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Autore: Ryo13    26/12/2012    4 recensioni
Storia della follia a cui può spingere l'amore, narrata nella forma di un racconto. Adam e Amelia non possono vivere l'uno senza l'altro, ma questo li spingerà ad intraprendere un cammino oscuro, che rompe i limiti della vita, della morte, della morale.
 
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Your mind plays on you'
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Eccomi col secondo capitolo!
So che Amelia non si presta a ispirare le migliori simpatie, e probabilmente già in questo capitolo e nel prossimo starà un po' nel naso a tutti... però è una donna ferita che agisce esclusivamente spinta dal suo dolore... un dolore del quale si parlerà man mano al dipanarsi della storia. Spero che possiate davvero apprezzarla **
Vi prego di lasciare un commento per farmi sapere che impressione avete della storia e dei suoi personaggi! Grazie *^*



Capitolo02_zpsc5b57ea7

Quando Adam chiese: «Amelia, perché io non esco mai?»
Lei, che stava stesa sul letto a leggere un libro, sollevò la testa e rispose: «Perché non hai nessun luogo dove andare.»
«Tu hai un lavoro.» disse lui. «Non posso venire con te, dove vai tu?»
«No, Adam, non è possibile. Non voglio che tu venga con me.»
«Perché?»
Amelia sbuffò e si mise a sedere. «Non voglio che i miei colleghi ti vedano.»
Adam non ebbe altro motivo per interrogarla su quell’argomento. Accettò semplicemente la sua risposta.
«Posso uscire a fare una passeggiata allora?»
«E dove andresti? E… se ti perdi?»
«Memorizzerei la strada da fare, così tornerei indietro senza problemi.»
Amelia si stropicciò l’orlo della maglietta e si morse il labbro. «Non so… preferisco di no, Adam. Rimani a casa come fai sempre e aspettami, d’accordo?»
«Se è quello che tu vuoi, Amelia, farò come dici.»


Poche settimane dopo, mentre Amelia faceva il bagno, capitò che qualcuno suonasse alla porta. Adam venne distratto dalla composizione del puzzle su cui stava lavorando, un quadro che Amelia voleva appendere sulla parete della camera da letto, colpito dal fatto che quella fosse la prima volta che qualcuno suonava il campanello. Amelia usava sempre le chiavi per entrare e fino ad allora non avevano mai ricevuto ospiti di nessun tipo. Si avviò allora ad aprire, pronto a registrare di chi si trattasse e cosa volesse il nuovo venuto.
Quando spalancò l’uscio un uomo sulla quarantina, tarchiato e dai capelli spruzzati di grigio se ne stava a fissare attentamente una cartella con dei fogli protocollo appuntati sopra. Parlò distrattamente, senza guardare in faccia il proprio interlocutore: «Amy, so che non mi volevi in mezzo ai piedi, ma davvero c’è bisogno di discutere di questi dati… il computer alla INC non dà segni di vita e, che io sappia, solo tu hai i dati in memoria sul tuo portatile. Non ti disturberò per molto tempo, ma fammi entrare.»
Quando concluse la frase, si decise a sollevare il capo, supponendo che una preghiera con lo sguardo avrebbe certamente aiutato la causa di quella verbale appena espressa.
L’uomo strabuzzò gli occhi e boccheggiò in cerca di aria. Intanto Adam aveva assistito alla scena senza aprir bocca perché lo sconosciuto aveva parlato riferendosi ad Amelia. Ma lui non era Amelia, quindi non aveva motivo di rispondere alla sua richiesta.
Trascorsero dei lunghi secondi pregni di silenzio.
Poi l’uomo sussurrò: «Tu sei… tu sei Adam!»
«Tu conosci il mio nome.» constatò questi candidamente. Poi captò i segnali dell’agitazione in quell’uomo sconosciuto e aggiunse: «mi conosci?»
«Tu…! Ma com’è possibile?! Tu… non può essere!» il sussurro rauco si stava progressivamente trasformando in un mormorio affannato. Il volto gli si fece paonazzo e si passò la mano tremante sulla fronte, asciugando alcune grosse gocce di sudore.
«Sei Adam?!» chiese facendosi più forza.
«Sì, sono io. Tu perché mi conosci?» ripeté il giovane che non sapeva cosa stesse succedendo ma essendo deciso a capirci qualcosa. Stava analizzando quella situazione da tutti i punti di vista che poteva, ma nell’insieme, quei dati, non gli portavano nessuna risposta che gli facesse capire quale schema adottare per ricambiare il suo approccio estraneo. Sembrava quasi avere paura di lui, ma Adam non capiva perché la sua sola presenza scatenasse quella reazione in quell’individuo.
“Dopotutto – pensava – non sto adottando comportamenti pericolosi o a rischio. Perché le sue pulsazioni sono aumentate? Perché ha le pupille dilatate e suda?”
A quelle domande, appunto, non sapeva come rispondere.
Dopo qualche altro minuto, il signore parve riprendere padronanza di sé.
«Mi fai entrare?» chiese cauto.
«Prego, accomodati.» rispose Adam che non aveva motivo di lasciarlo fuori.
Lo portò nel salone dove, sapeva, si facevano accomodare gli ospiti.
«Tu dici di essere Adam, ho ragione?»
«Io sono Adam.»
«Ma com’è possibile?» borbottò l’uomo andando su e giù per la stanza. «Adam, lui… non può essere! Che sia…? Ma no! Ho visto… io c’ero… non può…!»
I mozziconi di frase non concluse confondevano ancora di più il povero Adam.
“Queste frasi sconnesse somigliano al principio del delirio o della farneticazione. Si, forse sto assistendo a una vera farneticazione…”
Ma mente il suo cervello era intento ad analizzare l’ospite come fosse un insetto da giardino, questi aveva intanto ripreso a domandare.
«Come… come sei finito qui? Cosa ci fai… Amelia, lei…» non concluse il pensiero.
Adam disse: «Io ci sono sempre stato.»
«Ma cosa dici! Possibile mai che tu sia… no, non può essere!»
«Cosa non è possibile, signore?»
«Che tu sia Adam!» esclamò.
«Ma io sono Adam. E lei come si chiama, signore?»
Spiazzato, quello lo fissò per qualche secondo. Tirò fuori un fazzoletto dalla tasca della giacca e se lo passò in fronte e sul collo.
«Non mi riconosci, ragazzo?»
«No, signore. Io non l’ho mai vista.»
«Non ricordi nemmeno John?»
«Affatto.»
«Com’è possibile mi domando…?» borbottò tra sé. Poi si rivolse ad Adam e si presentò. «Io mi chiamo Marcus. Sono un collega di lavoro di Amelia. È in casa?»
«Amelia sta facendo il bagno. Piacere di conoscerti, Marcus.» Protese la mano che Marcus afferrò con un po’ di sorpreso ritardo.
«Da… da quanto tempo ti trovi qui, Adam?»
«Da sempre.» disse «E sempre ci resterò. Io sono di Amelia. E Amelia è mia.»
«Non sarai un…?» barcollò indietro e si appoggiò sul divano.
«Marcus, credo che lei stia soffocando. Tiri un bel respiro profondo, questo l’aiuterà.»
Ma l’aria non voleva saperne di passare dalla gola dell’uomo che tremava in preda alle vertigini.
«A-Adam… mi faresti vedere un attimo il tuo… il tuo collo?» balbettò alla fine.
«Certo. Ha il mio permesso.»
Incerto, Marcus si avvicinò al ragazzo. Per facilitargli il compito, Adam prese posto su una poltrona e rimase immobile.
Allora l’ospite si decise e, scostando dal lato sinistro l’orlo della maglietta, puntò lo sguardo verso un segno inconfondibile sulla pelle: l’emblema della INC Corporation risaltava sulla pelle chiara di Adam: nero, un marchio indelebile sul collo, che spiccava e pugnalava la coscienza di Marcus, riempendolo di una comprensione che, non soltanto lo sbalordiva e lo confondeva, ma lo spaventava, anche, oltremisura.
«Che cosa hai fatto, Amelia? Che cosa hai fatto?...»
«Qualcosa non va Marcus?»
«No, Adam. Mi serve solo un attimo per riprendermi.» disse tornando sul divano e lasciandovisi cadere pesantemente. Poi prese a studiarlo con una nuova curiosità e comprensione, ma non con meno timore.
«Come passi le tue giornate, ragazzo?» gli domandò.
Adam scrollò le spalle come presupponeva una risposta vaga e generale. «Pulisco, cucino, curo il giardino, guardo la televisione e memorizzo nuove cose… e poi parlo con Amelia, gioco con lei, le leggo i libri…»
«Ca-capisco.»
Un rumore al piano di sopra distrasse entrambi da quella magra conversazione.
«Ecco Amelia!» esclamò con gioia Adam. E si alzò per andarle incontro.
Amelia, che dalle scale aveva sentito le loro voci, scese chiedendo: «Adam, con chi parli?!»
Giunta al piano terra, però, ebbe da sé la risposta alla propria domanda.
«Marcus! Cosa ci fai qui?!» Spostò lo sguardo dall’uno all’altro, sempre più allarmata.
«Ero venuto per quei documenti…» spiegò indicando i fogli abbandonati sul tavolino di fronte al divano, assieme alla sua ventiquattrore. «Ma Amelia! Tu… come hai potuto? Adam, lui è… tu non potevi…!»
«Stai zitto, Marc! Tu non hai il diritto di giudicare!» sbraitò la ragazza puntandogli il dito contro.
«Ma è una cosa sbagliata! Non in questo modo… tu non avevi il diritto…!»
«Sì che ce l’avevo! E comunque non sono affari tuoi, Marcus! Vattene via e non tornare più!»
«Come posso andarmene così? Dopo aver visto…»
«Tu non hai visto niente!» l’interruppe lei brusca. «È meglio che tu non ne faccia parola con nessuno!»
«Ma non posso tacere! Non su una cosa del genere!»
«Sì che lo farai!» insistette.
Entrambi ansimavano, fissandosi in silenzio da un capo all’altro della stanza.
«Non dovevi farlo, Amelia.» disse Marcus, in un sussurro. Fissò Adam con tristezza e rassegnazione. «Nessuno di noi aveva il diritto di usare quella memoria. Anche se il progetto era tuo e stava procedendo bene, non dovevi usare quella memoria dopo che… dopo la morte di Adam.»
«Adam non è morto! Io gli ho ridato la vita!» gridò con un singhiozzo. «Nessuno, nessuno poteva capire come mi sentissi! Tutti voi, non facevate altro che darmi pacche sulla spalla e dirmi che presto sarei stata meglio! Ma non era così, non c’era fine al dolore! E sai perché non riuscivo ad arrendermi, Marc? Sai perché continuassi a sentite quel dolore sordo al petto? Era perché sapevo che una parte dell’uomo che amavo era lì che mi aspettava! Non mi aveva lasciato del tutto! Come potevo abbandonare il suo ricordo e mettere da parte l’amore che provavo per lui quando la memoria del nostro amore e del tempo trascorso assieme era lì a portata di mano? Abbandonarlo di mia propria volontà sarebbe stato molto peggio che averlo perso per un banale accidente del destino! Non potevo arrendermi senza tentare! E come vedi ci sono riuscita!»
Adam, per quanto cercasse, non riusciva a mettere nel giusto ordine le informazioni assorbile. Rimaneva in silenzio con lo sguardo un po’ vacuo, perso in un processo che non riusciva a trovare sfogo.
«Lui ha in sé i ricordi di Adam! Lui è Adam!»
«Gli avrai anche dato il suo aspetto e i suoi ricordi, ma lui non potrà mai essere l’uomo che amavi, Amelia. Cerca di capirlo prima di farti ancora più del male.»
«Io so quello che sto facendo! Io sono felice! Non ho bisogno che qualcuno come te mi venga a dire come sia meglio vivere la mia vita! E ora vattene da casa mia, Marc! Vattene!»
«Me ne sto andando, Amy.» disse tristemente. «Ma dovrò fare rapporto, lo sai.»
«Fai quel che ti pare! Adam mi appartiene e non mi lascerà mai! Sappilo!»
«Può essere che lui non lo farà mai… ma che succederà quando sarai tu a lasciare lui
Amelia non rispose ma continuò imperterrita a fissarlo in attesa che lasciasse la sua casa. Marcus si arrese: raccolse le sue cose e se ne andò. Prima di lasciarli del tutto, però, aggiunse: «Non credo che finirà bene, non lo credo affatto. Questa è una falsa felicità che ti stai costruendo, Amy, pensaci bene… prima di distruggerti con altro inutile dolore.»
Chiusa la porta di casa, Amelia si abbandonò a un pianto silenzioso. Adam le si avvicinò e la prese tra le sue braccia.
«Non piangere, non piangere.» le disse. «Ci sono io qui con te.»
«Non mi lascerai mai, vero Adam?»
«Certo che no, Amelia. Io sono tuo, ricordi? E anche tu mi appartieni. Staremo insieme per sempre.»
«Sì…» mormorò la ragazza. «Per sempre.»

[Continua...]

   
 
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