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Autore: Jeje_chan    23/12/2012    2 recensioni
"Tutto si riduce qui: in quest’attimo.
Hai faticato, hai sudato, ci hai creduto.
E adesso guardi la platea. E’ in attesa di te. Tu sorridi, furba, e pensi che sì, presto ti avranno. Avranno tutte le tue sfaccettature eppure, loro, non se ne renderanno neanche conto. "
L'ho scritto per un concorso letterario a scuola, il tema era 'musica e poesia' . Sono arrivata terza :)
Se volete passate a dargli un'occhiata, e magari anche a recensirlo :3
Buona lettura, gente.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Suonane un’altra.

 
Tutto si riduce qui: in quest’attimo.
Hai faticato, hai sudato, ci hai creduto.
E adesso guardi la platea. E’ in attesa di te. Tu sorridi, furba, e pensi che sì, presto ti avranno. Avranno tutte le tue sfaccettature eppure, loro, non se ne renderanno neanche conto.
Dai un’ultima fugace occhiata verso il numeroso pubblico e allunghi il passo per raggiungere un amico così fidato, ma ancora troppo sconosciuto.

Ti siedi al pianoforte.

I tasti sono già scoperti e a te non resta che suonarli, ma tu decidi che ti vuoi godere l’attimo per cui hai tanto lottato e provi a sfiorarne alcuni, senza pigiarli.
Senti il pubblico trattenere il fiato – o forse è solo la tua immaginazione –, le tue mani tremano un po’ quando, stanca di indugiare, premi il primo tasto.

Poi assottigli gli occhi, ti mordi leggermente il labbro inferiore, e inizi. Inizi veramente.

D’un tratto, la platea è scomparsa: non c’è più nessuno. Quel maestoso pianoforte a coda, nero lucido, si è trasformato in un vecchio pianoforte verticale, stonato e pieno di tarli ormai obesi. Non sei più sopra un palcoscenico, con un occhio di bue puntato addosso, ma nella tua piccola stanzetta, al lume di una lampada anonima, in attesa del ritorno di tuo padre che, ora lo sai, non sarebbe più tornato. 

Non hai suonato per quanto tempo, dopo il funerale? Un anno? Due?
Non ricordi neanche. Avevi perso la tua musica. Le mani erano senza vita, mani vuote. Facevano solo attività utili – come le definirebbe tua madre –, non erano più in grado di liberare i tuoi pensieri, la tua anima. Non erano più in grado di liberarti.
Avevi diciassette anni e tanta rabbia dentro. Hai incominciato a uscire per i locali, i tuoi amici ti facevano sentire viva, l’alcol ti faceva provare nuove emozioni, l’erba ti rilassava e il sesso, beh, il sesso era bello e basta.
E poi? Che è successo?

Poi hai capito. Ti sei stancata di te stessa, del marcio che avevi dentro e sei tornata come un cane bastonato dal tuo fedele amico, marcio anche lui.
C’era sempre quel problema, però. Trasmettevi solo la tua rabbia con quelle mani prive di passione, e non volevi questo; cercavi qualcosa e non sapevi cosa. Dovevi trovare la tua musica.
Adesso che sei su questo palco, l’hai trovata? Adesso che le tue mani scorrono veloci sui tasti e la tua mente chissà dov’è, hai trovato quello che cercavi?

Forse, risponde la tua mente ancora impaurita.
Sì, risponde l’impavido cuore.

All’età di diciotto anni, hai levato le tende. Volevi andare in cerca della tua poesia, anche se allora non lo sapevi.
«Adios, gente!»hai gridato dal ponte della nave, sbracciandoti per salutare sconosciuti.
Per tua madre fu una liberazione – o almeno così si ostinava a vederla lei – e per te una manna dal cielo.
Eri giovane, forte e instancabile. Fu facile trovare lavori part- time e adattarsi non era un problema per te.
Giravi di città in città, suonavi la tua musica rabbiosa e ti stava bene così, finché … Finché non l’hai incontrato. 
A quel tempo suonavi in un caffè, musica soft, chiedeva il gestore. E tu hai provato davvero a farla, la musica soft, come voleva lui, ma se alzavi il volume o aumentavi il ritmo ti rimproverava. Lui l’hai visto tra una lavata di capo e un'altra.
Veniva dentro il caffè, si sedeva, ordinava una tisana alla liquirizia, prendeva un libro dalla borsa di cuoio e scribacchiava qualcosa nella sua vecchia agenda logora.  
Dapprima non ci facevi neanche attenzione, poi l’hai notato sempre di più e abbassavi ancora un po’ il volume delle note quando veniva, per rispetto. Ti sei impuntata con quell’uomo senza una ragione ben precisa, forse avevi solo bisogno di essere notata anche tu. Volevi fare bella figura, davanti a lui, così hai ripreso i vecchi libri e ti sei rimessa a studiare ancora un po’ la musica che voleva quello stupido del gestore, musica soft, ti ripetevi.
Hai notato i tuoi miglioramenti quando lui ha incominciato a sedersi sempre più vicino a te, con discrezione.  Lo potevi osservare ancora di più e provavi anche a sbirciare la vecchia agenda, ma che scrittura minuta e incomprensibile, diamine!
Era una notte buia e tempestosa, con il freddo che penetrava le ossa e i denti che battevano tra di loro furiosamente; eppure lui c’era. Ti sei messa al pianoforte e hai incominciato a suonare, eravate soli nel locale; anche il proprietario aveva saltato il lavoro quella sera. Eppure lui c’era. Non hai saputo resistere più, hai fermato le tue mani e hai chiesto: « Che scrivi?» lui ha incominciato a farfugliare qualcosa di incomprensibile, in imbarazzo, e tu hai riso perché ti faceva tenerezza: così diverso da tutti gli altri!

Tu, impulsiva e menefreghista, gli hai insegnato a lasciarsi andare, a improvvisare.
L’hai fatto divertire, l’hai fatto ridere, l’hai fatto rilassare.
Lui, diligente e bravo con le parole, è stato in grado di spronarti a volere il massimo da te stessa.
Ti ha fatto faticare, ti ha fatto sudare, ti ha fatto credere.
Ora tu sei qui, in questo palco, con tutti gli occhi puntati addosso e le orecchie in ascolto; e lo devi solo a lui. Saresti in un pub a quest’ora, sai?
E se ora lui è lì, lo vedi? In prima fila, appena arrivato da una conferenza per il suo libro, lo deve solo a te. Sarebbe ancora in quel caffè, a scrivere poesie solo per sé.

La canzone è finita, suonane un’altra. 
   
 
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