Ehi non imbarazzarti,» la tranquillizzò dolcemente Stefan,
accogliendo le mani della sua piccola nipote, che all’apparenza dimostrava
sedici anni appena compiuti, tra le proprie. Mary tornò calma, obbedendo alla
seconda persona che amava di più certa che il pericolo fosse ancora abbastanza
lontano, « Non so dove sia, ma sarà qui tra poco. Puoi rimanere. Anzi mettiti
comoda. Disfa i bagagli e scegli una stanza. Io devo parlare con questi due
signori,» si affrettò a comunicarle, guardandola negli occhi chiarissimi, per
farle interpretare il messaggio criptico delle sue parole. Mary comprese subito
che la situazione era davvero difficoltosa, ma che suo zio non era in pericolo.
Annuì posata e decisa, si alzò sulle punte per depositare un dolce bacio sulla
guancia destra di Stefan che rispose sorridendo con allegria per quella soave
manifestazione d’affetto. Si volse verso i tre vampiri, rivolse loro un sorriso
di circostanza, poi scomparve al piano superiore, « Allora, cosa sta
succedendo?» domandò loro quando fu certo che Mary non avrebbe potuto più
ascoltare la loro conversazione. La tensione nella sala si fece predominante e
Stefan deglutì a vuoto, attendendo il peggio.
« Abbiamo un problema,»
esclamò Elijah con voce austera, greve, che lo fece per un attimo tremare.
Vivere nella paura che tutto andasse storto era davvero una condizione
aberrante per un vampiro, per un essere che avrebbe potuto sottomettere gli
altri senza nemmeno sforzarsi più del dovuto. E loro erano gli Originali, non
dei semplici vampiri. Quindi se qualcosa turbava le loro menti, allora lui non
avrebbe potuto che fremere di paura. Elijah non continuò, lasciando ai
suoi fratelli il compito di esplicare ciò che li aveva condotti alla pensione
dei Salvatore. Poi Klaus parlò. E le sue parole lo gettarono nello sconforto
più assoluto. Parole pronunciate con un accento nordico, britannico, - la vera
patria di quel vampiro Antico che aveva visto troppo del mondo,- che gli
riportava alla mente serata trascorse in allegria, tra whiskey e risate, tra
stragi efferate e amore. Quell’accento che, nelle notti senza luce e immerse in
un’oscurità che rifletteva quella della sua anima, l’aveva accompagnato tra le
vie della perdizione, insegnandogli a percorrerle senza remore.
« Mikael è tornato.»
Angolo autrice
Buon pomeriggio e benvenuti nel primo vero capitolo della
storia. Riconosciuta la citazione del titolo alla sedicesima puntata della
prima stagione “Il male si avvicina”? E il male si sta davvero avvicinando a
Mystic Falls. Il nostro papà Originale ne combinerà delle belle. Anche Marion è
tornata a casa e ad accoglierla ha trovato il suo caro zio Stefan con i tre
vampiri Originali. Se Stefan vi è sembrato un po’ OOC per i pensieri su Klaus,
mi dispiace molto, ma io vedo davvero in questo modo il loro ambiguo rapporto.
Una piccola informazione: Marion ha il viso di Michelle Trachtenberg, la Dawn
di Buffy per intenderci o la Georgina Sparks si Gossip Girl, anche se qualcosa
è leggermente diverso. Ringrazio di cuore Love Bites per aver recensito lo
scorso capitolo e chi ha inserito la storia tra le Seguite. Spero vogliate
lasciare un piccolo commento. Un bacio, alla prossima, Elena_Salvatore.