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Autore: Love_in_London_night    23/12/2012    7 recensioni
«Se dovessi morire, digli che l’ho amato».
Una frase che si dice sempre, per scherzo, tra amici. Per esorcizzare la paura di un viaggio o, magari, quella di essere dimenticati.
E se invece non fosse più uno scherzo? Se il destino portasse alcune persone a dover rendere conto alle parole dette in precedenza?
L'amore di due persone diviso in tre. Un amore nato per caso, a causa di una frase e della tacita promessa che in essa era insita.
"Lui era lo stiramento necessario di muscoli dopo il lungo torpore del sonno, la prima boccata d’aria primaverile dopo un brutto temporale, era uno stimolo involontario a cui il suo corpo non riusciva a non rispondere con l’amore.
[...] Si raggomitolò su se stessa, piangendo le sue colpe e affondando le unghie nella carne corrotta che la avvolgeva, niente di quello che conosceva le apparteneva più, nemmeno il suo amore. Soprattutto quello, non riusciva a sentirlo suo.
Quello doveva essere l’amore di Eleonora."
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Una camera nella penombra
 

10 Marzo 2013

 
Era seduta sul letto di lui, in quell’uggioso pomeriggio di gennaio. Le gambe scoperte, i piedi avvolti dalle calze pesanti scivolate fino alle caviglie, un paio di pantaloncini e una felpa, lì dentro faceva sempre caldo ed era del parere che per stare a contatto con la pelle di lui non le servissero molti strati di indumenti, non voleva niente a dividerli.
Era bello passare la domenica in casa, le gocce di pioggia che scivolavano sulla tapparella quasi del tutto abbassata, il suo ragazzo sotto la doccia dopo il sesso, le luci che regalavano penombra e ristoro a quella stanza. I genitori di lui erano partiti per trascorrere quel fine settimana in montagna, tra camminate e liquori che riscaldavano guance e parole; non sarebbero tornati prima di sera.
Proprio quel pomeriggio, in quella camera nella penombra, guardandolo girare per camera sua con addosso solo dei pantaloni sportivi blu, si era accorta per la prima volta di amarlo, di amarlo sul serio. Di accettare i suoi difetti e di sapere con certezza che erano quelli a renderlo la persona che lei adorava nella sua incompletezza. Lui era lo stiramento necessario di muscoli dopo il lungo torpore del sonno, la prima boccata d’aria primaverile dopo un brutto temporale, era uno stimolo involontario a cui il suo corpo non riusciva a non rispondere con l’amore.
Niente poteva far ricredere Nora sulla bellezza e la perfezione, seppur sottile e disincantata, di quei momenti. Niente tranne i ricordi  che le piombarono addosso in una frazione infinitesimale di tempo. Meno di un secondo e la sua vita aveva perso tutto il senso acquisito negli ultimi mesi.
Il suo cellulare, finito per qualche strana ragione in un angolo della stanza, si era illuminato. Aveva gattonato sul letto sfatto verso il bordo, calcolando la distanza; si rese conto di dover scendere per raggiungere il proprio telefono.
Con fatica si portò alla meta, sedendosi nell’angolo e appoggiandosi al muro, stanca, le mani coperte dalle maniche della felpa, lo smalto sbeccato che armeggiava sullo schermo per sbloccarlo.
Era un promemoria. Laurea Leo, recitava.
Un messaggio semplice e quasi innocuo, se non fosse stato paragonabile a un colpo di pistola in pieno petto.
Uno spasmo involontario al cuore, come il suo amore per lui, un battito in più e doloroso. Due cose entrambe sbagliate.
Si raggomitolò su se stessa, piangendo le sue colpe e affondando le unghie nella carne corrotta che la avvolgeva, niente di quello che conosceva le apparteneva più, nemmeno il suo amore. Soprattutto quello, non riusciva a sentirlo suo.
Quello doveva essere l’amore di Eleonora.
 
 

5 Agosto 2012

 
«Hai tutto?» Nora l’aveva chiamata prima della partenza per salutarla e sapere se andava tutto bene: era a conoscenza di quanto Leo odiasse volare, ma per raggiungere Minorca era impossibile ricorrere ad altri mezzi di trasporto.
«Vestiti, scarpe, creme solari, costumi, pigiama, trucchi…» stava guardando la lista che si era preparata preventivamente, detestava dimenticare anche la più semplice forcina e un elenco dettagliato delle cose da mettere in valigia era il minimo per una persona metodica come lei. «Dio, la piastra! Mi stavo dimenticando la piastra sul letto, si può? Non sarei sopravvissuta senza piastra!»
«Tranquilla Leo, le altre l’avrebbero avuta, i tuoi capelli sarebbero stati salvi e tu avresti potuto uscire in tutta tranquillità» la schernì Nora.
Le dispiaceva non andare in vacanza con Eleonora ma, come le altre sue amiche, non aveva avuto le ferie ad agosto, si erano così accontentate di andare in Puglia l’ultima settimana di Luglio.
Leo stava partendo con una sua collega e una vecchia compagna di università, persone che Nora conosceva di vista o per sentito dire, nulla più.
Era passati i tempi in cui le due, insieme alle amiche di entrambe, uscivano per andare a ballare e regalavano baci al sapore di vodka e Lemonsoda per il semplice gusto di aver qualcosa da raccontare e avere una risata complice in risposta.
Le uscite in compagnia erano diventate rade come quei baci ebbri, per lasciare il posto a chiacchiere al telefono che colmavano la distanza e gli impegni che le separavano, e ad amori che – più maturi – cercavano di svilupparsi all’ombra di caffè e un discorso timido solo accennato.
Leo e Nora si volevano bene, un sentimento cortese che, in mancanza di uscite faccia a faccia, si accresceva con parole preziose attraverso un telefono.
«Hai ragione, ma io preferisco usare le mie cose!» e ridacchiò giuliva, la partenza l’aveva rinvigorita, era pronta a godersi il sole, il mare e le discoteche che l’isola spagnola era pronta a offrirle.
Era troppo felice e spensierata per una persona che doveva salire su un aereo di lì a poche ore, anche se l’euforia per le vacanze era tanta. Leo odiava volare, non le piaceva essere rinchiusa in una scatola di ferro fin troppo piccola per i suoi gusti, a più di un paio di chilometri da terra; quindi la sua reazione non era affatto normale.
«Ehi, che succede? Stai per prendere un aereo e non stai dando fuori di matto, l’ultima volta stavi per rifiutarti di partire. Sei su di giri, ma non in modo negativo – o distruttivo – come al solito. Su, avanti, parla».
Nonostante l’avesse conosciuta pochi anni prima, l’amicizia che le legava le aveva portate a conoscersi profondamente.
«Beh, vedi, io... Ok, ho fatto una cosa». Ammise con una risatina isterica.
«E cosa?» Nora era diventata ormai curiosa, non sapeva cosa aspettarsi dalla sua amica: quando ammetteva di aver fatto qualcosa, c’era aspettarsi di tutto. Una lieve preoccupazione si insinuò in lei, temendo che i suoi sogni avessero preso il sopravvento sulla realtà, ancora una volta.
«Ho scritto un messaggio di posta ad Andrea, su Facebook».
Andrea Paroli, l’ossessione di Leo da quasi un anno. Avevano amici in comune, ma non si vedevano da tempo perché lui era andato all’estero per lavoro. Era tornato all’improvviso, spuntato come un frutto sul ramo nel momento del suo nascere. Come non si poteva amare ciò che già prima piaceva? Leo non aveva trovato risposta, e si era lasciata avvolgere dall’infatuazione quasi adolescenziale nei suoi confronti.
Nora e le altre non avevano potuto niente a riguardo, se non metterla in guardia che con certe scintille era più facile scottarsi.
«E cosa gli hai scritto?».
Aveva paura della risposta, sentiva che c’era qualcosa di strano sotto.
«Dopo aver scambiato due chiacchiere… Gliholasciatoilmionumero».
Non aveva capito, non era ancora diventata brava a interpretare ciò che le persone non volevano dire «Eh?»
«Gli ho lasciato il mio numero».
Un’altra domanda le uscì spontanea, sfuggendo al controllo delle labbra. «E perché?»
«Perché mi piace, e sono stufa di aspettare che sia lui a farsi avanti. Ho fatto così con tutti, e non mi ha portato da nessuna parte. Lui è il primo che mi interessa davvero dopo tempo immemore, ho voluto provare».
Eleonora l’aveva detto con la più ingenua convinzione. Dopo la delusione avuta da Daniele un paio d’anni prima, aveva passato un sacco di tempo a leccarsi le ferite che lui, con il suo comportamento ambiguo, le aveva inferto. Aveva la sicurezza che l’interesse per Andrea, seppur acerbo e basato su supposizioni, andasse curato: se l’aveva spinta ad arrivare a tanto voleva dire che i sentimenti che provava per lui erano meno superficiali di quel che gli altri pensavano. Lei ne era sicura ed era felice della propria scelta, nonostante i dubbi l’avessero assalita subito dopo aver premuto il tasto d’invio.
«E se non ti risponde?».
Nora era preoccupata per l’amica. Leo viveva di sogni e castelli in aria, per lei ferirsi era questione di un attimo, il tempo che una scheggia di realtà si infilasse a tradimento tra un sogno e l’altro. Aveva paura che nel caso di un rifiuto da parte di Andrea, Eleonora sarebbe ricaduta nel suo pessimismo cronico, una situazione dalla quale non sarebbe uscita tanto facilmente.
«Ecco perché gliel’ho inviato proprio ora. Tra venti minuti passano a prendermi, poi salirò su un aereo. Una volta in Spagna non avrò tempo di curarmene. Se mi scriverà bene, se non lo farà non avrò tempo di piangermi addosso, anzi, mi starò già divertendo con uno sconosciuto. Sempre che riesca a far funzionare la connessione sul cellulare, altrimenti lo scoprirò al mio ritorno».
Il suo tono trasudava sicurezza e spensieratezza, il ragionamento, per quanto strano, non faceva una piega. Riuscì così a tranquillizzare Nora, nonostante avesse dubbi sulla cosa.
«Sei sicura?»
«Sicurissima. Sento di aver fatto la cosa giusta. Insomma, mica gli ho chiesto di sposarmi!».
Sentirla così serena a riguardo la convinse del tutto: se Leo era cosciente dei rischi che stava correndo e non ne era preoccupata, non vedeva il motivo di angosciarsi lei stessa.
«Allora in bocca al lupo, spero per te che funzioni»
«Grazie. Ora scappo, è arrivata nonna, vuole salutarmi prima della partenza»
«Ok, mi raccomando, sta’ attenta e divertiti».
La fretta si era impossessata del loro tempo e del loro scambio di battute, il tempo di Eleonora era diventato poco e le cose da fare erano ancora tante; solo Nora poteva ancora approfittare della calma della prima domenica d’agosto a proprio favore, facendo ciò che più avrebbe desiderato con la dovuta pigrizia.
«Sarà fatto. Nel caso di notizie interessanti mi faccio sentire al volo. E, ricorda, se dovessi morire, di’ ad Andrea che l’ho amato!» concluse con una risatina divertita.
Una frase come tante, chissà chi l’aveva inventata. Ci avrà creduto davvero?
«Esagerata!» la ammonì l’altra, allegra.
«Vabbeh, fa scena».
Un’alzata di spalle mentre infilava la piastra nella valigia, nonostante l’amica non potesse vederla.
«Ciao Leo»
«Ciao Nor, fai la brava senza di me».
Il tempo di Eleonora era finito.
 

6 Agosto 2012

 
Nora si era svegliata troppo presto per far colazione, ma il lavoro chiamava come ogni lunedì e lei non poteva evitare di rispondere. Aveva acceso la piccola televisione della cucina per farle compagnia mentre il latte bolliva sul fuoco.
Odiava parlare di prima mattina, quando aveva ancora gli occhi gonfi, i capelli di una forma non ben specificata e la voce impastata dal sonno, quindi la tv offriva una valida alternativa a una persona in carne e ossa a cui avrebbe dovuto rispondere prima o poi. Se non si prestava ascolto alla tv, questa non si offendeva.
«Tragedia avvenuta ieri sera. Un aereo della compagnia…» versò il latte ormai caldo nella tazza e si portò al tavolo, dove c’erano già i cereali appoggiati sul piano accanto alla zuccheriera. Dopo quel momento il mondo poteva iniziare a scocciarla. «…Partito da Malpensa, si è schiantato sul suolo spagnolo prima di giungere a destinazione».
Una fitta alla bocca dello stomaco le impedì di ingerire ciò che aveva in bocca, il giornalista si era assicurato la sua attenzione, il cuore batteva tanto da far male. Era solo una coincidenza, si stava preoccupando per nulla «Non si tratta di errore umano, quanto più di un guasto improvviso al motore. Nonostante i piloti abbiano fatto del loro meglio, non ci sono superstiti. Il volo era occupato perlopiù da turisti italiani, la destinazione era Ibiza».
Le cadde il cucchiaio nel momento in cui le salì un conato di vomito. Non era possibile, non poteva essere vero. Non si trattava dell’aereo su cui viaggiava Eleonora, quelle cose succedevano solo nei film, oppure agli altri.
Abbandonò la colazione e si alzò a fatica, tornò in camera per accendere il cellulare, doveva chiamare Valentina per sapere se lei era a conoscenza di qualcosa.
C’era qualcosa di così sbagliato in quei gesti da metterle addosso una brutta sensazione. Di solito era una persona abitudinaria, che adorava la routine delle piccole cose: prima la colazione, poi il momento di lavarsi, dopo ancora l’opera di scegliere i vestiti e, infine, rendersi umana agli occhi del mondo con un po’ di trucco.
Invece aveva interrotto la colazione e aveva acceso il telefono per chiamare quello di Vale che, però, risultava occupato. Come faceva un telefono a essere occupato alle sette di mattina?
Si sedette sul letto, le mani tremavano e le gambe non reggevano più il suo peso, doveva respirare con calma, ma non riuscì a concretizzare il pensiero.
Il display si illuminò, portando il nome di Viola alla sua vista. Una foto sorridente, quei gesti di pochi secondi immortalati per sempre, perché le persone era bello ricordarle così.
«Vi, ciao, hai visto il tg stamattina?». La voce incerta e incredula. «Non… Non è possibile…»
«Nor…» la voce rotta dal pianto, un tono metallico dovuto al cellulare che le divideva.
«No!» urlò Nora disperata. Non era vero, non era vero, non era vero.
«Nora…» i singhiozzi potenti, così vicini da sembrare reali.
«Non è vero»
«Ho sentito i suoi genitori, sono stati contattati ieri sera».
Viola non aggiunse altro, forse perché non c’era altro da dire. Quel silenzio spiegava bene come si sentivano entrambe in quel momento, perché riempiva il dolore che stava prendendo posto nel petto.
Nora si stese a letto, scossa dai brividi nonostante la calura estiva. Tutto era sbagliato, quella mattina: i tremori, la sua routine, la sua vita che era andata a puttane. Tutto.
«Vi, ti prego, vieni qua. Io… Io non ce la faccio». Parole che scorsero tra una lacrima e l’altra, tra un respiro e il successivo, lasciando posto in quei piccoli intervalli al dolore che si radicava nel corpo. La consapevolezza che Leo non sarebbe tornata da loro, che non era nemmeno riuscita ad arrivare a destinazione; tutto troppo strano per essere vero.
Nora si raggomitolò su se stessa e si coprì con il lenzuolo mentre aspettava Viola, la seconda parte di un trio che non si sarebbe più formato, nemmeno a distanza come negli ultimi anni.
 

9 Agosto 2012

 
Nessuna bara, nessun corpo da piangere, solo l’assenza che esso occupava e della persona che lo rendeva vivo. A Leo era toccata una semplice commemorazione, perché di lei non era rimasto nulla.
I genitori, nella loro devastazione, aveva portato una piccola urna vuota, un contenitore rappresentativo che voleva simboleggiare la nuova dimora di Eleonora, perché altrimenti non avrebbero saputo dove piangerla. Un’urna riempita di frasi non dette dalle persone che le volevano bene, di sogni spezzati troppo presto, di illusioni interrotte e una vita finita prima del tempo, perché erano i figli che dovevano seppellire i genitori, e non viceversa.
Nora, Viola, Laura ed Elisa sentivano tutte quelle cose sulle proprie pelli, ogni sogno infranto, ogni anno di vita di Leo che non ci sarebbe stato era segnato su di loro con lacrime incandescenti che non avrebbero permesso  di dimenticarli. Perché Leo avrebbe dovuto laurearsi e diventare commercialista, dopo aver fatto praticantato e aver sostenuto l’esame di stato, aveva un interesse per Andrea da sviluppare e vedere che direzione avrebbe potuto prendere. Aveva una vita davanti che in pochi minuti le era stata portata via per sempre.
Dopo la funzione salutarono i genitori di Leo con un abbraccio bagnato dal dolore di tutti e si fermarono poco distanti dalla chiesa per parlare. Si divisero alcuni compiti e a Nora toccò quello di chiudere il profilo della ragazza sul social network più famoso del mondo: Facebook. Le amiche non trovavano giusto che la pagina, così personale e quanto mai macabra e fuoriposto dopo quel che era successo, fosse sotto gli occhi di tutti. Il profilo di Leo era diventato il muro del pianto dove ognuno, sentendosi pure autorizzato a farlo e che la conoscesse o meno, scriveva ricordi e saluti lacrimevoli. Era giunto il momento di dare un taglio a tutta quell’ipocrisia, quando la maggior parte delle persone non la salutavano quando la incontravano in giro.
Si congedarono senza regalarsi falsi sorrisi e Nora, per distrarsi, prese il computer per svolgere l’ingrato compito: prima l’avrebbe fatto e prima si sarebbe tolta un peso dal petto, come se la mancanza di Leo potesse andarsene minuto dopo minuto al posto di acuirsi ogni secondo di più.
Le era toccata il profilo sul social network perché lei era una delle poche persone a conoscerne la password.
Con il ronzio famigliare del portatile nelle orecchie aprì la pagina dalla grafica blu e bianca e, invece di digitare la propria mail, scrisse quella di LeoLeo e la sua parola chiave.
Trasse un respiro di sollievo quando trovò una semplice home come la sua, piena di stati personali e link di ogni genere; fu quando aprì le notifiche che le si strinse il cuore: molte riguardavano i messaggi postati sulla bacheca personale che, per evitare che le lacrime agli occhi scivolassero lungo le guance, si risparmiò.
Vi erano anche un po’ di messaggi privati, che aprì per vedere cosa contenessero.
Fu solo quando lesse un mittente in particolare che lasciò perdere gli altri, uguali ai messaggi in bacheca: il nome di Andrea Paroli sembrava scritto a caratteri cubitali rispetto agli altri.
Nora aprì il messaggio e trovò il contenuto più asettico e stravagante che avesse mai letto.
Se il messaggio di Leo includeva qualche convenevole e una scusa per lasciargli il numero, la risposta di lui riportava una faccina con un occhio chiuso e il proprio, di numero.
Perché non scriverle direttamente sul cellulare? Nora non lo capiva, eppure pianse, perché si era solo potuta immaginare la felicità di Leo davanti a una simile risposta. Andrea avrebbe potuto essere la felicità di qualcuno e non ne era nemmeno a conoscenza.
«E, ricorda, se dovessi morire, di’ ad Andrea che l’ho amato».
Una delle ultime frasi di Leo, una cosa detta con leggerezza, quasi per scherzare, che in quel momento aveva assunto un nuovo significato.
Salvò il numero di Andrea sul proprio cellulare e poi disattivò la pagina di Eleonora Testa, la ragazza di cui anche il telegiornale aveva parlato insieme alle altre vittime del disastro.
«Per te Leo, solo perché te l’avevo promesso».
E, con il computer, cercò di spegnere il dolore dovuto alla perdita dell’amica.
 

Dal 10 Agosto 2012 in poi

 
Era seduta al tavolo di un bar molto carino. Erano le due di pomeriggio e il caldo non si risparmiava dal colpire ogni persona a spasso a quell’ora, eppure a Nora piaceva stare sotto a quel portico, protetta dall’ombra di quella piccola costruzione che assomigliava tanto a una balconata sulla strada.
Sprofondata sulla sedia d’acciaio, era terrorizzata all’idea di quello che l’avrebbe aspettata di lì a poco. Non riusciva a non domandarsi  come una cosa simile le fosse saltata in mente.
«Tu sei Nora, vero?» fu interrotta dalla voce di Andrea, che conosceva perché l’aveva sentito parlare un paio di volte: frequentare gli stessi locali e avere conoscenti in comune a volte aiutava.
Era serio e bello, ma non di quella bellezza banale che saltava agli occhi di tutti. Non seppe come spiegarselo, ma sembrava che il giovane Paroli fosse circondato da un alone di mistero; illuminato da un’aura naturale che risplendeva di più grazie alle molteplici ombre che lo catturavano in egual modo. Era come se vivesse in penombra, in un equilibrio che solo lui sapeva mantenere.
Si stupì di come non avesse mai notato prima questa sua particolarità, e fu solo quando incontrò i suoi occhi che ebbe la certezza di quella sensazione: nonostante fossero luminosi e acquosi, anche se scuri, non si riusciva a capire cosa nascondessero, quali sensazioni Andrea provasse. Le era sempre sembrato un tipo schivo, nonostante fosse sempre in compagnia di amici, ma non aveva mai capito quanto si nascondesse dietro le proprie ombre.
«Sì, sono io, ciao». Gli tese la mano, a mo’ di presentazione.
Dato il tumulto che quell’incontro le stava provocando, era contenta che lui le avesse chiesto un caffè prima del lavoro. Quell’orario talmente caldo da costringere la maggior parte delle persone a casa per una pennichella o in auto verso il lavoro, immerse nell’aria climatizzata. L’ora in cui le cicale facevano da sottofondo e da rumore dominante al contempo, un’ora piena di sole ma sonnacchiosa allo stesso tempo. Nonostante i comfort elencati prima, Nora era felice di essere davanti ad Andrea, felice e intimorita.
«Ti ho già vista in giro, sei amica di Eleonora» disse lui sedendosi sulla sedia libera davanti alla ragazza, infilando gli occhiali da sole nel collo della maglia bianca.
Il sentire nominare la sua amica la fece sussultare e sgranare gli occhi, una reazione che a lui non sfuggì, ma per galanteria non disse nulla. Sapeva di trovarsi di fronte una sconosciuta, non poteva pretendere che le spiegasse ogni cosa.
«Infatti. Sono qui per questo». Si era schiarita la voce, ma il tono era risultato incerto e acuto, come una nota stonata in quell’insieme di armonia e tranquillità che Nora formava con il paesaggio. Nonostante fossero in piena città e su una via molto trafficata, l’ombra che li riparava e i fiori attorno a loro donavano una finta sensazione di pace di cui Andrea preferiva bearsi prima dell’infinito pomeriggio di lavoro.
Nora voleva iniziare quel discorso spinoso e strampalato. Prima avrebbe iniziato e prima avrebbe finito quella parentesi imbarazzante e dolorosa della sua vita. Dopo sarebbe tornata alla sua normalità di tutti i giorni e avrebbe ripreso fiato di nuovo. Ogni respiro sarebbe stato meno doloroso, ogni volta un po’ meno legato a Leo.
Non aspettò che Andrea le invitasse a proseguire, aveva paura delle sue parole quanto del suo giudizio. «Prima che Eleonora partisse per le vacanze abbiamo parlato, e mi ha detto del messaggio che ti ha mandato».
Lo vide appoggiarsi allo schienale e ringraziare la cameriera per aver portato loro i caffè ordinati dinanzi. Il fatto che Ele avesse confidato alle amiche ciò che aveva fatto l’aveva sorpreso.
«Qualche giorno fa ho aperto il profilo Facebook di Eleonora e ho trovato il tuo messaggio di risposta, ecco perché ti ho contattato». Per i gusti di Nora era particolarmente tranquillo a riguardo, cosa che la fece insospettire. Anche la sua abbronzatura diceva qualcosa riguardo a lui, così si ritrovò ad allungare il discorso, doveva capire quanto Andrea sapeva dei recenti avvenimenti. «Hai seguito la cronaca degli ultimi giorni?».
Prima di rispondere, Andre la fissò come se fosse una pazza impicciona. «Poco, sono rientrato dalla Sardegna giusto domenica e ho passato le mie giornate a lavoro»
«Immaginavo, dal tuo atteggiamento» rispose lei atona, cosa che lo fece irrigidire.
Non gli piaceva essere giudicato senza prima essere conosciuto.
«Hai sentito della disgrazia aerea che ha coinvolto il volo italiano?».
Lui annuì senza parlare, non voleva perdersi una sola parola della ragazza, aveva la sensazione che stesse per giungere al punto fondamentale della questione, quello per cui entrambi si trovavano lì.
«Ecco, Eleonora era su quel volo».
Anche Andrea riuscì a sentire il nodo alla gola di lei, nonostante ci fosse un tavolino e il loro non conoscersi a separarli.
Non conosceva Eleonora come non conosceva Nora, eppure Leo, come la chiamavano gli amici che avevano in comune, se la ricordava. Era entrata nella sua vita ai tempi del liceo, grazie ad alcuni dei suoi compagni di calcio con cui lei si vedeva, erano un gruppo unito che si frequentava spesso e, durante gli ultimi anni scolastici, lei e i ragazzi che non giocavano a calcio con Andrea e i restanti del gruppo, avevano preso l’abitudine di seguire le loro partite della domenica mattina.
Ecco lì il ricordo costante di Leo che si faceva sentire: lei con altri ragazzi dello stesso quartiere di Andrea sugli spalti a incitarli e a guardarli mentre, come scemi, correvano dietro al pallone e alla vittoria. Negli anni tutto quello si era perso, non erano più quindicenni perché di anni ne avevano dieci di più, e Leo era diventata quella ragazza legata al suo passato che incontrava in giro di tanto in tanto. Facebook gli aveva suggerito l’amicizia e lui, in memoria dei vecchi tempi, aveva deciso d’inoltrare la richiesta.
E ora quella ragazza non c’era più, non era nient’altro che un ricordo distorto dalle sue impressioni e un numero di cellulare spento per sempre. La cosa l’aveva destabilizzato.
«Mi… Mi dispiace. Io non so cosa dire, trovo che ogni discorso sia inutile. Non posso capire cosa significhi perdere un amico, ma se succedesse a me starei da schifo».
Forse una cosa ce l’avevano in comune, oltre Leo.
«Grazie, apprezzo la tua sincerità». Ma Nora era lì per cercare di aggiungere la parte più delicata di tutta la faccenda, anche perché Andrea non capiva cosa ci facesse lì, con l’amica sconosciuta di una ragazza ormai defunta.
«Prima di partire mi ha detto una cosa, sai, per scherzare. Ma ora che non c’è più mi sembra doveroso che io lo faccia davvero». Doveva dirgli la verità prima di scoppiare a piangere. Confessargli perché aveva voluto incontrarlo e poi, con una scusa, correre verso il bagno e lasciare che il ricordo di Leo fluisse sottoforma di lacrime per ferirla e liberarla, un po’ alla volta.
«E io cosa c’entro?» Andrea era confuso a riguardo.
«C’entri eccome» gli sorrise Nora, quasi divertita. «Prima di salire sull’aereo mi ha detto che se fosse morta, avrei dovuto dirti che le piacevi molto, aveva un interesse per te. Ecco perché il messaggio di posta prima delle vacanze e, presumo, tutti i ‘Mi piace’ che ti ha messo in questi mesi. Lo so» si giustificò. «Può sembrarti stupido. Lei l’ha detto per scherzo e io te lo sto dicendo davvero, ma mi sembrava la cosa giusta da fare. Forse perché, da quando non c’è più, non so cosa fare per affrontare il fatto che se ne sia andata». Una lacrima rotolò lungo la guancia, traditrice. Doveva aspettare il bagno.
Andrea era in difficoltà, era una situazione strana, in cui non avrebbe mai pensato di trovarsi. Inoltre, non era bravo con le parole, peggio ancora quando si trattava di dar voce alle proprie sensazioni. «Ah, ok. Grazie. Io penso che tu, beh, abbia fatto bene a dirmelo. Hai mantenuto la promessa e onorato la memoria di un’amica».
Se Nora si fosse alzata per dargli un ceffone non le avrebbe dato tutti i torti. Ma si sapeva, uomini e donne parlavano due lingue differenti e inconciliabili. «Mi fa piacere che conservasse un bel ricordo di me. Io ce l’avevo di lei. Penso che l’avrò sempre».
Eppure, al posto di uno schiaffo, arrivò il pianto spontaneo e inaspettato di un cuore tormentato dal dolore di quella perdita. Nora aveva iniziato a piangere, inondando i suoi occhi verdi scuri di lacrime che non volevano sapere di smetterla di scendere.
Andrea davanti a una simile visione si irrigidì, non sapendo che fare. Invece di alzarsi e abbracciarla, le aveva chiesto se le andavano due passi e, dopo averla vista annuire tra i singhiozzi, si diresse alla cassa per pagare i caffè e poi si avviarono nell’ombra degli alti palazzi che li circondavano in assoluto silenzio, se non i singhiozzi di Nora e il rumore delle scarpe sull’asfalto come compagnia di quel disagio radicato tra loro.
Non si dissero nulla durante quella passeggiata, ma piano i singhiozzi di Nora si attenuarono e lo ringraziò per averle offerto il caffè, poi tornò a chiudersi dietro il mutismo più assoluto, cosa che ad Andrea non dispiacque, perché non sapeva consolare la gente.
Nonostante non si fossero detti nulla, il pianto di lei cessò e si sentì meglio. La presenza di Andrea era stata fondamentale nel farle tornare la calma, l’aveva sentito forte e saldo al suo fianco. Quelle parole non dette erano state il suo miglior discorso di sempre, sentiva che dentro qualcosa si era rigenerato, lasciando il posto a un’inaspettata speranza.
«Io, ehm, dovrei andare. Tra poco devo essere a lavoro e questa è la mia auto» lo disse imbarazzato, sapendo che guidarla verso la propria macchina non era stato un gesto carino, ma non poteva arrivare in ritardo, in un simile periodo avere un lavoro era come trovare l’oro, non poteva dare motivo a quel despota del suo capo di licenziarlo o attaccarsi a qualsiasi cosa pur di rendergli la vita lavorativa un inferno, cosa che faceva già.
«Già, che stupida, non ricordavo. Ero convinta che, essendo agosto, fossi in ferie. Scusa, mi ero proprio dimenticata, me l’avevi anche detto». Sorrise incerta, cancellando da sotto gli occhi gli sbavi neri del mascara, peccato che per gli occhi gonfi di pianto non bastasse un simile gesto.
«Tranquilla, è normale. Tutti sono in ferie ad agosto, tranne il sottoscritto».
Il tono con cui lo disse la fece ridere per la prima volta, era stato veramente buffo il modo petulante e a tratti scocciato  che aveva utilizzato.
Rimasero entrambi stupiti dal gesto di lei: Nora per essere riuscita a ridere, era da giorni che non succedeva ed era convinta di non ricordarsi come si faceva, Andrea perché aveva scoperto quanto la sua risata fosse bella e contagiosa.
«Non è vero, anche io lavoro, solo che mi hanno dato qualche giorno di vacanza. Sai…» e si interruppe. Spezzare quel momento con l’ombra della tragedia di qualche giorno prima non era stato facile, ma ogni momento di felicità nella sua testa equivaleva a un mattone in più nel suo muro del senso di colpa.
Andrea disattivò l’antifurto e aprì la portiera, lasciando che il caldo accumulato all’interno si disperdesse, concedendogli di respirare un po’ una volta nell’abitacolo.
«Mi ha fatto piacere che tu mi abbia detto certe cose riguardo Eleonora. Non sapevo che fosse sul volo, grazie per aver chiarito determinate cose». Le sorrise cercando di consolarla come prima non aveva fatto. Non era il tipo che abbracciava le persone, specialmente se sconosciute. Dimostrava a malapena agli amici il proprio affetto e il proprio riconoscimento. Non che fosse proprio incapace di farlo, ma non era abituato, questo perché le dimostrazioni d’affetto, nella società moderna, erano ristrette ai più piccoli, i grandi perdevano il gusto di dedicarsi a un abbraccio dato col cuore o a una carezza data con sentimento, senza volere nulla in cambio. Ci si sentiva in imbarazzo davanti a certi gesti, sempre in difetto perché non si pensava di essere all’altezza della persona che, con ardore, prendeva l’iniziativa sconfiggendo il muro dietro cui tendeva a nascondersi.
Nora annuì e si allontanò mentre Andrea avviava l’auto. Il vestito che svolazzava, sospinto dall’aria calda e carica d’afa, che le arruffava un po’ anche i lunghi capelli castani.
Solo quando Andrea fece la retro per liberare il parcheggio Nora si girò verso di lui e si fermò a fissarlo, cosa che lo indusse ad abbassare il finestrino.
«Grazie» gli mormorò commossa, come se lui avesse fatto veramente qualcosa per lei.
Eppure, vedere un briciolo di vitalità in fondo a quegli occhi colmi di tristezza che avevano pianto tutto il dolore che Nora aveva provato, gli aveva fatto capire che, forse, non era stato così, e lo fece stare meglio.
Avrebbe ricordato per sempre quella giornata, e il momento in cui si rese conto di aver cambiato le cose per una persona con la sua sola presenza.
 
Nora aveva ripreso a vivere. Vedeva le amiche di sempre e usciva con loro, rideva e scherzava e l’allegria non era forzata, ma le mancavano sempre le telefonate che faceva in pausa pranzo,  sapere a memoria un numero che non avrebbe più composto la faceva sentire incompleta, perché quella parte di sé le mancava, perché Leo era stata una grandissima amica.
Nell’eco di fine estate poteva sentire la malinconia che accompagnava i giorni più corti e meno afosi; era incredibile come, dopo ferragosto, ci fosse quel periodo indefinito che non era estate ma nemmeno altro. Era una fase di transizione in cui tutti passavano senza saper davvero cosa fare, era talmente sospesa da risultare un periodo a sé stante, di cui nessuno conservava memoria.
Nelle serate di quei fine settimana Nora era uscita, divertendosi, sospesa come il periodo estivo dopo ferragosto: nostalgico e assopito.
Aveva pensato spesso ad Andrea e a come, in quell’unico loro incontro, lui avesse esercitato su di lei – senza quasi parlare – una strana energia positiva. Era come se la sua sola presenza avesse fatto scattare qualcosa in lei, un qualcosa di piacevole che avveniva ogni volta che ci ripensava.
Era stato strano, dunque, in quella sera di metà settembre, ritrovarselo davanti nel locale che frequentavano entrambi ma dove da tempo non si incontravano. Era capitato per caso, perché l’estivo aveva chiuso e il solito posto aveva riaperto i battenti. Strano come per ritrovarsi, prima avessero dovuto sentirsi a casa. Perlomeno, era così che si erano sentiti nel locale, uno davanti all’altra.
Era risultato naturale salutarsi e premurarsi su come stesse davvero l’altro, perché Andrea era preoccupato per Nora, si chiedeva spesso se dopo il loro incontro si fosse ripresa. Aveva il suo numero, certo, ma non era il tipo che importunava le ragazze senza un motivo. E, con la stessa spontaneità con cui si erano scambiati i convenevoli, erano passati a veri e propri discorsi. Quale lavoro facevano, la passione per lo snowboard di lui, quella per la pallavolo di lei, l’uscire con gli amici; era stato ancora più semplice offrirle da bere, chiedere se le andava di spostarsi alla calma della sera per continuare il loro dialogo davanti al fumo di una sigaretta.  
Non seppe spiegarsi come un no non le passò nemmeno per un secondo per la testa, l’aveva seguito nonostante non fumasse. Lui, così attaccato ai suoi amici, li aveva abbandonati dentro il bar, lei alle amiche non aveva nemmeno pensato, tanto l’avrebbero vista lì fuori.
Le sigarette erano diventate due, poi tre, infine quattro quando, a mezzanotte e mezza, le serrande invitavano i clienti e gli amici ad abbandonare il locale. Com’era possibile che fossero passate due ore, da quando erano usciti? Fissarono i bicchieri che si erano portati fuori: non solo i contenuti erano finiti, ma il ghiaccio era completamente sciolto e tornato acqua. Accanto a loro il gruppo di Andrea lo aspettava con indifferenza, mentre le amiche di Nora la osservavano con curiosità e trepidazione, volevano sapere cos’avevano di così importante da dirsi in tutto quel tempo.
«Ora vado, i miei amici mi aspettano. Magari ci sentiamo». Abbozzò un sorriso, nel tentativo di simulare indifferenza.
Nora annuì e sorrise in risposta, senza dire nulla. non sapeva come rispondere a quell’affermazione perché, nel momento stesso in cui Andrea l’aveva pronunciata, aveva iniziato a sperarci. Sapeva quanto fosse una frase di rito, detta giusto per mettere fine al discorso, ma non poteva fare a meno di desiderare che fosse vera almeno un po’.
Fu solo a casa, quando si trovò a letto da sola, che le venne spontaneo ringraziarlo per la bella chiacchierata nella chat istantanea; subito dopo, in un attacco di codardia, spense il telefono.
E così iniziò tutto. Nora, accendendo il cellulare in quel sabato mattina inoltrato, aveva trovato la risposta positiva di Andrea al suo messaggio. Da lì era diventato naturale scriversi sempre più spesso. Una volta per lamentarsi del tempo, un’altra volta ancora per chiedere come andava, quella dopo per sapere semplicemente i programmi delle rispettive serate.
Era diventato facile incontrarsi, fino a fine ottobre, in giro con gli amici e scriversi poi discorsi sempre più fitti, sempre più importanti, sempre più personali.
Fino al giorno in cui Andrea, stanco di avere pazienza, durante uno dei loro discorsi, interruppe il reciproco aprirsi “Cosa ne dici se al posto di continuare a scriverci ne parlassimo faccia a faccia davanti a un aperitivo? Ho i crampi alle dita a causa tua”.
Ripensandoci, non seppe nemmeno spiegare il perché il come rispose di sì, forse perché lo voleva e basta “Ok lingua lunga, dimmi quando ti è più comodo e vediamo se riesco a trovare un buco per te anche prima di un allenamento” l’aveva buttata sul ridere, ma nel digitare la risposta le dita avevano indugiato parecchio e il cuore batteva più del lecito.
I sensi di colpa verso Leo crescevano a ogni messaggio, a ogni pensiero rivolto ad Andrea, ma Nora si diceva che non stava facendo nulla di male; non stava tradendo l’amicizia e la memoria di Eleonora, stava solo conoscendo una persona che la stava aiutando a fuggire dal dolore che la morte dell’amica aveva lasciato.
L’aperitivo aveva reso i discorsi più vivi, spontanei e divertenti, facendo accrescere la loro complicità senza che nemmeno se ne accorgessero.  Dopo quell’appuntamento, perché di questo si trattava, c’erano stati altri incontri: aperitivi, serate fuori da soli, ritrovi con gli amici ma con occhi diversi dal solito.
Non c’era uno schema o un’assiduità precisa, Andrea e Nora si sentivano quando volevano e si vedevano quando potevano.
Nora poteva giurare di non sapere come e quando Andrea era entrato nella sua vita, ma sapeva da un po’ di tempo che era diventato importante. A ogni loro incontro scopriva sempre qualcosa di nuovo su di lui, un lato che teneva nascosto nell’ombra che lo seguiva e si prendeva la parte migliore di lui.
Essendo così coinvolta, in quel novembre così caldo per il periodo dell’anno, non sapeva se ringraziare o maledire Eleonora per averle fatto scoprire Andrea. Non riusciva a scollarsi di dosso il senso di colpa, ormai era palese quanto il ragazzo le interessasse, ma non poteva negare che a farla sentire viva dopo la tragedia di Leo era stato proprio lui.
Quel sabato pomeriggio di metà mese si sarebbero trovati vicino a casa di Andre, perché lui aveva poco tempo a disposizione tra la fine del lavoro e una cena a casa di amici.
Nora aveva parcheggiato lì vicino, non conoscendo bene la zona nonostante fosse il quartiere natio del padre, e si era fatta raggiungere a piedi. Vedendolo arrivare così, con una cuffia, una giacca pesante e i pantaloni della tuta, l’aveva trovato perfetto. Era la prima volta che guardava un ragazzo e non lo voleva cambiare di una virgola, né fuori né dentro.
L’aveva salutato con un bacio sulla guancia e aveva cercato di catturarne il sapore, perché non conosceva il gusto dell’ombra, e dopo essersi assicurata che non fosse troppo stanco, Andrea prese la situazione in mano e la guidò verso un piccolo parco nei dintorni di casa sua.
Era deserto, e al posto della solita erba c’era un manto di foglie secche che sembrava attutire ogni rumore. I rami, orfani del loro solito ornamento, erano l’unica cornice di quel quadro spoglio ma non per questo meno bello. O forse a uno bastava la compagnia dell’altra per stare bene e trovare il mondo un posto migliore.
Andrea si era seduto sull’unica panchina in condizioni decenti, questo perché stava nascondendo a Nora il dolore al ginocchio, dovuto a uno scontro avvenuto a calcio la sera prima. Sapeva che se gliel’avesse detto si sarebbe preoccupata per il solo fatto di essere così: altruista e generosa.
Non aveva molto da dirle in realtà, ma gli bastava averla lì, accanto a sé, da buon egoista qual era.
Eppure Nora non era davvero presente, perché immersa nel proprio caos. Era così tesa da non essersi nemmeno seduta, continuava a fare avanti e indietro di fronte ad Andrea, seduto sulla panchina.
Quando lui allungò una mano per fermarla, lei sussultò spaventata.
«Nora, cosa ti succede?». Non capiva a cosa fosse dovuto tutto quel nervosismo.
Finalmente si fermò davanti a lui.
Nonostante tutto, la faccia intenta a fissarsi la punta delle scarpe, tanto che Andrea faceva fatica a scorgerla, dato che metà era sommersa nella calda sciarpa che lei adorava.
Non l’avrebbe mai ammesso, ma vederla così lo faceva soffrire: come lei era il suo piccolo grande angolo di pace, sperava di essere lo stesso per lei. Invece, quei gesti isterici, gli dicevano l’esatto contrario.
«Io…» cominciò a fatica, come se parlare le costasse un grande sforzo.
«Andre, tu mi piaci». Non era diventata rossa nel dirlo, ma non aveva alzato lo sguardo per incontrare quello di lui, troppo impaurita dalla reazione che si aspettava a quelle parole.
Sapeva che non era il tipo dai discorsi lunghi, né tantomeno dai gesti plateali e anonimi. Essendo schivo, pensava solo di averlo allontanato da lei, e non credeva nemmeno che la cosa fosse sbagliata: quello era il ragazzo che era piaciuto a Leo, si meritava di soffrire per quell’interesse sbagliato.
Ma, ancora una volta, Andrea la stupì.
Rimase in silenzio, fu il suo turno di non alzare lo sguardo, e Nora lo vide combattere contro quell’istinto perché aveva alzato il proprio viso, in cerca di una sua risposta, seppur minima. Aveva lo sguardo fisso sul giubbino di lei, all’altezza della sua pancia.
D’improvviso, l’abbracciò. Le circondò i fianchi con le braccia e la attirò a sé, lasciando che il viso poggiasse sulla giacca fredda, perché a scaldarlo c’era il tocco di quella ragazza che gli aveva fatto capire quanto importante e bello fosse avere accanto una persona importante.
«Non ti voglio perdere» sussurrò lui senza alzare il viso per guardarla.
Entrambi sapevano che nei loro occhi avrebbero trovato più risposte di quante ne avrebbero volute e sopportate, ecco perché non incrociarono lo sguardo in quel momento così intimo e solenne.
Nora gli cinse la testa con le proprie mani, lasciando che il nuovo sentimento di Andrea, quello che stava ricambiando, le scorresse nel corpo e le donasse una sensazione unica, così intima e famigliare che era convinta di non poterla provare con nessun altro, nemmeno in futuro.
Rimasero in quella posizione finché il freddo non penetrò nelle ossa, una cosa contro cui nemmeno i loro sentimenti potevano combattere. Giunta l’ora per Andrea di andare a casa per una doccia calda e vestirsi in tempo per la cena, percorsero il tragitto che li aveva portati fino a lì. Vicini, scaldati dal silenzio e l’importanza del loro gesto, non avevano bisogno di aggiungere altro.
Soltanto davanti all’auto di Nora, si fermarono uno davanti all’altra e si guardarono negli occhi per la prima volta. Senza nemmeno pensarci Andrea accennò un sorriso con un solo angolo della bocca, fece un piccolo passo verso di lei e il resto del corpo si mosse di conseguenza: per la prima volta le sue labbra trovarono quelle di Nora. Un richiamo che sentivano entrambi da tempo, e lo capirono nel momento in cui le due bocche vennero a contatto. Non era un semplice tocco, quanto più scarica di adrenalina che li percorse da capo a piedi; era il risveglio di ogni sensazione, un piacere a cui non avrebbero più rinunciato.
Era però giunto il momento di salutarsi e Andre sorrideva cortese e felice mentre con un pollice le accarezzava una guancia. Le depositò un ultimo bacio sul naso, prima di rimandare un altro bacio a un futuro incontro, che sarebbe avvenuto sempre troppo tardi.
Nora si mise al volante con le mani tremanti e la gambe deboli, il corpo non sembrava reggere tutta la felicità che una sola persona sembrava darle. In quel momento Leo non si era presentata alla sua memoria, anche se la punta di egoismo che le ricordava una sensazione sbagliata non era sparita, eppure lei non riusciva a darle veramente peso.
Era come se, per la seconda volta, avesse dato un primo bacio, perché c’era stato un sentimento talmente forte che, se paragonato agli altri che aveva provato per diversi ragazzi, quello per Andrea li batteva tutti senza nemmeno lottare.
C’erano stati infine altri appuntamenti e altri baci.
Baci da sobri, baci da ebbri, baci al chiaro di luna. E poi c’erano quelli a ridosso di un portone nella semioscurità della notte illuminata da un lampione, quelli chiusi in auto che facevano rumore e mettevano caldo, quelli nascosti sotto un cappuccio che facevano scottare le guance.
Quelli segreti, celati nella loro intimità più stretta, perché erano tutti così importanti che nemmeno Nora era riuscita a condividere la cosa con le proprie amiche.
Ed era arrivato il bacio nella neve natalizia. Quello in cui i fiocchi ghiacciati si posavano sui nasi, quello dato dopo aver ricevuto il regalo inaspettato da parte di una imbarazzata Nora.
E poi c’erano i baci tristi. Di solito erano quelli che avvenivano per salutarsi, l’ultimo che non era mai l’ultimo. Quelli che li separavano, magari divisi da pranzi o cene con parenti e amici, perché le feste erano giornate occupate dalle persone di sempre, periodi molto più impegnativi della solita routine lavorativa.
Infine, quello più importante – perché agognato da tutti ma arrivato all’improvviso come il rumore dei fuochi d’artificio – era stato il bacio pubblico. Perché le sue amiche e Nora avevano partecipato alla festa organizzata da Andrea e i rispettivi amici. Erano vicini, lei seduta sul bracciolo di una divano sgangherato e lui in piedi, accanto a lei.
«3, 2, 1… Buon 2013!». Erano state le parole che in coro tutti avevano ripetuto, poi erano scattati gli abbracci e i baci sulle guance di rito. Per tutti, tranne che per loro.
Si erano guardati con un’intensità tale da far arrossire chi si fosse accorto di quell’occhiata e poi si erano sfiorati le labbra per alcuni lunghi istanti. La gente intorno a loro si era data di gomito per richiamare l’attenzione su quel gesto impensato.
Tutti erano felici di quella situazione: la maggior parte dei presenti sapevano che nel 2013 ci sarebbe stato subito qualcosa d’interessante di cui parlare, ma per due persone sarebbe stato un anno degno di essere vissuto in ogni sua sfumatura.
 

10 Marzo 2013

 
Piangeva forte, ma non erano i singhiozzi a impedirle di respirare, quanto il peso che gravava sulla sua coscienza sporca.
Andrea, uscito dal bagno in quel momento, aveva abbandonato per terra la salvietta con cui si stava asciugando la testa per cercare di capire cosa le stava succedendo.
«Nora, stai bene? Ti sei fatta male?». Si era fatto vicino, preoccupato.
Cercava di toccarla, ma lei continuava a schiaffeggiargli timidamente le mani, in preda al suo pianto convulso. Decise di sollevarla di forza per poggiarla sul letto, ma lo fece con difficoltà, incontrando la resistenza della ragazza.
Una volta sul materasso si allontanò da lui, raggomitolandosi su se stessa, cercando di sparire nella felpa e nelle proprie lacrime. Tutti quei mesi, tutti gli incontri tranne il primo erano stati sbagliati.
«Non mi toccare». Ogni contatto, ogni bacio o gesto.
Si sentiva sporca, macchiata da un qualcosa che non le si sarebbe tolto di dosso mai.
«Cos’è successo?». Aveva alzato la voce, vederla così sulla difensiva nei suoi confronti lo feriva.
Non era mai stato un tipo che si apriva con le persone, non aveva mai avuto una ragazza seria prima di allora; vedersi respinto dall’unica persona con cui si era mostrato per ciò che era lo faceva soffrire a morte. Era terrorizzato da quel sentimento, ma era stato disposto ad abbandonarcisi perché pensava ne valesse la pena, ma essere scottato dalla persona in cui più si credeva era un duro colpo anche per lui. Le stava urlando addosso la rabbia che era nata in risposta ai suoi gesti.
«Non lo capisci?» iniziò Nora tra un singhiozzo e l’altro, il nodo alla gola che le impediva di essere chiara come avrebbe voluto «È tutto sbagliato. Io e te, noi, non è giusto. Non doveva andare così»
«Vorrei capirne il perché». Aveva compreso che il suo disagio derivava da qualcosa di più profondo, conosceva Nora, non si faceva prendere dal panico per le piccolezze.
Si stropicciò la faccia a piene mani, improvvisamente stravolta, e fece appello a tutta la sua determinazione affinché la voce le uscisse un po’ più ferma. «È Leo, Andre! Il suo pensiero è tornato ed è lacerante. Mi squarcia. Io sto vivendo quello che lei avrebbe voluto fare con te. È come se io stessi vivendo la storia d’amore di un’altra persona. Mi sono resa conto prima di amarti come non mi è mai successo con nessun’altra persona, ma non è giusto, perché al mio posto doveva esserci Leo. Io non posso vivere la storia di cui non sono la protagonista».
Nuove lacrime si erano affacciate dai suoi occhi mentre vomitava quelle parole che le aprivano una ferita sempre più profonda nel petto. Aveva scoperto che accorgersi di provare un amore incondizionato per una persona e non poterla avere era la cosa che più poteva distruggere una persona.
Andre si armò di tutta la pazienza possibile e si sedette davanti a lei. Gli aveva appena detto che lo amava, e l’aveva ammesso come se fosse la più inconfessabile delle colpe, al pari di un omicidio.
«Nor, mi hai detto che mi ami per la prima volta e l’hai fatto sembrare la cosa più brutta del mondo» iniziò in tono incolore, facendola arrossire. «Tralasciando questo fatto, tu dimentichi la cosa più importante»
«E qual è?» chiese confusa, come se ci fosse altro da aggiungere al discorso fatto poco prima.
«Io ho il diritto di scegliere in questa situazione. Io non conoscevo Leo, non posso dirti se mi sarebbe piaciuta o meno, ma sono sicuro che se l’avessi frequentata e tramite lei avessi conosciuto te, l’avrei lasciata perdere comunque».
Quelle parole le fecero venire la pelle d’oca, era così serio da farle mancare l’aria. Inoltre era la prima volta che Andrea si apriva a quel modo, esternando chiaramente i propri sentimenti, un effetto devastante a cui nemmeno Nora era pronta.
«Mi piaci tu, Nor. Io avrei scelto te perché ti amo, e sarebbe stato così anche se Eleonora fosse ancora in vita. Io la conoscevo poco, ma non provavo interesse per lei. Certo, nel mandarle il mio numero non mi sono privato la possibilità di conoscerla meglio, ma non è mai successo. Io ho scelto te, e sono consapevole della mia decisione».
Sapeva che un discorso simile l’avrebbe fatto una volta sola nella vita, perché non era da lui analizzare i propri sentimenti e mostrare i risultati di una simile introspezione. Non gli piaceva per nulla, ma era necessario se voleva tenere Nora al proprio fianco. Se era necessario combattere per farlo, non si sarebbe tirato indietro.
Nora non riusciva a parlare, era combattuta per l’amore vivo verso una persona che era al suo fianco e la lealtà verso un’amicizia che, a modo suo, sarebbe durata in eterno.
«Inoltre sono convinto che se Leo ti avesse voluto bene come tu ne vuoi ancora a lei, avrebbe voluto vederti felice. Scommetto che ancora adesso, ovunque sia, vuole vederti con il sorriso, non vorrebbe mai essere la causa della tua infelicità».
La solennità del suo discorso, lo sguardo serio e convinto le fecero torcere lo stomaco. Nonostante stesse dicendo cose stupende, un balsamo per le sue ferite, riusciva a incuterle un certo timore, come solo l’amore poteva fare.
«E mi dispiace essere poco modesto, ma so di essere io il motivo della tua felicità».
Dal tono con cui lo disse, le fece capire di aver concluso il discorso. Non sapeva cos’altro aggiungere in propria difesa, perché ora stava a Nora capire se continuare a convivere con un peso che non le apparteneva, o se iniziare a vivere la propria storia e smetterla di pensare di fare la comparsa in quella altrui.
Ciao Nor, fai la brava senza di me”. Erano state le ultime parole di Leo, come poteva tradirle rubandole il ragazzo che le era interessato fino all’ultimo?
«Come potrebbe essere felice per me, quando lei avrebbe voluto essere al mio posto?». I singhiozzi si erano attutiti, ma la lucidità faceva fatica a penetrare tra i pensieri di lei.
«Perché ti voleva bene. Di ragazzi che ti piacciono ne puoi sempre trovare uno nuovo, di amiche no».
Sospirò sempre più cupo, arreso davanti alla testardaggine di una persona dovuta alle sue paure. «Ti sto dicendo che ti amo, e non vorrei che tu gettassi tutto al vento per il fantasma del passato. Vorrei che tu guardassi avanti e lo facessi con me».
Le mani che prima avevano stretto le gambe di Nora avevano perso il vigore nella loro presa, ormai erano solo un contatto per fargli rendere conto che lei era ancora lì, anche se non sapeva ancora per quanto; doveva approfittarne il più possibile, imprimere sulle proprie mani la sensazione della sua pelle e nella memoria il ricordo di ogni bacio.
Per Nora respirare era diventato faticoso, inspirare aria era come avere lame nei polmoni, al posto di sentirsi libera si sentiva sempre più rotta.
E se, conoscendolo, Leo si fosse resa conto che Andrea non faceva per lei? E se lei si fosse innamorata di lui nonostante i sentimenti di Leo?
Aveva due strade da scegliere: una conduceva al passato. Era lastricata dai ricordi di una bellissima amicizia, ma l’avrebbe portata a vivere di malinconia e rimpianti, oltre che a rinunciare all’amore. L’altra strada l’avrebbe condotta nel futuro, un percorso ancora tutto da scrivere, nascosto dietro l’ombra dell’imprevedibilità, costruito con dei sensi di colpa che, in quel momento, non era nemmeno sicura di meritare. Quella strada non l’avrebbe percorsa da sola, però, perché Andrea voleva esserle a fianco.
Era un tipo schivo e riservato, restio a qualsiasi discorso lungo e a esternazioni chiare che prevedevano l’introspezione e la dichiarazione delle conclusioni tratte. Andrea parlava con i fatti. Una carezza era meglio di un ‘ti voglio bene’, uno sguardo le faceva capire quanto contava per lui, un bacio le trasmetteva tutto il suo amore. Eppure, aveva lasciato il posto a parole chiare per Nora.
Eleonora era morta, ma lei, lei era ancora lì, e Andre le era davanti con la mano tesa, pronto a darle il suo aiuto e il suo sostegno.
Nella penombra di quella camera dietro cui lui stesso si era sempre rifugiato, aveva fatto chiarezza in Nora e rischiarato quello che poteva avere.
Forse Leo l’avrebbe perdonata. Magari si sarebbe anche congratulata per l’ottima scelta. Il non poter avere una risposta definitiva a riguardo la fece piangere di nuovo, ma sapeva dove poter sfogare tutto quel dolore.
Gettò le braccia al collo di Andrea, piangendo tutto il suo malessere, stringendo tra le braccia la persona che amava e singhiozzando le sue colpe in una sorta di espiazione senza veri sbagli.
Andrea non cantò vittoria, la strinse come se fosse stato il loro ultimo abbraccio; nella stretta di Nora c’era una disperazione che poche volte nella vita aveva trovato.
«Stai forse cercando di dirmi che sei disposta ad avermi con te nel tuo futuro?». Aveva imparato che, nonostante la disperazione che ognuno a modo suo provava, la vera spinta del mondo era la speranza, e lui in quel momento non ne era esente. Doveva sapere se continuare a respirare, dato che Nora era in ogni sospiro, o se doveva uccidere la sua ultima possibilità di essere felice.
«Sto dicendo» concluse lei tra i singhiozzi di quel primo passo di liberta. «Che ci sto provando».
E quella risposta gli bastò, perché forse Leo sarebbe rimasta un bellissimo ricordo di un’amicizia sempiterna, mentre per lui si presentava l’opportunità di continuare a costruire quell’amore che lo legava a Nora giorno per giorno, e di portarlo alla luce con la gentilezza che si doveva riservare a un sentimento così fragile e potente.
«Ti amo anche io» gli sussurrò Nora tra un rantolo e l’altro, ma ad Andrea andava bene così.
Perché l’amore era il più grande dolore mai esistito, il male che più faceva sentire vivo, e loro l’avevano capito.

* * *

Buonaseera. A "tempo record" aggiorno con questa shot che ho scritto per farvi un regalino, visto il periodo...
Per prima cosa mi scuso, perchè non sono riuscita a rileggerla e a correggere eventuali errori che ci saranno nel testo. Inoltre posso dire che il finale non l'avevo proprio immaginato, l'ho scritto di getto  e non mi convince del tutto, anzi.
Ma passiamo al contenuto: questa storia ha un piccolo contenuto personale. Chi è nel gruppo sa che in Leo c'è più di qualcosa di me. Insomma, io mi sono fatta fuori! :O
Non so se è una cosa geniale, una stupida, o una cosa genialmente stupida.
Spero che siate arrivate a leggerla fino in fondo e che non vi abbia trasmesso troppi istinti depressivi. Giuro che non è un'istigazione al suicidio.
è una storia che è nata dal lasciare il numero a un ragazzo che mi piace e quando l'ho fatto, prima di partire, ho pensato "cosa succederebbe se l'aereo cadesse? lui lo verrebbe a sapere?" ecco, mi sono augurata di sì e quindi è nata la shot.
Ringrazio Rob per la fantastica copertina che mi ha fatto sbavare e venire gli occhi luccicanti *w*
Con questa vi faccio I MIEI MIGLIORI AUGURI DI UN MERAVIGLIOSO NATALE, SPERO CHE POSSA PORTARVI CIò CHE DESIDERATE DI PIù, E ANCHE UN OTTIMO INIZIO DI 2013!
Se la shot vi è piaciuta e, per sbaglio, siete interessate a ciò che scrivo, nel mio profilo trovate alcune mie long e qui il gruppo facebook: Love Doses
A presto, vi sbaciucchio più del solito, Cris.

 

   
 
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