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Autore: Val Nas    23/12/2012    4 recensioni
Nell'Italia invasa da Napoleone, una giovane nobildonna giace insonne tra le lenzuola.
Perché pur possedendo tutto quello che desidera, non riesce a darsi pace?
Nella suggestiva cornice piemontese della Rocca di Montalto, si narra la storia di un amore sospeso nel tempo, su cui nessuno dei due protagonisti è riuscito a scrivere la parola fine.
[Il pezzo partecipa al concorso Memories indetto da Sun of Twilight]
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Napoleonico
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Chiedimi di restare
 
Altea giaceva insonne tra le lenzuola da più di quattro ore. 
Percepiva l’avvicinarsi dell’alba come lo spettro di un incombente minaccia.
I rintocchi del pendolo echeggiavano impietosi nella notte silenziosa che avvolgeva il castello di Montalto, rimbombi di una sentenza a cui non poteva appellarsi.
Teneva lo sguardo fisso sul soffitto, come se in esso potesse trovare le risposte agli interrogativi che la tormentavano.
Cosa doveva fare?
L’indomani mattina sarebbe dovuta partire per il freddo nord come suo fratello maggiore ordinava, per sposare il ricco Sir Edwyn, oppure…
Altea si mise seduta di scatto. Si tolse nervosamente le coperte di lana dal corpo, e le calciò ai piedi del letto sbuffando. 
Tutti i suoi vestiti, i libri, e ogni oggetto personale che le apparteneva, era stato stivato in bauli e valigie che ora giacevano negli angoli più bui della camera da letto.
Quella stanza che per tutta una vita era stata il suo rifugio dalle noie del mondo, ora sembrava un luogo freddo ed ostile.
Come posso fingere che basteranno quei bagagli per farmi sentire a casa?
La ragazza si strofinò nevroticamente gli occhi arrossati, ricacciando indietro le lacrime.
Piangere non avrebbe portato a nulla, tanto meno a fermare il tempo.
Eppure credeva di essersi arresa da mesi a quel destino.
Allora perché non riusciva a darsi pace? Perché la sua coscienza scalciava come un cavallo imbrigliato da un detestabile domatore?
Altea poteva dare un nome a quel tormento che la logorava soprattutto di notte, quando il silenzio e il buio sembravano opprimerla, sussurrando il  suo nome nell’oscurità.
Philippe. Era questo il suo nome. 
E quel nome era foriero di un sentimento di incompletezza, di mancanza.
Qualcosa restava in sospeso tra loro, in bilico, senza che nessuno avesse messo la parola fine.
Philippe e Altea si erano conosciuti in un afosa notte di fine Agosto, quattro mesi orsono.
Lui rientrava in Piemonte dopo due anni di onorato servizio militare in Francia, sotto la guida del grande conquistatore Napoleone Bonaparte. Dopo la disastrosa sconfitta di Bailèn, il giovane Philippe era stato congedato fino a data da destinarsi, e non riusciva a fingere di non essere felice di poter finalmente tornare a casa.
Durante la fitta corrispondenza con l’anziana madre, aveva appreso che ella prestava servizio al Castello dei signori di Montalto.
Così non appena posata la suola dello stivale sul suolo piemontese, si era diretto subito ad abbracciare la donna, cavalcando rapido incontro all’aurora ancora celata dietro l’irto colle su cui sorgeva arroccato il castello.
Era una notte afosa. Nessuna brezza portava un po’ di refrigerio sulla rocca addormentata facendo stormire le chiome degli alberi.Tutto era immobile, tranne il ronzio degli insetti e il frinire delle cicale.
Superata la cinta di mura più esterna e dopo essersi identificato alle guardie che pattugliavano la corte, Philippe avanzò nel giardino ben curato che si stendeva ai piedi del castello.
Dopo tanti anni di battaglia, credeva che nulla potesse più sorprenderlo.  
Fino a quando non la vide.
Una ragazza con lunghi capelli rossi era immersa fino alle cosce nella fontana zampillante.
Forse cercava refrigerio, forse era semplicemente pazza, ma la fanciulla camminava con un lieto sorriso beato stampato sul bel viso screziato di lentiggini.
Philippe ne fu sconvolto. Non tanto per la vestaglia resa trasparente dall’acqua, o per le snelle gambe bianche mostrate senza pudore, ma per l’ingenua spensieratezza di quel gesto folle, quasi fanciullesco, che gli diede uno strano brivido lungo la schiena.
Niente al mondo lo aveva mai emozionato tanto.
Si sentì privilegiato mentre la guardava indisturbato, nascosto dalle lunghe ombre del castello, come se il destino gli stesse concedendo un prezioso dono.
Poi Altea  lo vide. 
Fu uno breve scambio di sguardi, più rapido di un respiro tra un battito di ciglia e l’altro.
La ragazza  scavalcò il bordo della fontana coprendosi pudicamente il corpo.
Mentre Philippe la guardava rapito, lei gli rifilò un’occhiataccia di riprovevole indignazione, prima di girargli le spalle con sufficienza e scomparire oltre il portone d’ingresso.
Quello sguardo inceneritore lo aveva messo subito a posto, ma allo stesso tempo lo aveva fatto sorridere, provocandogli uno strano calore mai provato.
Dal giorno dopo, non si erano mai più separati. 
Avevano trascorso l’ultimo mese di quella calda e afosa estate sempre insieme, sempre vicini, cercando di imparare tutto ciò che c’era da sapere l’uno sull’altro.
Lui amava il  sarcasmo di Altea, la sua lingua venefica e tagliente, il modo con cui cavalcava come un maschiaccio e lo spintonava senza alcuna grazia. 
Altea amava sentirlo leggere con la testa poggiata contro le sue gambe muscolose, all’ombra degli alberi rigogliosi del parco della Dora. Le leggeva per ore Shakespeare, Coloridge,  e poesie scritte di suo pugno durante i terribili anni di guerra. Faceva scivolare i capelli di Altea tra le dita, mentre narrava storie di mondi perduti e fantastici con voce così roca e graffiante da farle venire i brividi lungo la schiena. Philippe era anche un arrogante prepotente, e spesso discutevano così furiosamente che lui riusciva a calmarla solo baciandola contro uno di quegli alberi, mentre nessuno poteva vederli.
Si amavano perdutamente, di una passione consumante.
Ma il destino presto decise di riprendersi quella felicità che gli aveva docilmente concesso.
Philippe scoprì che Altea era già promessa in sposa ad un signore del nord. 
Sconfitto e deluso, aveva lasciato Montalto senza nemmeno un biglietto di spiegazioni.
Nessuna parola, nessun punto che mettesse fine a quell’amore ora infangato.
Altea colpevole e abbandonata, non lo cercò. Si convinse presto di essere stata presa in giro, di essere stata un passatempo per cui non valeva la pena combattere. L’orgoglio si mise di mezzo, protraendo un silenzio che durò per settimane, giorni, mesi, fino a quando il gelido vento invernale prese a soffiare dalle montagne.
Fino alla notte prima della partenza, Altea era stata convinta che sarebbe andata fino in fondo.
Ma adesso si sentiva soffocare.
Doveva sapere.
Si alzò dal letto a baldacchino, sfilò la veste da notte e suonò il campanello. 
La madre di Philippe arrivò trafelata, preoccupata per la sua Signora.
“ Contessina, state bene?” Le domandò fissandola ansiosamente. 
Altea la prese per le braccia e la invitò a guardarla. 
“Un pensiero non mi da pace.”
Prese fiato e continuò.
“ Philippe.”
Altea si umettò le labbra nervosa. 
“ Devo vederlo. Ti prego, dimmi dov’è.”
L’anziana donna scrutò quel pallido viso alla luce fioca delle candele. 
Gli occhi lucidi di Altea la convinsero a parlare, nonostante sapesse che il figlio non l’avrebbe perdonata per aver tradito il suo nascondiglio.
E così le descrisse il mulino sul limitare del parco della Dora, dove Philippe attendeva di essere richiamato dal congedo, e dove si era rifugiato cercando di dimenticare il viso di una ragazza con  folti ricci ramati, che risplendevano sotto il caldo sole di un pomeriggio d’Estate.
 
Altea cavalcò rapida come il vento.
Lo spesso strato di neve attutiva il pestare degli zoccoli sul terreno.
Il parco della Dora era immerso in un gelido silenzio. Tutto era immobile, come sospeso nel tempo.
Il mulino era proprio lì, nascosto dalle cime degli alberi imbiancati.
La ragazza smontò da cavallo stordita dalle emozioni che si rimescolavano tutte insieme. 
Si sentì morire, ad ogni passo che la portava vicina alla porta. 
Le tremavano le ginocchia, le mani, ma risoluta avanzò.
Non ebbe tempo di prepararsi un discorso, né fece in tempo a tornare sui suoi passi, terrorizzata dall’idea di rivederlo. 
Allarmato dallo scalpiccio ovattato del cavallo sull’acciottolato che conduceva al mulino, Philippe si era destato. Aveva spalancato la porta con un solo colpo, con indosso la divisa rossa e blu dell’esercito francese. Teneva la mano sull’elsa della spada, pronta a sfoderarla contro i predoni che tormentavano quelle zone. 
Ma non compì mai quel movimento. Un blocco di ghiaccio gli si piantò al centro del petto provocandogli un dolore che mai si era sopito del tutto.
E la colpevole per tutto quel dolore ce l’aveva davanti.
Altea lo guardava spaurita, implorante, e lui odiò infinitamente, mille volte di più di quanto lei potesse anche solo immaginare.
Philippe si era immaginato molte volte quella scena. Ma dopo giorni e settimane, aveva smesso di sognare ad occhi aperti. 
Lei non sarebbe mai venuta. 
Così aveva deciso che l’avrebbe disprezzata per il suo inganno, per la sua volubilità, per lo spregevole modo con cui l’aveva soggiogato
Ora nonostante ce l’avesse davanti, non riusciva a sentire altro che odio e frustrazione.
“Cosa fai qua?” la attaccò severo, senza tradire alcuna emozione.
Quella voce una volta tanto dolce, ora era tagliente.
Altea sentì il disprezzo colpirla come un’ondata. Ma non si fermò.
 “Io…”
Le si bloccarono le parole in gola. 
 “Tu?” incalzò Philippe infastidito.
Altea sbirciò oltre la soglia. Oltre le ampie spalle di lui, baluginava l’arancione delle fiamme di un camino.
“Non mi fai entrare?” azzardò  cercando per la prima volta il suo sguardo nero e ardente come braci. 
“ Oh no. Non ho intenzione di avere beghe con quello squinternato di tuo fratello.” 
Fece una pausa, e poi aggiunse duramente. “ O con il tuo futuro sposo.”
Altea ignorò quelle parole cariche di risentimento. 
Come una scheggia si intrufolò in casa passandogli di fianco, prima che lui potesse acciuffarla.
Con una manata, Philippe  richiuse la porta digrignando i denti.
Già gli mancava l’aria. Quella minuta presenza era troppo  ingombrante per permettergli di respirare. E l’intero Piemonte sembrava troppo piccolo per tutti e due.
“Domani partirò per il nord. E non tornerò più.” 
Prima che potesse aggiungere altro, Philippe la interruppe.
“ Buon  viaggio, allora.” 
Avrebbe preferito gettarsi nelle fiamme, piuttosto che sentire Altea annunciargli che presto si sarebbe sposata con un altro uomo. 
“ C’è altro?”
Lei lo guardò dritto negli occhi.
“Chiedimi di restare.” lo implorò con un filo di voce rotta. “ Chiedimi di rimanere qui, con te.”
La gola di Philippe si seccò. Era rimasto senza parole, a bocca aperta. 
Ogni frase tagliente che aveva formulato nella sua mente, ogni offesa e ingiuria che voleva rivolgerle per umiliarla, evaporò all’istante dalla sua testa.
Ma si riprese, quasi prontamente.
 “Cosa ti fa credere che io ti voglia? Non ricambio i tuoi sentimenti. Qualsiasi essi siano!”
Philippe la conosceva abbastanza da sapere che non sarebbe bastato. 
Non era il genere di donna che ora sarebbe scoppiata a piangere, fuggendo indignata per il rifiuto. Lei era forte, fiera, caparbia.
 “VATTENE VIA!”.
Quell’ordine sprezzante, la fece sobbalzare. Ma non desistere.
“Non ti credo. Non è vero che non provi nulla.”
Philippe furibondo spalancò di nuovo la porta.
 “ Ti sbagli. Adesso esci da qui, prima che decida di trascinarti fuori per i capelli. E sono sicuro, non ti piacerà.”
Due calde gocce salate le rotolarono lungo le guance.
Altea socchiuse gli occhi un momento, mentre l’universo attorno a lei si sgretolava.
Si schiarì la voce, resa roca dal pianto. 
“Me ne vado, come desideri. E partirò, come desideri. Andrò lontana mille miglia, così che tu non possa più essere infastidito dalla mia presenza. Non sentirai più parlare di me, né avrai notizie. Hai la mia parola. Ma tu...”
Con passi pesanti, Altea si avvicinò all’uscita. Quando gli fu di fianco, si fermò, voltando il capo con minacciosa lentezza.
“Ti guarderai indietro un volta che prenderai moglie, penserai a questa notte, e ti chiederai come sarebbero potute andare le cose se solo non avessi dato retta al tuo orgoglio ferito, se avessi potuto salvare qualcosa di noi, con solo tre parole. Chiedimi di restare.”
Philippe non rispose. Contrasse la mascella, serrò i pugno fino a far sbiancare le nocche.
Quelle tre parole non gli uscirono.
“Io ho lottato. Io sono stata qui, io ti ho amato, ti ho implorato. Tu che cosa hai fatto invece?”
Si voltò a guardarlo. Il profilo duro e immobile come una statua di bronzo.
“Hai gettato via tutto, hai calpestato te stesso rinnegando me. Rinnegami, odiami, e se ci riesci, fallo fino alla fine.”
Altea uscì  e con un tonfo si richiuse le porta alle spalle.
Il camino si spense con un sordo risucchio.
L’oscurità avvolse Philippe. Le tenebre lo invasero e Philippe si piegò ad esse, accasciandosi contro la porta chiusa.
 
Philippe non aveva mai riaperto quella porta per seguirla.
Non le aveva chiesto di restare al suo fianco.
Tutto era finito. 
Altea se ne era andata silenziosamente così come la neve, che aveva smesso di cadere quasi d’improvviso. 
Due ore più tardi i convogli con il suo seguito e i suoi bauli avevano lasciato Montalto, diretti a nord.
Sfinita per il pianto, e sbriciolata da una profonda sofferenza mai provata, Altea si era addormentata, poggiando la tempia contro il vetro gelato della carrozza. 
Ma d’un tratto il dondolio del convoglio si era arrestato.
“Che succede?”. Domandò con gli occhi doloranti e gonfi.
Una delle sue dame, si strinse nelle spalle. 
Uno dei paggi raggiunse l’abitacolo, e Altea abbassò il finestrino: “ Contessa, c’è un uomo in mezzo alla strada. Non ci lascia passare!”
Sbuffò furente. 
Un’intera carovana immobilizzata da un solo uomo?
“ Bene! Passategli sopra con i cavalli allora, cosa state aspettando?”
Qualcosa nello sguardo del paggio la fece riflettere. Una sensazione inspiegabile.
Scese dalla carrozza, rabbrividendo nell’algida mattina invernale.
Effettivamente c’era un uomo fermo al centro della strada. 
Indossava una divisa blu e rossa dell’esercito francese.
Questa volta fu lei a non credere ai suoi occhi. 
“ Orbene soldato? Volete essere travolto dalla mia carrozza?” Berciò acidamente puntando le mani sui fianchi.
Le tremava la voce. Philippe se ne accorse e le andò incontro smontando da cavallo.
“ Se servisse a fermarti, va bene.”
Lei indietreggiò, spaventata, incredula, con gli occhi di nuovo lucidi.
“ Non mi fermerei. Ti passerei sopra, senza tanti complimenti.”
Le si fermò a pochi passi di distanza, sorridendo mesto.
“Che caratteraccio. Sei priva di grazia.” Le fece eco Philippe con un folle sguardo glorioso.
Altea scosse la ricca capigliatura ramata.
“Spostati, o te la faccio vedere io la grazia!”
Fu rapido e deciso. 
Un caldo sorriso gli disegnò due fossette sulle guance, mentre le prendeva il viso tra le mani.
La baciò semplicemente, come aveva sempre sognato di poter fare in quei mesi di lontananza.
Sospiri e gemiti passarono di bocca in bocca, scivolando sulle loro lingue affamate l’uno dell’altro, mischiando saliva, lacrime, bisogno.
Quando quello scambio terminò, Philippe poggiò la fronte bollente contro quella di lei
E poi finalmente Philippe, le chiese di restare.
 
 
 
 
  
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