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Autore: Blusshi    27/12/2012    2 recensioni
Estratto dal capitolo 1~
Kate- la fronte inondata di sudore- spingeva e gridava; percepiva i movimenti del bambino che si faceva strada nel canale del parto. Si augurò che andasse tutto bene e che finisse in fretta; si sentiva come una bambina spaventata anche se ormai, a venticinque anni e con due gemelli in arrivo più che imminente, una bambina non era più.
Sapeva che quella nascita stava presentando complicazioni: i dottori le stavano dicendo che il primo dei due bambini non riusciva a uscire e che di conseguenza l’altro stava soffrendo.
Ho fatto una scelta originale, narrando la storia dei due protagonisti a partire da un punto che in genere non viene scelto. Spero, davvero, di non doverla pagare troppo cara questa mia originalità :) ~ Blusshi
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: 17, 18, Altri, Dr. Gelo, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il dottor Gelo non avrebbe voluto farlo: era rischioso, per lui in primis.
Ma guardando preoccupato ora la porta del suo laboratorio, ora il braccio da cui una mano gli era stata divelta lasciando spenzolare i cavi gocciolanti, si decise che quella era proprio la sua ultima possibilità.
I suoi nemici erano diventati più forti di quello che aveva previsto –anche se non così forti da poter contrastare le sue due carte vincenti.
Non voleva che gli avversari prendessero il sopravvento e tuttavia era combattuto perché nonostante avesse apportato tutte le modifiche necessarie, attivare di nuovo i numeri  17 e 18 era un pericolo non indifferente.
Dal rapimento erano passati due anni, le sue micro telecamere GPS avevano costantemente tenuto d’occhio i movimenti delle forze dell’ordine e della madre dei gemelli; era una testa durissima quella donna, non si era ancora arresa? Poco importava, le sue volontà stavano per compiersi, nessuno avrebbe potuto trovarli e presto anche lei sarebbe finita all’altro mondo, come tutto il resto dell’umanità.
“Non sarei mai voluto arrivare a questo punto, ma ormai sono con le spalle al muro…” il vecchio aveva in mano il controller d’emergenza e stava fermo tra le due capsule sigillate “spero solo di averli sistemati a dovere”.
Era finalmente convinto; no, era riluttante.
Il dottore scacciò via il timore e si accinse a spingere il primo bottone.
Per lui era un déjà-vu quando il primo dei due cyborg mise piedi fuori dalla capsula, squadrandolo con sguardo indolente.
“Ben svegliato, numero 17”.
Il ragazzo non fece una piega, poi si voltò e gli rivolse l’abbozzo di un sorriso: “Buongiorno, dottor Gelo”.
“Che meraviglia, mi hai salutato!”
 “Beh, è ovvio: ho rispetto per mio padre”.
Il dottore stringeva il controller di emergenza e notava con sollievo che lo sguardo di 17 era sveglio, ma non troppo.
 “…sembra che ce l’abbia fatta…allora adesso il numero 18” il dottore premette il pulsante della seconda capsula e anche la ragazza fece un passo avanti.
“Buongiorno dottore!” la sua voce era limpida e squillante “vedo che è diventato un cyborg anche lei”.
Il vecchio gettò uno sguardo ai cavi elettrici che pendevano giù da uno dei polsi: “Ah sì sì, volevo anche io la vita eterna” ormai non c’era più niente da temere, i gemelli sembravano star bene “in verità, quando vi ho attivati la prima volta per mettervi in prova, mi sono accorto che avevo investito troppo sui reattori di energia infinita e sulla potenza, quindi era molto difficile tenervi a bada: non obbedivate mai…ma ora come ora potete iniziare subito a lavorare: i nostri nemici ci stanno cercando e tra poco arriveranno qui, mi raccomando, dovete ucciderli tutti, dal primo all’ultimo. Chiaro?”
“Agli ordini!” trillò 18.
“Ricevuto” le fece eco 17.
All’improvviso si udirono dei rimbombi sordi, mentre polvere e frammenti di intonaco cominciavano a cadere da muri e soffitto.
“Eccoli, sono loro! Fateli fuori!”
Il dottore era estatico: finalmente poteva realizzare il suo sogno, finalmente la sorte giocava al suo fianco, finalmente 17 e 18 erano pronti, perfetti, feroci, a sua completa disposizione.
“E’ il momento! Dovete uccidere!”
Nel trionfo della sua gloria, il dottore non si era accorto dell’ombra che, silenziosa e micidiale come un predatore, si era spostata dietro di lui in un battito di ciglia; e continuò a non accorgersene, quasi stentò a realizzare che quel cacciatore furtivo gli aveva sfilato il controller di mano: “Numero 17! Che stai facendo?!”
“Cos’è questo?” il ragazzo se lo rigirò fra le mani, scambiandosi cenni d’intesa con la sorella “il telecomando per fermarci nelle situazioni critiche…cos’è, hai paura di noi?”
Il suo tono di voce si era fatto tagliente e sprezzante, anche i suoi occhi erano cambiati, erano acuti, freddi, colmi di desiderio di uccidere: gli occhi di una fiera.
Il dottore indietreggiò, forse rendendosi conto di quello che aveva fatto; e non fece in tempo a reagire, che il ragazzo strinse leggermente la presa sbriciolando il controller. I colpi alla porta aumentavano d’intensità.
“Ehi ehi ehi! Che stai facendo? Ti sono saltati i circuiti?” gli urlò “ devi fare quello che ti dico, i nemici sono là fuori!” 
“Ne abbiamo piene le scatole di dormire, vecchio del cavolo!”
All’esterno del laboratorio, il gruppo di “nemici” attendeva, prendendo a botte la porta che non si spostava minimamente.
“Io sono l’unico che può sistemare la faccenda! Voi andatevene via!” uno di loro, il più orgoglioso, voleva prendersi il merito di sconfiggere i giovani aiutanti del vecchio dottore.
Sotto il suo attacco la pesante porta di metallo si piegò, scardinata, cadendo al suolo con fragore d’inferno.
I nemici rimasero stupiti nel trovarsi di fronte, oltre al dottore, un paio di ragazzi che stentavano a superare i vent’anni.
Erano giovani.
Erano belli.
“Cosa?! Sono loro?”
“Non lasciatevi ingannare solo perché sembrano innocui: sono delle bestie” disse a denti stretti un altro, un ragazzo dai capelli chiari che portava uno spadone.
“Non dovete assolutamente sottovalutare i nostri nemici” il dottore si sforzò di controllarsi e di mantenere un tono di voce calmo “sono loro che mi hanno dato parecchio filo da torcere e che hanno sconfitto il numero 19”.
17 si volse, sgranando gli splendidi occhi: “ Ah, c’era un 19? E com’era? Tipo noi?”
“No…”
18 si fece avanti, sorridendo malignamente: “E come mai non l’hai fatto come noi se tanto ormai sei in grado? Avevi paura di non poterlo controllare? Va bene, peccato però che se vuoi vincere ti serviamo noi con la nostra potenza”.
“…allora, la finite? Ve l’ho già detto, obbedite immediatamente!” il dottore strinse il pugno, sbraitando.
“Che ne dici di stare zitto?” sbuffò 17, sfacciato “noi combattiamo quando abbiamo voglia”.
“Che cosa hai detto!” grugnì il dottore “se solo avessi ancora il mio controller…te la farei vedere io, stupido moccioso”.
18 ridacchiò e calpestò i resti contorti del telecomando, dirigendosi verso un’altra capsula ancora sigillata: “Non l’aprire, 18!” Gelo si lanciò verso di lei e le afferrò con prepotenza un braccio “sta’ indietro, non ti azzardare.”
Lei lo guardò con disprezzo e lo fece volare a terra con una gomitata: “Come osi mettere le tue manacce addosso ad una ragazza?!”
Il dottore strinse i pugni: “Provateci solamente a disobbedirmi, che questa volta vi giuro che vi disattiverò per sempre!”
17 osservava la scena divertito: “ Ho rotto il tuo giocattolino, te ne sei già dimenticato?”
“Bene, ne rifarò un altro!”
17 non fece una piega: “Dai sorellina, aprila.”
La ragazza gli sorrise e premette il pulsante d’apertura.
“18, che stai facendo? Sei sorda?”
Gelo sbraitò e fece per dirigersi verso di lei, ma non finì di parlare che un rantolò gli tagliò il respiro, i capillari oculari gli scoppiarono all’unisono e il dolore gli contorse la faccia in una smorfia animalesca.
Guardò la parte sinistra del suo torace e vide una mano che gli sbucava sul davanti attraversando corpo e abiti; non avrebbe avuto bisogno di voltarsi, ma lo fece e si ritrovò faccia a faccia con 17 e i suoi occhi, incendiati  da uno scherno assassino.
I nemici del dottore guardavano, senza riuscire a proferir parola.
“Tu…maledetto poppante…”
Fin dal principio, dal primo istante in cui li aveva convertiti aveva temuto questo momento. Lui stesso li aveva dotati di una forza sovrumana e terribile che li avrebbe resi belve mangiatrici di uomini. E adesso? Lui si era tirato addosso la loro ira, adesso stavano giocando con lui per poi divorarlo.
Erano furiosi e lui sapeva il perché, era convinto di essere riuscito a cancellare anche le parti più recondite della loro memoria…perché sapeva che prima che li disattivasse stavano parlando di lui, si stavano ricordando, stavano prendendo coscienza della mostruosità che avevano subito. Ora aveva quello che voleva, due guerrieri androidi spietati e assetati di sangue.
Del sangue sbagliato; il dottore si vide già morto.
 17 estrasse il braccio con calma piatta e rimase dietro il dottore, mettendosi le mani in tasca.
“Tu sei mio…tu sei la mia creazione…obbediscimi!”
Quella fu l’ultima cosa che riuscì a dire, prima che 17 sferrasse un accenno di calcio e la testa gli venisse troncata di netto, finendo scaraventata sul pavimento con clangore metallico.
Il gruppo di nemici non riuscì a trattenere gemiti d’indignazione: “Ma…è come se avesse ucciso suo padre!”
E siccome la testa ancora parlottava, 17 spiccò un balzo e ci saltò sopra con tutto il suo peso, mentre un lago di liquido scuro si allargava sul pavimento di acciaio.
 
 
 
Cos’avrebbe mai potuto sperare, il vecchio Gelo, che sul serio sarebbe riuscito a cancellare completamente la memoria dei due giovani androidi?
Si era altamente sbagliato: 17 e 18 si ricordavano benissimo che la prima cosa che dovevano fare, non appena il dottore si fosse degnato di svegliarli, era toglierlo di mezzo.
17 non era stupido, quando era uscito dalla capsula aveva dato un’occhiata fugace prima al telecomando, poi alla gemella ed era bastato, si erano già messi d’accordo.
Si erano ricordati tutto quello che si erano promessi, appena in tempo prima di venire disattivati e il loro cervello ulteriormente modificato; ma di una cosa non avrebbero mai potuto dimenticarsi: lui era l’uomo che li aveva catturati e trasformati in macchine, lui li aveva derubati di ricordi che ormai avevano perduto , lui doveva pagare e morire.
Era stato sufficiente fingersi buoni ed obbedienti quanto bastava per conquistarselo; a 17 e 18 aveva dato un po’ fastidio, all’inizio, interpretare il ruolo degli storditi con il cervello annacquato, ma era per una buona causa.
“E così è fatta…schifoso animale” 17 sputò per terra disgustato.
“Che finezza!” commentò acida 18 “ma…perché l’abbiamo ucciso? Va bene che ci dava noia…”
17 trasse un sospiro: “L’abbiamo ucciso, anzi io l’ho ucciso perché ci dava noia e perché ci ha trasformati in due cyborg: prima eravamo umani, ricordi?”
La ragazza annuì e ad un tratto i suoi occhi s’incupirono: “…non c’è altro, no?”
Il gemello scosse il capo: cos’altro poteva esserci? Era una ragione sufficientemente motivante.
“Sicuro, 17? Niente niente?”
“Niente niente, 18”.
Teoreticamente, a quel punto, sarebbe toccato loro iniziare l’opera di distruzione per cui erano stati attivati dal dottore, ma in realtà non ne avevano nessuna voglia: non era divertente e soprattutto avrebbe significato eseguire gli ordini.
“Manco morto!” sogghignò 17 “piuttosto faremo qualcos’altro. Anche noi cyborg abbiamo bisogno di un obiettivo nella vita. Possiamo usare i nemici del dottore per giocare!”
“Cominciamo con aprire questa scatola: c’è scritto 16, vediamo chi è” suggerì 18, che immediatamente schiacciò ancora il pulsante di apertura e scoperchiò la capsula con una pedata.
Il numero 16 si alzò, scrutando l’ambiente intorno a lui e quando 17 lo salutò non rispose, limitandosi ad un timido sorriso.
Il ragazzo si lamentò con la sorella del fatto che il loro nuovo amico non spiccicasse parola: l’unica cosa di cui si degnò di informarli era che anche lui era stato creato con l’unico scopo di eliminare il nemico numero uno del dottore.
“E va bene, allora ci metteremo a cercarlo…però andiamo in macchina, così è più divertente!”
“E dove la prendiamo una macchina?”
“La rubiamo.”
18 sbuffò, quanto era infantile suo fratello? Volando l’avrebbero subito trovato e invece no, dovevano andare in macchina…lei le aveva sempre odiate, erano così stupide e inutili: “Vedo che non sei cambiato, 17, anche da umano eri fissato…”
Il ragazzo si lasciò sfuggire un gemito: “Parla lei! Adesso sto ancora aspettando che tu mi chieda di andare a comprare dei vestiti, perché tanto lo so che me lo chiederai, è solo questione di tempo”.
18 ingoiò il rospo stizzita; era vero, voleva proprio chiedergli di fare una sosta nella città più vicina: come poteva andare in giro con quegli stracci ignobili che le aveva messo il dottore? Non aveva il minimo gusto nel scegliere i colori ed era doppiamente colpevole perché aveva avuto la presunzione di prendere decisioni al posto suo.
 
 
I due androidi gemelli, seguiti dal numero 16, trovarono presto un’auto con cui girare e fare shopping.
18 era entrata in una boutique e si era costretta a comprare dei vestiti che non le piacevano; tanto, a detta sua, non si poteva sperare di trovare di meglio lì dentro.
Presto erano arrivati gli sbirri, prontamente chiamati dai proprietari del fugone e dei vestiti che i due ragazzi avevano rubato.
“Volete smetterla di fare resistenza?” urlò lo sceriffo quando 16 si era liberato dalle manette che gli avevano messo.
“Fare resistenza?” ridacchiò 18 canzonatoria, sfilando con grazia davanti agli agenti e dirigendosi verso una delle loro macchine “vi faccio vedere io cosa vuol dire fare resistenza”.
Con i polsi ammanettati, aveva sollevato l’auto per lanciarla in alto, mandandola a schiantarsi su una delle rupi innevate che circondavano la strada. L’auto esplose lasciando i poliziotti attoniti, mentre sia lei che 17 facevano a pezzi le manette e, risaliti sul furgone, riprendevano il viaggio come se niente fosse.
“Dimmi, 16, anche tu eri un ragazzo umano prima, non è vero?” chiese 17 al nuovo compagno d’avventure, non appena si lasciarono alle spalle gli agenti scioccati.
“No. Io sono stato costruito dal nulla” gli rispose, sempre con quel sorriso gentile.
A 16 stavano simpatici i due ragazzi; erano esaltati, un po’, e anche strafottenti, pensavano di saper fare tutto loro. Ma erano molto giovani, pensava, tanta esuberanza era passabile a quell’età.
 
 
Da quanto tempo non vedevano più una notte!
E per di più era la prima notte  dopo la liberazione dal dottore: ormai era morto, non c’era più niente che potesse turbare la felicità dei due gemelli, erano liberi come due aquile selvagge.
Il posto dove si fermarono con il furgoncino era di una bellezza onirica, evidente persino ai loro occhi indifferenti. La strada era scoscesa ai lati e una ripida distesa d’erba argentea scendeva velocemente fino a un nastro di acqua scintillante che scorreva in fondo al dolce pendio.
L’aria di montagna era secca e pungente e corroborante, entrava nei polmoni inebriandoli, lasciandosi dietro una sottile nota di natura vergine: “Sa di pino…e poi di ghiaccio, di animali e di torta ai lamponi”.
“Torta ai lamponi? Dove la senti?” 18 si era sporta anche lei dal finestrino, annusando l’aria notturna. Lei sentiva una scia piacevole di legni, fuoco e calore di esseri viventi.
“Di là” 17 puntò il dito davanti a sé, verso l’infinità argentata e scura che si estendeva sotto i loro occhi “là! Ci saranno delle case, anzi ci sono se guardi bene. Arriva da lì” inspirò profondamente “mamma che buono!”
18 guardò un po’ meglio e scorse in lontananza un gruppo di poche case arroccate, probabilmente distavano almeno dieci km in linea d’aria: “Le case le ho viste, ma la torta ai lamponi la senti solo tu. Non dirmi che hai fame!”
17, che si stava annoiatamente tormentando una lunga ciocca di capelli scuri, alzò lo sguardo di scatto, inchiodando i grandi occhi chiari in quelli della sorella: “Andiamo? Andiamo a prenderla?!”
Sorrideva furbo e divertito.
“Sei sempre il solito…pensi solo a due cose: a mangiare e alle macchine. Tutto qui! Sei inutile come androide” gli disse 18 esasperata, ma 17 non la stette a sentire e la prese per mano, costringendola a librarsi in aria insieme a lui: “E dai non ti costa niente, voliamo! Poi ritorniamo qui”.
“Numero 16 fa’ la guardia alla macchina!” fece in tempo a gridargli la ragazza.
16 sorrise e si distese comodamente sul tetto del furgoncino, assaporando felice la notte e il silenzio.
 
La finestra era leggermente aperta dietro la grata in ferro battuto. La casa era calma e addormentata, le tende sventolavano nel buio. Chiunque fosse sceso in cucina e si fosse avvicinato alla finestra avrebbe scorto due graziosi musetti che facevano capolino con occhi color del ghiaccio.
Ma nessuno era alzato a quell’ora, il rubinetto non gocciolava nemmeno, il tavolo era apparecchiato per la mattina dopo e in mezzo troneggiava un’alzatina con una splendida e profumatissima torta alla frutta.
“Eccola lì! Visto, te l’avevo detto!” rise sottovoce 17, mentre il suo stomaco brontolava “buon cibo…che nostalgia”.
“Io non entro, ti aspetto qui” rispose 18 senza muovere un muscolo.
“Fa’ quello che ti pare” replicò lui senza guardarla “dai, spostati”.
Appena 18 si fu allontanata, 17 appoggiò le mani sulla grata metallica e la tirò, sradicandola dal muro e gettandola a terra.
Con l’agilità di un gatto entrò dalla finestra, prese il bottino e uscì.
“Che bambino sei! Siamo venuti fin qui per prendere un dolce, ma ti rendi conto? Noi dovremmo distruggere tutto sghignazzando come due indemoniati…” 18 lo rimproverò, sorridendo divertita.
“Lo so 18, ma chi se ne importa! Quel pezzo di metallo schifoso è morto: noi due possiamo fare tutto quello che vogliamo, quando lo capisci dimmelo che ti do un dolcetto” le rispose lui di malavoglia.
Quando tornarono, 16 era ancora disteso a contemplare la bellezza della notte argentea: appena li vide sorrise stanco e si preparò a scendere, tanto ormai lo spasso era finito e la quiete anche.
I due ragazzi lo salutarono e si sedettero sul ciglio della strada, 17 a mangiare la sua torta, 18 a riflettere osservando il ruscello.
“Sai, mi ricordo una notte come questa” sospirò ad un certo punto, ravviandosi il caschetto.
“Sì?” biascicò lui.
“Tempo fa, quando eravamo ancora umani.”
18 sospirò ancora, portando lo sguardo al cielo e sentendo un’improvvisa tristezza gelarle il cuore.
“Prendine un po’, non farla mangiare tutta a me” le sorrise 17, offrendole quel che rimaneva del dolce ai lamponi “mi sembri moscia: caccia giù, ti senti meglio poi, fidati”.
La bionda scosse la testa, poi guardò la distesa scoscesa di erba argentata che ondeggiava al vento e d’impulso afferrò 17 per la maglietta, trascinandolo di sotto.
Risero come due bambini mentre rotolavano a briglia sciolta verso il ruscello, incuranti dell’erba umida che li sporcava tutti e dei sassi che non sentivano sotto la schiena.
Ridevano ancora a crepapelle quando la corsa si arrestò, lasciandoli vicini a pancia in su, coi capelli intrisi di rugiada e qualche traccia di terra sulle guance, sul naso o sulla fronte.
“Da quando hai i buchi alle orecchie tu?” chiese 18 osservando il gemello.
Questi trasalì, tastandosi i lobi; ne aveva avuto uno, ma non si ricordava anche dell’altro: “Sarà stato il caprone.”
Si tolse d’impiccio i capelli e si trascinò bocconi fino al torrente, poi ci immerse un dito e iniziò a tracciare cerchi immaginari; chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro, lasciandosi fluire dentro il fresco che si alzava dall’acqua: “Hai ragione, 18, me la ricordo anche io una notte tipo questa: avevamo dieci anni –più o meno- ed è stata la volta in cui abbiamo fatto il patto di sangue”.
“Il patto di sangue?” 18 si appoggiò ai palmi delle mani e avanzò con il sedere fino a raggiungere 17 “la roba tribale?”
Il ragazzo le rivolse un sorriso a trentadue denti: “Sì!”
“Lo rifacciamo? So che la prima volta ero stata io a oppormi, ma ne sento il bisogno: è come se adesso vivessimo una nuova vita”.
17 continuava imperterrito a giocare con l’acqua: “Stiamo vivendo una nuova vita. Una vita sconclusionata e oziosa dove non siamo legati a nessuno, perché non abbiamo nessuno”.
“Non è vero, c’è 16” pensò 18 senza dire nulla, perché si rendeva benissimo conto che il loro nuovo amico era appunto nuovo.
“Va bene, lo rifacciamo. Però non so cosa possiamo usare per tagliarci” disse lui.
“La tua pistola! Tanto va bene anche se ci facciamo un buco…” sorrise 18.
“Ok.”
17 si ricordava ancora di possedere un pistola e se la puntò alla mano premendo il grilletto, ma non successe nulla perché il proiettile andò in pezzi contro la sua pelle.
I gemelli rimasero un istante a guardarsi e poi scoppiarono di nuovo a ridere, continuando a spararsi a vicenda solo per il gusto di vedere i proiettili che si appiattivano sui loro corpi; quando la riserva di colpi finì avevano le lacrime e il mal di pancia.
“Perché abbiamo riso così tanto? In fondo non è così divertente…” disse lei, strusciandosi nell’erba.
17 si limitò a guardarla cercando di riprendere fiato; non lo sapeva neanche lui, probabilmente erano contenti per tutto quello che era successo prima ma anche tanto stanchi per il resto. Era stata una risata liberatoria, come per dire dottor Gelo, va’ a quel paese, noi facciamo quello che vogliamo, siamo felici e usiamo i nostri poteri per rubare auto, vestiti e torte.
“Come facciamo a rifare il rito tribale se non c’è niente in grado di tagliarci?” riprese il discorso 18, sconsolata.
Il fratello si guardò intorno alla ricerca di qualcosa, poi scosse la testa facendo ondeggiare i capelli come un sipario: “Non lo so…spiaccicati contro qualcosa”.
Anche 18 diede uno sguardo ai dintorni.
Rocce? No.
Pezzi di legno? Men che meno.
Se una pistola non aveva fatto loro niente, cos’avrebbero potuto tentare?
“Ho un’idea!” trillò lei, saltando a cavalcioni addosso a 17 e piantandogli le ginocchia nella pancia “chiediamolo a 16! Lui è capace di farci male, ne sono sicura!”
“E levati!” disse lui fra i denti, rovesciando a terra la sorella “comunque no, quel buono a nulla non c’entra, queste sono cose nostre, capito?”
18 detestava suo fratello quando era così ottuso: a lei non fregava niente, bastava solo che qualcuno riuscisse a farle una piccola ferita.
“Allora ha lei un’idea migliore, signore?” gli disse sarcastica.
“Sì, i denti: i nostri denti!”
Era una buona idea, quelli erano i loro esattamente come la pelle. I gemelli ne ebbero per un bel po’,  ma alla fine riuscirono a procurarsi una minuscola ferita sulla mano.
“E così rifacciamo il patto di sangue: tu sei il mio essere speciale, 18, ti difenderò fino alla morte” disse solennemente 17, premendo la bocca sulla mano della sorella.
“Anche tu sei il mio essere speciale, 17; avrò sempre cura di te”.
 
“Secondo me noi abbiamo il diritto di divertirci” asserì 18 lapidaria “siamo due macchine”.
“E allora? Che te ne frega?”
18 continuò a guardare la volta celeste: era un oggetto o una persona? Cosa le rimaneva?
“Io a volte mi sento come se fossi una cosa che non ha diritto a fare le cose che fanno le persone” sospirò “non riesco a capire cosa siamo”.
“Macchine! Cioè…cyborg,  che alla lettera vuol dire persone con dei circuiti, numero 16 è un androide dalla testa ai piedi” disse lui “se anche noi fossimo come lui, io non avrei potuto mangiare e a te non sarebbero più piaciuti i vestiti. Ne avevamo già parlato, ti ricordi?”
“Sì. E mi ricordo che ad un certo punto ci era venuta in mente una cosa importantissima che non dovevamo assolutamente dimenticare. Qualcosa che ci riguardava in maniera molto intima…17” chiuse gli occhi e si girò verso di lui: “17…noi siamo gemelli”.
“Beh, è naturale. Perché mai me lo chiedi?”
18 aggrottò le sopracciglia e lo fissò intensamente: “Secondo te…cosa significa essere gemelli?”
Il ragazzo proruppe in una risata fragorosa: “Non lo so! Non sono mica un dizionario!”
Le spiegò che voleva dire che erano sempre stati insieme, fin dall’inizio.
“E qual è l’inizio?”
“Penso da quando lo schifoso ci ha creati…siamo gemelli perché ci ha creati insieme”.
18 credeva che lo fossero anche da umani, altrimenti come avrebbe fatto a ricordarsi che suo fratello era sempre stato patito di motori?
“Secondo me lo eravamo anche prima. Me lo sento, è così”.
17 le sorrise: “Già. Penso tu abbia ragione”.
   
 
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