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Autore: mila96    24/12/2012    10 recensioni
- Signorina – dice una voce.
Merda. Speravo di essere da sola. Cioè so bene che molto spesso la gente viene qui a suicidarsi ma avevo inconsciamente sperato di non incontrare nessuno.
Mi volto verso la voce. Aldilà della statua di San Pietro su cui mi sono arrampicata c’è un giovane. Non mi guarda, fissa le acque scure sotto di noi.
- Signorina, lei è troppo bella per mettere fine alla sua vita – mi dice. Ha un forte accento straniero.
- Fin ora la mia bellezza non è servita a molto – ribatto secca – non mi riporterà mia sorella.
***
Arretro spaventata. È un soldato tedesco e io sono ebrea.
È un soldato tedesco e siamo in guerra.
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Niall Horan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ogni singola fibra del mio corpo trema.
Arretro di un passo, poi di un altro. La mia schiena si scontra con il parapetto del ponte. I miei occhi sono incollati sulla canna del fucile che il ragazzo tiene appoggiato alla spalla.
Non sembro ebrea, lo so. Le mie sorelle lo sembrano, con i loro capelli scuri e la carnagione olivastra, ma io ho preso dalla mamma, che era tedesca. I miei capelli biondissimi e i miei occhi azzurri nascondono ciò che sono davvero, ma la stella a sei punte appuntata sul mio braccio parla chiaro.
Dannazione mi rimprovero.
I suoi occhi percorrono ogni centimetro del mio corpo, per quanto la fioca luce della luna lo permetta.
-       Non voglio farti del male – dice intuendo i miei sentimenti.
Mi giro verso la Vistola. Adesso realizzo che avrei fatto meglio a gettarmi in acqua quando ne ho avuto l’opportunità invece di finire tra le braccia di un soldato tedesco. Domani troveranno in mio corpo sul marciapiede e lo lasceranno lì insieme a tutti gli altri che sono morti per la fame o per il freddo. Rabbrividisco.
-       Sei un tedesco. I tedeschi uccidono gli ebrei. E io sono ebrea – sottolineo l’ovvio – avete uccido mia sorella.
Scoppio a piangere. Lui si avvicina e mi sento in trappola. Chiudo gli occhi in attesa della fine.
 
Che però non arriva. Le sue grandi braccia mi circondano e le sue mani accarezzano i miei capelli.
-       Shh. Mi dispiace tanto. Non ti farò del male. Fidati di me – mi accorgo che ha smesso di darmi del lei.
Come posso fidarmi di lui dopo che per tutta la mia vita papà mi ha ripetuto instancabilmente di non fidarmi dei tedeschi?
Scuoto la testa contro il suo ampio petto.
-       Lasciami – balbetto – devo tornare a casa.
-       Da sola? – mi risponde lui senza lasciarmi andare – ti accompagno.
-       Non è necessario – cerco di controllare la mia voce.
Lui ride e non posso fare a meno di sorridere perché è una di quelle risate che mettono allegria. Scopre i denti bianchissimi e getta la testa all’indietro. Poi torna serio.
-       I soldati non sono tutti come me – dal tono sembra che mi stia rimproverando – non voglio che tu corra rischi.
So che non mi lascerà mai tornare da sola perciò annuisco e mi incammino verso casa seguita da lui.
Camminiamo per un po’ in silenzio. Fa piuttosto freddo per essere ottobre, mi stringo nel cappotto ormai troppo piccolo per me.
-       Hai freddo? – mi chiede. Prima ancora che possa rispondere si sfila la giacca dell’esercito e mi copre le spalle. Profuma di pulito, nessun soldato polacco profuma di pulito.
-       Grazie – sussurro continuando a camminare.
-       Mi chiamo Niall – mi dice.
Mi fermo e alzo la testa per guardarlo negli occhi.
-       Non è un nome tedesco – digo sgarbatamente. Stupida, mi dico. Avrei dovuto rispondere con il mio nome oppure con un sorriso, di certo non così.
Lui si limita a sorridere. Inclina la testa di lato e soppesa il mio sguardo.
-       In realtà sono irlandese. Neanche tu sembri ebrea – dice poi.
Sussulto.
-       Mia madre era tedesca – dico riprendendo a camminare velocemente. Non voglio parlare di mia madre con un soldato tedesco.
Rischio di scivolare su una lastra di ghiaccio e la sua mano mi afferra saldamente il braccio.
-       Fai attenzione – mi dice senza lasciarmi andare.
Riprendiamo a camminare. Tiene la mano delicatamente appoggiata a me e mi devo trattenere dal scostarlo con sgarbo.
-       Non mi hai ancora detto come ti chiami – sottolinea.
-       Non me l’hai chiesto – rispondo cercando di evitare la domanda.
Non voglio che sappia niente di me.
-       Bene – ribatte un po’ sorpreso – come ti chiami.
Mi fermo e mi metto le mani sui fianchi.
-       Senti – dico con tutta la calma che riesco a trovare – grazie per avermi convinta a non saltare dal quel ponte. Sei stato molto gentile e te ne sono grata. Ma forse non ti è chiaro che io sono ebrea e tu sei un soldato tedesco. Voi uccidete noi. Funziona così. Quindi, se hai intenzione di stuprarmi ed uccidermi fallo subito, va bene?
Sono sorpresa da me stessa. Da quando sono così sgarbata? Forse è la paura che mi spinge a parlare così.
Lui sorride e si china verso di me.
-       Hai paura di me – canticchia.
-       Certo che ho paura di te – sbotto – hai un fucile appeso alla spalla!
Sorride. Mi sfiora delicatamente la guancia con la mano guantata. Sento la pelle andare in fiamme.
-       Non ti farò niente. Ti sto solo riaccompagnando a casa. Il tuo è solo un pregiudizio.
-       I pregiudizi non fanno saltare in aria gli edifici – ribatto secca – o le persone.
Lui tace e si leva il guanto. Appoggia la sua mano sulla mia guancia. La sua mano copre quasi metà della mia faccia.
-       Non credi che se avessi voluto ti avrei già fatto del male? – la sua voce è morbida come la cioccolata calda che mi piace tanto.
-       Io… - balbetto – non lo so.
-       La risposta è no – il suo respiro caldo mi accarezza il viso.
Profuma di menta. Cerco di sorridere.
-       Mi chiamo Helen – sussurro.
-       Piacere di conoscerti Helen. Andiamo, ti riaccompagno a casa. Tra poco devo iniziare il mio turno di pattuglia.
Camminiamo in silenzio fino al palazzo dove abito.
-       Siamo arrivati – dico – grazie mille.
Si toglie il cappello dell’esercito.
-       È stato un piacere signorina Helen. Posso chiederle cosa ci faceva una ragazzina come lei per strada a quest’ora tarda? – noto con dispiacere che è tornato a darmi del lei.
Anche se non dovrei ci rimango male, perché il flebile legame che si era creato si è spezzato.
-       Lavoro al Szpital Kliniczny – mi sforzo di rispondere – sono un’infermiera. Il mio turno finisce tutte le sere alle nove.
Lui soppesa il mio sguardo.
-       Capisco. Adesso devo proprio andare.
Mi sfilo la sua giacca e gliela porgo.
-       Questa giacca è troppo corta per lei, dovrebbe comprarsene una della sua misura.
Lo farei se potessi permettermelo. Le parole mi rimangono incastrate in gola.
-       Buona notte sergente – mi limito a dire.
-       Buona notte Helen.
Si allontana a grandi passi e rimango qualche istante a fissare la sua schiena larga allontanarsi da me. Apro la porta e percorro di corsa i pochi gradini che mi separano dall’ingresso del nostro appartamento.
Poiché papà è un uomo facoltoso siamo riusciti ad evitare di trasferirci nel ghetto, ma la nostra vita non si può certo definire lussuosa. Dividiamo il bagno con la famiglia Wojciechowski, che abita sul nostro stesso piano e i soldi iniziano a scarseggiare, così come il cibo.
Piotr, il figlio dei  Wojciechowski è fermo sulla porta con una sigaretta spenta tra le labbra.
-       Buona sera piccola Helen – mi apostrofa.
-       Buona sera Piotr – mi sforzo di essere gentile con lui perché so che a papà piacerebbe che lo sposassi, ma non riesco a farmelo piacere, è troppo pieno di sé.
Lo supero con un balzo e faccio per aprire la porta quando il suo braccio mi blocca. Guardo le sue unghie, sono sporche e lunghe e subito le paragono a quelle di Niall, corte e pulite. Scaccio il pensiero del soldato e mi concentro su Piotr.
-       Oggi ho parlato con tuo padre – mi dice. Il suo alito puzza di alcool – gli ho chiesto la tua mano.
Rabbrividisco. Trattengo un conato di vomito. Non ho intenzione di sposarmi, ho solo diciassette anni. Piotr ne ha venticinque e lavora allo studio dentistico di suo padre.
-       Bene – rispondo secca.
Faccio per aprire la porta ma lui mi blocca nuovamente.
-       Ovviamente tuo padre preferirebbe che sposassi Halina, perché è più grande di te. Dice che tu vuoi diventare medico.
Allora lui non sa ancora che Halina è morta. Spero che papà lo sappia, non saprei proprio come dirglielo.
-       Se diventerai mia moglie non lavorerai, capito? – continua lui.
-       Se diventerò tua moglie, non ho ancora accettato – afferro la maniglia e apro la porta con forza – buona notte Piotr.
Ma so che dovrò accettare. Papà cerca di convincermi a sposarmi in modo da non dovermi mantenere. Per questo ho iniziato a lavorare all’ospedale, per guadagnare qualcosa. Ma in guerra i soldi non bastano mai.
Appena sbatto la porta sul naso di quell’insolente Dori, la cameriera mi stringe tra le sue braccia muscolose, che solo una donna che ha cresciuto diciassette bambini può avere.
-       Dio mio Hel – mi soffoca nella sua presa – pensavamo che fosse successo qualcosa anche a te.
Dori è cattolica, come lo era la mamma. In pratica mi ha cresciuta a pane, scapaccioni e preghiere cattoliche. All’inizio papà storceva il naso sentendomi recitare l’Ave Maria in latino, ma da quando la mamma è morta non dice più niente, forse perché la religione è l’unica cosa che ci avvicina a lei.
E così sono venuti a sapere di Halina.
-       Non ho potuto fare niente per lei – singhiozzo contro il suo petto florido – è morta tra le mie braccia.
-       Va tutto bene piccola, hai fatto il possibile. Adesso vieni, ti ho lasciato un po’ di zuppa.
Mi sfila la divisa macchiata di sangue e la infila nel catino dove lava tutti i nostri vestiti. So che papà è chiuso nel suo studio e non ne uscirà per almeno una settimana. Quando è morta la mamma è stato così e anche quando Andrej e Dariusz sono partiti per il fronte.
Il pensiero dei miei fratelli mi fa sussultare. È da un mese che non riceviamo loro notizie. Scrollo le spalle come per scacciare i brutti pensieri e mi siedo a tavola.
I miei fratelli, Bede, Jan e Patryk dormono in una camera tutta loro mentre io divido la stanza con Agata ed Elzabieta, che sono gemelle e la piccola Izabela. Prima di oggi dormivo in un piccolo letto con Halina. Adesso non so cosa succederà. Non voglio pensarci.
Bevo velocemente la zuppa e mi lascio cadere sul letto vicino alle mie sorelle addormentate. Il mio ultimo pensiero prima di addormentarmi non è il viso martoriato di Halina, ma la mano calda di Niall sul mio viso.


come promesso, il nuovo capitolo è più lungo del primo.
Spero vi sia piaciuto, è ancora un po' un'introduzione
alla storia ma dai prossimi capitoli diventerà più interessante.
Grazie mille, Cami.
  
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