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Autore: Himechan    27/12/2012    1 recensioni
Asso è un egoista.
Asso è nato solo, vive solo e morirà solo.
Solo con il suo cielo infinito.
Lontano dalla terra che tanto ti aveva fatto del male.
Ti rinchiudevi in quel tuo guscio volante, e scappavi via, lontano dai sentimenti, da chi ti aveva ferito, ma anche da chi ti aveva amato e continuava a farlo in silenzio.
§Capitoli I-II: terza classificata e vincitrice Premio giuria al "Le fleurs du Mal contest", indetto da Pagliaccio di Dio§
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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L’espressione di James si rilassò in un sorriso più disteso, mentre allungava le lunghe gambe davanti a sé con un profondo sospiro.
–Non te l’aspettavi questo vero?- Lee gli rivolse un’occhiata vagamente imbarazzata, mentre osservava il suo profilo forte e deciso. Si diede mentalmente della perfetta cretina. Come poteva anche soltanto lontanamente immaginare che quell’uomo che aveva tentato di baciarla fosse in realtà il suo Jamie? Il solo fatto di essere sfiorata da lui le aveva donato un piacere fisico, istintuale, incredibilmente intenso, mai provato in tutta la sua vita. La cosa che più la turbava, tuttavia, era il fatto che quella sensazione non se n’era andata neanche quando aveva scoperto che lui era il suo piccolo James, e dunque una figura fraterna, che avrebbe dovuto ispirarle tutt’altre sensazioni.
Invece ora il pensiero di toccarlo di nuovo, la faceva fremere, uno strano fremito che partiva dallo stomaco per poi espandersi sottilmente e inequivocabilmente più in basso a desiderarlo in quel preciso istante, come un fuoco che lambisce teneramente la pelle e non si spegne.
Dolore e piacere.
Desiderio.
Di colpo avvampò senza accorgersene.
Possibile che lui le avesse fatto quell’effetto? E possibile che la piacevole e al tempo stesso inspiegabile sensazione non riuscisse a dissolversi neanche adesso?
Neanche adesso che il suo cervello e la sua parte razionale la richiamavano a smetterla di pensare a lui in quello strano modo.
-Se qualcuno me lo avesse detto, avrei pensato che mi stessero prendendo in giro- la sua voce la distolse dai suoi pensieri. Lui sembrava sempre così calmo, impassibile e distaccato da ogni situazione. Persino ora che avevano scoperto un passato in comune sembrava aver ripreso tutto il controllo delle proprie azioni. Si lasciava andare solamente quando la sua mente era annebbiata dall’alcol che serviva a proteggergli le insicurezze del cuore.
Non era cambiato di una virgola. Rimaneva sempre quell’uomo bruscamente razionale, glaciale, poco incline a lasciarsi andare, di poche parole che era stato fin da ragazzo.
Con il tempo però questo suo lato austero era diventato ancora più evidente e e grave.
Lee se ne era accorta immediatamente. Timidezza forse, ma anche una serietà e compostezza molto rara tra i giovani uomini della sua età che lo rendevano ancora più misterioso e inavvicinabile.
Inattaccabile.
-Uhm già. Peccato che tu, in tutti questi anni non ti sia mai fatto vivo. Non sai quante volte ho aspettato il postino ho controllato nella cassetta delle lettere per ricevere tue notizie, e soprattutto quante lettere ti ho scritto, sperando che tu le ricevessi. Non ho mai, dico mai, neanche una sola volta ricevuto risposta. A tredici anni allora ho capito che Santa Claus non esiste e l’ho piantata di sognare- gli rivolse un sorriso un po’ amaro a ricordargli, senza più rancore, quanto aveva sofferto per i suoi silenzi, e per le sue mancate risposte, ma ora che erano due adulti, sembrava che il passato non contasse più poi tanto.
James sorrise sentendosi profondamente in colpa –Lo sai che scrivere non è mai stato il mio forte, no?-
-Bugiardo come sempre- sogghignò lei con aria scettica –Tu non volevi scrivermi, ecco tutto- mormorò con una semplice alzata di spalle e l’espressione piena di rimpianto.
Allora, d'improvviso, lui si girò a guardarla, con quei fantastici occhi azzurri, seri e scrutatori  -Me lo ripeto in continuazione anch'io quanto sia un emerito stronzo. Ma non cambio, non riesco a farci niente. Le persone non cambiano. Odio le persone e molto probabilmente anche le persone odiano me- sospirò con aria meditabonda, ma lei, che lo conosceva tanto bene, capì che come al solito esagerava con il suo solito misantropismo.
-Io non ti odio. Pensi che questo possa bastarti?- gli sorrise prendendogli una mano e stringendogliela calorosamente.
James inarcò un sopracciglio con aria stupita mentre osservava la sua mano tra quelle di Lee -Tu sei diversa. Lo sei sempre stata. Non fai testo- borbottò vagamente intimidito.
E ora che ti ho ritrovato mi sembra così assurdo pensare a te come una...donna.
-Perchè non faccio testo?- lo stuzzicò, desiderando con tutto il cuore di sfiorargli il dorso della mano con la punta delle dita.
Sapeva che dopo un po' lui avrebbe distolto lo sguardo, infastidito, per questo lo provocava. Avrebbe tanto voluto fare qualcosa di più, ma non osava.
Lo temeva e allo stesso tempo ne era attratta inequivocabilmente, come due poli opposti che però si attraggono in maniera tacita e irrefrenabile.
-Perché tu sei Lee. Non sei una qualunque- tagliò corto lui, ma era evidente che a lei una risposta del genere non bastava.
Erano parole che avrebbe potuto pronunciare quando entrambi erano due adolescenti, non adesso, che erano un uomo e una donna.
-Avresti dovuto fare il pianista, sai?- disse lei, ad un certo punto, dopo un lungo silenzio, osservandogli le dita lunghe e affusolate.
Lui sogghignò -Sì, per diventare frocio come qualcuno dei tuoi amichetti-bofonchiò con malagrazia.
Il giovane Will, per esempio, non aveva un aspetto, che, secondo la sua concezione di maschio, poteva definirsi propriamente virile.
-Oh...oh...E sentiamo gli skyfighters di Sua Maestà sarebbero tutti dei gran...maschioni?- lo prese in giro lei, di rimando, socchiudendo gli occhi.
James evitò di proposito di darle una risposta che l'avrebbe fatta arrossire.
-Non penso che avrei una lunga carriera da musicista.  Non so neanche cantare una canzoncina per neonati. L'unica cosa che so fare è volare, nient'altro-
-E scappare dalle persone- aggiunse lei, ma poi pensò di aver detto una cosa poco piacevole, così gli sorrise -Ma sei un pilota meraviglioso. Lo so-
-Ah sì? E come lo sai?- sogghignò lui con aria da presa in giro. Sotto sotto però ci godeva che lei lo ammirasse per le sue innate doti nel campo dell'aviazione. Quella in fin dei conti rimaneva la sua sicurezza più grande.
-Perché mio padre è un tuo grande ammiratore, semplice. Ma io non gli ho mai detto di aver conosciuto uno dei migliori aviatori inglesi quando...uhm...come dire...quando veniva a rubarmi la merenda- rise allegramente, mentre le sue guance diventavano di nuovo rosse di gioia e di imbarazzo al tempo stesso. Stare accanto a lui le dava una sensazione di benessere e di calore che non ricordava di provare da tanto, troppo tempo.
-Io non ti ho mai rubato la merenda, eri tu che me la portavi di nascosto quando Jonas o Kennington mi punivano per bene! Sei sempre stata protettiva e adorabile nei miei confronti...anche quando non lo meritavo-
-E tu nei miei- soggiunse lei in un soffio.
-E quando hai cominciato a suonare così bene?- le chiese James improvvisamente, tagliando volutamente il discorso sul capitolo doloroso della loro infanzia.
-Quattordici anni fa, subito dopo essere andata via dal San Francis. Assieme allo studio ho coltivato la passione per la musica e il pianoforte, e così ho frequentato il conservatorio e infine mi sono diplomata-
-E canteresti per me?-sorrise lui con aria divertita, sicuro che lei gli avrebbe detto di no, e si sarebbe rifiutata, invece Lee, inaspettatamente, gli diede un bacio sulla guancia
-Ti piacerebbe?-
-Credo proprio di sì- rispose imbarazzato.
-Allora quando mi farai volare, io canterò per te- aggiunse lei solennemente.
-Questo è un colpo basso miss Keegan, lo sa?- le rispose lui con voce stranamente tenera. I suoi occhi erano dolci come una carezza.
-Lo so bene, ma non mi importa. Fammi volare, portami con te, Jamie. Me lo hai promesso tanto tempo fa, ti ricordi?-
-Lo ricordo eccome, tu piuttosto hai una bella memoria, eh?!- rise, per la prima volta, una risata calda, di gola, piacevole e incredibilmente sexy.
-Solo per ciò che mi fa comodo. Allora, che mi rispondi?- lo incalzò in un tono a metà tra il serio e il faceto.
Le sarebbe piaciuto enormemente entrare nel suo mondo, conoscerlo, condividere la sua passione più grande, fargli scoprire a sua volta ciò che la emozionava e la inorgogliva maggiormente, insomma, viverlo, ma sapeva anche che non sarebbe stato affatto facile. Il mondo di James era un mondo esclusivo, particolare che non a tutti era permesso scoprire, lo sapeva benissimo, eppure sentiva che lui dopotutto, avrebbe potuto darle un'opportunità. In fondo era o non era la sua Lee? Quella che tanto tempo prima era stata la sua migliore amica? Le pareva di aver sprecato tanto di quel tempo in tutti quegli anni di lontananza! Ora l'unica cosa che le premeva maggiormente era recuperare tutto, ma allo stesso tempo non voleva pressarlo troppo o renderlo insofferente. Sapeva quanto lui fosse restìo ad aprirsi o a far trapelare le proprie emozioni, per questo voleva di nuovo recuperare il loro rapporto piano piano, con discrezione, in punta di piedi.
-Vuoi davvero volare...con me?-
-Assolutamente sì.-
Non aspetto altro da quindici anni.
Assieme al tuo amore.
Perché lo sai che io ti amo da quando avevo nove anni, e forse anche prima, vero?
-E ti dimenticherai di quello che è successo stasera, vero? Se, insomma...io...dovessi portarti con me- mormorò con aria di circospezione, come a sincerarsi di qualcosa di vitale e di importantissimo.
-Il bacio, intendi?-
-Sì. Hai capito-
-Okay- sussurrò lei lasciandogli la mano lentamente, sentendosi lievemente delusa da quella sua affermazione. -Farò finta che tra noi non sia mai successo nulla. Io sono Lee e tu sei Jamie, ti ricordi?-
-Così va meglio- sospirò lui come se si fosse tolto dal cuore un peso opprimente e insopportabile.
Che lo soffocava.
-L'anno scorso ho comprato una casa nell' Warwickshire. Era di un vecchio che aveva un pianoforte, magari...un giorno...uhm, potrresti suonarlo tu. Io di certo gli farei fare la muffa-
-Tu? Una casa nell' Warwickshire? Dici sul serio? Cioè una vera casa in campagna, lontano dal mondo, per vivere in solitudine lontano da tutti gli esseri viventi?- rise lei con fare compiaciuto, prendendolo in giro.
-Esattamente miss, una casa in campagna. Oddio in realtà sarebbe da ristrutturare perché il vecchio proprietario, a quanto ne so, era uno di quei vecchi aristocratici caduti in disgrazia che si era ipotecato persino le mutande. L'ho acquistata a due soldi. E lì a fianco, ci ho costruito il mio hangar personale!- esclamò tutto orgoglioso.
-Cioè, per la miseria, tu hai una casa tutta da ristrutturare e la prima cosa a cui pensi è costruirti un hangar per i tuoi aerei?!- Era evidente che le loro opinioni erano alquanto discordanti.
-Ti sbagli mia cara. Il mio aereo. E' un biplano rimesso a nuovo da queste mani qui. Un Gresham del'27 restituito a nuova vita. Se ti fidi, potrei farti persino salire a bordo-.
-Lo faresti davvero? Mi porteresti con te per vedere quello che sai fare?-
-Solo perché sei tu. Da amici, ovviamente, niente di più, niente di meno. Non aspettarti altro- tagliò brutalmente, lasciando cadere di colpo tutta la magia inaspettata di quella rivelazione. -In realtà devo ancora passarci il cromato di zinco e finire di verniciarlo ma potresti passarmi gli attrezzi se ti va-.
-Ah e di certo non mi permetteresti mai e poi mai di toccare una cosa tua- replicò lei, arricciando il labbro superiore, offesa.
-Mi pare che ti abbia dato fin troppe libertà per dimenticarti di quella cosa che è successa prima, non ti pare?-
-Tsk...figurarsi. Mi sento una privilegiata, maggiore. Lei non porta mai le sue amiche a casa sua?-
-Amiche? Quali amiche?- ribattè lui con aria di finta noncuranza.
-Io non ho amici.-
Non sapeva spiegarsi il motivo per cui le aveva fatto quella strana proposta, fattostà che la cosa gli era uscita spontanea e stranamente inaspettata, e di fatto, a ripensarci quando si ritrovò da solo, a rigirarsi nel letto, solo con i propri pensieri, dopo che si erano salutati con la promessa di rivedersi presto, la cosa non gli risultava tanto sgradevole.
Solo perché era lei.
Di nuovo il suo viso lo venne a tormentare più e più volte quelle notte, e non riuscì di nuovo a spiegarsi quella sensazione dolorosa e al tempo stesso incredibilmente eccitante che lo percorreva da capo a piedi mentre pensava a Lee.
Non doveva.
Non poteva.
Non era eticamente giusto o corretto pensare a lei in un determinato modo, eppure non riusciva a farne a meno. Gli risultava quasi impossibile non provare un desiderio proibito di stringerla a sé in un modo completamente diverso dall'abbraccio di un fratello e di una sorella.
Calmati James. Non perdere il controllo. Puoi farlo tranquillamente.

Eppure quella notte il suo sonno fu molto più leggero e agitato del solito.



Berlino


Lo Schloss di Wannsee era immerso in uno splendido parco pieno di verde e di fiori. Si accedeva da un pesante cancello in ferro battuto che apriva su un lungo sentiero ghiaioso; questo portava fino ad un ampio piazzale acciottolato in cui troneggiava una fontana zampillante e l'imponente scalinata in marmo bianco.
Joachim si fermò con la sua fiammante Mercedes-Benz 770 nera proprio davanti l'ingresso della tenuta della famiglia Von Scherner. Il primo ad accoglierlo fu il fedele pastore tedesco Britos che, a dispetto della sua mole, non appena riconobbe il suo adorato padrone, gli andò incontro scondinzolando festoso come un cucciolo. Lui gli fece una lunga carezza affettuosa mentre il vecchio maggiordomo Heinrich lo aiutava a scaricare il proprio bagaglio. In realtà non ne aveva molto visto che si sarebbe fermato solo pochi giorni, giusto il tempo di una brevissima licenza.
Sua madre Ariana lo accolse quasi volando e un secondo dopo si ritrovò stretto nel suo caloroso abbraccio proprio come quando era un bambino.
-Bentornato a casa Jo- mormorò la donna accarezzandogli estatica il volto. Erano mesi che non tornava a casa e quello era un evento speciale per tutta la famiglia.
-Ciao, mutti- mormorò lui vagamente imbarazzato dandole un lungo bacio sulla fronte. Nonostante fosse ormai un uomo fatto e finito sua madre, per certi aspetti, continuava a trattarlo nello stesso modo di quando aveva cinque anni.
-Vater...- disse solamente quando si sciolse dall'abbraccio di sua madre, a fissare gli occhi glaciali di Janos Von Scherner così simili nell'espressione ai propri, immobile davanti suo figlio.
Le smancerie e gli slanci d'affetto non avevano mai fatto parte dell' Oberst Von Scherner, ma nonostante questo non poté trattenere un sorriso di soddisfazione quando gli strinse la spalla in una pacca energica.
 -Ciao Herr Hauptmann-
Joachim stava diventando tutto quello che lui non aveva potuto essere in gioventù. Janos, nonostante il grado da colonnello, nel privato non aveva mai avuto il suo equilibrio, il suo sangue freddo, la sua responsabilità, mettendo sempre al primo posto i suoi vizi, le donne soprattutto, nonostante quello che pensava di lui sua moglie piuttosto che i suoi principali doveri. Joachim in questo senso era molto più ponderato e serio.
-Danke Herr Ob...-
-E allora, vogliamo entrare in casa? Joachim devi raccontarci tutto quanto!- esclamò Ariana prendendolo sottobraccio e dirigendosi verso l'ingresso del palazzo di famiglia.

Ritrovarsi nella sua stanza, dopo parecchi mesi fu strano.
Tutto era rimasto come lo aveva lasciato prima di partire. L'ampio letto e la finestra che affacciava sul parco da cui immaginava un giorno di spiccare il volo con il suo aeroplano, la scrivania, i suoi libri dell'università e i modellini dei velivoli ordinati sulla mensola. Ne prese in mano uno, rigirandoselo tra le dita, con un sorriso.
Tutta la sua infanzia e poi la sua giovinezza erano state serene, senza un'ombra: i suoi genitori non gli avevano mai fatto mancare niente, era cresciuto nel loro amore, gli avevano offerto una vita agiata e tranquilla e da sempre Joachim era stato un bimbo allegro e felice. Non riuscì a spiegarsene il motivo, ma di colpo, ricordando la propria infanzia, gli tornò alla mente James Railey. Era un pensiero assurdo il suo, eppure in qualche angolo segreto del proprio cuore quella fotografia, gli aveva toccato qualcosa nell'anima, qualcosa che lo aveva turbato e continuava segretamente ad agitarlo. Quegli occhi penetranti lo avevano colpito senza riuscire ad essere scacciati, era come se da qualche parte, in qualche posto indefinito lui e quell'uomo si fossero già incontrati. Come se ci fosse stato un tempo in cui erano stati profondamente legati. Scacciò quel pensiero, deciso a non farsi turbare da inutili problemi, poi si cambiò indossando un caldo maglione a collo alto e un paio di pantaloni chiari, e scese per la cena.
I suoi lo aspettavano già a tavola. Mutti gli aveva fatto trovare i suoi piatti preferiti; fu una cena tranquilla, chiacchierarono del più e del meno, senza soffermarsi troppo sulle questioni politiche, e nel complesso fu una serata piacevole e rilassante. Erano mesi che Joachim non faceva un pasto decente. Il purè della mensa ufficiali non era niente di paragonabile a quello che preparava Fraulein Hilde. Aveva cucinato per lui anche i biscotti alla cannella.
I suoi preferiti.
Si ritrovò a sgranocchiarne qualcuno quando, terminato il pasto, lui e suo padre si ritrovarono nello studio a chiacchierare.
Quello era il loro passatempo preferito. Padre e figlio erano sempre stati legati, anche se tra loro non c'erano mai state troppe parole o gesti d'affetto. Entrambi taciturni e poco inclini alle tenerezze, sapevano tuttavia capirsi al volo anche solo con uno sguardo. Erano molto simili ma anche molto diversi per certi aspetti. Joachim si sedette sulla morbida poltrona di pelle nera girevole su cui amava arrampicarsi quando era ancora un bambino, accavallando le lunghe gambe e mangiucchiando un biscotto.
-E allora come ti vanno le cose Cloche?- gli chiese Janos versandosi un bicchiere di scotch e fissandolo attentamente da dietro il pesante vetro.
Joachim fece un vago cenno con la mano, poi sospirò -Il lavoro è molto impegnativo, ma me la cavo-
-Ti hanno dato degli attendenti decenti o sono dei senza cervello come alla Deutsche Heer?- gli domandò Von Scherner con un sorriso.
Joachim rise -No al contrario, sono ragazzi in gamba. Ai tuoi tempi prendevano i raccoglitori di luppolo di Dortmund. Adesso è tutta gente preparata ed esperta. Dall'ultimo dei Gefreiter agli Unteroffizier. Vater ci sarà una guerra fra pochi mesi, non stiamo scherzando- constatò gravemente, mettendo per un momento da parte la sua sottile ironia.
-Lo so, Cloche. Il Fhurer non si fermerà davanti a niente e voi dovrete essere pronti per quando succederà. Perché succederà, e molto presto...- ribatté Janos -Io ormai sono troppo vecchio per farla vedere agli inglesi e ai garconnes-
-Potresti fargliela sotto al naso a molti di quegli yankees fidati, Vater- asserì Joachim con convinzione.
-Può anche darsi-
-Soprattutto con certi soggetti spocchiosi della Raf inglese- mormorò con voce rauca.
Janos avvertì un leggero fremito nel suo tono -Ti riferisci a qualcuno in particolare?-
Chissà perché la Royal Air Force richiamava anche a lui un nome ben preciso.
-C'è un uomo che si diverte a provocarmi dalle pagine dei giornali. Proprio qualche giorni fa è stato così educato da rilasciare un'intervista su quanto sia bello e bravo e a come farà un sol boccone dei mangiatori di Krauti come definisce il Reich. E' un uomo molto spocchioso e arrogante-
-Un inglese, del resto- ribatté Janos con un sorriso laconico.
Joachim fece segno di sì, con aria profondamente turbata -Si chiama James Railey, nel nostro campo lo conoscono un po' tutti. Il bello è che non riesco a capire perché oltre alle sue parole da perfetto idiota nei miei confronti ci sia qualcosa che mi dia ancora più fastidio-
Janos ebbe un sussulto quando udì quel nome. Tacque per un attimo.
-Railey hai detto?-
Credeva di non aver capito bene.
-Sì, il migliore dell' 11 Fighter Command di Uxbridge, così si dice. Crede di dominare i cieli d'Europa e di far polpette dei bombardieri crucchi-
Janos si sistemò meglio sullo schienale della poltrona, appoggiando il bicchiere e incrociando le braccia.
-Lascialo parlare. Chi si riempie la bocca di fandonie in realtà non ha molto da dimostrare in volo- replicò categorico. In realtà sapeva bene che a parlare non era uno qualsiasi, ma un uomo che aveva in comune con Joachim lo stesso sangue. Aveva visto un paio di foto di Railey e aveva trovato una somiglianza impressionante tre lui e Faith. James aveva il suo stesso sguardo passionale, intenso, struggente ma allo stesso tempo incredibilmente grave e serio, un po' come quello di suo fratello.
Fratello, fratello, fratello.
Impossibile.
Janos rimosse automaticamente il pensiero anche se spesso gli capitava di ritornarci, involontariamente.
James e Joachim non avevano più nulla in comune se non un breve periodo disgraziato dell'infanzia.
Perché se avesse lasciato suo figlio a Londra, con Faith e suo fratello probabilmente a quest'ora sarebbero stati insieme, a combattere per la stessa causa. Ma allo stesso tempo, probabilmente, lui non avrebbe mai avuto le stesse possibilità, la stessa vita, lo stesso destino che gli aveva offerto portandolo via da quell'ambiente.
Sarebbe stato segnato da un'esistenza misera e meschina. A quanto ne aveva saputo, Faith era morta subito dopo l'ultima volta che si erano visti. Ventisei anni prima ormai. Una vita fa.
Probabilmente Joachim sarebbe morto dentro quache orfanotrofio, abbandonato da tutto e da tutti, o avrebbe preso una strada sbagliata. Di certo, non avendo la stessa indole dura e testarda di suo fratello che era riuscito a rialzarsi dai bassifondi, sarebbe crollato. Ora si facevano la guerra, ignari l'uno dell'altro.
No, nessuno avrebbe mai saputo niente. Sarebbe stato meglio per tutti, oltretutto non voleva causare un dolore inutile a sua moglie Ariana che aveva amato quel figlio come se fosse stato suo naturalmente.
Cambiò discorso repentinamente prima che lui potesse fare altre domande e capire il suo turbamento.
-E con quella ragazza? Come va?- gli chiese con una disinvoltura lievemente eccessiva.
Joachim avrebbe voluto chiedere ancora qualcosa a suo padre, ma poi decise che James Railey era un argomento superfluo per quel momento e così lo accantonò.
Lui gli aveva parlato di Janka. Aveva omesso il suo mestiere ed evitato di rivelargli completamente cosa c'era tra loro, ma suo padre, tra le righe, aveva capito che era una persona importante.
-Chi, Janka? Tutto bene. Lei è sempre più innamorata- rispose lui con un sospiro evasivo, come se non gliene importasse niente, in realtà Janos si accorse di uno strano tremito nella voce di suo figlio.
-Perché tu no? Un giorno potresti farcela persino conoscere-
-A mamma non piacerebbe- tagliò corto in maniera piuttosto brusca. Janka non era quel genere di donna che poteva piacere ad una donna all'antica come Ariana Von Scherner. Per il suo adorato pupillo poteva andar bene una Rotschild o comunque qualche buona signorina dell'alta società, non di certo una ragazza giovane ma di umili origini come la sua dolce Janka. Il suo sguardo si intenerì involontariamente pensando a lei. A volte si sentiva egoista e superficiale nel trattarla in quel modo, nell'ostinarsi a volerla nascondere al mondo, ai suoi genitori, ai suoi amici. Lei lo amava e anche lui, a modo suo la ricambiava.
Piccola, dolce Janka.
Joachim fissò a lungo suo padre, senza dire nulla.
Per entrambi quel silenzio era carico di parole non dette.





   
 
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