Tutte a me, capitano
proprio tutte a me. Dicono sempre che sono uno sfigato,
a volte capita di crederlo a mia volta, come in questo caso. Questi erano i
pensieri che aleggiavano nella mente di Ron correndo
per tutti i corridoi di Hogwarts.
Si spostò una ciocca di
capelli rossi dalla fronte sudata e si appoggiò ad un muro per riprendere
fiato. Fu aiutato da Pizzie che per poco non lo
faceva morire d’infarto e quando il rosso cercò di dirgli qualche parola di riprovero esse rimbalzarono nella pentola che ricevette in
pieno naso. Un fiume di sangue iniziò a scendere interrotto. Si tastò in tasca, doveva fare pur qualcosa per arginare quel torrente
in piena. Ma niente fazzoletti. Portava tutti i giorni
come minimo quattro o cinque pacchetti di fazzoletti per i casi di emergenza, ma quel giorno li aveva usati tutti come carta
igienica, perché quest’ultima era stata usata un ora
prima per renderlo una mummia vivente. Allora fu costretto a ripiegare verso il
bagno più vicino, ma il più contiguo era unicamente femminile. Però non c’era tempo da perdere, stava creando pozze di
liquido rosso a terra, tanto che Harry passando di lì
per caso vi aveva inzuppato il dito e stava imbrattando i muri con quel
“magnifico rosso scarlatto” come l’aveva definito lui. Ma
lasciamo le vicende artistiche potteriane per tornare
al caro Ron che si stava avventurando in quella
sconosciuta stanza della quale mai si sarebbe sognato varcare la porta. E lì chi ci trovò? Salazar Serpeverde che stava guardando dentro
dalla porta semiaperta. Finalmente ne aveva
trovato uno.
“Alla
buon ora! Ma che diavolo stai…” E si bloccò,
accorgendosi della mancanza di rispetto che aveva portato verso uno dei
fondatori della sua scuola. Ma l’altro non parve
accorgersi di niente, ma si limitò soltanto a sibilare per zittire il
seccatore.
Qualcuno gridò il nome di Serpeverde e una signora un po’ rotondetta
si avvicinò minacciosa brandendo in alto la sua scopa. Alla sua vista l’uomo si
alzò in piedi e prese a fuggire il più lontano possibile. Improvvisamente Ron si ricordò del suo piccolo problemino
e si decise ad inoltrarsi in quell’incognito paradiso
igienico, ma si ritrovò incontro un’orda di ragazzette semivestite armate anche
loro di scope. Cercò di dribblare gli avversari e in un primo momento riuscì
nell’impresa finché qualcuno non lo colpì in pieno mento sdraiandolo in terra
privo di sensi. Non tutto il male viene per nuocere però, infatti
il naso dello sventurato aveva smesso di sanguinare. Il corpo inerte restò lì
per ore, mentre tutte quelle ragazze crudeli abbandonavano il
luogo incuranti del povero giovane.
Una mano
lo scosse lievemente la prima volta, poi lo scosse come un terremoto di
decimo grado della scala Mercalli, per questo picchiò
ripetutamente la nuca a terra. Si alzò lanciando qualche silenzioso insulto a
quel violento scocciatore. Appena aprì gli occhi si ritrovò di fronte un cesto di
capelli castani tutti spettinati: Hermione.
“Che
ci fai qui? Non si può entrare nei bagni femminili, non lo
sai? Bla bla…” La
paternale durò diversi minuti, ma per fortuna fu interrotta da una strana
esplosione provenente da uno dei tanti wc della
toilette. La ragazza si alzò e si diresse immediatamente verso il luogo
dell’incidente per constatare ciò che era accaduto.
“Harry!!!”
Il ragazzo dalla cicatrice
a forma di fulmine era stato sbalzato fuori dal bagno
in cui si era nascosto e si trovava disteso a terra con la schiena appoggiata
contro il muro. Il viso nero di fuliggine e gli occhiali rotti a terra, accanto
ad essi alcune bombe carta erano rotolate qua e là.
“Harry!!! Ancora quello scherzo?!?”
Si,
perché Harry negli ultimi tempi si divertiva così:
durante le noiose serate nella sala comune dei Grifondoro
si diletteva nel costruire bombe artigianali, il cui
metodo di realizzazione gli era stato dato da Fred e George, per poi andare a distruggere tutti i cessi della
scuola nella pausa tra una lezione e l’altra.
Devo sparire di qui, non
ho più voglia di sopportare quella rompiballe e quel teppistello
da quattro soldi, pensò Ron,
mentre iniziava a trascinarsi in avanti fino all’uscita della stanza. Appena
fuori si accasciò al muro per riprendersi da tutti quei dolori che si era
provocato in quel maledetto giorno e giusto che c’era estrasse i suoi cento
cornetti rossi dalla tasca e li strofinò per cercare di alleviare quella sfiga nera che aleggiava sulla sua testa.
Quel giorno era stato
davvero un inferno. Tutto era iniziato durante la
lezione del professor Vitius. Quel giorno avrebbero
imparato l’incantesimo per rallentare il tempo di oggetti
o persone. La formula era facile (“Tardo Temporum”) e i movimenti erano
eseguibili anche da una scimmia senza mani e piedi. Avrebbero dovuto
decelerare la caduta di un cuscino,
rallentandone il tempo. Naturalmente la prima a riuscire nell’incantesimo fu Hermione che, realizzata la magia, si divertì nell’eseguire
una danza tribale sfottendo la seconda della classe, che non riusciva mai a
superarla. Ron la guardò schifato, quella ragazza gli
dava proprio i nervi, non era solo la migliore della classe ma lo era anche nel
rompere al prossimo, e per evitare un simile spettacolo si esercitò a sua volta
nell’incantesimo e ci riuscì al primo tentativo, anche se fu travolto da una
montagna di cuscini che lo sommersero. Era stato il suo compagno di banco, il
contendente al primo posto del premio “Rompiballe dell’anno” insieme a Hermione, Harry Potter.
Mentre si liberava dalla caterva di cuscini, sentì un
sordo schianto percorrere tutta l’aula. Gli ci volle ancora qualche
secondo prima di liberarsi di quegli scocciatori e quando finalmente lo
fu si trovò immerso in una nube di polvere.
“Calmi,
ragazzi, calmi! Ci penso io!” fu una voce acuta
a parlare, probabilmente quella del professor Vitius.
Un caldo vento spirò nella stanza, finché tutto il fumo non si diradò. Ma qualcosa stupì tutti i presenti, qualcosa che mai si
sarebbero aspettati di trovarsi di fronte. Quattro persone stavano litigando
davanti ai loro occhi. Vide il professore muovere più volte la bocca senza
emettere alcuna sillaba, troppo incredulo per parlare. Anche
gli altri li riconobbero all’istante, lì avevano visti su tutti i libri di
scuola.
Un affascinante uomo dai
lunghi capelli neri e vestito con una tunica verde stava chino, cercando di
parare in qualunque modo i colpi di scopa portati da una donna un po’ rotondetta. Nel frattempo un colosso tutto muscoli e
vestito con pelli di animali esotici, tentava di
frenare quella piccola furia, ma nemmeno tutta quella forza residente in quel
corpo da vichingo riuscì nell’impresa.
“Sally, non ce la faccio!”
gridò il biondo palestrato al povero malcapitato, ma
questo si rivoltò verso l’amico offeso e pronto a ribattere:
“Non chiamarmi mai più
Sally” ruggì l’uomo dai capelli corvini. Ma non fu una
mossa azzeccata, abbassando così la guardia, il disgraziato fu colpito in pieno
dal manico della scopa. L’ira della donna tarchiatella
si placò e il suo viso riprese la normale espressione placida e gioviale.
Intanto la quarta persona,
una ragazza alta dai lunghi capelli biondi, tanto bella quanto acuta, si stava
guardando intornò, curiosa di tutto ciò che la
circondava.
“Qualcosa non va, qui”
concluse, passandosi una mano fra i soffici capelli. Allora, anche il vichingo
e la piccola donna si accorsero della cosa, l’altro non ne ebbe
l’occasione perché era disteso a terra privo di sensi.