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Autore: LuceBre    21/12/2012    5 recensioni
Non voleva rivivere di nuovo il tutto. Non voleva di nuovo stare male.
Finalmente aveva trovato un motivo per andare avanti. E non poteva finire così.
Non poteva.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non puoi.


Olivia camminava per strada. Non faceva tanta attenzione a dove metteva i piedi. Voleva solo arrivare alla meta.
Le strade di Trento non erano tanto affollate. Era una città piccola paragonata a Milano, Roma, Berlino, Londra o New York.
Era da poco scesa dal treno e avrebbe dovuto prendere un autobus. Ma c'era qualcosa che la bloccava. Che la fermava a guardare per la prima volta la città dove la sua migliore amica aveva vissuto per 19 anni.
Non voleva andarla a trovare di corsa?
Tanto se fosse arrivata un'oretta o due dopo non sarebbe cambiato nulla visto che lei non se ne sarebbe minimamente accorta.
In realtà sarebbe potuta rimanere a casa nella sua tanto amata e dolorosa Parigi.
Cosa ci faceva a Parigi? Un'inglese vissuta per 10 anni in Italia trasferitasi poi per conto suo a Parigi?
Parigi era la città dei suoi sogni. Fin da quando era una bambina avrebbe voluto andarci.

 - Mamma, vedi la città dove vivono Duchessa, Bizet, Matisse e Minou?
 - Si, tesoro. Parigi.
 - Ecco, mamma. Io andrò a vivere lì e avrò anche dei gatti che suoneranno e canteranno. Staremo insieme anche lì, mamma? Papà, te e io? Tutti insieme.
 - Certo, tesoro. Andremo tutti insieme a Parigi e avrai tutti i gatti ballerini e cantanti che vorrai. Così, piccola mia, tu sarai felice.


Aveva otto anni e questo era uno dei ricordi più vivi che aveva di sua mamma prima che si ammalasse e infine morisse.
Alzò gli occhi al cielo frustrata dalla piega che avevano preso i pensieri mentre camminava tra quelle stupide bancherelle di quello stupido mercatini di Natale.
Odiava il Natale e le vacanze di Natale da quando la sua mamma era morta il 28 dicembre di undici anni fa.
Mentre gli altri bambini erano fuori a giocare con la neve lei era in ospedale che vedeva la sua mamma priva di vita.
La guardava e l'unica cosa a cui riusciva a pensare era che odiava Babbo Natale.
Lei gli aveva chiesto di guarirla e invece era morta. Voleva andare da Babbo Natale e urlargli contro e chiedergli perchè aveva fatto morire la sua mamma.
La mamma che l'amava tanto.
La mamma che le dava il bacio della buona notte.
La mamma che veniva a svegliarla con la colazione a letto tutte le mattine.
La sua mamma.
Voleva urlare in mezzo a quella piazza un bel vaffanculo ma non si sa bene come era riuscita a trattenersi.
Si era letteralmente stufata di camminare a vuoto tra tutta quella che gente felice.
Doveva affrontare la realtà.
Prese l'autobus che una simpatica e strana vecchietta le aveva indicato e aspettò che il mezzo si fermasse alla giusta fermata.
Era l'ora.
Si faceva forza camminando per quel marciapiede pieno di foglie pensando a cosa aspettarsi, a cosa dire a quelle buone anime che avevano messo al mondo Alice.
La sua migliore amica.
Era lì davanti. Doveva entrare.
Entrò e si guardò intorno un po' disorientata.
Non sapeva a chi chiedere.
Non sapeva dove andare.
Forse avrebbe dovuto chiamare per avvisare almeno qualcuno che sarebbe arrivata.
E invece no. Non l'aveva fatto.
Stupida, Ol. Stupida, stupida, Ol.
Decise di avvicinarsi a un bancone. Sembrava tanto un banco informazioni. Male che andava avrebbe fatto una figuraccia.
Ma ora che era lì non riusciva a stare con le mani in mano sperando che qualcuno l'aiutasse.
Doveva andare lei a cercare qualcuno.

 - Scusi, io stavo cercando la stanza di una paziente che si trova qui. Saprebbe dirmi a chi devo chiedere?
 - Mi dica il nome.
 - Manteia Alice.


Si mise a cercare in un computer che sembrava appartenere alla preistoria.
Quasi non si mise a ridere dalla stupidità dei suoi pensieri.
Ma quando parlò ritornò con i piedi per terra.

 - Ha il permesso di andarla a trovare?
 - In realtà no. Ma se chiede ai suoi genitori sono sicura che mi lasceranno entrare.
 - Io non potrei dirle niente. Non essendo lei un parente.
 - Come fa a dirlo che non sono un parente? Ha comunque ragione. La prego. Li chiami. Dica che Olivia Compeyson è qui. Loro sanno chi sono. La prego. Ci provi almeno.

La guardò indeciso sul da farsi. Chiamare o no. Dare retta a una che sembrava una pazza svitata o no.
Infine decise di chiamare.
Rimase al telefono per pochi istanti. Ma a lei sembravano ore.
Voleva andare a trovarla subito. Non poteva aspettare un attimo in più.
La guardò.

 - Signorina. Può andarla a trovare, ma domani. Tra due minuti chiude l'orario di visita ed è assurdo che vada ora non crede?
 - Mi dispiace essere maleducata con lei. Ma no. Non credo. Sono appena arrivata da Parigi solo per vedere la mia migliore amica anche per trenta secondi. Quindi mi
farebbe il piacere di dirmi dove si trova? Non creerò problemi.
 - Primo piano. Stanza 103.

Lo guardò con tutta la felicità che avevo in corpo. Poca quindi. Ma lui sembrò capire.
Stava salendo le scale di corsa.
Arrivò al piano. E si mise a cercare la 103.
La porta era chiusa. Bussò. L'aprì e mise dentro la testa.
Alice era lì. Distesa. Incosciente. Praticamente senza vita.
Merda. Non era giusto che lei fosse lì.
Solo un attimo dopo si rese conto dei suoi genitori seduti affianco al suo corpo in lacrime.
Erano quattro giorni che quella situazione andava avanti e lei non si voleva svegliare.
Si avvicinò a loro. A lei.
Loro si alzarono e fecero per andare fuori dalla stanza.
Ma prima fecero una cosa che la scioccò.
Le sorrisero.
Era un sorriso amaro. Triste. E' vero. Ma ci stavano provando.
Loro sapevano quando erano importanti l'un per l'altra.
Faceva male vederla lì.
Dio se faceva male.
Non sapeva neppure quando era scoppiata a piangere e quando si sedette. Sa solo che sentì una mano calda sulla spalla e una voce.

 - Olivia, vieni fuori con noi. Dobbiamo uscire.

Non sa neppure dove trovò la forza di farlo. Sembrava una marionetta nella sue mani. Nella mani di qualcuno che in quel preciso istante le sembravano di uno sconosciuto ma che avrebbe seguito anche dall'altra parte della terra da quando distrutta era.
Poi scoprì che era Emma. La mamma.
Mentre Roberto, il padre, finiva di parlare con il medico, Emma ed Olivia scendevano le scale a braccetto così da sostenersi a vicenda.
Andarono al bar. Erano vicino al banco informazioni.
Il signore la guardava. Lei lo vedeva. Percepiva il suo sguardo fisso su di lei. Ma non riusciva a ricambiare.
Era solo una figura in mezzo al tutto.
Non parlarono. Erano lì sedute. Su delle sedie di metallo scomode.
Non si guardavano neppure. Ognuna persa nel proprio dolore.
Lei stava per perdere sua figlia. La sua unica figlia.
Il frutto del loro amore.
La gioia della sua vita.
Il suo sole nei giorni bui.
Olivia stava rivivendo tutta la tragedia, tutta la storia di sua mamma.
Oltre a soffrire nel vedere Alice in coma, soffriva rivedendo nella sua mente la sua mamma nel letto.
Morta.
E se pure Alice fosse morta?
E se lei fosse di nuovo rimasta da sola?
Con questi pensieri ricominciò a piangere.
Il rubinetto si era aperto di nuovo.
Emma la guardò in trance.
Olivia alzò lo sguardo. Si guardarono negli occhi.
Olivia istintivamente l'abbracciò e continuo a piangere nascosta nel suo collo.
Stava trovando in Emma la mamma che lei aveva perso.
Solo in un secondo momento si rese conto del gesto che aveva fatto.
Si comportava da figlia con una donna che stava per perdere la propria.

 - Mi scusi, non volevo essere così indelicata.

Emma la guardò forse ancora in trance e non disse niente.
In quel mentre arrivò Roberto. Si sedette insieme a loro.
Olivia alzò gli occhi verso di lui. Quasi pregandolo di sapere cosa aveva appena detto il dottore.
Ma si rese conto di non essersi neppure presentata nonostante loro sapessero chi lei fosse.

 - Allora. Come avete capito, come vi aveva detto il signore del banco informazioni che vi ha chiamato, io sono Olivia Compeyson. Sono la migliore amica di vostra figlia. Ci siamo viste un paio di volte viste quando abitavo a Firenze. Era me che veniva a trovare quando veniva lì. Se mi avete fatto entrare, se avete avuto la forza di sorridermi mentre eravate davanti a lei, vuol dire che sapete cosa c'è tra me e lei. È quasi un legame morboso. Detta così può sembrare assurdo, forse persino inquietante, ma è così. Avremmo dato la vita l'un per l'altra se solo una delle due lo avesse chiesto. - Si rese conto di quello che aveva appena detto. - Dio, so essere così indelicata in questi momenti. Quello che ho detto è vero, ma forse non era il caso di dirlo proprio ora. Ora vi chiederete cosa ci faccio qui. Come ho fatto a sapere di questa cosa. I social network aiutano un sacco, ma cosa più importante ci eravamo promesse che nel caso ci fosse successo qualcosa ci sarebbe stata una determinata persona che avrebbe avvisato l'altra, e così è stato. Perciò eccomi qui. Con un volo diretto da Parigi. Ora, io vi chiederei solo una cosa. Non vi chiedo di lasciarmi venire qui tutte le volte che voglio, perchè voi siete la sua famiglia. Voi avete la precedenza. Ma vi chiedo una cosa. Tenetemi aggiornata.

Li guardò. Come se un condannato a morte stesse chiedendo di rimanere in vita. La preghiera finale.
Roberto ed Emma si guardarono e lui si voltò verso di lei.

 - Può forse sembrare fuori luogo, ma grazie di essere qui. Alice ci ha parlato così tanto di te che è come se pure noi ti conoscessimo da sempre. Ti adora. Per lei sei come una sorella. No. Sei la sorella che noi non abbiamo potuto darle. In uno dei piccoli momenti di lucidità ci era appunto venuto in mente di avvisarti. Se svegliatasi avesse saputo che tu non ne sapevi niente ci avrebbe penso fucilato. Seduta stante. Quindi grazie per essere qui. Gli orari di visita sono quelli che sono e si ha solo mezz'ora di tempo al giorno per rimanerle accanto. Per motivarla a svegliarsi. Da quant'è che non vi vedete? Saranno passati ormai più di sette mesi. Ci stava assillando per poterti venire a trovare durante queste vacanze. E noi stavamo anche per cedere. Ma con questo fatto non so neppure cosa succederà tra qui a un minuto. - Si fermò un attimo a parlare e guardò la moglie. Lei annuì. - A noi farebbe piacere, se tu volessi domani venire qui e parlare con lei. O fare quello che vuoi. Farle anche compagnia. Noi non riusciamo più a farcela. Vederla ogni giorno sdraiata su quel letto ci uccide tutte le volte. Perciò domani verremmo a parlare con il medico e faremo un saluto. Ma di più non riusciamo. Le condizioni sono quelle che sono. Il dottore dice che sono stabili e che per ora l'unica cosa che possiamo fare è aspettare.

Lo guardò sia grata per le parole dette, sia con uno sguardo particolarmente arrabbiata.

 - Stabili? Le condizioni sono stabili?! Lei è in un letto a un passo dalla morte e le condizioni sono stabili?!

Era di nuovo stata indelicata. Abbassò lo sguardo scusandosi e non avendo il coraggio di guardarli negli occhi. Sentì Emma ricominciare a piangere.
Non si era mai sentita più in colpa di così.

 - Scusatemi. Non volevo. Ma questo frase non la sopporto. Dicono così sperando che il famigliare sia più tranquillo, quando magari neppure i medici sanno veramente cosa potrebbe succedere da un momento all'altro. Voglio ringraziare voi per l'opportunità che mi state dando. Voglio veramente che lei si svegli. Che mi abbracci. Che sorrida e che mi dica che sono un'idiota. Ho bisogno di sentirmelo dire. Non posso perdere anche lei.

 - Al, te lo hanno mai detto che puzzi?
 - Ol, te lo hanno mai detto che sei un idiota?
 - Al, ma io intendevo che puzzi come puzzano i ricchi. Di Dolce&Gabbana, di Giorno Armani, di Dior, di Chanel n°5.
 - Ol, io intendevo che tu sei idiota. Ma idiota dalla testa ai piedi. Mai conosciuta una più idiota di te.



La sera prima aveva di nuovo pensato a tutte quelle cose che avrebbe voluto dire ad Alice, a tutte quelle cose che lei avrebbe dovuto sapere. Ma quando arrivava lì da lei, le parole le mancavano. Come sempre finora.
Dopo tre giorni che la vedeva incosciente, faceva ancora male e non si era per nulla abituata. Come se ci si potesse abituare a una cosa del genere.
Arrivava lì. Piangeva. Le teneva la mano. E cercava di stringersi il più possibile a lei. Ma dopo doveva uscire.
Erano tre giorni che faceva così.
Erano tre giorni che si sentiva male.
Erano tre giorni che si sentiva altamente inutile.
La mattina del quarto giorno si era alzata convinta dal letto dell'albergo dove alloggiava.
Quel giorno le avrebbe parlato.
Doveva parlarle.
Pianti o non pianti.
Doveva essere forte per lei.
Alice combatteva con la vita e la morte.
Olivia combatteva con i suoi fantasmi interiori.
Ma chi era veramente in pericolo non era lei, Olivia, era Alice.
Perciò si convinse che poteva riuscire a parlarle.
Questa decisione la tranquillizzava parecchio.
Finalmente aveva qualcosa da fare. Qualcosa di certo. Ma più le ore passavano più si agitava.
Normalmente arrivava una ventina di minuti, una mezz'oretta prima per essere sicura di non arrivare in ritardo. Di non perdere nemmeno un secondo di quei pochi concessi con lei.
Ma quel giorno arrivò in ospedale un'ora prima. Come se arrivare ancora più in anticipo, di quanto già non fosse, avrebbe cambiato la situazione.
Si diede della stupida per poter credere veramente una cosa così, ma non era più in grado di rimanere in quella stanza vuota d'hotel. Voleva andarsene da quella città perchè questo voleva dire che Alice si era svegliata. Voleva dire che stava bene. Voleva dire che il suo compito lì era finito.
Stavo odiando ormai Trento. Odiava tutta quella gioia pre-natalizia che aleggiava nell'aria di quella piccola tranquilla città.
Sedeva sulle scomode sedia del bar aspettando le tre.
Ma le tre non volevano arrivare e lei aveva un diavolo per capello.
L'attesa la stava frustrando.
Appena le lancette segnarono le 14.59 lei si alzò con uno scatto e si diresse verso le scale, verso la stanza dove la sua Al riposava. O almeno, era questo che faceva finta di credere per stare un minimo meglio.
La camera era sempre uguale.
Così dannatamente bianca.
Così dannatamente piena di tubi.
Così dannatamente odiosa.
Così dannatamente triste.
L'infermeria aveva spostato la sedia. Perciò dovette andarla a riprendere nonostante non ne avesse la minima voglia. Ma se doveva fare quello che stava per fare lo avrebbe fatto da seduta. Così, oltre che per sostenersi lei, anche per stare più vicina all'amica.
Sospiro profondo. Molto profondo.
Un alzata degli occhi al cielo.
Un altro sospiro.
Era pronta.

 - Ciao Al. Patetico come saluto, vero? Ma conoscendoti ti sarebbe andato bene anche un “Sfigata, ti odio” perchè avresti comunque capito ciò che provo per te. Tu lo sai. E non avresti bisogno di sentirtelo dire, ma adoro ripetermi. Non come Paganini. Quindi eccomi qui con l'intento di dire cose sdolcinate al massimo così da farci venire il diabete e le carie. Bella prospettiva di vita, vero? E' il meglio che possiamo avere. Quando cammineremo insieme, due bellissime vecchiette con il diabete, rideremo di queste frasi idioti senza senso che sto dicendo, che ho sempre detto e che sempre dirò. Noi lo faremo sicuramente. Perciò non osare pensare il contrario. Non osare lasciarmi adesso. Tu ti devi alzare da questo fottutissimo letto ora. Non mi interessa come fai. Io voglio che tu apra gli occhi e mi dica che stai bene. E quando uscirai da 'sto schifo ti prenderò talmente tanto a calci che ti farò tanto tanto male e tu rimpiangerai di esserti alzata da qui.

Rimase zitta per un minuto pensando a come continuare.

 - Emma mi ha detto che volevi venire a trovarmi. Sarebbe stato il miglior regalo di Natale che avresti potuto farmi e l'unico che avrei accettato.

Si fermò ancora per un attimo.
Si rimise a pensare a tutto quello che aveva detto.
Non aveva né capo né coda. Era un no-sense totale. E non aveva per nulla seguito lo schema, il discorso che si era immaginata.
La cosa ora che la preoccupava era la pateticità di come sarebbe continuate le sue parole. Se ne rendeva conto e non voleva che fosse così. Però non era in grado di trovarne migliori quindi riprese un sospiro profondo e ricominciò a parlare.

 - Alice. Ho usato il tuo nome intero quindi vuol dire che sto per iniziare a parlare seriamente e sai che non ne sono in grado quindi fatti andare bene queste, nonostante siano patetiche. Da cosa partire? Potrei cominciare col dire che ti voglio bene perchè sei la migliore cosa che mi sia successa. Sei il miglior regalo che la vita mi abbia donato. Sei una parte di me. Probabilmente sei il mio cuore. Grazie a te ho visto di nuovo gli aspetti positivi della vita. Ho aperto di nuovo il mio cuore nonostante la paura di soffrire.

Una lacrima cadde dal suo occhio sinistro.
Una sola. Non voleva piangere. Non voleva avere la voce tremante.
Voleva essere sicura di se. Voleva essere forte.
Voleva. Doveva farlo per lei.

 - Ho pensato veramente al fatto che tu magari mi potessi realmente lasciare qui. Di nuovo da sola. Ma non voglio crederci. Non posso crederci. Non voglio che ti alzi. Io pretendo che tu lo faccia. Il che è diverso. Mi vien da ridere se penso a quanto faccio schifo a comunicare i miei sentimenti, le mie emozioni. Ma tu lo sai bene. Quattro anni di conoscenza ci sono servite a qualcosa. Saresti in grado di capire cosa penso anche da addormentata. Io voglio il meglio per te. E il meglio non è lasciarci per sempre. Il meglio è che tu viva. Che tu abbia una famiglia. Che tu sia felice. E tu non vuoi essere felice? Non vuoi sorridere alla vita? Alice, porca puttana, non abbandonarmi.

Le lacrime erano scese.
La diga era stata aperta e il fiume scorreva impetuoso rompendo, distruggendo tutti gli ostacoli che incontrava sulla sua via.
Quell'ultima frase l'aveva appena sussurrata.
Passò il restante del tempo seduta lì. Vicino a lei. Con la sua mano sul cuore.
Piangeva e sospirava.
Cinque minuti prima che dovesse andarsene arrivarono i suoi genitori. Emma e Roberto.
Lasciò quel poco tempo che rimaneva a loro.
Ne avevano più bisogno.
Uscì. Si appoggiò al muro vicino alla porta.
Il peso dello stress, del dolore, della paura iniziò a martellarle dentro.
Il corpo scivolò verso il basso.
Chiuse gli occhi.
Svenne.






 

Macciao Bella Gente.
Sono di nuovo qui con una nuova OS.
Mentre la scrivevo perdevo man mano
sempre più entusiasmo.
Ma arrivata alla fine mi sono ritenuta
quasi fiera di questo testo.
Quasi perchè rimango convinta
che i discorsi siano patetici.
Vorrei dedicarla a due persone.
Dora e Francesca.
Grazie per avermi supportata e sopportata
in ogni passaggio di questa storia.
Grazie per avermi spronato a continuare
nonostante me ne continuassi a lamentare.
Quindi, se non vi piace, la colpa è loro,
ma se vi piace è merito mio HAHAHA
Recensioni sempre ben accette.
Mi aiutano a migliore e mi rendono felice.
Voglio ringraziare voi che avete letto questa
e voi che avete letto le mie due
Flashfic precedenti.
Un saluto speciale e grande grande alla mia Mar.
Con affetto,
Vostra, Luce

   
 
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