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Autore: InstantDayDream    26/12/2012    5 recensioni
Il tizio che era lì con me, chiunque fosse, aveva però degli ottimi riflessi e mi prese giusto in tempo, evitandomi una caduta rovinosa. Mi fece accomodare su una delle panchine presenti sul terrazzo e mi offrì una bottiglietta d'acqua. (...) Afferrai la bottiglietta senza troppi complimenti e, dopo averla aperta, ne presi una generosa sorsata.
«Va meglio?» mi domandò lui. Io mi limitai ad annuire.
«Tu chi sei?» gli chiesi, prima di tornare a bere.
«Choi Siwon, piacere di conoscerti»
Per poco non gli sputai l'acqua in faccia.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Choi Siwon, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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12- Meg


Era come un bambino. Correva estasiato da una parte all'altra dell'ampio spiazzo in cima alla scogliera, scattando foto ad ogni angolo che riusciva ad essere intrappolato per un secondo nel piccolo obiettivo della fotocamera montata sul telefono. Vestito con un paio di pantaloni della tuta un po' larghi per lui, di un grigio slavato e troppo consumati sulle ginocchia, assieme ad un'orribile maglietta arancio zucca, abbinata alla bandana che gli fasciava i suoi meravigliosi capelli scuri, sembrava solo un altro dei molti turisti che si affollavano in quella zona. Già per comprargli quei vestiti avevamo rischiato che ci riconoscessero, fortunatamente le due ELF che ci avevano pedinato per un po' erano rimaste tagliate fuori dal traffico nel giro di una manciata di minuti. Ecco perchè mi ero affrettata a farlo salire sul primo pullman sgangherato che ci avrebbe portato lì, anche se non era la nostra destinazione finale. Quella sera saremmo ripartiti, con un po' di fortuna saremmo stati raggiunti anche dalle nostre valigie, di cui si doveva essere occupato Kyuhyun dalla Corea. Con il telefono spento non avevo avuto modo di considerare come si stava evolvendo la situazione a Los Angeles, nè quanto fosse compromessa la carriera di attore di Siwon sul grande schermo. La parte più egoista di me, la stessa che si crogiolava ancora nella convinzione che forse lui mi avrebbe perdonata, sperava che ogni suo contatto con Hollywood fosse stato troncato. Lo vedevo lì, davanti a me, così pieno di vita e con l'entusiasmo di un bambino, talmente candido di onestà da rasentare l'innocenza. Ogni cosa della vita per lui era fonte d'entusiasmo, come se la stesse vedendo per la prima volta. Sapeva godere di tutto ciò che gli offriva ogni giornata, da un fugace raggio di sole che spuntava tra le nubi ad un grande successo personale, e di ogni cosa era grato. Sarebbe stato così anche se fosse stato assorbito da quel mondo da cui venivo io? Ero pronta a scommettere tutto che no, se avesse varcato le porte della hall of fame, sarebbe cambiato radicalmente. Non per sua scelta, magari anche inconsapevolmente, ma quel mondo era fatto da gente totalmente priva di scrupoli e completamente ignorante del concetto di rispetto. Gli avrebbero tagliato le gambe prima che potesse correre troppo liberamente, o l'avrebbero costretto a rinnegare sè stesso. Sospirai, qualunque sorte gli sarebbe toccata, purtroppo io non sarei stata lì con lui per provare a salvarlo. Mi rannicchiai ancora di più sul sasso su cui era seduta, mentre lui si girava e, sorridendomi, mi scattava una foto, come se fossi anche io parte integrante di quel panorama. 

«Come hai detto che si chiama questo posto?» mi domandò, avvicinandosi

«Capo Sounion....è il posto di cui ti parlavo in spiaggia ad Incheon, ricordi?»

Lui sembrò smarrito per un attimo, ma improvvisamente un'espressione di illuminazione gli brillò sul volto, ed annuì, strappandomi l'ennesimo sorriso. Trovavo ancora sconvolgente scoprire con quanta dedizione mi aveva osservata, senza farsi sfuggire alcun dettaglio, persino nei primi tempi della nostra conoscenza.

«Ora capisco perchè ti piace tanto...E dov'è che ti mettevi per sentirti la padrona del mondo?» mi chiese, porgendomi la mano, in un evidente richiesta di mostrargli quel posto. 

A malincuore abbandonai il pezzo di marmo su cui ero seduta e mi avviai verso il lato più estero delle rovine del tempio che avevamo davanti, esattamente sullo sperone di roccia che guardava verso il mare. Portarlo in Grecia mi era sembrata l'idea migliore. Erano in pochi a sapere da dove venivo di preciso e Gerontrovahos era talmente piccolo che probabilmente non veniva riportato nemmeno sulle mappe della Focide. Per vanità, per, avevo voluto portare anche lui in quel posto che tanto amavo, per condividere assieme una parte della magia che lo pervadeva. Avevo sempre sognato di portare qualcuno lì, qualcuno che non avrebbe riso per le stupide ed infantili motivazioni che mi avevano portato a rifugiarmi lì ogni volta che mi ero sentita persa. Lì, in cima alla scogliera, i cinque anni che avevo passato lontana da quel posto sembravano non contare niente. ll tempo si era fermato lì millenni di anni prima, quando ancora gli uomini credevano negli dei e, sinceramente, stando su quello sperone a picco sul mare più bello che io avessi mai visto, nemmeno a me veniva troppo difficile credere che da un momento all'altro Poseidone potesse uscire dalle acque, impugnando il suo tridente dorato e chiedendo che gli venisse fatto un sacrificio. Con la coda dell'occhio intravidi Siwon, accanto a me, che spalancava le braccia, chiudendo gli occhi. Avrei dato di tutto per sapere cosa gli passava per la testa in quel momento, per quanto credessi che fossi l'unica a vedere la vera magia di quel posto, per la prima volta avrei voluto osservarlo attraverso gli occhi di un altro, i suoi. Senza nemmeno accorgermene avevo distolto lo sguardo dal mare davanti a me, per fissarlo su di lui. Nonostante i vestiti trasandati, restava assolutamente perfetto. Le onde morbide del volto, il corpo possente ma allo stesso tempo agile, scattante. Sembrava che anche lui fosse stato messo lì tanti anni prima, una perfetta statua greca che rispettava ogni canone di bellezza. Una volta, per scherzo, avevo provato a vedere quanto fosse lontano dalla perfezione classica e, con mia grande sorpresa, era rientrato quasi in tutti i parametri.

«Sembra di avere le ali! Potrei volare da un momento all'altro!» esclamò, cercando di superare il rimbombo del vento nelle nostre orecchie.

«Attento a non fare la fine di Icaro!» commentai, divertita.

Un secondo dopo si era voltato verso di me, le mani poggiate sui fianchi ed un sopracciglio inarcato, che mi fissava con aria perplessa.

«Chi è questo Hikaru?» mi chiese

«Non Hikaru» risi «Icaro! È un antico mito greco! Possibile che tu non l'abbia mai sentito?» 

Lui scosse la testa, smarrito per un attimo, prima di sorridermi acceso da nuovo entusiasmo.

«Ma puoi raccontarmelo tu!»

Stetti zitta per un po'. Partendo mi ero promessa che avrei creato del distacco, in modo che quando avrei dovuto mandarlo indietro sarebbe stato più facile, per entrambi, continuare a vivere come se le nostre strade non si fossero mai incrociate. Se lo avessi fatto innamorare della mia terra, separarsi non sarebbe stato solo più difficile? Però se lui si fosse ricordato di quella storia, non si sarebbe dimenticato chi gliel'aveva raccontata. Sapevo già di non poter stare al suo fianco per sempre, era troppo egoistico voler vivere sempre nei suoi ricordi?

«Minosse, il sovrano di Creta aveva un figlio dalle sembianze orribili, il minotauro, un essere per metà uomo e per metà toro. Per tenerlo nascosto alla popolazione chiamò l'architetto migliore di tutta la Grecia, Dedalo, e gli chiese di progettare un labirinto talmente complesso che nessun essere umano potesse trovarne l'uscita, una volta entrato. Una volta che Dedalo finì la sua opera, Minosse si rese conto che lui poteva rivelare i segreti di quel posto e quindi, invece che ringraziarlo, rinchiuse lui e suo figlio Icaro al centro del labirinto, all'interno del quale viveva il minotauro. Ma Dedalo era un uomo di ingegno e così, usando la cera delle candele che avevano, costruì due paia d'ali una per sè ed una per il figlio, in modo da volare via da quel posto. Non appena le ali furono completate i due provarono a scappare e, ovviamente, riuscirono a volare via. All'inizio furono cauti, e volavano bassi, ma una volta che Icaro prese confidenza con le sue ali, cominciò a volare sempre più in alto. Il padre gli urlava di scendere, ma lui non ascoltava e continuava a salire, sempre più vicino al sole. Ma le sue ali erano di cera e il sole era caldo....la cera si sciolse ed Icaro non poteva più volare, così cadde e morì.»

«È una storia triste...» mormorò lui, dopo qualche istante di silenzio.

«È una storia che doveva insegnare qualcosa. In questo caso che l'eccessiva ambizione, oltre i propri mezzi, uccide l'uomo. Dai vieni con me...» lo tirai per un braccio allontanandolo da lì.

Ci avvicinammo ad una delle colonne che erano rimaste in piedi in quel tempio, sempre dal lato che costeggiava il mare. Mi fermai davanti a questa ed assottigliai lo sguardo, osservando attentamente le numerose incisioni che ferivano la pietra. Potevano sembrare graffi casuali, ma ad uno sguardo più attento uno si sarebbe reso conto che erano nomi. Tra tutti quei nomi ce n'era solo uno che cercavo, l'unico in grado di far vibrare di commozione il cuore di ogni Greco.

«Ecco! Guarda lì!» esclamai, indicando quindi un punto ben preciso, circa a metà della colonna.

«Hector...» cominciò a leggere lui, ma io lo fermai.

«No, non quello! Quello accanto!»

«G...George Gordon...Byron» riuscì a leggere alla fine, con un po' di difficoltà. Dal tono con cui l'aveva pronunciato sembrava che anche quello non gli dicesse niente.

«Sai chi è Byron, vero?» gli chiesi, sbattendo le palpebre. 

Lui scosse la testa. Sospirai, ma non potevo dargli tutti i torti in effetti, nemmeno io sapevo niente della storia coreana prima di passare quasi un anno a Seoul. 

«Byron era un nobile inglese, ed anche un poeta, un romantico. Decise di sacrificare la sua vita per la libertà della Grecia e venne a combattere qui, al nostro fianco. Durante la guerra si ammalò gravemente e morì a Missolounghi. I greci gli furono talmente grati che gli costruirono una statua al centro della città, all'interno della quale conservarono il suo cuore. È un eroe nazionale! Troverai suoi monumenti e riferimenti a lui ovunque da queste parti!»

«Dopotutto sono contento che Lara abbia avuto quell'uscita....»

«Cosa?» gli chiesi, inarcando le sopracciglia. Dal mio punto di vista non c'era proprio nulla di cui essere contenti, anzi, semmai l'opposto. Ma a giudicare dalla sua espressione di perfetta calma, mi sbagliavo.

«Guarda quante cose sto imparando e poi se non fosse stato per lei, chissà se sarei mai riuscito a fare una vacanza con te»

Non riuscii a non sorridergli, per quanto volessi sforzarmi di mostrarmi in disaccordo con lui, era più forte di me. Anche io mi ero trovata a pensare a quei giorni solo per noi due come una benedizione, un'ultima occasione per potergli stare accanto senza barriere di sorta messe dalla celebrità, dai fan, dalla SM, dalla sua immagine...un pugno di ore rubate dalla vita di qualcun altro, in cui potevamo essere solo Siwon ed Asia, due ragazzi come tanti. Ero così immersa nei miei pensieri che non mi accorsi di quanto mi si era avvicinato. Per un attimo pensai che avrebbe provato a baciarmi di nuovo e fui terrorizzata. Non sarei riuscito ad evitarlo, non in tempo questa volta...e invece, con mio grande sollievo, mi ritrovai solo stretta nel suo abbraccio.

«Non hai idea di quanto tu mi sia mancata, Asia» disse, senza preoccuparsi di tenere la voce bassa, consapevole che lì non potevano capirci.

«Dici?» risposi, cercando di suonare il più distaccata possibile.

Lo capivo fin troppo bene, soprattutto adesso che mi ritrovavo nella stretta protettiva delle sue braccia. Mi rendevo conto che mi era mancata ogni cosa di lui, dal suono della sua voce alla cadenza regolare dei suoi respiri, mi era mancata la consistenza dei suoi muscoli sotto le mie dita, che oramai avevo imparato a riconoscere quasi come fossero parte del mio corpo; mi era mancato il suo odore, quell'odore buonissimo di latte detergente e spezie, pungente e delicato al tempo stesso; mi era mancato il modo in cui l'incavo tra le sue clavicole sembrasse essere fatto apposta per accogliere il mio profilo, incastrandoci perfettamente in ogni abbraccio.

«Andiamo» mi costrinsi a dire alla fine, separandomi da lui, nonostante non chiedessi altro che rimanere lì per l'eternità, come quel tempio «il pullman parte a breve»

«Ho il tempo di prendere una cartolina?»

«Una cartolina? Ti ricordo che nessuno può sapere dove sia...» fu il suo turno di zittirmi.

«Lo so. Ma voglio portarla a quei tre, per assicurarmi che vengano qui quest'estate!»

Mi lasciò senza parole. All'estate non mancava poi così tanto e il pensiero di poter rivedere il maknae, assieme a due suoi hyung, sembrò rendere le mie prospettive in Grecia decisamente migliori, se non altro per i mesi seguenti.

«Ottima idea! Così potrò fare da guida anche a loro...»

«Ti manca Kyuhyun, vero? Ti manca anche Leeteuk hyung!»

«Per favore. Ho vissuto una vita senza di loro cavandomela alla grande, cosa vuoi che siano otto mesi rispetto a ventiquattro anni?»

Troncai quella conversazione e mi diressi verso l'uscita del sito archeologico, superandolo, in modo che non potesse continuare con queste assurde insinuazioni. Ero lì ed ero appena tornata a respirare, non c'era bisogno che mi soffocasse ancora ricordandomi l'assenza anche degli altri.

 

 

 

 

Pullman era una parola fin troppo grossa per descrivere il mezzo di trasporto che ci stava faticosamente trasportando lungo delle strettissime stradine di montagna. D'accordo aveva dei sedili, delle ruote e, probabilmente anche un motore, ma sembrava tenersi in piedi per miracolo. Anche la gente che era lì sopra con noi, in effetti, sembrava essere più prossima alla tomba che alla porta di casa. Erano per lo più piccole signore anziane, con il capo fasciato in rustici fazzoletti dai colori sbiaditi, la pelle brunita dal sole, con dei cesti sottobraccio carichi di paglia, o con delle buste piene di pesce fresco, talmente fresco che alcune code guizzavano ancora. In effetti solo pochi minuti prima uno di questi pesci era riuscito a scappare dalla plastica che lo avvolgeva ed aveva tentato una disperata fuga nel corridoio tra i due sedili, scatenando l'ilarità di tutti, Asia compresa, che addirittura si alzò per andarlo a recuperare, dicendo qualcosa in una lingua sconosciuta che, però, scateno l'ilarità di tutti gli altri presenti. Mi aveva poi spiegato che quella era ordinaria amministrazione in quei viaggi, sorridendo come se in fondo tutto quello le fosse mancato. La guardai e per la prima volta mi chiesi come mai aveva deciso di abbandonare quel posto. Non ne parlava mai molto, ma quando lo faceva ogni sua parola metteva in evidenza il legame con quella terra, sembrava quasi che fosse una punizione che si era imposta, stare lontani da lì. Improvvisamente le strade scavate lungo il pendio scosceso della montagna cominciarono ad essere costeggiate da piccole case, tutte bianche, con i tetti color ardesia, che diventavano via via più fitte mano a mano che ci inoltravamo in quello che aveva tutta l'aria di essere un tipico paesino di montagna. Era un posto delizioso, dovetti ammettere, come tutti i posti che avevo visto in Grecia fino a quel momento, il tempo pareva essersi fermato e di aver ignorato tutto il progresso tecnologico e l'era dei grattacieli, degli edifici in vetro ed acciaio, del cemento e di tutte quelle cose che al giorno d'oggi ci facevano considerare moderno un posto. Mi voltai verso Asia, per chiederle cosa fosse quel posto, ma la trovai intenta a nascondersi il volto con i capelli, gettando occhiate nervose fuori dal finestrino. Improvvisamente tutta la sua gioia si era spenta e i suoi occhi grigi vagavano inquieti lungo le strade deserte, avvolte dalla notte cobalto, che il pullman attraversava. Improvvisamente ci fermammo davanti a quello che aveva tutta l'aria di essere un rifugio di montagna. Le porte del veicolo si aprirono ed alcune signore cominciarono a scendere, trascinandosi dietro le cose che si stavano portando via dalle campagne vicino alla capitale. Con mia grande sorpresa anche Asia scattò in piedi e mi fece cenno di seguirla. Una volta scesi mi diressi automaticamente verso il rifugio, convinto che avesse prenotato delle stanze lì.

«Dove stai andando?» mi chiese, in un sibilo alterato, afferrandomi per un braccio

«Ah…non abbiamo delle stanze qui?» 

«Certo che no, ti ho detto che saremmo andati da Meg! Avanti, seguimi e in fretta»

Senza farle altre domande mi limitai a seguirla verso questo Meg, chiedendomi che razza di posto fosse. Camminava veloce, fin troppo veloce per una come lei che aveva un'attitudine allo sforzo fisico pari a quella di Kyuhyun per la cucina. Avrei voluto chiederle cosa c'era che non andava, ma considerando il modo in cui si guardava nervosamente attorno e la meticolosità con cui evitava ogni striscia di luce per nascondersi nelle ombre della notte, mi parve opportuno non mettere in evidenza in alcun modo la sua presenza lì. In fondo, anche se le avessi chiesto qualcosa, non ero certo che avrei ottenuto una risposta, anzi. avevo come la sensazione che quell'enorme scheletro che teneva incatenato nel suo armadio se lo portasse dietro da lì. Eppure sembrava così strano che quelle stradine tortuose ed arroccate vicino ad una delle due cime di quel monte potessero aver dato vita a qualcosa di tragico. Sembravano lo scenario di un film, quelli di povera gente, dove ogni persona considerava la casa dell'altro come la propria, dove tutti si conoscevano e stavano lì pronti ad aiutarsi a vicenda. Nei film, di solito, arrivava qualcuno pronto a turbare quell'equilibro, magari il solito magnate carico di soldi che voleva radere al uopo le case per trasformare il tutto in un resort extra lusso e il tutto finiva con la solita battaglia tra la forza dell'onestà e il potere del denaro. A giudicare però dalle condizioni di quel posto, però, sembrava che niente di tutto quello fosse accaduto. Finalmente Asia si fermò davanti alla porta di una casa. Mi chiesi come avesse fatto a riconoscerla, visto che era esattamente identica a tutte le altre. Bussò al portone in legno scuro, che si aprì un minuto dopo, rivelando la sagoma scura di una figura illuminata dalla luce proveniente dall'ingresso. Asia restò lì, immobile, a fissarla per dei lunghi minuti. Non mi avvicinai, rimasi semplicemente lì in disparte ad osservare quelle due sagome che si stagliavano immobili una davanti all'altra, come se fossero state delle sagome, messe lì per dare alla casa una parvenza di vita.  poi improvvisamente, si mossero in contemporanea, stringendosi forte l'una all'altra, diventando quasi una cosa sola nell'esigua luce che le illuminava. Improvvisamente sentii farsi strada dentro di me i desiderio di sapere chi era che aveva aperto quella porta e come mai aveva il potere di scatenare una reazione del gente dentro Asia. Non l'avevo mai vista così nemmeno nei momenti in cui si era più lasciata andare con me, era sempre rimasta un po' distaccata, come se stesse volontariamente mettendo una barriera che ci impedisse di vernici incontro del tutto. Quell'abbraccio era diverso, in quell'abbraccio stava buttando giù ogni difesa, cercando un rifugio tra le braccia dell'altra persona, che avrei dovuto essere io, non chiunque fosse a stringerla in quella maniera ora. Lasciai scivolare il borsone che avevo sulla spalla fino a terra, in modo che il rumore richiamasse la loro attenzione. Funzionò. Asia si separò da quell'abbraccio, voltandosi verso di me, come se si fosse appena ricordata della mia presenza in quel posto. Mi fece un cenno di avvicinarmi. Una parte di me non avrebbe voluto farlo, ma sapevo che se eravamo lì era solo perché lei aveva messo tutto in gioco per proteggere me, quindi mi rassegnai a riprendere il borsone da terra e ad avvicinarmi.

«Siwon-sshi lei è Meg, una mia amica» disse, in inglese, mantenendo sempre le voce bassa «ci ospiterà in questi giorni!»

Improvvisamente, tutto cominciava ad avere un senso.

La mattina dopo mi diressi in cucina ancora rintontito dal sonno e dall'aver cambiato decisamente troppi fusi orari in quarantotto ore. Come ogni stanza di quella casa, era piccola e decorata con dei mobili rustici in legno, probabilmente fatti a mano da un artigiano locale, ma disposti in maniera talmente attenta che davano ad ogni ambiente un aspetto caldo ed accurato. Di Asia ancora non c'era traccia, ma in compenso trovai Meg impegnata con una caffettiera.

«Buongiorno signorina Meg» esordii, inchinandomi per salutarla

Lei sussultò, come se l'avessi colta di sorpresa, voltandosi poi verso di me con un sorriso divertito.

«Buongiorno Siwon…e non c'è bisogno che mi chiami "signorina", qui non badiamo troppo alle formalità Vuoi mangiare qualcosa?»

Annuii, andandomi ad accomodare poi ad una delle quattro sedie che erano messe ai lati del tavolo. Solo in quel momento notai che erano tutte diverse, ma erano state scelte con un tale occhio da risultare perfettamente armoniose anche nella loro diversità. Improvvisamente mi vidi schiaffare sotto gli occhi una tazzina fumante che emanava un fortissimo odore di caffè ed una scodella di quello che sembrava essere del gelato sciolto alla vaniglia con sopra miele e noci.

«Fai attenzione, il caffè e un po' forte e….oh, ti piace lo yogurt greco, vero? Purtroppo devo andare a fare la spesa e mi è rimasto solo quello!» spiegò lei, sedendosi di fronte a me.

«Non l'ho mai mangiato, ma sembra buono! E non preoccuparti, stai già facendo molto aiutandoci»

Osservai la ragazza seduta davanti a me. Già il giorno prima, nei poco tempo in cui ci eravamo visti, avevo avuto modo di apprezzare il fatto che più o meno assomigliava ad Asia quanto Ryeowook, anzi, probabilmente sarebbe somigliata più ad uno qualunque di noi che non ad Asia, se non fosse stato per i suoi enormi occhi tondi e color dell'ambra. Gli occhi di Asia mi erano sempre sembrati molto grandi quando li avevo visti, ma non erano niente in confronto a quelli di Meg e persino io mi trovai costretto ad ammettere che ce ne erano di più belli, rispetto a quegli occhi grigi che per me rappresentavano i più belli del mondo. Per il resto era bassina, probabilmente superava di un palmo metro e mezzo, aveva lunghi capelli scuri lievemente ondulati e la pelle estremamente chiara per essere una persona di origini mediterranee. In Corea avrebbe riscosso sicuramente molto successo con quella strana combinazione di bellezza orientale ed occidentale mischiata insieme, molto più di Asia probabilmente. Per un mento mi immaginai le reazioni dei miei hyung se si fossero trovati lei come mia manager e mi sfuggì un sorriso, sarebbero state sicuramente divertenti. Notai che stava mischiando il miele allo yogurt per amalgamarlo bene e la imitai, andando poi a prenderne un cucchiaino. Aveva una consistenza strana, ma il sapore era meglio di quanto mi sarei mai potuto immaginare.

«È buono!» esclamai, prendendone un'altra abbondante cucchiaiata.

«Sono contenta che ti piaccia, ma non finirlo tutto, altrimenti te la vedi tu con lei» rispose, bisbigliando divertita mentre indicava la porta della stanza che lei ed Asia condividevano.

«Oh credimi, me la sono vista con lei in situazioni peggiori» ridacchiai.

«Immagino. Mi ha raccontato qualcosa ieri sera, ci siamo fatte una bella chiacchierata…» si fermò per un attimo, osservandomi con un sorriso gentile che le incurvava le labbra. I suoi occhi, di quel colore così particolare, sembravano emanare calore quando aveva quell'espressione «Devi essere proprio una persona speciale Choi Siwon, non l'avevo mai vista rischiare tutto quello che aveva per qualcuno, così come ha fatto con te»

«Rischiare tutto quello che aveva?« domandai, cadendo dalle nuvole, fermando a mezza via un altro cucchiaino di yogurt che prese a gocciolarmi su una mano.

«Beh sì! Sapeva benissimo che se ti avesse difeso l'avrebbero licenziata eppure l'ha fatto comunque e pensare che tutta la sua vita era quel lavoro alla paramou….aspetta, non lo sapevi?» mi chiese sconvolta alla fine, notando l'espressione perplessa sul mio viso.

«No» ammisi alla fine, con un retrogusto amaro in bocca «ma in questi due giorni abbiamo avuto molto poco tempo per parlare con tutto il casino che è successo, non ne ha avuto materialmente il tempo» non sapevo nemmeno se con quella spiegazione volevo convincere lei o me stesso. Dannazione, Asia, possibile che dopo tutto quel tempo ancora non aveva capito che poteva fidarsi di me?

«La conosci da molto?» chiesi a Meg, cambiando discorso, visto che quello stava per diventare piuttosto spinoso.

«La conosco dalle medie» rispose lei sorridendo «eravamo usciti insieme con un'amica in comune, una serata come tante altre nell'unico bar del paese…siamo state inseparabili da allora» sembrava che quelle parole risvegliassero dei bei ricordi dentro di lei a giudicare dall'espressione che aveva in viso.

«Poi siamo andate assieme alla scuola di cinema, anche se io studiavo scenografia e costumi e alla fine, lei ha deciso di partire per l'America…»

«Come mai non sei andata in America anche tu?»

«Perché sono allergica al sole. Non sapevo come avrei potuto vivere per le strade assolate id Los Angeles. Ho dovuto lasciare anche Atene e ritornare qui, sai, qui in cima è molto più facile che ci sia brutto tempo» 

Lasciai perdere l'argomento, sembrava che non le piacesse molto parlarne. Non avevo mai conosciuto qualcuno allergico al sole in tutta la mia vita ed ero veramente curioso di saperne di più, ma non mi sembrava appropriato. Magari avrei provato a chiedere ad Asia, ammesso che si svegliasse mai, considerando che non era poi così presto e di lei ancora non c'erano tracce. Meg si alzò e si avvicinò ad uno degli scaffali che contenevano quelli che credevo essere libri di cucina, prendendo qualcosa che mi poggiò davanti. Era un album fotografico, probabilmente piuttosto vecchio a giudicare dagli angoli consumati e dalla costola crepata in alcuni punti. Mi invitò ad aprirlo con un cenno e mi trovai di fronte alla foto di due ragazze, che stavano facendo una smorfia orribile. Nonostante non fossero nemmeno lontanamente carine, mi fecero sorridere. Quelle due da ragazzine esprimevano una spontaneità ed una spensieratezza che non avevo mai visto nei gesti di Asia in otto mesi passati insieme. Continuai a sfogliarlo, e il sorriso mi si allargava ad ogni foto che passava. In una c'erano loro due vestite da piratesse, in un'altra Meg faceva alice ed Asia il bianconiglio, in una erano accoccolate su delle giostre da bambini e in quella dopo si stavano ingozzando di dolci con addosso una toga, tra i banchi di scuola. Le immagini si susseguivano, tra foto in dettaglio dei loro occhi perfettamente truccati, che mi fecero perdere un battito per qualche attimo, ad uscite casuali tra le strade di Atene. Foto in spiaggia risalenti a prima che a Meg fosse vietato di stare al sole, in cui mostravano fiere la loro abbronzatura scurissima si alternavano a delle foto in tuta da sci in cui si riconosceva chi era l'una e chi l'altra solo per via dell'altezza. In quelle poche pagine mi sembrò di sfogliare la vita di Asia come non avevo mai fatto fino a quel momento.

«Vi piaceva proprio travestirvi» commentai alla fine, soffermandomi su una foto di Asia vestita da geisha.

«Già» rispose lei «mia madre è sarta e ci cuciva i vestiti quando eravamo piccole, poi ho cominciato ad usarla come cavia per i miei compiti della scuola di cinema. Quello da Geisha è stato il primo costume che ho cucito!»

«Sembra un'altra Asia…» mormorai, guardando l'argento liquido dei suoi occhi che in quella foto sembrava brillare.

«Era un'altra Asia, erano i tempi di Alexandros….» mugugnò lei incupendosi

«Chi è Alexandros?» chiesi, cascando dalle nuvole per la seconda volta in quella giornata.

«Non  lo sai?»

Scossi la testa

«Beh se non te lo ha detto lei non credo di essere io la persona più indicata a farlo….strano però, mi aveva detto che in Corea, per la prima volta, l'aveva confidato a qualcuno...»

«L'ha detto a Leeteuk!» esclamai innervosendomi nuovamente, come ogni volta che si parlava di quell'argomento «A me non vuole dirlo, perché è convinta che non la amerei più se sapessi la verità»

«Tu la ami?» mi chiese, sorridendomi dolcemente. Sembrava come se stessi parlando oda una madre di sua figlia.

Annuii «ed ho provato a dirglielo che non importava, che qualunque cosa fosse successa non sarebbe cambiato niente ma non ne vuole sapere…» mi passai una mano tra i capelli, tutta quella situazione mi stava facendo impazzire.

«È un argomento molto delicato per Asia e sa essere molto testarda. C'è solo un modo per farle cambiare idea»

«Cioè?»

«Obbligala a dirtelo e dimostragli che niente è cambiato. Lei non lo ammetterebbe mai, ma prova qualcosa per te. Ah, è così evidente!»

«È evidente?»

«Sì» rise lei «per me lo è. Ieri notte ha parlato di te in continuazione…ma non ti ha mai fatto un complimento, fa sempre così, oramai la conosco»

Non appena finì di parlare mi alzai in piedi e mi diressi verso la camera di Asia. Non avevo idea di quello che avrei fatto o che avrei detto, ma non ero intenzionato a ripartire da lì senza portarla via con me, di questo poteva essere certa. entrai, senza nemmeno bussare, e con mia grande soppressa non la trovai a letto, ma in piedi, a guardare l gigantografia di una foto appesa al muro. Non appena entrai si voltò rapidamente, cercando di coprire l'immagine alle sue spalle. Non poteva essere più palese di così nei suoi gesti.

«Asia, chi è Alexandros?» le chiesi

«Non sono affari tuoi»

Chiusi la porta alle mie spalle, girando la chiave un paio di volte nella serratura.

«Lo sono. Se ti impedisce di stare con me lo sono. Adesso sappi che non usciremo da qui fino a quando non avrai parlato e…» presi il telefono che teneva per le comunicazioni con la Corea e lo spensi «…niente e nessuno sarà autorizzato a raggiungerci»

«Cosa fai? Riaccendi il telefono! Se ci chiamano dalla SM…»

«…non importa. Pensi di essere l'unica a poter rischiare il lavoro per me?» la guardai, con aria di sfida.

«Tanto ti avrà detto tutto Meg, no?» urlò, tornando ad appiattirsi contro il muro, in modo da coprire ancora di più la foto.

«No. Si è solo lasciata sfuggire un nome»

Ci guardammo per degli attimi interminabili senza che lei dicesse niente, solo il terrore stampato sul volto. Era come un felino in trappola, continuava a guardarsi attorno cercando una via di fuga, ma non c'era. Continuava ad appigliarsi all'unica cosa che le era rimasta: quella foto. Mi avvicinai  a lei e la guardai negli occhi, lei quasi tremava ma non accennava a spostarsi. LA afferrai per le braccia e la strinsi a me, osservando la foto da sopra le sue spalle. Erano lei e Meg, un'estate di molti anni prima, all'ombra di un immenso albero di ulivo. Tra i loro due volti sorridenti di adolescenti ne spiccava uno più infantile, un bambino di non più di dieci anni, la pelle scurita dal sole, corti ricci neri ad incorniciargli i lineamenti infantili e gli occhi, quei due occhi grigi che avrei riconosciuto ovunque al mondo. Lasciai andare Asia, che stava cercando di divincolarsi dalla mia presa, e la osservai, stupito.

«Asia, da quando hai un fratello?»

 

 

 

 

 

Lo guardai inviperita. Ero furente di rabbia. Lui non poteva permettersi di venire lì e pensare che gli avrei rivelato tutto per il semplice fatto che eravamo andati in Grecia. E poi anche Meg, credevo di potermi fidare di lei, e invece era riuscita a rivelargli tutto dopo nemmeno ventiquattro ore che eravamo in quella casa. Proprio lei, come poteva non capire quanto facesse male dovere ammettere quello che avevo fatto di fronte a Siwon. Alzai gli occhi su di lui e, nonostante il mio giudizio fosse velato dalla rabbia, non riuscivo a vederlo in nessun modo se non perfetto. Era l'opposto di tutto quello che avevo sempre voluto e proprio per questo era perfetto, perché io avevo sempre voluto le cose sbagliate. Persino in quel momento, infagottato nell'assurdo pigiama del padre di Meg, andava oltre ogni aspettativa che avevo mai avuto nella vita. La vita era stata crudele con me in questa occasione, per un po' aveva voluto farmi assaggiare la bellezza del suo amore. Solo a parole, certo, ma era comunque iù di quanto non meritassi. Adesso non riuscivo a dare via quel piccolo assaggio, non potevo farcela.

«Asia, ti avverto. Se non ti decidi a dirmi qualcosa ti assicuro che penserò davvero di essermi sbagliato su di te»

«No!» mi ritrovai ad esclamare, quasi involontariamente.

Non poteva farlo, non poteva ritrattare così. Se l'avesse fatto a cosa sarebbe servito il mio silenzio? Non poteva togliermi l'unico sottile filo di speranza a cui mi tenevo aggrappata con tutte le mie forze.

«Allora parla»non era fredda la sua voce, era calda, quasi una carezza, una richiesta di essere accolto nel mio mondo e di attraversare con me qualunque cosa ci fosse oltre quella porta che gli avevo tenuta chiusa.

Mi ricordai le parole di Meg quella notte, dopo anni che non parlavamo, non decentemente almeno. "sei sempre la solita" aveva detto "le cose per te non migliorano perché tu non vuoi". Era stato un rimprovero affettuoso, il suo, ma aveva colto nel segno. Avevo imparato ad accontentarmi delle briciole, perché se avessi voluto di più sapevo che avrei perso anche queste. Lo guardai, di nuovo, e capii che questa volta non avrei avuto scampo. Non c'erano scuse che potevano salvarmi, eravamo solo io e lui in quella stanza, con tutto il tempo che voleva davanti a noi.

«I miei non volevano che andassi alla scuola di cinema ad Atene» esordii, guardando con convinzione le mattonelle di quella camera da letto «volevano che mandassi avanti il rifugio di famiglia, sai quello dove stavi per entrare ieri sera? Ecco…ma io non ne volevo sapere di rimanere imprigionata a Gerontrovahos per il resto della mia vita. Meg…lei aveva avuto il permesso da sua madre. Sai, lei è sarta ed era così contenta che la figlia avesse ampliato i suoi orizzonti mantenendo comunque un interesse nel suo mestieri. Partimmo insieme, convinta che, ad un certo punto, si sarebbero rassegnati, ma non fu così. Ad Atene non era facile, io e Meg dovevamo lavorare per permetterci la scuola, ma ce la cavavamo bene, avevamo tutte e due un talento spiccato per quello che facevamo» sorrisi, ricordandomi i primi mesi in quel posto «sai, quando hai sedici anni ogni sogno ti sembra raggiungibile e noi eravamo convinta che subito dopo il diploma avremmo sfondato ad Hollywood. Ma il tempo passava e i miei ancora non si facevano sentire. Dopo un anno capii che erano perfettamente seri quando mi avevano detto che se fossi andata ad Atene si sarebbero dimenticati di avere una figlia ed io potevo dimenticarmi di avere dei genitori. Ma la parte peggiore non era quella, era non poter vedere nemmeno Alexandros. Lui era nato sei anni dopo di me e con il tempo che i miei passavano a lavoro l'avevo praticamente cresciuto io. Per i primi due anni della sua vita chiamava me mamma ed io ne andavo così fiera…eravamo molto uniti. Quando io sono partita lui aveva solo dieci anni ed avevo paura di quello che potevano avergli  detto in casa per giustificare la mia assenza, avevo paura che crescesse odiandomi o, ancora peggio, dimenticandomi. Una volta provai a tornare qui, chiedendo di vederlo, ma si rifiutarono. Non avevo molta altra scelta, dovevo aspettare. Ero convinta che nel giro di pochi anni sarei diventata una regista di successo e allora anche loro avrebbero capito le mie ragioni e mi avrebbero permesso di rivederlo e lui sarebbe stato fiero di me. Verso la fine del secondo anno, una sera, Meg ricevette una chiamata da sua mamma, chiedendomi come mai non eravamo salite per il funerale. Quando lei le chiese quale funerale la madre si accorse che noi non sapevamo niente. Era da quasi un anno che ad Alexandros era stata diagnosticata la leucemia e i miei genitori avevano detto a tutti che ne ero al corrente ma che comunque non volevo tornare da Atene. Quando la situazione si era aggravata ancora di più il piccolo ospedale che abbiamo qui in zona non era più sufficiente e così lo trasferirono ad Atene, ma nemmeno quando vennero nello stesso posto dove ero anche io mi dissero nulla. Alexandros era morto due settimane dopo, perché non erano riusciti a trovare nessun donatore di midollo compatibile. Anche se era stupido feci l'unica cosa che mi sembrava avesse un senso. Andai in ospedale e li obbligai a fare il test anche a me. Risultai compatibile….»

«Asia…» provò a dire qualcosa lui, ma io non lo lasciai parlare.

«Potevano chiamarmi, potevano dirmelo ed io sarei corsa subito. Ma ero stata una pessima figlia, perché avrebbero dovuto farlo? Ero stata una pessima figlia ed una sorella ancora peggiore, per un capriccio da ragazzina me ne ero andata. Ero così piena di egoismo che non mi sono mai fermata a pensare a quello che mi lasciavo dietro, l'unica cosa che contava era che io facessi quello che volevo. Io non sarei mai dovuta partire, sarei dovuta rimanere qui In questo modo gli sarei stata accanto e l'avrei potuto salvare e lui non avrebbe dovuto soffrire tanto solo perché io l'avevo lasciato solo. La verità è che l'ho ucciso io, con il mio egoismo e la mia testardaggine, se non fosse stato per me lui sarebbe ancora vivo. E sai cosa hanno avuto il coraggio di dirmi in ospedale? Che la fase acuta della malattia era stata fulminante, una morte quasi istantanea. Come se dovesse consolarmi la cosa! Che vuol dire istantaneo? Un piatto istantaneo è pronto con tre minuti nel microonde, il cemento istantaneo ci mette due ore ad asciugarsi, la stampa istantanea delle foto richiede trenta secondi….chi sono loro per stabilire che era stata istantanea? Dubito che per un bambino di dodici anni sentire la vita che scivola via dalla sua presa e rendersi conto che non avrà più un domani, che non vedrà più il sole, che non avrà un'altra occasione sembri istantaneo. Gli saranno sembrati attimi lunghissimi quelli in cui i suoi polmoni si rifiutavano di espandersi e il cuore pompava come un forsennato i suoi ultimi battiti nella speranza di riuscire a fare qualcosa….la luce nei suoi occhi si sarà spenta in un tempo che gli sarà parso lunghissimo. Come possono definirla istantanea!»

Respiravo affannosamente, continuando a guardare a terra, senza avere la forza di alzare lo sguardo su di lui.

«Apri la porta» sibilai quindi, tra i denti.

«Hai detto che avresti aperto la porta se avessi parlato, ora aprila!» stavolta urlai.

Sentii i suoi passi muoversi e la chiave che girava nella toppa della serratura. un secondo dopo era uscita fuori ed avevo attraversato il corridoio che portava nell'ingresso, scansando Meg, che era uscita dalla cucina per chiedermi se andava tutto bene. Non c'era niente che andasse bene in quel momento, mi pareva evidente. Uscita di casa, presi un violetto acciottolato lungo il fianco della montagna. Era ripido e terribilmente faticoso da percorrere, ma era come se stessi muovendo il corpo di un altro, per quanto stessi ansimando non riuscivo a sentirmi addosso la fatica. Ben presto le case che costeggiavano il viottolo sparirono, lasciandomi immersa nella macchia della montagna, tra alberi di alloro dalla sconvolgente altezza acquisita nei secoli, cespugli dalle bacche scure e rovi che si aggrovigliavano ad i lati della strada, con le spine che rilucevano nella luce del mattino. Alla fine della strana c'era uno spiazzo, una piccola radura assolata, con dei sassi bianchi disposti attorno ad una zona bruciata, segno dei molti fuochi che vi erano stati fatti. Nonostante fossero anni che non ci mettevo più piede, quel posto non era cambiato di una virgola. Mi avvicinai al sasso da cui si vedeva meglio la valle sottostante, ai piedi di un gigantesco ulivo. Lì, sul marmo bianco, c'era ancora inciso il mio nome, nella calligrafia disordinata ma elegante di Meg. Mi sedetti lì sopra, poggiando le spalle sul tronco accogliente dell'albero dietro di me e guardai il panorama lì sotto. Per un attimo mi concentrai sulle macchine che brillavano a centinaia di metri di distanza, colpite dai caldi raggi del sole di mezzogiorno. Erano come dei gioielli nel mezzo dei campi che stavano ingiallendo troppo in fretta per il resto del mondo, ma lì era del tutto normale. Il sole brillava troppo spesso perché non fosse l'oro il colore predominante delle nostre campagne, macchiato ogni tanto dal verde brillante dei tralci d'uva e dei fichi che con le loro ampie foglie proteggevano i loro frutti zuccherini. Non era cambiato assolutamente niente, mi sembrava quasi di sentirle ancora le nostre tre voci che riecheggiavano in quel posto, mentre arrostivamo sul fuoco gli spiedini di maiale che ci avevano preparato a casa i nostri genitori o che buttavamo le foglie di alloro tra la legna secca seguendo un antichissimo rituale che per noi era solo un gioco, ma che nell'antichità serviva a far accogliere ad Apollo le preghiere dei propri fedeli, mentre poi ci stendevamo all'ombra di quel grande olivo godendo l'odore del fumo profumato. Voltai lo sguardo verso la pietra accanto alla mia. Era la più grande dei tutti e la pioggia ed il tempo l'avevano modellata nel modo più comodo possibile, sembrava quasi essere stata scolpita per diventare la sedia di un essere umano. Anche lì c'era ancora inciso un nome, Alexandros. Sembrava ieri che l'avevamo portato per la prima volta in quel posto e lui era corso su quella sedia proclamandosi re della radura. Era un bambino sveglio, Alexandros, con uno spirito di osservazione fuori dal comune per un bambino della sua età. Quando giocavo con lui riprendendolo, facendo finta che fosse il protagonista di uno dei miei film immaginari, mi diceva sempre che sarei diventata famosa, avrei vinto l'oscar e lui sarebbe stato fiero di me. Io gli rispondevo sempre che lui sarebbe diventato famoso, avrebbe vinto il Nobel e io sarei stata fiera di lui. Voleva fare lo scienziato, Alexandros, e sognava di inventare un modo per avere in ogni momento il tempo che serviva, così ogni posto sarebbe stato bello come la Grecia. Erano passati sette anni da allora ed io ancora non riuscivo a credere che una vita del genere potesse essere finita. A volte mi aspettavo ancora di vederlo spuntare, ovunque, un bel ragazzo di diciannove anni più alto di me, con i capelli ribelli come i miei tenuti un po' lunghi ed una finta aria trasandata. Era così che me lo immaginavo nei miei sogni, perché se c'era una giustizia in questo mondo lui doveva essere da qualche parte, doveva esistere un posto dove avrebbe visto l'alba dei suoi vent'anni. Fui distratta dai miei pensieri dal rumore dei passi, alzai lo sguardo ed incontrai la figura di Meg che veniva verso di me, completamente vestita per non lasciare che nemmeno un raggio di sole sfiorasse la sua pelle candida. Aveva in mano un pacchetto di fogli che, non appena mi fu abbastanza vicina, mi passò.

«I tuoi genitori stavano buttando via la roba di tuo fratello l'altro giorno ed ho recuperato queste. Sono le lettere che gli scrivevi da Atene» spiegò, sedendosi accanto a me, sulla pietra che recava inciso il suo nome.

Guardai quei fogli e mi sentii mancare il respiro, era come se venissero da un altro mondo, da un'altra vita. La mamma di Meg aveva fatto da postina in quei due anni che io e lui eravamo stati divisi, gli consegnava le mie lettere di nascosto e mi spediva le sue, senza che i nostri genitori lo sapessero. Lui non mi aveva mai scritto niente della sua malattia, probabilmente perché anche lui credeva che lo sapessi e che non mi interessasse, ma quando avevo saputo della sua morte mi ero spiegata come mia nell'ultimo anno le sue lettere erano andate via via diminuendo. Probabilmente non aveva nemmeno la forza di tenere in mano la penna.

«E poi c'è questa…» disse porgendomi un involucro ancora sigillato «è l'ultima che ti ha scritto, poco prima che fosse trasferito ad Atene. Mia madre non te la spedì perché il giorno dopo i tuoi andarono ad Atene e le avevano detto che li avresti raggiunti lì. quindi credeva che non ci fosse più bisogno di lei che faceva da intermediaria. Dopo che seppe come erano andata davvero le cose, però, non ha mai avuto il coraggio di mandartela. Adesso, credo che sia giunta l'ora che tu la legga.» non disse altro. Si alzò in piedi e mi scompiglio i capelli, prima di avviarsi nuovamente dalla strada dov'era venuta.

«Sei stata un'ottima sorella Asia» fu l'unica cosa che disse, girandosi un'ultima volta verso di me, prima di sparire dalla radura.

Abbassai lo sguardo sulla busta che avevo in mano. Il francobollo si era sbiadito con gli anni e quasi non si vedeva di più l'immagine del Partenone che vi era stampata sopra. Sotto, ben leggibile, c'era l'indirizzo del mio dormitorio ad Atene, scritto con la scrittura rotondeggiante ed incerta che solo un bambino può avere. Solo in quel momento, per la prima volta, notai quanto tremava quel tratto e come la sua sofferenza trapelasse in ogni lettera. Passai ore lì, a rigirarmi la busta tra le mani, ignorando la calura del primo pomeriggio che faceva una cappa attorno a me. Meg sosteneva che fosse giunto per me il momento di leggerla, io non ero certa che ce l'avrei fatta.


Saaaaalve!Rieccomi con questo nuovo capitolo che, sinceramente, non mi lascia per niente soddisfatta D: ma dopo tre volte che lo cancellavo e lo riscrivevo mi sono rassegnata al fatto che meglio di così non avrei fatto, quindi perdonatemi, sarà il troppo cibo di Natale che mi dà alla testa T_T per il resto, innanzitutto auguri a tutte voi lettrici <3 come personalissimo regalo dell'autrice vi comunico che abbiamo definitivamente abbandonato Lara ed abbiamo adottato una Meg, spero che il cambiamento sia di vostro gradimento! :D Ma passando a voi^^
Kami_sshi: Sospettavo che i vestiti sarebbero stati di tuo gradimento x°D tra l'altro ora che mi ci hai fatto pensare anche a me Lara ricorda un po' quella tizia! possiible che abbia inconsciamente abbia attinto da lei...anche se nella mia mente lei era più il perfetto prototipo della bionda senza cervello x°D E sono contenta che ti siano piaciuti i miei SuJu *w* avevo un po' paura sinceramente perchè non li avevo mai mossi da soli senza Asia o Siwon nel mezzo!
_Sushi_: Non ci posso fare niente, per me ogni cosa che va contro ad i SuJu è odiosa, quindi ovviamente gli occidentali non potevano essere simpatici X°D Invece trovo preoccupante che tu reagisca come loro agli avvenimenti della storia....credo che il nostro grado di Fangirlismo sia arrivato ad un livello preoccupante! Adesso invece sono arrivati da Meg....ci auguriamo che il personaggio sia all'altezza delle sue aspettative :P
Onewsmileislikeasun: Lara non ce'è più! Te lo prometto!!  x°D Io adoro il rapporto tra Hae e Teuk, si vede poco sul palco magari, ma quando ne parlano si vede che sono molto uniti! così ho voluto provare a portarne un po' anche nella mia storia, per rendergli omaggio <3
Federica_25: con il dire che ti piacciono i capitolo lunghi ti sei rovinata X°D cmq non sto a commentare oltre su quanto bene hai capito il personaggio di Asia perchè già lo sai, ti dico solo che non so se Siwon ha capito davvero tutto quello delel ELF, ma mi auguro sinceramente di sì! Per questo ho voluto fare che il mio Siwon gli si dedicasse anche se aveva Asia a due passi da lui ^^
Angelteuk: grazie grazie grazie per non avermi ucciso per il mio Leeteuk! Vuol dire molto sappilo ç_ç comunque scusa per averti sconvolta...ma che FF/Drama sarebbe se così non fosse?? x°D

Ricordiamo inoltre che come sempre questa FF partecipa alla "The four Elements Challenge"
Elemento: Aria
Prompt: A scelta (Ali).

Alla prossima!
F.

  
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