Sesto
Capitolo:
La difficile decisione
Ero sola,
circondata da oscurità e da silenzio.
Un vento gelido mi
fece rabbrividire, costringendomi a raggomitolarmi come un gatto e a tremare,
battendo persino i denti per il gelo. Non potevo fare nient’altro, perché il
luogo in cui mi trovavo non c’era nulla, nemmeno il terreno o il cielo.
Ero immersa in un
mare vuoto, ma non sprofondavo. Restavo sospesa quasi in un limbo, con la mia
lunga chioma candita che fluttuava, allo stesso modo della la mia veste bianca.
La mia vita si era
dunque conclusa, quello che vedevo era il mio Inferno. Il mio corpo si trovava
ormai in una bara in legno, sepolto sotto metri di terra e di fango, lasciato
così a deteriorarsi fino alla fine dei giorni.
Non avrei più
potuto impugnare la mia ascia, combattere, litigare con Frederick o...
dimostrare ad Undertaker che ero capace di colpirlo, che qualcosa valevo.
Mi aveva sempre
aiutato, salvato dalle situazioni più difficili, mentre io, oltre a prenderle
di santa ragione e a distruggere Londra, non facevo molto. E tra l’altro, visto
che non ero più uno Shinigami, non avevo neanche una casa dove tornare.
<< Le anime
non dovrebbero piangere... mi rendono molto triste>>
Fui quasi accecata
da una luce calda e abbagliante, che andava affiefolendosi con lo scorrere del
tempo. Appena fu abbastanza tenue, riuscii a distinguere la figura di un demone
diverso da tutti gli altri, perché seppur nella forma originale non incuteva
terrore, anzi mi infondeva calma e tranquillità.
Aveva una liscia e
fluente massa di capelli corvina, la quale incorniciava un viso dai lineamenti
dolci, aggraziati; i suoi occhi erano fiammeggianti e di un bellissimo verde
intenso, in netto contrasto con la sua pelle violacea. Non era molto alto,
raggiungeva a stento il metro e settanta, possedeva una corporatura minuta, con
delle grandi ali da pipistrello sulla schiena del medesimo colore della
carnagione, in quel momento ripiegate.
Indossava soltanto
una gonna smeraldina, adornata di pietre preziose e arricchita ulteriormente con
dettagli in oro, come la cinta o la fascia. Inoltre portava dei bracciali alla
schiava, anch’essi di valore e abbinati alla veste, e persino un crocefisso al
collo, semi-nascosto dalla sua folta capigliatura.
Avanzava verso di
me, pacato, con le labbra sottili incurvate in un gradevole sorriso. Soltanto
quando ormai fra me e lui mancavano soltanto pochi centimetri cominciai ad
impaurirmi: i demoni si nutrono delle anime ed io non ero altro che un corpo
etereo.
<< Non
spaventarti, non voglio mica divorarti. Non mangerei mai la mia nipotina
preferita>>
<<
Nipotina?>> domandai << Tu sei mio nonno?>>
<< Sbagliato!
Io sono il tuo caro zio Eridan! Colui che in più di una situazione ti ha parato
il fondoschiena, nonché uno dei nove demoni supremi... insomma... non darmi del
befano, capito?! Se no ne subirai le conseguenze>>
I demoni più
potenti che un tempo dominavano gli tutti gli altri venivano chiamati Demoni
Supremi. Erano nove, ma con un’energia distruttiva pari a centomila eserciti,
se non di più. Proprio per questa loro minaccia, dopo un’estenuante battaglia, alcuni
sacerdoti erano riusciti a rinchiuderli in un luogo chiamato Tartaro, in onore
alla mitologia greca e latina. Soltanto con il sacrificio di nove individui con
pari forza i Demoni Supremi si sarebbero risvegliati, per fortuna però non
esistevano creature altrettanto potenti.
Era una leggenda
che William mi aveva raccontato quando ero soltanto una bambina per farmi
addormentare. Ovviamente non avrei mai creduto che fosse realtà!
<< Con la
tua morte io mi sono risvegliato dal mio lungo sonno e per questo ti devo
ringraziare>>
<< La mia
morte? Quindi mi trovo realmente all’Inferno?!>> chiesi, sempre più
spaventata.
<< Non
esattamente. Ti trovi nel Tartaro, un luogo senza né tempo né spazio. Ti ho portato
io qui, perché, beh... ti voglio dare una seconda occasione. Fino ad adesso hai
vissuto una vita divisa a metà. Con il mio aiuto, ti farò diventare una
creatura unica, liberando tutto il tuo potere, facendoti recuperare ogni tuo
singolo ricordo... permettendoti così di attuare la tua vendetta verso quelli
che ti hanno ridotta così>>
<< Dov’è
l’inganno?>> dissi, guardandolo torva.
<< Nessun
inganno. Con il mio addestramento diventerai un cavaliere della mia armata per
sempre. Oppure, se preferisci vagare per lo splendido inferno, vai pure! Ti verrò
a trovare durante le feste>>
Per sempre. Perché
la parola sempre mi terrorizzava così
tanto?
Come tutti i
demoni, anche questo doveva avere una capacità persuasiva molto elevata, forse
non era nemmeno ciò che diceva di essere. Ed io, come una sciocca ero cascata
nel suo inganno.
Eppure una parte
di me urlava di fidarmi, di uscire da quel luogo vuoto e solitario per
respirare di nuovo a pieni polmoni l’aria del mondo.
Lo guardai e lui
mi sorrise dolcemente, tendendo la mano dalle agili dita da pianista.
Venire a
conoscenza dei miei ricordi. Possedeva realmente un potere simile tale da
superare persino quello di un angelo?
<< Chi era
mia madre?>> domandai.
Lui fece
un’espressione sorpresa, poi si sedette al mio fianco.
<< Ti
racconto una storia: ventidue anni fa, c’era un bellissimo demone albino di
nome Lilith con una capacità molto importante, ovvero riusciva a riportare le
persone in vita... per poco tempo. Per affinare questa tecnica, quasi tutte le
notti si dirigeva di nascosto al cimitero, ma le mancava una conoscenza più
approfondita sull’anatomia, così otteneva sempre lo stesso risultato. Una sera
tarda però, incontrò un becchino di nome Undertaker, il quale, colpito dal suo potenziale
e dopo un po’ di tempo, decise di aiutarla cosicché lei, una volta migliorato
questo enorme potere, potesse riportare in vita la donna amata dal becchino
–una certa Claudia-. Passarono mesi e finalmente si poterono vedere dei
progressi. Purtroppo però, mentre la diavola tentava di resuscitare una
persona, fu fermata da uno Shinigami di nome William T. Spears. E come si
dice... gli opposti si attraggono. Così dopo innumerevoli avventure, lei rimase
incinta. Tuttavia, la gravidanza la indebolì notevolmente, tanto che uno Dio
della Morte molto malvagio riuscì a rapirla, perché era interessato sia dal suo
potere, sia dalla creatura che sarebbe nata a breve. La bambina nacque in un
freddo laboratorio e fu chiamata Lilith dalla madre, anche se quest’ultima non
riuscì a vivere molto oltre. La piccola in seguito fu soprannominata Pandora, a
causa del progetto omonimo>>
<<
Aspetta... aspetta un secondo! William sarebbe mio padre?!>>
<< Bingo!
Sono sempre stato dell’idea che mia sorella si meritava qualcosa di più, però
lei aveva un animo troppo buono>>
<< Ma com’è
potuto accadere?! Insomma... William?!>>
<< Eh,
William purtroppo non è sterile. Beh, credo che te l’abbiano spiegato che
quando un uomo e una donna...>>
<< Certo!
Ma... William?!>>
Ero shockata. Sapevo
che tutti i miei ricordi riguardanti la mia infanzia erano falsi, quindi anche
quel presunto padre, ma non mi sarei mai immaginata che avessi nel corpo parte
del DNA di quel rompicoglioni (scusate la parola, ma non saprei come
descriverlo meglio).
Forse era per questo
che si preoccupava per me. Certo che in tutto questo tempo poteva dirmelo!
Insomma, probabilmente mi sarei comportata in modo diverso nei suoi confronti.
Eridan si alzò,
ridendo.
<< Cavolo,
sei fantastica! Allora, Pandora Spears, vuole venire?>>
<< Sì...>>
gli risposi, ancora assorta nei miei pensieri.
Lui mi toccò la
fronte con un dito. All’inizio non accadde nulla, poi però si sprigionò una potentissima
aura abbagliante, la quale in brevissimo tempo m’inghiottì.
Mi sentivo
rilassata, a mio agio, in completa armonia. Infine (purtroppo) tutto diventò
buio e successivamente mi ritrovai stesa su un lindo pavimento in marmo bianco,
uno dei più pregiati tra l’altro.
Osservavo la mia
immagine riflessa: i miei capelli erano acconciati in un perfetto chignon,
soltanto due ciocche perfettamente lisce mi incorniciavano il volto dai tratti
dolci.
Indossavo: un
corsetto blu scuro, ornato con dei minuziosi dettagli che ricordavano dei rami
di una pianta rampicante; una gonna stupenda, sembrava una cascata di rose blu,
realizzate in un modo talmente reale da farle sembrare persino vere ed infine
un paio di stivali neri lunghi fino al ginocchio e con il tacco a spillo.
Mi alzai, poi, con
una camminata da ubriaco (non avevo molta stabilità), tentai di raggiungere il
demone, ma mi bloccai non appena diedi uno sguardo al giardino: era un trionfo
di fontane, fiori coloratissimi ed esotici, con persino un gazebo bianco per le
eventuali colazioni all’aperto.
Un bellissimo Ara
multicolore mi volò vicino, poi si diresse su un trespolo candido in ferro
battuto. La mia concentrazione si spostò allora su uno strano animale, nascosto
fra due cespugli, all’ombra di due imponenti alberi.
Vedevo una lunga
coda di leone muoversi, ma anche qualche piuma bianca... che creatura poteva
mai essere? Tentai di avvicinarmi, ma Eridan mi afferrò per un polso.
<< Vieni, ti
devo far vedere la tua stanza>>
<< Che
cos’è?>> domandai, indicando gli arbusti.
<< Nulla...
lo scoprirai domani>> sorrise Eridan << Che ne dici di venire a
vedere la tua stanza? Oggi per te niente addestramento, quindi puoi rilassarti
quanto vuoi>>
<< Hai una
casa fantastica>> dissi, osservando la volta in vetro che ci seguì fino
alla fine del portico.
Ci vollero almeno
una ventina di minuti per arrivare alle camere. Era una villa enorme,
stupenda... c’era persino una stanza-terme, simili a quelle degli antichi
romani! O una stanza per la musica e le arti! Avrò contato almeno una decina di
salotti e un centinaio di altre sale.
Adoravo mio zio,
anche se lo conoscevo soltanto da un’ora scarsa. E lo adorai ancora di più
quando vidi la mia stanza. Per poco non caddi per terra.
Il letto era a
baldacchino, talmente soffice che sembrava stare su una nuvola e con dei
cuscini imbottiti morbidissimi. Non tardai a lanciarmi sopra a pesce, per poi
affondare in una piacevole sensazione di pace.
<< Ok. Hai
visto un po’ la casa>> disse Eridan, appoggiandosi alla porta intarsiata
in legno << Goditi questa pace, perché domani ti aspetterà un duro
allenamento! E ricordati che la cena è alle otto>>
Mi alzai a fatica,
poi raggiunsi l’armadio in legno bianco, il quale aveva raffigurato sulle ante
delle scene del mito di Apollo e Daphne, poi lo spalancai.
Dentro si
trovavano una miriade di vestiti, scarpe, accessori... il sogno di ogni donna.
<< Sarà
almeno la decima volta che me lo ripeti! Non sarà mica così faticoso!>>
scherzai, mentre mi dirigevo alla scrivania antica e di grande valore, posta
vicino alla porta.
<< Se mi
cerchi, sono nella sala grande, dove si terrà la cena>>
<< Ok... ok...>>
mormorai, guardando il calamaio colmo d’inchiostro.
Soltanto quando
chiuse la porta mi venne in mente un fatto: perché cena? Lui era un demone
completo, il cibo degli umani non lo saziava di certo.
Alzai le spalle,
noncurante della questione, poi mi stiracchiai e corsi verso il letto,
lanciandomi poi sopra. Si stava benissimo, sembrava trovarsi in Paradiso, anzi,
forse anche meglio.
Certo, c’era quel
fatidico addestramento, ma quanto mai poteva essere faticoso?
Fine Sesto
Capitolo!