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Autore: Glory Of Selene    22/12/2012    3 recensioni
"Vai, vai, bellezza, il viaggio alla riscoperta del tuo passato comincia ora. E, chissà, magari imparerai anche qualcosa"
Cosa succederebbe se Tuomas e i Nightwish fossero trasportati in una favola, all'inseguimento di alcune delle loro vecchie canzoni?
Genere: Fantasy, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anette Olzon, Erno Vuorinen, Jukka Nevalainen , Marko Hietala , Tuomas Holopainen
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Era così veloce, la morte.
Anni, erano anni che sfumavano via, anni di pensieri, anni di emozioni, anni di esistenza. Persi in un attimo solo. Persi in quel momento in cui il respiro si mozza, gli occhi si sbarrano, il corpo si aggrappa debolmente a quello dell’uomo a cui era abbracciato pochissimo prima, nel disperato tentativo di trattenere tutti quei minuti, quegli istanti, di non vederseli sfuggire via proprio sotto gli occhi, come Marco si vedeva sfuggire via da sotto gli occhi la vita dell’unica donna che aveva amato (o si era ricordato di amare).
«No.»
Quanto terrore ci poteva essere, in un solo soffio?
Un secondo dardo gli sfrecciò a pochi centimetri dalla testa; arrivò una presa forte ad afferrarlo e trascinarlo giù, sul retro della casa.
Le sue mani cominciavano già a bagnarsi del sangue ancora caldo che sgorgava dalla ferita sulla schiena di Lisanna.
Marco levò lo sguardo su Jukka, di fianco a lui, e il pirata ne fu spaventato; non era cosa da tutti i giorni vedere gli occhi di un guerriero vichingo lottare contro le lacrime.
«Salvala.» disse semplicemente.
Il pirata esitò, indeciso. Doveva andare ad aiutare gli altri nel combattimento, o fermarsi lì nel tentativo di compiere un miracolo che, già sapeva, non sarebbe avvenuto?
Lanciò la propria piccola balestra ad Anette, che la prese al volo.
«Tu la sai usare. Fai fuori quegli stronzi. Uno per uno.»
Lei annuì.
Lisanna aveva il respiro spezzato e debole, troppo debole. Jukka la girò delicatamente di schiena e, dopo aver mormorato delle scuse, le estrasse la freccia con un movimento brusco. Lei gemette di dolore, e Marco non poté far altro che accarezzarle i capelli mentre il pirata esaminava la ferita.
«E’ mortale.» dovette dirgli alla fine.
Marco lo sapeva. Ne aveva viste migliaia, di quelle ferite, come avrebbe potuto non saperlo? Ma che cosa avrebbe mai potuto dire, quale mai avrebbe potuto essere la sua reazione, di fronte a quello?
In quel momento Lisanna aprì gli occhi.
«Marco…»
Era più debole del solito, la sua voce. Quasi inafferrabile, una brezza dalle parole troppo lievi, e pure, per essere capite dagli uomini, come quella che soffia tra le fronde degli alberi in primavera.
«Marco, io…»
Ma lui le fece segno di tacere.
«Piccole, dolci parole, fatte per il silenzio. Non parlare.»

Sweet little words made for silence. Not talk

Una lacrima cadde sul pavimento, ma a lui non importava. Le note gli erano uscite così, spontanee, non le conosceva, era sicuro, ma erano la cosa più dolce che gli fosse mai balenata in testa ed erano le uniche, davvero le uniche che, in quel momento, avrebbe potuto dire.
Lei sorrise.
«Continua a cantare… ti prego…»
Un’altra lacrima. Marco ignorò anche quella e prese fiato.
«Capelli scuri per cogliere il vento, non per velare la vista di un mondo freddo.»

Dark hair for catching the wind, not to veil the sight of a cold world

Lei sorrideva. Sorrideva, perché sentiva la vita scivolare via, ma lo faceva lentamente, e dolcemente, accompagnata dalla voce dell’uomo al quale, seppur per breve tempo, aveva voluto donare il proprio cuore.
Lentamente, lui le sfiorò le labbra con le proprie, prima di riprendere a cantare.
«Bacia, finché le tue labbra sono ancora rosse, finché lui è ancora in silenzio… Riposa, finché il petto rimane ancora intoccato, inviolato.» per un momento, solo per un momento, la voce gli si spezzò. Jukka non ebbe cuore di guardare oltre,  e se ne andò ad aiutare Anette, senza una parola. «Stringi un’altra mano, finché la mano rimane ancora senza strumento. Annega negli occhi, finché loro sono ancora ciechi...» si  chinò, ad accarezzarle i capelli. Era una cosa così fragile… come si poteva sopportare l’idea di vederla rotta… e non poterla riparare… «…Ama, finché la notte nasconde ancora un’alba abbagliante.» sussurrò.

Kiss, while your lips are still red, while he`s still silent
Rest, while bosom is still untouched, unveiled
Hold another hand, while the hand`s still without a tool
Drown into eyes, while they`re still blind
Love, while the night still hides the withering dawn


La vita di Lisanna si spense nel momento esatto in cui lo fece l’ultima nota della canzone di Marco.
Il guerriero si chinò su di lei e iniziò a piangere tutte le proprie lacrime.
Non c’era più alcun rumore nella radura.
Solo un vichingo e i suoi singhiozzi.

Marcò riuscì a scavarle una tomba; era sera, quando posò accanto alla terra che custodiva il corpo della sua donna i fiori trovati nel bosco. 
Lì rimase, inginocchiato, per tutta la notte. E il mattino dopo, quando Tuomas venne a trovarlo per dirgli che bisognava partire, e in fretta, perché non ci avrebbero messo molto in città ad insospettirsi per il mancato ritorno dei soldati, il guerriero lo guardò senza tentare di nascondere nemmeno una minima goccia del dolore che gli si leggeva negli occhi.
«Rimango con voi, se ti stai chiedendo questo.» gli disse. Aveva la voce roca di chi l’ha a lungo usata solo per piangere. «E’ solo la vostra amicizia che mi tiene in vita, adesso.»
Tuomas non osò dire nulla. Pochi minuti dopo erano in cammino.
Si fermarono solo quando, sfiniti, semplicemente non sarebbero più riusciti a mettere un piede davanti all’altro senza crollare a terra. Dapprima l’accampamento che montarono alla bell’è meglio nel mezzo di quella piccola radura fu solo un rimedio improvvisato, ma dopo due giorni divenne chiaro che sarebbe stato il loro nuovo rifugio. Un rifugio che, privo  di un tetto che avevano avuto troppo poco tempo sulla testa per poterlo assaporare appieno, vedeva nude e scoperchiate tutte le loro paure.

Jukka lanciò uno sguardo a Marco, e per la quattordicesima volta nella giornata meditò se andare da lui, a dirgli qualcosa, o lasciare perdere. Sembrava così… disperato.
Sospirò, e per la quattordicesima volta nella giornata decise di non andare da nessuno, a dire nulla. Sapeva riconoscere il punto in cui il dolore di un uomo diventava troppo profondo perché qualcuno potesse profanarlo.
Volse così lo sguardo verso Tuomas. Stava parlando con Anette, e lei aveva il volto tremendamente serio, e pallido. Come tutti, in effetti; il pirata ringraziava di non avere uno specchio in cui potersi vedere, perché era certo di avere un aspetto orribile.
Dopo qualche attimo di esitazione, si alzò per raggiungere Emppu. La presenza pacata e silenziosa di Lisanna mancava, mancava terribilmente. Come se si fosse appena rotto un equilibrio che in ogni modo avevano tentato di mantenere.
«Interessante quel tuo strumento, lì.» esordì, indicando la chitarra che il cantastorie imbracciava senza però sfiorarne una sola corda.
Il chitarrista abbozzò ad un sorriso timidissimo e per nulla convinto. «Grazie.»
Silenzio.
Jukka si schiarì la voce.
Silenzio.
«Non è che… così, per diletto… mi faresti vedere come si suona?»
Lo stupore di Emppu attraversò limpido i suoi occhi azzurri.
«Beh… certo» rispose infine il bardo.

Calò infine la notte sulla radura, e tutti andarono a coricarsi; era il terzo giorno che lo passavano lì, senza far nulla, solo a tentare di recuperare quelle forze e quella motivazione che dopo la morte della loro compagna avevano perduto.
Era, sì, una notte terribilmente scura: le nuvole che coprivano il sorriso argenteo della luna sembravano una cupola nera come un abisso, nera come gli occhi dell’Imperatore che non sapevano se li stesse spiando o meno. Quante cose oscure potevano compiersi in una notte così buia…
Anette aprì gli occhi quando sentì che era giunto il cuore delle ore notturne. Non aveva mai dormito.
Si mise in piedi, badando bene a non farsi sentire; i suoi passi avevano la leggerezza della più delicata tra le dame, e la pericolosità di una pantera in caccia.
Tuomas era di guardia. La testa era appoggiata al tronco di un albero vicino a dov’era seduto, doveva essersi assopito, cosa davvero incosciente, quando chiunque avrebbe potuto assalirli. Anette osservò da dietro i suoi capelli neri senza mostrare minimo segno d’emozione sul volto di pietra. Sguainò il pugnale.
Non un baluginio, una scintilla, niente di niente, in quelle tenebre senza luna né stelle anche la lucida lama di un coltello affilato per uccidere riusciva a non gridare la propria sentenza di morte.
La maschera impassibile che Anette si era calata sul volto non si incrinò mai, nemmeno quando la piratessa colpì la nuca del compagno più forte che poté, lasciando che si afflosciasse a terra come un burattino privato dei fili.
La donna ringuainò lentamente il pugnale, che aveva usato dalla parte dell’elsa, e mise mano alle corde che portava alla cintura.

Jukka riemerse dal sonno poche ore prima dell’alba.
La prima cosa che gli venne in mente, fu che Tuomas non l’aveva svegliato per il turno di guardia.
Si strofinò gli occhi, nel tentativo di scuotersi dal torpore del sonno – sapeva che non sarebbe più riuscito a dormire –, ed osservò la radura attorno a sé.
Tuomas e Anette mancavano.
Si alzò, preoccupato.

«Ehi, voi.»
I soldati si girarono, e quello che videro fu uno spettacolo a dir poco singolare. Una donna vestita e armata da uomo, che trascinava di peso qualcuno con le mani legate dietro la schiena e il capo coperto da un cappuccio nero.
Si scambiarono un’occhiata dubbiosa l’un l’altro, poi uno dei due avanzò d’un passo. «Che cosa volete?»
Per tutta risposta lei spinse a terra il prigioniero, che cadde in ginocchio con un gemito strozzato. Poi si avvicinò a loro, e aprì sotto i loro nasi un foglio piegato e ripiegato più volte.
Ricercato, c’era scritto, sopra il ritratto di un uomo dai capelli lunghi e neri, e poi ancora: Due sacchi di monete d’oro a chi me lo porterà. Vivo. Rigorosamente vivo.
Allora si fece avanti anche il secondo. «Vediamo.» il suo fu quasi un ringhio. Strappò rudemente il cappuccio dalla testa dell’uomo che volevano spacciare per il ricercato, e lo confrontò con il ritratto che avevano.
Tuomas non capiva più nulla. La testa gli doleva in una maniera pazzesca e il mondo attorno a lui girava così tanto che avrebbe dovuto reggersi su Anette per camminare anche se lei non avesse deciso di trascinarselo appresso.
«E’ lui.» stabilì la prima guardia, prima di afferrarlo per un braccio con forza, ma venne subito fermata dalla lama di Anette puntata alla sua gola.
«I soldi.» disse lei, solo. Poche parole, molto più esplicite di qualsiasi discorso.
I soldati sogghignarono. «Sta’ calma, bellezza». Alzarono il telo che copriva il carro che stavano scortando, scoprendo una fortuna in oro, dalla quale prelevarono due sacchetti di cuoio per poi lanciarli alla piratessa. «Ti fidi?» chiese uno di loro quando lei li prese al volo.
Anette esitò per un attimo, poi se li appese alla cintura con un cenno d’assenso. «E’ stato un piacere fare affari con voi.»
Le guardie non si persero in saluti; trascinarono Tuomas fino al carro, dove lo tramortirono una seconda volta e lo gettarono insieme ai sacchi d’oro.
«No!»
Si udì un grido da lontano.
Si voltarono tutti verso l’inizio della foresta, e lì videro un uomo dal volto stravolto e angosciato, che correva a perdifiato verso di loro. Anette sbiancò.
«Che cosa state facendo? Che cosa diavolo state facendo?!» gridava Jukka.
«E quello chi è?» domandò uno dei soldati.
«Nessuno, ecco chi è; solo un folle e un vaneggiatore, che vaga per la foresta preda delle illusioni che gli spiriti verdi gli spacciano come vere, per burlarsi della sua mente debole.»
«E’ pericoloso?» chiese l’altro.
«Ma assolutamente! È un povero vagabondo. Ci penserò io a lui.»
«Benissimo.» si affrettò a dire il primo, liquidando la faccenda con un gesto della mano. Evidentemente si erano attardati anche troppo. Spronarono i cavalli, e il carro ripartì lungo il sentiero.
Jukka correva più veloce che poteva; Anette rimaneva ferma ad aspettarlo.
«Anette! Cosa fai! Aiutalo!»
La donna non disse nulla.
Lui la guardò, confuso, disperato, non voleva credere a quello che aveva visto, ma non c’era tempo, la superò, sempre di corsa, inseguì i cavalli, senza volersi fermare, fino a quando le gambe fossero riuscite a reggerlo. Era troppo lento però, e stremato, e solo, non gli ci volle molto per crollare a terra e  lì rimanere, ansimando forte.
Passarono i minuti, lui a terra, lei a guardarlo impassibile.
«Dammi una spiegazione. Ti prego.» disse infine lui.
Tutto quello che fece lei in risposta fu gettargli a pochi centimetri dal viso i sacchetti di monete che aveva guadagnato.
In quell’istante sopraggiunsero, trafelati, Marco ed Emppu.
«Oh, grazie al cielo siete qui!» esclamò il bardo.
«Ma dov’è Tuomas?» chiese Marco, subito dopo.
«Che cos’è successo?» aggiunse il chitarrista.
Jukka si coprì il viso con una mano. Non aveva nemmeno la forza di rialzarsi in piedi. «…Tradito.» fu l’unica cosa che riuscì a dire.

Tuomas fu svegliato da un attacco di mal di mare.
Sarebbe stato impossibile, dopotutto, non farselo venire rinchiuso in quel carretto, che ondeggiava precario lungo la strada, sussultando ad ogni minima irregolarità del terreno; anzi, i soldati sembravano investire apposta tutti i sassi e le buche possibili pur di aumentare la tortura alla quale era sottoposto.
Tralasciando il dolore alla testa quasi insopportabile, le mani legate dietro la schiena le sentiva quasi del tutto atrofizzate e le corde avevano già provveduto a ferirgli i polsi, piccole ferite che non potevano che allargarsi dato che i lacci continuavano a sfregarvisi sopra. Per non parlare del dolore alla schiena che gli si propagava lungo la spina dorsale come una scarica elettrica ogni volta che il carretto sobbalzava bruscamente (cioè sempre), del quale aveva paura a scoprire l’origine.
Chiuse gli occhi, e sospirò. Doveva calmarsi. Aveva paura. Ma doveva calmarsi. Subito, nel buio, gli si materializzò davanti la scena un uomo e una donna seduti l’uno davanti all’altra, a parlare.
«Mi stai chiedendo troppo, Tuomas. Troppo.»
«Ti prego! Devo entrare in quel castello, devo!»
«Lascia allora che organizziamo un altro piano d’attacco.»
«Quello che è fallito era  il migliore che potessimo escogitare. E poi, anche se funzionasse, quale prezzo dovremmo pagare? Abbiamo già perso Lisanna.»
«Appunto!». Lui aveva visto  occhi accendersi di fervore. «Appunto! Ed è stato atroce! È stato atroce perdere lei, non venire a raccontarmi il contrario. Per questo non posso permettere che muoia anche tu.»
«Non morirò». Aveva cercato di metterci tutta la convinzione possibile.
«Sì, invece. Da soli non si esce da quel castello.»
«E’ l’unico modo che abbiamo per andare avanti». Quella volta lei non aveva replicato nulla. Incoraggiato, aveva continuato: «Aiutami, ti prego.»
«Vacci da solo, a morire! Che bisogno hai di me?» aveva sbottato lei.
«L’Imperatore si insospettirebbe se mi autoconsegnassi alle guardie. E poi… io…». Aveva abbassato gli occhi. Gli costava molto ammetterlo. «…Io non so se ne avrei il coraggio.»
C’era stato silenzio per molto tempo.
«Così chiedi a me di averne per te.»
Tuomas non aveva potuto nascondersi davanti a quell’accusa così sinceramente vera. «…Sì.»
Silenzio.
«Chiedilo a qualcun altro. Non posso farlo.»
«Tutti gli altri cercherebbero di fermarmi.»
«Se morirai, sarò io ad averti ucciso, mi capisci?»
«Non morirò! Distruggerò lo scrigno e fuggirò con una magia. Sostieni la recita solo qualche giorno, e poi tornerò.»
«Non sei l’unico a saper padroneggiare la magia. E l’altro in questione lo fa da molto più tempo di te.»
Per alcuni minuti lui non aveva più saputo cosa replicare. «Ce la farò» era stata l’unica cosa che gli era sembrata almeno lontanamente dignitosa.
Anette si era nascosta il volto con le mani.
«Non mi perdoneranno mai.»
«Grazie.»
«Non mi perdonerò mai.»
Un altro violento scossone lo strappò bruscamente ai suoi ricordi.

«Dimmi che non è vero.» mormorava Emppu, una mano sulla bocca, sotto uno sguardo smarrito e confuso.
«Ma come hai potuto, Anette?! COME!»
La furia di Marco era molto simile a quella di una fiera ferita e accecata dal dolore.
«Almeno, parla!» intervenne Jukka. «Nega! Difenditi! Fa’ qualcosa!»
«Oh, non fare lo stupito, adesso, Julius!» sbottò lei. «Noi siamo pirati.» sibilò poi.
Il batterista si alzò, per la prima volta. Per la prima volta lo videro veramente arrabbiato.
«Tu non sei mai stata come gli altri. Ti ho seguita per questo.»
«Forse non mi hai mai conosciuta. Succede, sai?»
«Le Annunciatrici.»
Si bloccarono tutti di colpo.
Marco stava osservando le fronde degli alberi. La sua espressione era strana, un misto tra il disperato e l’intimorito, era quella di una persona che ha già sopportato troppo e si domanda cos’altro le sarà dato da aggiungere alle proprie pene.
Anche gli altri spostarono lo sguardo, e videro emergere dagli alberi quattro eteree figure, che splendevano nel loro candore. Parevano uno strano incrocio tra un cigno e un sottilissimo corpo femminile; le loro ali sprigionavano una luce bianca e il loro volto, troppo umano per essere quello di un uccello, ospitava un paio di occhi liquidi che era chiaro appartenessero ad un altro mondo.
Stavano lì, ad osservarli, senza dire nulla.
«Che cosa sono?» sussurrò Emppu a Jukka.
«Sono creature onnipresenti. Viaggiano in qualsiasi epoca passata e futura in un solo istante del presente, e assistono a qualsiasi fatto che accade, è accaduto o accadrà.»
«Le chiamano Annunciatrici», intervenne Marco, «perché talvolta si manifestano e lasciano dei messaggi. Nessuno sa perché lo facciano, né con quale criterio scelgano le persone a cui apparire. Molti sostengono sia il caso a decidere.»
E, appena lui ebbe smesso di parlare, la prima Annunciatrice aprì la boccuccia stretta. Le altre fecero lo stesso.
Era un coro splendido, eppure mostruoso. Astratto, eppure vicino. E cominciava con due sole parole.
La Fine.

The End.

Il compositore è morto.
La lama si abbatté su di lui,
portandolo nelle bianche lande 

The songwriter’s dead.
The blade fell upon him,
Taking him to the white lands 

Of Empathica…
…Of Innocence…

Il significato era chiaro a tutti. 
 

Empathica…
…Innocence… 

Il coro si spense così. Tempo di un battito di ciglia, e loro erano già sparite. Solo l’eco del loro canto permaneva.
E la consapevolezza, quella consapevolezza gonfia e dolorosa tipica delle cose inevitabili.
Anette si nascose il volto con una mano, per evitare che gli altri vedessero il suo pianto, mentre mormorava: «L’ho ucciso.»
Marco si voltò di scatto e urlò, urlò via tutto quello che provava.
Emppu sobbalzò spaventato. «Ma, perché? Il futuro può cambiare, quello che loro hanno detto… non è certo…»
La sua voce si affievoliva man mano che anche la sua convinzione lo faceva.
«Quello che loro hanno detto è certo. Perché loro sono onnipresenti. Loro… c’erano.» gli occhi di Jukka erano vuoti mentre parlava. «E loro lo hanno visto.»

Com’era diversa l’accoglienza che gli riservavano gli abitanti della Capitale, ora che brandiva catene al posto di un paio di torce infuocate! Riusciva a rimediare solo sguardi di disprezzo adesso, sguardi di paura, persino di odio. “Vieni via”, dicevano le donne ai loro figli.
Il percorso fino alle porte del palazzo non fu certo un trionfo, ma a lui non interessava della popolarità, non era il suo mondo, quello. E poi, uno dei vantaggi della consapevolezza della propria morte imminente era che se ne poteva infischiare di tutto quello che la gente avrebbe detto o fatto.
Rimanevano solo lui, l’Imperatore, quello scrigno. Quel salone enorme, reso grottesco dall’eccessivo sfarzo.
La figura dell’Imperatore comparve, in alto, come la prima volta che l’aveva visto. Non poteva vederne il volto, ma sapeva che stava sogghignando, come in ognuno dei suoi incubi peggiori. Stava per dire qualcosa, ma Tuomas sapeva che non doveva dargliene il tempo. Non poteva permettere che quella voce aumentasse il panico che cercava di attecchire alle pareti del suo cuore impazzito.
Si guardò angosciosamente intorno.
Lo cercava, cercava lo scrigno. Era sicuro che, dopo il tentativo di furto di Anette, l’Imperatore l’avesse spostato, l’avesse messo in un luogo vicino a sé. Non sapeva il perché, ma ne era assolutamente certo.
No, non c’era, maledizione, non c’era!
E se si fosse sbagliato? Se l’avesse messo, invece, all’interno dei suoi appartamenti? Sarebbe stato più logico. Era stato così sciocco! E adesso, sarebbe morto per nulla.
Lanciò l’ultima occhiata all’unico luogo che non aveva guardato, il trono. Troppo eclatante, troppo evidente per essere preso in considerazione.
Il suo cuore perse un battito.
Eccolo.
All’improvviso, i soldati che lo tenevano per le braccia cominciarono a gridare, preda delle sue illusioni, e mollarono bruscamente la presa. Doveva fare in fretta. Individuò subito la lama di una spada spuntare da sopra uno scudo appeso al muro; pochi attimi, e le corde che gli avevano martoriato i polsi giacevano a terra, recise.
L’Imperatore balzò in piedi e puntò una mano verso di lui.
Tuomas accelerò. In un momento era davanti allo scrigno.
Solo un istante, solo un istante di esitazione. Poi lo prese in mano.
Era liscio e freddo al tatto; si era aspettato un qualsiasi tipo di magia, ma quello rimaneva docile nella sua mano, sembrava quasi, anzi, che smaniasse per essere aperto. L’incantesimo dell’Imperatore lo colpì allora, ma s’infranse su un lampo argenteo che comparve a proteggere l’illusionista. E lui non se n’era nemmeno accorto.
Aprì lo scrigno, con facilità.
Dentro c’era solo un lucchetto, piccolo, dorato, in contrasto con l’argento di ciò che lo custodiva. Chiuso.
Si chiese come avrebbe fatto ad aprirlo. Lo rigirò in mano, finché una folata di vento non lo distolse dai suoi pensieri, e non si ritrovò il fantasma di Tarja a pochi centimetri da sé.
Lei ancora non parlava, ma gli posò una mano sul cuore. La tasca del suo abito, che si trovava esattamente in quel punto, si rigonfiò. Tarja sparì in un soffio.
Con il cuore che batteva all’impazzata, Tuomas prese la chiave dalla tasca e fece scattare la serratura del lucchetto.
Un solo clack, e tutto si sciolse nelle sue mani. Lo scrigno, il lucchetto, la chiave, tutto divenne acqua, che si riversò sul pavimento.
Fu allora che tornò con la coscienza al luogo in cui si trovava; e soprattutto, all’urlo di rabbia  che aveva lanciato l’Imperatore.
Il cuore di Tuomas si riempì di spavento. Come uscire?
Vide l’Imperatore saltare giù dalla balaustra per raggiungerlo nel salone. Si sarebbe ammazzato, da così in alto, ma al tastierista non importava. Cominciò a correre, verso il portone che gli sembrava d’un tratto lontanissimo.
L’Imperatore si fece spuntare un paio d’ali e planò rapace su di lui, fino a sbarrargli la strada.
Tuomas si fermò di botto, e lì tutto si congelò. C’era spazio solo per quell’unico confronto di sguardi.
L’Imperatore aveva gli occhi neri come gli abissi del mare, e un pizzetto curatissimo come unico segno di barba sul volto. Aveva lunghi capelli corvini, legati in una coda di cavallo. E i lineamenti del suo viso, uno specchio perfetto di quelli del compositore stesso.
«Tu… tu sei…» balbettò Tuomas, atterrito.
«Io, d’ora in poi, sarò il tuo incubo peggiore.» gli rispose quella terrificante versione di se stesso.
Sì, perché era quello l’Imperatore, Tuomas non poteva sbagliarsi, a parte gli occhi era lui, era completamente lui, dalla testa ai piedi; ma lui solo pareva accorgersene.
Qualcuno lo afferrò per le braccia; lui non li sentì nemmeno.
«Smettila con questa messinscena!» gridò invece, terrorizzato. «Mostrati con il tuo vero volto, non cadrò nelle tue illusioni!»
Sul viso dell’Imperatore si disegnò un ghigno. «Povero Tuomas. Cominci già a delirare, senza essere stato un giorno solo in fondo ad una delle mie prigioni.»
Le guardie lo trascinarono via. Il tastierista continuava però a guardare in quegli occhi neri, così orribili, incastonati nel proprio stesso volto.
«No… non può essere…» continuava a farfugliare.
«Ma ci sarà tempo per questo. Rimpiangerai di avere mai varcato quella soglia, Tuomas.»
Ormai il prigioniero era già scomparso.
«Lo ucciderete, Signore?»
L’Imperatore non guardò l’uomo che gli aveva posto quella domanda. Sospirò, invece.
«Ah, la morte.» rimase per un attimo assorto.
Poi i suoi occhi sfolgorarono. «La morte… Quella arriverà per ultima.»









Ciò che dice l'Autore
Buon Natale!!
Allora, avrei tante cose da dire su questo diciassettesimo, ma tanto so per certo che me ne dimenticherò qualcuna. Ho voluto all'inizio approfondire la morte di Lisanna perchè, pur essendo stata un personaggio marginale, ha lasciato il suo segno indelebile (soprattutto nel cuore di Marco :3) e non avrei mai potuto non renderle giustizia con una morte come Dio comanda. E sono soddisfatta di come sono venuti i suoi ultimi istanti; secondo me, WYLASR è perfetta per quel momento, anche se so che è stata scritta per un contesto ben preciso e suppongo che abbia in realtà un significato completamente diverso... beh, almeno, non così letterale (ebbene no, non ho visto il film, chiedo venia).
Arriva poi lo pseudo-tradimento di Anette! All'inizio ho avuto dei dubbi se metterlo già in questo capitolo, dato che sarebbe venuto molto pesante con due fatti così scioccanti, una morte e il tradimento di un'amica, però poi ho pensato che scrivendo un intero capitolo dedicato solo al dolore di Marco avrei definitivamente ucciso la vostra pazienza e la vostra voglia di continuare a leggere questa storia. Sarebbe stato, in poche parole, una palla colossale xD Spero che vi sia piaciuto lo stesso questo chap.
Ed ecco un altro (il secondo) evento shock della giornata: l'aspetto dell'Imperatore agli occhi di Tuomas. Riguardo a questo non posso dire altro se non che ne sono sempre stata entusiasta (mi esalto con poco io), e che non è possibile che su facebook mi abbiano sgamato anche questo colpo di scena! Ma io dico! A quanto pare sono proprio prevedibile. Ho pensato per questo di accantonare l'idea e lasciare che avesse un aspetto più ordinario diciamo, ma poi mi piaceva troppo e non ho resistito alla tentazione di lasciarlo.
E... mi sono accorta adesso di aver scritto delle note più lunghe del capitolo stesso xD Complimenti, se vi siete letti tutta la spataffiata!
Auguri di buone feste :DD
Glory.

PS: L'immagine, per chi non l'avesse capito, è un mio tentativo di rappresentare l'Imperatore xD Volevo prendere una foto di Tuomas ma è inutile... Non c'è nessuna sua immagine abbastanza cattiva, è sempre troppo dolcioso ** (sono malata e lo so.)















  
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