Cap. 13 Torna da me
Eiko era ancora chinata sul petto di Shinichi quando l’ambulanza arrivò sgommando.
Non riusciva a smettere di piangere.
Shinichi, il suo Shinichi, era lì, tra le sue
braccia, in bilico tra la vita e la morte.
Lo sapeva che era così, lo sapeva perché
sentiva il suo cuore: era debolissimo.
Takagi l’allontanò da lui: voleva protestare,
restare con lui, ma non ne aveva la forze e lo lasciò fare.
I medici caricarono il ragazzo sul mezzo poi
guardarono la giovane: non le chiesero nemmeno se era parente, le fecero solo
cenno di salire.
Lei lo fece e si sedette accanto alla barella:
le lacrime continuavano a scendere.
Gli prese la mano e gliela strinse.
Lo guardò a lungo, il petto che si alzava ed
abbassava debolmente: non un cenno, non una parola che le facesse capire che
lui si accorgeva della sua presenza.
Il suo viso sembrava quasi rilassato, come se
dormisse, come se non si accorgesse di quello che gli stava accadendo.
Il cuore di Eiko continuava a martellarle nel
petto: aveva paura, una paura tremenda, per quel ragazzo che le aveva rapito il
cuore.
Perché era proprio ciò che era successo: solo
in quella situazione così tragica la giovane si era accorta che quelle emozioni
che sentiva da qualche tempo erano qualcosa di molto vicino all’amore.
Lei si stava innamorando di Shinichi.
Per la prima volta da diversi minuti, Eiko
fece il suo primo pensiero egoista: voleva che Kudo si risvegliasse, per
sapere, conoscere i suoi sentimenti per lei.
La ricambiava?
O pensava ancora a Ran?
Non lo sapeva, e forse non lo avrebbe mai
saputo.
In quel preciso istante avrebbe voluto darsi
uno schiaffo, per il suo pensiero, per il fatto che le era semplicemente
affiorato alla mente un pensiero del genere.
Shinichi si sarebbe svegliato e chissà, forse
avrebbe ricambiato i suoi sentimenti.
Ma ciò che importava in quel momento è che lui
riaprisse i suoi incredibili occhi azzurri e continuasse a vivere.
- Torna da me, ti prego. Torna da me.-
sussurrò la giovane, in modo che solo lui potesse sentirla.
Ma sapeva che non poteva succedere.
Lui non la sentiva, non sentiva la sua voce:
il suo dolce angelo stava dormendo, ma presto si sarebbe risvegliato.
Non era ancora pronta lasciare che
quell’angelo tornasse da colui che l’aveva creato, che tornasse a casa, che
tornasse in paradiso.
Finalmente arrivarono in ospedale e i suoi
pensieri si interruppero.
Rimase accanto alla barella, mentre correva
per i corridoi, fino a giungere alla sala operatoria, dove lei non poteva
entrare.
Lo vide sparire dietro le porte, poi il
silenzio la circondò.
Si sedette e cercò di respirare.
In un momento di lucidità chiamò Ai e suo zio,
che la raggiunsero immediatamente.
- Eiko. Eiko tesoro.-
Non lo fece nemmeno parlare: si butto tra le
braccia del dottor Agasa e pianse ancora, fino a terminare tutte le lacrime.
L’uomo la strinse: era più tranquillo, la sua
nipotina era in salvo, ma il ragazzo che conosceva da quando era nato, che
vedeva un po’ come un figlio, era in una di quelle stanza a lottare contro la
morte.
Anche la piccola Ai versava qualche lacrima,
lei che era sempre così rigida.
Attesero a lungo: sembrava che il tempo non
finisse più.
Finalmente dopo un paio d’ore un dottore venne
loro incontro.
- Dottore. Come sta?- chiese impaziente il
professore.
- Voi siete i parenti?-
- N-no… ma i genitori sono all’estero e noi…
siamo gli amici più stretti che ha.- rispose Eiko, trattenendo le lacrime.
- D’accordo. Il ragazzo è fuori pericolo, ma……
è entrato in coma.-
L’americana trattenne il respiro, per non
ricominciare a piangere.
- Coma…- sussurrò Ai.
- Si. Ma cerchiamo di essere positivi.
Potrebbe risvegliarsi presto e stare meglio in un paio di settimane. La
pallottola è andata molto vicino al cuore, ma non ha lesionato nessuna arteria
o altro. È stato fortunato.-
Senza quasi accorgersene, Eiko tirò un sospiro
di sollievo: non tutto era perduto.
- Possiamo… possiamo vederlo?- chiese Agasa.
- Si, uno alla volta.-
- Vuoi andare tu?- chiese Ai all’americana.
- No, andate prima voi… io… ho bisogno di
restare un po’ sola.-
Così i due, uno alla volta, fecero visita al
giovane detective.
Quando la bambina tornò, Eiko vide che aveva
pianto: significava che la vista del giovane faceva quell’effetto?
La ragazza trasse un profondo respiro poi,
dopo essersi scambiata uno sguardo con lo zio, si alzò e si diresse alla camera
di Kudo.
Vi entrò lentamente, guardandolo da lontano.
Era steso sulla schiena immobile, con diversi
tubi attaccati qua e là.
Sembrava quasi morto, se non fosse stato per
il BipBip della macchina accanto a lui che indicava che il cuore continuava a
battere.
Come si era aspettata le lacrime cominciarono
a scorrerle sulle guance, incapaci di essere fermate.
Si sedette sulla sedia accanto al letto, senza
togliere gli occhi dal suo viso.
Gli accarezzò la fronte, poi una guancia: non
un movimento.
- Cosa ti hanno fatto? Che cosa ti hanno
fatto?-
Continuò a guardarlo.
Com’era bello…
Avrebbe voluto baciarlo, ma non voleva: se
doveva farlo lo avrebbe fatto quando lui poteva sentirlo.
- È stata tutta colpa mia.- continuò a dire,
prendendogli una mano e stringendola. – Se solo non mi fossi fatta catturare…-
Poggiò la testa sulle lenzuola, piangendo e
stringendogli la mano.
Rimase lì a lungo.
Dopo quasi un’ora venne raggiunta dal dottor
Agasa e Ai.
- Tesoro, noi andiamo a casa.- le disse lo
zio: aveva la sensazione che lei volesse restare.
- Va bene. Io resto qui. Ci vediamo domani.-
disse la ragazza, come aveva immaginato l’uomo.
Senza aggiungere una parola i due se ne
andarono lasciando soli i due giovani.
- Starò con te, fino a quando ti risveglierai.
Ma ti prego… torna da me.-
Senza quasi pensarci, appoggiò la testa sul
braccio la cui mano stringeva quella di Shinichi e senza più una parola, si
addormentò, stremata.
Lo so, non è successo molto.
Ma questo era un capitolo utilizzato per
descrivere i pensieri di Eiko e i suoi sentimenti.
Spero comunque che vi sia piaciuta.
Ringrazio magicadula,
Dany92 e
viky4forever per i commenti e tutti quelli che hanno letto.
Un bacio