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Autore: Saliah    09/07/2007    0 recensioni
Qualche secolo fa, a sud d'Italia, per il compleanno del cugino marchese Messore, il duca Giulio Amato decide di offrirgli come dono una contadina da utilizzare come più gli sarebbe parso comodo; tuttavia, le cose non sembrano andare come da lui previsto...
Genere: Generale, Romantico, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Premetto che i luoghi, in primo piano, come i ducati o le contee che vengono citati non sono mai esistiti veramente nei luoghi indicati; di conseguenza anche il resto. Ogni nome è messo puramente a caso e non si riferisce a nessuno.

BREVE INTRODUZIONE

Ci fu un'epoca in cui i nobili erano ricchi e avevano l'abitudine di cedere il proprio titolo e i propri diritti ai loro figli. In quest'epoca, nel XVI-XVII secolo si svolge una storia, una storia che parla d'amore, di tradimento, di gelosie, di amicizia, di lealtà, di morte, di tutto. I protagonisti sono ragazzi compresi tra i venti e i trenta anni, giovani al tempo d'oggi, ma abbastanza grandi allora da poter gestire ducati, contee, marche. Per la precisione, questa vicenda si svolge a sud d'Italia, alla punta dello stivale, nel Regno di Napoli, in una piccola cittadella che affacciava sul mar Ionio, in una delle tante residenze di un nobile.

PROLOGO

Il sud d’Italia era un tempo un territorio suddiviso nelle mani di quattro famiglie nobili potenti, imparentate fra loro. Esse erano: la famiglia Amato, la famiglia Gerardo, la famiglia Girimonte e la famiglia Messore. Le prime due, essendo le più prestigiose, possedevano maggior territori, poiché i loro eredi, Giulio Amato e Damiano Gerardo, erano entrambi duchi, contrariamente alle altre due famiglie che avevano come eredi il conte Giulio Girimonte e il marchese Giulio Messore.

Era autunno, il nove ottobre e il giorno seguente sarebbe stato il giorno di compleanno del marchese Messore. Tutti i cugini si erano radunati per l'occasione al castello del duca Giulio Amato, dove avrebbero soggiornato per un po' di tempo. Le cameriere stavano addobbando tutto il maniero con fiori e fasci colorati per il ventunesimo compleanno del marchese, mentre i cugini cercavano di trovare un regalo adeguato per lui. Quello che aveva le idee più chiare di tutti a riguardo era il duca Amato, che aveva già trovato un regalo e ne discuteva con il cugino duca Gerardo nella sua camera.
Lui, Giulio, era un ragazzo di ventuno anni, alto, dalla carnagione scura, gli occhi castani e i capelli corti e neri. Era abbastanza attraente, infatti molte duchesse ambivano a diventare sua moglie, nonostante lui non ci badasse. In quel momento stava di fronte la grande finestra mentre Damiano stava sdraiato comodamente su una poltrona alle sue spalle a fumare una pipa, benché fosse la prima volta che lo facesse, e a fissarlo. Quest'ultimo nominato era anche un ventunenne, più grande di Giulio di due mesi, abbastanza alto, con gli occhi azzurri e i capelli riccioluti e castano chiaro.
I due cugini, oltre che d'aspetto, erano opposti anche nel carattere: mentre Giulio era una persona solare, che amava ridere e scherzare, Damiano era più un tipo saccente, a cui piaceva considerare tutti inferiori a lui e che si trovava a suo agio a dettare leggi e soprattutto era un gran donnaiolo.

"Come sei riuscito a trovarne uno così?" domandò il duca Gerardo curioso.
"Conosco bene mio cugino" disse il duca Amato. "Molto meglio di te visto che ho passato con lui molto più tempo di quanto ne abbia passato tu. Sono sicuro che ne sarà felicissimo!".
"A mio parere" disse Gerardo scostandosi un ciuffo riccio dagli occhi. "Potrebbe essere inutile... cosa dovremo farcene di una moglie quando abbiamo già delle bellissime cortigiane?".
"Io invece non credo tu abbia capito... non gliela regalerò come moglie, ma come serva personale. Lui avrà il diritto di precedenza su di lei rispetto chiunque altro e poi sono certo che ne sarà lieto perché ha tutte le caratteristiche che gli piacciono.".
"Se lo dici tu... sono curioso di sapere che aspetto ha allora!" esclamò divertito Gerardo posando la pipa su un tavolino affianco la poltrona e abbozzando un ghigno.
"La vedrai soltanto alla festa di domani sera!" esclamò a sua volta Amato. "Nessuno sa chi sia, né che aspetto abbia... non cercare di scoprirlo!".
"Tranquillo cugino! Io ho più pazienza di tutti in famiglia!" lo tranquillizzò Damiano mentre si alzava per uscire dalla stanza.
"Damiano!" lo chiamò Giulio e quello si fermò voltandosi. "Mantieni la parola!".
"Certo, certo!" disse Damiano. "Non sono uno che si vanta dell’atto che una contadinella venga regalata a un membro della mia famiglia! Sarebbe una vergogna! Ti suggerisco di farla passare per una più importante!" e finita la frase, chiuse la porta alle sue spalle.
Il duca Amato rimase impassibile alle parole del cugino. Lo reputava un tipo troppo superficiale e soprattutto che si lasciava condizionare parecchio dall'opinione altrui. Mentre pensava a tutto questo, osservava dalla sua finestra la ragazza di cui stava parlando prima.

CAPITOLO 1 LA CONTADINA DELLA CITTADELLA

Capelli castani, mossi, lunghi fino alle spalle; occhi all'apparenza azzurri ma cangianti come il colore del cielo: questa era Maia, la contadina della cittadella, che dalla proprietà del duca Amato sarebbe passata in quella del marchese Messore.
Mentre il duca Amato la osservava dalla finestra della sua stanza, lei era appena uscita fuori dal panificio e stava parlando con il fornaio Cecco, un ragazzo dai capelli, gli occhi marrone scuro, poco robusto, che conosceva da molti anni, e con sua sorella Asia, una ragazza poco più piccola di Cecco dai capelli corti e biondo scuro e dagli occhi castani, che conosceva Maia dallo stesso tempo del fratello e che dava una mano a dirigere l'attività.
"Se domattina riesci a passare prima posso darti il pane fresco prima che quelli del castello lo prendano tutto!" le disse Cecco. "Sai com'è... i nobili ci tengono che per le feste di compleanno prendano loro le cose migliori, ma posso conservarti almeno una pagnotta!" aggiunse facendo l'occhiolino. Cecco era il classico ragazzo burlone dalla battuta pronta a cui piaceva dare ogni tanto uno strappo alla regola; avrebbe conservato la pagnotta per darla a Maia in segno della loro amicizia, nonostante avesse l'ordine di portarle tutte a palazzo.
"Grazie!" lo ringraziò Maia. "Se ci riesco passerò! Ora devo andare, ci si vede!" salutò poi e si diresse verso la strada per casa sua, mentre Asia e Cecco la salutavano con la mano.
Intraprese la stradina principale della cittadella, poi imboccò un vicoletto a destra. La sua casa era situata proprio accanto alla porta delle mura della città e lì Maia ci viveva da sola da un paio d'anni, dopo la morte della sua mamma adottiva, una simpatica vecchietta di nome Rosina. Passò per la stradina dove c'erano varie vecchiette sedute a gruppetti che lavoravano a maglia e nel frattempo parlavano tra loro. Alcune osservarono Maia parlandole alle spalle, altre invece la salutarono, trovandola simpatica ed essendo affezionate a lei, siccome la conoscevano fin da quando era piccola.
Arrivata poi davanti casa, Maia aprì la porta di casa ed entrò dentro. Posò il pane che aveva comprato poco prima al forno in uno stipo, successivamente andò nell'altra unica stanza della sua casa (perché era formata solo da due stanze), quella in cui dormiva, per prendere un cesto che si trovava sul suo letto fatto di paglia avvolta in un lenzuolo. Il cesto conteneva biancheria sporca che Maia sarebbe andata come ogni giovedì (perché quel giorno del 9 ottobre era proprio un giovedì) della settimana a lavare al fiume.
Uscì quindi nuovamente di casa e s'incamminò fuori le mura, presso il boschetto vicino che i cacciatori chiamavano Cuneo del lupo. Si addentrò in un sentiero costeggiato di alberi, poi proseguendo sempre avanti arrivò ad una distesa d'erba attraversata dal fiume. In quel luogo era solito recarsi il pastore Ascanio per far pascolare le sue pecore, un ragazzo poco più grande di Maia con gli occhi marroni e i capelli neri e un po' lunghi e lisci. La ragazza si fermava spesso a parlare con lui, che era un tipo molto simpatico. Tuttavia, nella distesa d'erba non pascolavano solo le pecore del pastore: qualche volta era possibile avvistare degli animali selvatici come cervi o volpi che si fermavano al corso d'acqua per abbeverarsi.
La contadina si accostò alla riva e posato accanto al cesto prese il primo panno e cominciò a lavarlo.

Nello stesso istante, all'inizio del sentiero presso le mura si trovavano il duca Gerardo su di un cavallo nero dalla criniera e la coda bianca con il conte Girimonte su di un cavallo marrone con la criniera e la coda nera, accompagnati da otto servi che tenevano a bada otto levrieri purosangue, una razza di cane che il duca Amato aveva fatto allevare esclusivamente per la caccia. Infatti, i due cugini si trovavano lì proprio per cacciare.
"Perché proprio oggi, cugino?" chiese il conte. "Perché andiamo a cacciare anziché trovare un regalo per il marchese Messore?".
"Sai, ho avuto una splendida idea" rispose il duca. "Potremo regalare a nostro cugino qualche bella preda per il banchetto di stasera!" poi dopo essersi fermato per sistemarsi bene il suo arco alla spalla aggiunse: "Pensavo di catturare qualche cervo, veramente!".
"Qualche cervo, dici?" disse il conte. "Siamo in due e sarà complicato prenderne almeno tre! E rammenta che i cervi maschi sono anche più difficili da prendere perché sono provvisti di corna e potrebbero ferire anche i levrieri!".
"Dimentichi che io sono il miglior arciere dell'Italia del sud!" si pavoneggiò Damiano. "Ho vinto tutti i tornei a cui ho partecipato! Ferire un animale sarà uno scherzo!".
"Se ne sei convinto tu..." lo assecondò Giulio.
"Sarebbe meglio dividersi" suggerì Damiano. "Tu vai con i servi verso destra, io vado nel boschetto vicino il fiume! Ci ritroveremo qui tra un'ora e se succede qualcosa avvertimi!".
"D'accordo cugino!" annuì Giulio, successivamente presero entrambi strade diverse, quelle che si erano prefissi.

Il duca Gerardo galoppava senza sosta con il suo cavallo, Socrate, cominciando poi a rallentare avvicinandosi alla distesa d'erba alla fine del bosco, dove stava Maia. Sentendo il rumore dell'acqua, a sua insaputa provocato dalla ragazza che lavava i panni e li immergeva nel fiume, Damiano scese da Socrate e si avvicinò piano senza fare rumore, convito che si trattasse di qualche animale che si era fermato a bere. Prese una freccia dalla custodia dietro la schiena, la incoccò nell'arco e puntò verso il punto esatto in cui era Maia, ma poi si bloccò all'istante. Guardando bene, quella che aveva davanti era una ragazza.
Lei, non accortasi di nulla, continuava a fare il bucato, tuttavia all'improvviso un panno le cadde di mano e cominciò ad allontanarsi verso l'altra sponda del fiume. La contadina, allarmata, dovette togliersi gli abiti di dosso e rimanere con una sottoveste, poi si buttò in acqua cercando di avvicinarsi al panno che continuava a galleggiare in direzione opposta alla sua.
Damiano stava guardando tutta la scena, ma alla fine posò l'arco e le frecce sul cavallo, in seguito legò Socrate ad un albero per evitare che si allontanasse; in seguito si avvicinò piano verso Maia. Lei dapprima non si accorse di niente, poi voltandosi dopo aver preso il panno vide il ragazzo davanti che la fissava. Istintivamente s'immerse sott'acqua lasciandosi sfuggire il panno e arrossendo.
"Perché vi nascondete?" le chiese Damiano curioso di vedere la ragazza. "Non siete la prima donna che vedo quasi nuda!".
"Cosa volete da me?" domandò Maia rossa in viso.
"Avvicinatevi" le disse avanzando verso di lei. "Vorrei potervi vedere da vicino!".
"Chi siete?" chiese ancora intimorita Maia.
"Chi io sia non importa!" rispose il duca. "Piuttosto, mi piacerebbe sapere come vi chiamate, qual è il vostro nome?".
"Non sapete che è da maleducati chiedere il nome altrui senza presentarsi?".
"Potrei dirvi la stessa cosa, visto anche voi che non avete fatto altro che chiedermi chi io sia!".
"Prima ditemi perché v’interessa!".
"Perché vi reputo una bella ragazza!".
Damiano continuò ad avvicinarsi alla riva e ad osservare Maia mentre lei non era ancora sicura di potersi fidare di quella persona. La ragazza tacque per qualche secondo, poi rispose: "Il mio nome è Maia...".
"Maia" disse il duca assumendo un'espressione affascinata per cercare di far colpo sulla ragazza. "Un bel nome... dolce come il fluttuare delle onde del mare!" continuò a dire cercando di fare bella figura ai suoi occhi.
"Che cosa siete, un poeta?" domandò Maia curiosa.
"Se ci tenete anche voi tanto a sapere il mio nome" disse Damiano. "Posso rispondervi che avete il piacere di parlare con il duca Damiano Gerardo, cugino del duca Giulio Amato, del marchese Giulio Messore e del conte Giulio Girimonte!".
"Siete... un duca?!" rimase sorpresa Maia.
"Ed ora che ci siamo presentati, vorrei poter avere il piacere di osservare più da vicino la vostra bellezza, se ciò non vi reca disturbo!".
"Ma io... non sono presentabile!".
"Non abbiate paura di me!" l'incoraggiò Damiano porgendole la mano per permetterle di afferrarla.
"No, mi rincresce, duca..." rifiutò Maia.
"Non chiamatemi duca... chiamatemi Damiano.".
"Bene, Damiano... mi spiace, ma non posso!".
"Se fate così..." disse il duca alzandosi e cominciando a spogliarsi dei vestiti. "Mi vedo costretto a venire io da voi!".
"No, non fatelo!" esclamò Maia. "Aspettate!", ma il duca si era già spogliato e rimanendo solo in biancheria intima s'immerse in acqua nuotando verso la contadina.
Una volta trovatosi a faccia a faccia con la ragazza, Damiano rimase attratto dai suoi occhi azzurri su cui cadevano i capelli castani. Anche la ragazza notò che il duca aveva degli occhi belli, attraenti, profondi e allo stesso tempo agghiaccianti. Damiano avvicinò a sé la ragazza prendendola dai fianchi e facendola arrossire e imbarazzare.
"Duca... Damiano... aspettate!" esclamò.
"Che cosa c'è?" le chiese lui dolcemente accarezzandole la guancia sinistra.
"Io devo andare!" rispose liberandosi dalla morsa del duca.
"Aspettate!" la fermò Damiano prendendola da un braccio e facendo sì che entrambi si guardassero nuovamente negli occhi e si avvicinassero più di prima. Con una mano abbracciò Maia poi e all'improvviso... la baciò. Cominciarono a baciarsi entrambi.
"Dio mio..." pensò Maia. "Sto baciando un duca... è incredibile... è meraviglioso! ... E’ inammissibile!" e all'improvviso sgranò gli occhi. Lei era pur sempre una contadina, per quanto quel ragazzo potesse amarla, avrebbe potuto farla punire se non lo avesse avvisato prima di essere una povera. Sarebbe stato impossibile continuare quel sogno, così interrompendo il bacio esclamò: "Io devo andare!".
"Perché?" le chiese Damiano.
"C'è una cosa che dovete sapere di me..." disse Maia. "Io non sono... !".
Ma non riuscì a finire la frase che una voce che gridava il nome del duca glielo impedì. Era la voce del conte Girimonte.
"Proprio adesso?!" esclamò irritato e guardandosi intorno il duca. "A quanto pare non siete l'unica ad avere fretta!" aggiunse rivolgendosi a Maia.
"Non preoccupatevi" disse Maia. "Si vede che era destino che dovessimo separarci!".
"Non fatemi andar via così insoddisfatto!" la supplicò il duca.
"Quale altra soddisfazione vorreste avere oltre a quella di avermi baciato senza che neanche ci conoscessimo a momenti?!" esclamò Maia uscendo assieme al ragazzo dall'acqua.
"Vorrei potervi incontrare di nuovo!" rispose Damiano.
"Oh, non credo questo sia possibile" rispose Maia strizzandosi i capelli.
"Ma come?!" esclamò lui mentre si rivestiva. "Siete abitate al castello, no?".
"Veramente..." cominciò a dire Maia, ma la voce del conte nuovamente le impedì di proseguire con il discorso.
"Conto di rivedervi" disse, e finendo di sistemarsi la giacca la baciò di nuovo. "Devo andare purtroppo, arrivederci, Maia! E' stato un piacere conoscervi!" aggiunse andandosene verso il suo cavallo e raggiuntolo lo slegò e gli salì in groppa per poi iniziare a cavalcare verso il boschetto.
Ad insaputa dei due ragazzi però, qualcuno aveva assistito a tutta la scena: il duca Amato, nascosto tra la vegetazione. Eppure non era l'unico: c'era un'altra persona nascosta fra gli alberi più distante dal duca.

I quattro nobili cugini si riunirono quel giorno per il pranzo. Nella grande sala erano accomodati su un tavolo da dieci persone, più piccolo rispetto il tavolo che utilizzavano per i grandi banchetti. Capotavola c'era il duca padrone di casa con alla destra sua sorella Clarissa, una donna poco più piccola di lui dai capelli biondo scuro e ricci e gli occhi marroni, mentre alla sinistra c'era la marchesa Sofia, dai capelli lunghi e ricci castani fino alle spalle e gli occhi marroni e limpidi come due specchi d'acqua. Alla destra di Clarissa vi era poi il duca Gerardo con affianco il conte Girimonte; mentre al fianco di Sofia c'era suo fratello Giulio Messore.
La cuoca Silvana aveva preparato la preda che il conte era riuscito a cacciare: un gran cinghiale maschio ben robusto e in quel momento i parenti lo stavano gustando.
"Complimenti cugino!" esclamò il duca Amato. "Ottima preda, veramente!".
"Se nostro cugino Damiano mi avesse dato una mano con la bravura del suo arco forse avremo preso qualcosa in più!" commentò il conte guardando Damiano.
"Ma a quanto pare aveva altre prede per la testa!" disse Clarissa mentre si ripuliva il muso con il tovagliolo.
Sentita la frase provocatoria della cugina, Damiano alzò la testa e rivolse lo sguardo verso di lei. Era tipica a comportarsi in quel modo a volte, era nel suo carattere: una donna abbastanza esigente e molto rigogliosa, capace di trovare ovunque il pelo nell'uovo quando le conveniva. Tuttavia, nonostante il suo carattere era una bella ragazza ammirata da molti uomini e invidiata da altrettante donne.
"Scusa?" domandò il duca Gerardo esitante.
"Stavo passeggiando per le rive del fiume con alcune dame di compagnia" raccontò Clarissa sorseggiando poi un po' dal suo calice riempito di buon vino rosso. "Ti sei avvinghiato a lei, a quella ragazza, la tua preda, come una piovra in acqua! Incredibile quanto gli uomini possano essere animali quando li abbandonano ai propri istinti! E con che razza di gente poi...!".
"Che intendi dire?!" esclamò Damiano abbastanza irritato.
"Eri così preso dalla tua lussuria" rispose Clarissa. "Da non accorgerti che quella ragazza non è altro che la contadina che si occupa di raccogliere per noi il grano!".
"Cos'hai detto?!" esclamò ormai irato il duca Gerardo dando un colpo con un pugno al tavolo facendo rovesciare un bicchiere. "Quella ragazza sarebbe una sudicia serva?!".
"Che cosa credevi, che fosse una nobile?!" gli rispose Clarissa altezzosa. "E comunque non sembrava che la definissi sudicia serva quando eri in acqua con lei! Al contrario, sembrava che la cosa non ti dispiacesse!".
Damiano indignato si alzò da tavola e, ignorando tutti, si diresse nella sua stanza, mentre gli altri cugini continuarono a discutere fra loro.
"Non riesco a credere che nostro cugino ci abbia provato con una contadina!" si lamentò Clarissa. "Dove andremo a finire se adesso i padroni corteggiassero le serve!?".
"Non è in ogni caso diverso dal farlo con una cortigiana!" commentò il duca Amato. "Infondo anche loro non sono di sangue nobile!".
"Ma Clarissa ha ragione!" esclamò Sofia. "Le cortigiane vivono a palazzo, le contadine nei campi! E' umiliante! Pensa se nostro cugino avesse continuato con quella stracciona e se si fosse ritrovato un figlio da lei! Sarebbe uno scandalo bello e buono! Che figura ci faremo con la servitù? Comincerebbe a spettegolare!".
"E se invece il figlio fosse della cortigiana?" propose il duca. "Non sarebbe la stessa cosa? Voi la state rendendo una cosa tragica!".
"No!" rispose Clarissa. "Forse non ti rendi conto, fratello, che le cortigiane conducono una vita abbastanza rispettabile a castello! Non sarebbe uno scandalo!".
"Rispettabile?! Ve la dico io la verità!" intervenne il conte. "Voi due siete troppo amiche delle cortigiane e continuando così a riunirvi per spettegolare degli altri vi siete ridotte a considerarle vostre pari! Credete non vi abbia mai sentite parlar male tutte assieme di qualcuno alle spalle?!".
Il marchese e il duca scoppiarono a ridere, mentre Clarissa e Sofia assunsero un'espressione indignata.
"In ogni modo" riprese a parlare il duce Amato. "Hai visto per caso che faccia avesse la contadina?" chiese alla sorella.
"No" rispose Clarissa. "Ho riconosciuto la cesta, quella con cui ci portano il grano i servi ed ho ipotizzato che si trattasse per forza di una serva, ma non ho visto in faccia la ragazza... e poi non credo di averla mai visto a corte... ho semplicemente fatto due più due!".

In una stanza del castello, precisamente una da letto, il duca Gerardo era disteso sul letto con una bottiglia di vino in mano mezza vuota.
"Dannazione!" pensò. "E come potevo pensare che si trattasse di una contadinella, diavolo! Quella sudicia pezzente me la pagherà cara per la figura che mi ha fatto fare! Ora sarò beffa sulla bocca di tutti i miei cugini! Ed è tutta colpa di quella strega! Disgraziata...".
"Mio signore?" domandò una voce da dietro una tenda delle finestre. "Avete un'aria sconvolta! Se volete posso fare qualcosa per tirarvi su di morale!".
Damiano si voltò verso la finestra dalla quale proveniva la voce: la seducente cortigiana Jolanda era come comparsa dal nulla. La sua cortigiana preferita, dai capelli castani, lunghi fino alle spalle e mossi, alta, dal fisico asciutto e dagli occhi marroni. La donna cominciò ad avvicinarsi al duca, successivamente si inginocchiò appoggiando le braccia conserte sul letto. Damiano ignorò quel gesto.
"Siete sicuro che non volete svagarvi un po'?" chiese ancora Jolanda.
"No!" rispose secco e irritato Damiano.
"Coraggio!" continuò Jolanda con voce sensuale. "Meritate un po' di svago! E poi dite sempre che sono la vostra preferita, quella che vi fa divertire di più!".
"Ma conosci solo la parola svago?" Domandò assente e acido Damiano.
"Avanti duca!" lo supplicò lei. "Mi dispiace vedervi in questo stato!".
"Trovati qualcun altro da seccare oggi!" rispose Damiano alzandosi dalla parte opposta del letto rispetto a dov'era Jolanda, posando la bottiglia mezza vuota su di un comodino e dirigendosi verso il balcone della sua stanza; poi in quel momento qualcuno bussò alla porta.
"Non voglio essere disturbato!" gridò il duca infastidito.
La porta tuttavia si aprì comunque e comparve il duca Amato. Il duca Gerardo gli diede una rapida occhiata, poi si rigirò verso il balcone.
"Tu!" esclamò il duca Amato e indicò Jolanda. "Fuori!".
La donna, indignata dal comportamento dei due duchi nei suoi confronti, uscì senza proferire parola. Per una come lei che era abituata ad essere ben considerata da tutti e trattata meglio di chiunque altro, quello poteva essere solo considerato un grave sgarbo alla sua persona.
Una volta rimasti soli, il duca Gerardo chiese al cugino: "Perché sei venuto?".
"Per poter parlare con te" rispose l'altro.
"Vuoi che ti dica altre notizie sulla contadinella così puoi sfottermi di più?" chiese acido Damiano. "Se è così vattene, non ho altro da dire!".
"Non ho bisogno che mi fornisca notizie" disse il duca Amato avvicinandosi al cugino. "Anch'io ho visto te e Maia mentre eravate assieme!".
"Come sai il suo nome?" chiese indispettito Damiano.
Il duca Amato non poteva fargli capire che conosceva la contadina perché in realtà era quella che voleva regalare al marchese Messore. Purtroppo aveva commesso un errore a pronunciare il nome della ragazza e dovette correre ai ripari. Inventò velocemente una scusa credibile per giustificarsi.
"E' una contadina che lavora per me" rispose. "E' normale che io conosca il suo nome!".
"Ti prendi la briga di imparare i nomi dei servi a memoria adesso?" domandò Damiano. "Tu devi essere pazzo, chiamali semplicemente servi!".
"Ma io almeno prima di commettere azioni di cui poi potrei pentirmi ho l'accortezza di riflettere e non di agire in maniera impulsiva come te!" lo rimproverò Giulio e in cambio ricevette un'occhiataccia da Damiano. "Tuttavia" aggiunse con calma. "Non dovrai preoccuparti per lei...".
"Preoccupati tu piuttosto di lei!" ribadì il duca Gerardo. "Ho intenzione di fargliela pagare e nessuno potrà impedirmelo!".
"Non rimuginarci su!" gli consigliò Giulio. "Adesso abbiamo una festa a cui pensare, a cui soprattutto tu dovresti pensare visto che non hai ancora trovato un regalo per nostro cugino!".
"Dì a nostro cugino che farò il regalo insieme a te! Gli offriremo quella ragazza assieme!" propose Damiano.
"Davvero vorresti?" si stupì Amato.
"Anche se non volessi... non riuscirei a trovare altro! Sarò debitore con te; chiamiamolo un favore a buon rendere!".
Giulio rimase per un attimo a riflettere. Damiano avrebbe dovuto offrire Maia assieme a lui come regalo al cugino: cosa sarebbe successo poi una volta che avrebbe capito che in realtà è la stessa contadina con cui si è baciato al lago? Quella era proprio una proposta che il duca Amato non si sarebbe mai aspettato dal cugino.
"D'accordo" accettò alla fine. "Quando farò l'annuncio dirò che è un regalo che faremo sia tu che io.".
"Ti ringrazio" disse Damiano.
"Bene" acconsentì Giulio. "Adesso devo proprio andare, ci vediamo cugino!".
Ricevuto un cenno di assenso da Damiano, Giulio si diresse verso la porta della stanza e poi uscì.
"Sto mettendo in pericolo la vita di una persona..." pensò una volta chiusa la porta. "Non so proprio fino a che punto potrà spingersi Damiano con la sua vendetta...".
Nel frattempo, dentro la stanza, il duca Gerardo si allontanò dal balcone e andò a sedersi su di una poltrona e cominciò a fumare la sua pipa cercando di dimenticare la storia che era successa prima, anche se gli sembrava impossibile. Maia, infatti, gli tornava alla mente sempre; era diventata un pensiero fisso. Non riusciva ancora a credere che in realtà quella ragazza che l'aveva colpito al fiume fosse soltanto una semplice serva, non voleva crederci. Si sentiva preso in giro all'idea, perciò provava rimorso nei suoi confronti. Eppure, i suoi occhi azzurri, quelli stessi occhi dentro cui quella mattina si era specchiato, gli tornavano in mente ogni volta che chiudeva le palpebre.
"Adesso basta!" pensò. "Non appena troverò quella contadinella chiarirò tutto! Glielo dirò! Lei non è affatto una persona del mio rango, non potrebbe funzionare tra di noi! Glielo dirò, anche se questo dovesse farla sentire male, non posso permettermi che una semplice serva sbucata dal nulla mi rovini la reputazione! E' inaudito!".
D'altronde, quella era l'unica scelta che gli rimaneva da fare e trovata una soluzione al problema, lasciò su un tavolino vicino la sua poltrona la pipa e si diresse verso il suo letto per stendersi sopra e riposarsi.

FINE CAPITOLO

  
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