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Autore: londonici    22/12/2012    3 recensioni
Hayley, sedicenne di Beverly Hills, sembra la tipica ragazza che mette il broncio giusto per essere diversa. Una grande passione per i Paramore e un gruppo di amici eccezionali la aiuteranno a superare i primi "piccoli" problemi della sua vita. Ma poi si aggiunge Hitch, un rapper diciannovenne di fama mondiale, e tutto cambierà all'improvviso...
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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[Piccola nota pre-capitolo conclusivo: questo è l'ultimo capitolo di "riot! riot! riot!". Per chi non lo sapesse, specifico che esiste un libro cartaceo di questa storia e che il seguito, "hitches", è anch'esso stato pubblicato in formato cartaceo. Esistono una pagina Facebook e un profilo Twitter dedicati alla "Riot! Saga". Pertanto, non pubblicherò nell'immediato subito tutti i capitoli del secondo libro, ma in futuro lo farò senz'altro. Buona conclusione!]



Domenica tolsi il gesso, finalmente. Dopo tre lunghissime ed estenuanti settimane, tolsi quel blocco bianco sporco.

Ma conservai un pezzo di quel gesso. Una cosa stupida, lo so, ma non volevo buttarlo via.

Erano passati pochi giorni dal fattaccio e le cose non sembravano andare meglio.

Adam mi evitava. Davvero.

Dove c'ero io, non c'era lui; e dove c'era lui, c'era atmosfera da “non voglio Hayley nei dintorni”.

Jamie non aveva ancora avuto modo di consegnargli la bottiglia: evitava anche lui. Evitava tutti, tranne le persone più insulse.

Come Dana, per dirne una.

Quella piovra era appiccicata a lui come una ventosa tutto il tempo. E anche Bree non era da meno. Sapevo bene come stessero le cose (e cioè che non le evitava perché così sarebbe riuscito meglio ad evitare me), ma non mi andava a genio che facessi la figura della demente. Dana stava gongolando troppo alle mie spalle, la cosa mi infastidiva parecchio.

Lara continuava a ripetermi che la poveretta era lei, visto che non capiva la situazione effettiva, ma io proprio stavo impazzendo.

Lunedì arrivai a scuola senza gesso, grazie al cielo. Le sette letterine tanto carine e speciali mi stavano distruggendo la sanità mentale. Era un bene non avercele più sotto al naso.

All'ora di pranzo mi diressi all'aperto, fuori dalla mensa. Non avevo fame.

Fissai il cielo un pochino nuvoloso, ma comunque luminoso. Che giorno era? Sedici ottobre, lunedì. L'indomani sarebbe stato martedì diciassette, che bello. Ma non era quello a preoccuparmi: venerdì venti sarei dovuta andare al ballo con Jamie, sotto gli occhi e i giudizi di tutti. Non ne avevo proprio voglia. Chissà, forse avrei potuto ricontrattare con Jamie, cercare una rivincita che mettesse tutto in gioco per una seconda volta.

Vidi un'ombra proiettata alle mie spalle che si estendeva oltre la mia. Passeggiò fino ad arrivarmi di fronte.

«Piccola Hayley, ciao. Come stai?». Jim stava fumando una sigaretta e mi squadrava come se avesse l'acquolina in bocca.

«Prima stavo meglio», sbottai acida. Non ero in vena.

«Intendi prima che Morrissey facesse il cattivone con te?». Rise crudele.

«No, intendo prima che la tua viscida presenza mi rovinasse la giornata». E giù con un'occhiataccia.

Si sedette vicino a me, così io mi allontanai un po'.

«Hayley, dimmi un po': con chi ci vai al ballo?». Ah, ecco il punto.

Sbuffai e mi alzai, scocciata e incazzata. Mi bloccò per il braccio.

«Niente gesso? Che bello. Sei bellissima. Però adesso siediti qui o te lo faccio rimettere, il gesso». Aveva un tono micidiale. Non ammetteva repliche.

Feci come mi aveva detto e lui mi lasciò il braccio accennando un sorriso soddisfatto.

«Con chi ci vai?», ripeté come se nulla fosse.

«Non so nemmeno se ci vado», bofonchiai fissando i ragazzi che passavano di fronte a noi. Erano troppo lontani per vederci.

«Ma sì che ci vai. Ti dirò di più: ci vieni con me, dai». Mi alzai di nuovo.

«Senti, Jim, non so cosa tu abbia nel cervello, ma se non fosse abbastanza evidente, io non voglio avere nulla – e ripeto nulla – a che fare con te. Devo spiegartelo meglio? Vuoi un disegnino? Con tutte le ragazze che puoi e vuoi avere, perché non mi lasci in pace? Perdi tempo tu, e lo fai perdere anche a me. Lascia perdere, Cristo Santo», dissi furiosa. Avevo parlato a macchinetta e non mi ero accorta che anche lui si era alzato per avvicinarsi a me, spingendomi contro il muro. Non rideva affatto.

«Mi stai facendo incazzare, Smithson», tuonò con una mano sul muro e con l'altra sulla mia spalla, «perché ancora non hai capito che con me non c'è scelta. Non sarà certo una testarda come te a mettermi in difficoltà. Sei una bella ragazza, forse un po' troppo contro corrente, ma adesso l'ho presa a cuore: ti dimostrerò che quando mi metto in testa una cosa, la ottengo sempre. Senza eccezioni. E, credimi, se ti dico che ti avrò, allora fidati che...».

Jim sparì dalla mia vista. Lo ritrovai a terra, accasciato ai miei piedi, senza preavviso.

Di fronte a me, Adam si teneva il pugno, stiracchiandosi le dita.

«Duro di comprendonio», sputò Adam. Si piegò e prese Jim dal collo, alzandolo da terra. Sotto la maglietta un po' larga che indossava, intravedevo i movimenti furiosi delle sue spalle. Ma non parlò con Jim, perché mi incenerì con gli occhi.

«E adesso vattene. Sparisci, presto». Aprii bocca per controbattere, ma lui fu più veloce. «Dio Santo, Hayley, quante volte dovrò ancora ripetertelo?! Vattene e lascia perdere».

Sentii un nodo in gola crescere in modo spaventoso. Così, traballando, feci un paio di passi indietro, guardandolo atterrita. Urlò di nuovo un “vattene, idiota” che mi fece scappare via a gambe levate, perché suonava fin troppo maligno. Finii in bagno a piangermi addosso, con le ginocchia al petto e i jeans bagnati di lacrime salatissime e amarissime.

 

«Dio mio, Hayley, stai d'incanto!», esclamò Lara entrando in camera mia. Mi stavo vestendo per andare a bruciare all'inferno. O al ballo, dite come volete. Sorrisi a malapena.

«Ti piace?», chiesi esitante. Feci un mezzo giro per mostrarle il mio vestito celeste a tubino, con bretelle sottilissime e cuciture nere. Stavo giusto finendo di cercare i giusti accessori.

«Se mi piace? Lo adoro!», urlò entusiasta. Guardai il suo vestito. Era nero e amaranto, molto sofisticato per i suoi standard. Era di velluto e le arrivava appena sopra il ginocchio, con la svasatura graziosissima. Stava proprio bene, aveva azzeccato sia trucco che accessori. Era una Lara diversa, quella che avevo davanti.

«Certo che anche tu non scherzi, sei una meraviglia», constatai. «E sono riduttiva».

Fu il suo turno di fare un mezzo giro, tutta sorridente. «Ti piace?». Il dietro era anche meglio del davanti.

«Come mai tutta questa perfezione in una sera sola? Chi devi intrappolare nelle tue grinfie?».

Arrossì. E io la guardai meglio.

Cosa?

Lara non arrossiva mai. Lara gongolava sempre quando si parlava di ragazzi. Lara parlava di ragazzi come merce da scambiare, non come cose imbarazzanti. Lara non arrossiva mai.

«COSA?!», gridai saltando sul letto a piedi nudi e precipitandomi verso di lei. «Dimmi tutto!». Sorrise imbarazzata. Le lanciai un cuscino.

«Ma non c'è niente da dire...», fece vaga afferrando il cuscino.

«Come no! Spara tutto. Avanti, chi è?».

«Hayley, smettila e finisci di prepararti, dai». Era rossa in modo inverosimile.

«Solo se prima mi dai le risposte che cerco». In quel momento suonò il campanello. E Lara diventò paonazza.

Mi ci volle un secondo. Uno solo. Giuro, uno solo. Perché, in effetti, se uno ci pensa bene, ci sono cose che due migliori amiche non possono proprio nascondersi. Pur volendo, è impossibile.

«Oddio, Lara, è Travis!», gridai a bassa voce, entusiasta e strabiliata. Fosse stato Jamie, me l'avrebbe detto prima lui di lei.

«HAYLEY!», mi sgridò zittendomi. Dovevo andare ad aprire.

«Torno subito», minacciai, «ma non credere di scapparmi così facilmente». A piedi nudi scesi le scale ed andai ad aprire, pronta solo per metà.

«Ragazzi», salutai guardando in modo particolare Travis, che fece una faccia strana ed entrò insieme a Jamie. «Tra cinque minuti sono pronta. Lara è al piano di sopra». Fissai intenzionalmente Travis quando pronunciai il nome di Lara e notai – con gioia incontenibile – che spalancò gli occhi in modo strano. Come avevo fatto a non accorgermene? Era così evidente e... carino! Era una cosa stupenda! E io non me ne ero nemmeno accorta...

Ah, già, avevo avuto un cuore distrutto a cui rimediare. Comunque.

«Allora aspettiamo qui», disse Jamie sorridendomi. Dalla faccia che aveva intuii che lui non sapeva niente delle tresche del fratello gemello. Annuii in fretta e salii le scale di corsa.

«Dicevamo», mi rivolsi a Lara maliziosa. Alzò gli occhi al cielo e sbuffò, ma non era tipa da segretezza assoluta. Avrebbe ceduto presto. Chiusi la porta e le andai addosso.

«Non dicevamo un bel niente!».

Le diedi una gomitata. «E dai, su. Sai bene anche tu che hai una voglia pazza di dirmi tutti i particolari. Sono tua amica, ammettilo: hai sognato di fare una bella chiacchierata su di lui con me, come nei film...». La guardai di sbieco. Stava retrocedendo sulla sua decisione.

«Daaai, su!». Feci gli occhioni. «Siete entrambi amici miei. E poi, so mantenere un segreto come questo, lo sai bene». Mi guardò intimorita, ma si stava fidando di me – come sempre. «Non sono una di quelle che parlano a vanvera. E poi, a chi chiederai consigli se non dici niente nemmeno a me?».

Sbuffò e alzò gli occhi al cielo. «E va bene!», si arrese.

«Sì, sì, sì!», esultai saltellando. «Allora... prima domanda: da quanto va avanti questa cosa?».

«Pochissimo. Nemmeno due settimane».

«Ah-ah». Annuii come una finta esperta. «E c'è reciprocità?».

Rise di gusto. «Altroché!».

Saltellai di nuovo. «Evvai! E, dimmi un po', cara... Avete già...?». Lasciai la frase a metà. Certo che sì.

Arrossì. E scosse la testa.

Lasciai cadere la mascella, restando inebetita per un paio di millenni.

«Non avete fatto sesso?!», urlai senza rendermene conto. Mi lanciò un cuscino con così tanta forza da farmi perdere il respiro.

«Cretina, non gridare! I gemelli sono al piano di sotto che ci aspettano, perciò faresti meglio a chiudere la tua fogna, rana dalla bocca larga, e a vestirti!», mi sgridò.

Chiusi la bocca e la guardai, impalata. Stavolta sussurrai, ma con lo stesso tono:

«Non avete fatto sesso?!».

Scandalizzata, mi rispose: «Okay, sarò anche una un po' facile, ma a volte capita anche a me di tenere le gambe chiuse». Si era offesa un po'.

«Significa che ci tieni sul serio, non è così? Se no, non avresti paura del suo giudizio». Non mi accorsi che quelle parole valevano anche per me.

«Ah beh, Bella Addormentata, allora lo sai anche tu. Buon giorno anche a te», mi canzonò. Mi trovai a rifletterci un attimo. Non mi andava affatto.

«Comunque sia, Lara, perché non me l'hai detto prima? Non mi hai raccontato un bel niente, mi sento offesa».

Inarcò le sopracciglia. «E cosa dovevo dirti? “Mi dispiace disturbarti nel bel mezzo della tua crisi da abbandono multiplo, Hayley, ma volevo solo informarti che io e Travis ci stiamo avvicinando”? Andiamo. Sii onesta. Non era il caso di fare le mocciose eccitate, no?». Contorsi le labbra, in silenzio. Poi incontrai gli occhi senza fondo di Lara.

«Già», ammisi a testa bassa. «Adesso mi preparo e scendiamo. Non voglio farti aspettare troppo».

Sorrise e mi abbracciò una spalla. «Grazie. Solo una cosa, però: fingi di non sapere niente, okay? Stasera voglio fare tutto, tranne che dare nell'occhio».

Mi strinsi nelle spalle. «E io voglio fare tutto, tranne che andare al ballo per rovinarmi l'esistenza».

Certo, non potevo sapere che quella verità mi fosse uscita di bocca nel momento più azzeccato. Quasi un presagio. Una frase così vera e premonitrice che, se ci penso oggi, mi viene ancora la pelle d'oca. Mi viene ancora la pelle d'oca. Sempre.

 

«Per la cronaca, sei uno schianto. Odio essere il tuo migliore amico, ma meglio il miglior amico che l'amico gay, comunque», borbottò Jamie seduto vicino a me. Sorseggiai qualcosa e finsi di non aver sentito.

«E io odio dover stare qui», ringhiai.

«Tante grazie, come sei gentile! Guarda che hai un fior fiore di accompagnatore, come osi non apprezzarlo?». Stavolta non potei evitare di ridere.

«Jamie, sai bene che non è per l'accompagnatore che non vorrei essere qui. Ancora non capisco come tu abbia potuto trascinarmi in questa anticamera dell'inferno. Uffa».

«Impara a giocare meglio a Guitar Hero, e se ne riparlerà».

«Avete imbrogliato. Mi avete distratta!».

«Ognuno ha i suoi metodi, cara».

Per un po' rimanemmo zitti a fissare la folla che si dimenava. Inquadrai Lara e Travis. C'era perfetta alchimia, beati loro. Distolsi lo sguardo perché non volevo dare troppo nell'occhio, come aveva detto Lara.

Qualche metro più avanti trovai Dana che sembrava in procinto di procreare pubblicamente con tre giocatori della squadra di baseball della scuola. Vicino a lei, Bree era intrappolata nella bocca di un amico di Jim. Sembrava un po' troppo su di giri. Che schifo.

In un angolo della palestra, Chris e Jess parlottavano con due ragazze. Riconobbi una delle due: era la biondina della festa di Eva, quella con cui Jess aveva voluto farmi “i dispetti”. Buon per lei, almeno se la stava spassando con un bellissimo ragazzo un po' cocciuto e decisamente troppo orgoglioso.

E pensare che mi aveva confessato di amarmi. Okay, era sbronzo, ubriaco perso, ma poi me l'aveva riconfermato. Non sapevo se contare la sua dichiarazione come valida o meno. Non aveva alcuna importanza, in ogni caso.

Non mi accorsi di aver puntato lo sguardo su di lui finché, girandosi, non mi sorprese a squadrarlo. Imbarazzata, accennai un saluto e guardai verso l'angolo opposto.

Dove trovai Adam.

Porca puttana, Adam. Adam. Adam, capite? Quello a cui avevo scritto un “non importa cosa sia successo, questa era destinata comunque a te fin dall'inizio – stammi bene” al collo di una bottiglia di patis.

«A proposito, già che ti sta fissando te lo dico subito: oggi pomeriggio sono riuscito a dargli la bottiglia. Comunque non credevo sarebbe venuto, aveva detto che voleva starsene per conto suo». Capii di chi stesse parlando Jamie dall'accento strano che mise sul “gli”.

«Deve aver cambiato idea», risposi stringendo i denti e voltando le spalle verso quello stronzo inumano. Non avrebbe potuto respingermi di nuovo se non fossi stata a portata di mano. Basta con il masochismo.

«Ehm, Hay, credo sia mio dovere avvisarti: sta venendo qui». Jamie si alzò senza troppe finzioni. Salutò con un cenno del capo e lasciò vuoto il suo posto.

Una chioma nerissima e due smeraldi limpidi si materializzarono al suo posto.

Non sapevo se esserne lieta o esasperata. Incazzata o delusa. Forse tutto. Io mi aspettavo Adam, non Jess. Non Jess.

«Non hai la faccia di una che si diverte», fece lui.

Scossi la testa guardando basso. «Proprio no».

«E allora che ci fai qui? Dimostri che non molli?».

«No, ho solo perso una scommessa sabotata dai gemelli». Sorridemmo entrambi, imbarazzati e silenziosi, in attesa del Big Bang. Qualcuno doveva pur accendere la miccia, buttare la bomba, gridare “si salvi chi può!”.

Non io.

«Credo che nessuno di noi debba essere qui», iniziò serio. «Intendo né io, né te, né lui».

Boom.

«No?», risposi a disagio. Mi bruciava lo stomaco.

«Ho un brutto presentimento. Insomma, tutte le volte che noi tre siamo nella stessa stanza succede il finimondo. È una catena di eventi spiacevoli, incomprensioni ed equivoci».

Boom!

«Ah».

«A questo aggiungi la mia... sottospecie di dichiarazione».

Si salvi chi può!

«Io non... Sì, insomma...», balbettai.

«Potresti almeno guardarmi in faccia quando mi parli? Per favore», mi chiese autoritario. Annuii e ricominciai:

«Jess, io non credevo saremmo arrivati a tanto. Mi dispiace, ma è tutto sbagliato. Magari, se quella casa di fronte alla mia fosse rimasta vuota, se fossi stata meno impacciata e stupida, le cose sarebbero andate meglio. Ma questa è la mia natura, ed io credo che se anche Adam fosse rimasto al posto suo e non si fosse mai trasferito, ci sarebbe comunque stato un motivo che ci avrebbe messi a dura prova fino a farci lasciare. Insomma, non voglio essere crudele, ma per me non funzionava proprio. E non sarebbe potuta funzionare in nessun modo. Chiamalo destino o come ti pare, io proprio non... Non era così che doveva andare e basta».

Mi guardò malinconico e pensoso. Infine sospirò.

«Grazie per essere stata chiara. Evidentemente sono destinato ad amori ben più atroci di questo».

«No, Jess, non hai capito cosa intendevo», tentai di fermarlo mentre se ne andava insuperbito.

«No, no, Hayley, ho capito perfettamente. Con me no, con lui sì. Sai, è buffo: tu non vuoi me, e lui non vuole te. Come ci si sente a essere me, eh, Hayley?».

Sbuffai, sentendomi impotente. Volevo aggiustare le cose, essere chiara almeno con lui, ma sembrava che non fosse serata. Proprio no. Tutto sbagliato.

«Sai una cosa? Vai, Jess, ne ho abbastanza. Mi dispiace non poter farti capire, ma pazienza. Sono stufa di te, di lui e di tutto quello che riguarda voi o questo posto». Presi la borsetta e gli lanciai un'occhiataccia piena di pena per lui – povero idiota – che non capiva che la mia era una resa, non un atto di superbia o il colpo di grazia. Non ero io quella che provava gusto a far male alla gente. Almeno, non apparivo così ai miei occhi.

Dopodiché, scossi la testa e me ne andai, nel momento esatto in cui anche lui pestò i piedi nella direzione opposta. Due bambini. Eccoci.

Mi diressi in bagno senza nemmeno rendermene conto. Aprii la porta con una spalla, entrando furiosa.

Dio, la gente sapeva essere così ottusa e frustrante. Dio.

Poggiai le mani sui lavandini e mi guardai allo specchio. Che faccia incazzata che avevo. Meglio darsi una calmata.

In quel momento la porta cigolò. Passi sgraziati e scoordinati irruppero nel bagno delle ragazze.

«Hayley, bella figliola, ciao! Come sei scopabile, stasera!». Perfetto. Ciliegina sulla torta. Fantastico. Jim.

«E tu ubriaco perso. Lasciami stare, Jim, giuro che stasera rischi grosso», ringhiai.

«Non sono ubriaco, diavoletta indomata». Rise sguaiato – e fu lì che capii che essere nel bagno (da sola) con un Jim che non era ubriaco, ma drogato, era davvero inopportuno. Molto inopportuno, soprattutto in una serata sfigata come quella.

«No, ti sei infradiciato il cervello...», constatai attenta. Tentai di arrivare il più possibile vicina alla porta.

«Per sbatterti meglio!». Rise di nuovo, stavolta più convinto di prima. Ruppe una bottiglia che aveva in mano e la usò a mo' di minaccia. «Dai, resta ferma qui dove sei, con me. Ancora un pochino e poi torniamo di là».

«Jim, non sei in te. Lasciami andare», dissi fingendomi risoluta. In realtà la sua espressione mi incuteva paura e timore. Stavo tremando di paura.

«Se no?». Allungò una mano verso di me e la scansai appena in tempo.

«Lasciami andare», sibilai senza sapere cosa fare.

«Se no?», ripeté più strafottente di prima.

«Ma vaffanculo», lo insultai dandogli uno schiaffo. Ne avevo abbastanza, era troppo. Sul serio, basta. Feci per andarmene, ma sentii una morsa ferrea proprio sulla vita. Dal volto deformato di Jim uscì un grido di rabbia mista a soddisfazione, mentre sentivo il pavimento sotto di me oscillare. Avevo perso l'equilibrio ed ero finita a terra, con la testa contro uno spigolo del muro. Solo una botta da nulla, ma mi aveva stordita.

«A me vaffanculo? A ME?!», urlò più di prima. Mi ricordava più un animale che un ragazzo. C'era un qualcosa di animalesco e bestiale in lui, probabilmente dettato dalla quantità enorme di droga che doveva avere in corpo. Possibile... Possibile che... si spingesse oltre? Volevo sperare proprio di no.

E invece mi sbagliavo.

«Jim, sta' fermo, Jim. Non intendevo...». Mi rialzai.

Non finii la frase, perché di peso mi tirò su e mi diede un pugno nello stomaco, così assestato e così violento da farmi mancare il respiro per qualche secondo. Subito dopo fu la volta della bottiglia rotta in testa – e stavolta sì che si aprì una ferita sullo zigomo.

Ero troppo spaesata e confusa per realizzare. Ero semplicemente incredula, nel vero senso della parola. Non potevo credere alla realtà, mi sembrava una specie di incubo che non riuscivo a mettere a fuoco.

Jim stava picchiando me?

Me?

E perché?

Non riuscivo a pensare, se quella bestia non mi lasciava un attimo di tregua. Schiaffi e strattoni si alternarono per parecchi secondi, interminabili, finché qualcosa di molto più agghiacciante si fece strada verso il mio cervello.

Il tubino celeste era stato strappato esattamente sotto la coscia. E Jim mi stava soffocando, non mi dava via di scampo, mi aveva stretta al muro, mi stava stritolando, non mi permetteva nemmeno di gridare o di piangere per la disperazione. Mi faceva male, ma male sul serio. Forzava e faceva un male cane. Volevo gridare, e non potevo. Volevo urlare e piangere, perché mi facevano male i polsi, il bacino, le gambe. Volevo gridare e...

E NON POTEVO.

Perché proprio non poteva essere possibile che stesse capitando sul serio. A me. Quella sera. I miei problemi... non dovevano riguardare Jim. Quel problema era troppo grande per me, ci doveva essere un errore.

Non era possibile che non riuscissi a dire una parola perché il sapore del sangue in bocca mi spaventava molto più della presa che con forza mi obbligava a fare ciò che non volevo, che non pensavo sarebbe mai potuto accadere a me.

Non riuscivo a credere che non avessi abbastanza forza da opporre un minimo di resistenza, non riuscivo a crederci e basta.

Non a me.

Solo qualche singhiozzo sommesso si faceva strada su per la mia gola, ma quella belva feroce riusciva a sopprimere anche quelli insieme alla mia dignità. Mi stava annullando.

E finalmente un grido ben netto squarciò quel falso silenzio.

Quella sera proprio no. Era sbagliata, era tutto sbagliato. Dovevo ascoltare il mio sesto senso, non dovevo peccare nel pensare “tanto a me non succederà mai”. Non dovevo andare al ballo e basta.

Tutto sbagliato. Tutto, tutto.

Anche la voce mi era uscita in modo sbagliato. Troppo reale. Troppo agghiacciante. Troppo e basta.

Io ero nel posto sbagliato, Jim aveva fatto la cosa sbagliata.

E Adam, dannazione, era arrivato nel momento più perfettamente sbagliato. Non doveva vedere quella scena sbagliata. Non doveva e basta. Non poteva.

Adam, dannazione, era arrivato nel momento più tragicamente sbagliato. E l'unica cosa che riuscivo a pensare, l'unica cosa che avevo il diritto e la forza di pensare, fu che non era giusto che stesse capitando a me.

Che stesse capitando sul serio a me.

Che quello scempio non finisse mai.

Che quello scempio non sarebbe finito mai.

Mai.

 

   
 
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