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Autore: Revalis    27/12/2012    2 recensioni
"Voglio sentirmi bravo, magari anche onesto. Vorrei guardarmi allo specchio la mattina senza affogare nella melma che i miei occhi nascondono e soprattutto senza compiacermene."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tanti piccoli cuori pulsanti brillano sopra la mia testa. Il pendolo del vecchio orologio di mia zia scandisce il tempo, facendomi accorgere che l'albero e le sue lucine, con la loro aritmia, sono molto meno in forma di quanto vogliano far credere.
In questa casa è entrata di prepotenza la vecchiaia più nera, non c'è nulla da fare.
Non la vechiaia dei capelli bianchi, delle rughe, degli acciacchi; quella arriva molto prima ed è praticamente indolore, anzi: dà agli uomini l'ocasione finale per maturare e alle donne un mucchio di ragioni per lamentarsi. Dopo una vita da eterni secondi, le donne finalmente ci concedono di diventare vecchi e saggi, mentre loro tornano indietro, stanche del loro precoce sviluppo.
Macchè mamme, zie, mogli, addirittura nonne: noi vogliamo essere ragazzine.
Dunque non sono i piercing di mia zia, la sua suoneria con l'ultima hit del momento, il trucco impeccabile e i capelli in ordine che mi fanno capire che è vecchia.
Per esempio, prendiamo mio zio.
Mio zio è ancora più in là con gli anni. Tutte le mattine alle 4 si alza e va a lavorare, si fa il mazzo e torna a casa per pranzo.
Ma ha uno scopo. È un uomo giusto e retto, burbero, forse un po' cinico, fa il pasticciere con l'abnegazione di un samurai; ha moglie e figli che gli hanno prosciugato l'esistenza, vive lontano dalla sua terra e sa che forse non ci tornerà mai veramente.
Questo tutti i giorni, feste incluse.
Non è vecchio. Ha qualche annetto ma non è di certo un over 70. Ma adora il suo lavoro e adora quello che fa quando torna a casa.
Non ha veramente dei padroni. È vivo.
Perciò, quando vedo il sedile che i miei zii tengono dentro la vasca, penso subito alla miriade di nipotini, figlioletti, cuginetti e marmaglie varie di bambini che necessitano di stare seduti durante il bagno.
L'anti-vecchiaia.
Ma ci vedo anche la strappata figura di mio zio che ci si siede per lavarsi un po' meglio. Magari non è vero, ma ce la vedo.
Non ci vedo mia zia, che però è un maledetto guscio di merda pralinata d'acciaio chirurgico, un essere spregevole che per tutti questi anni ha meritato il mio disprezzo.
Ma non questa volta.
Quest'anno ho avuto compassione di lei. Non per la sua mediocrità, la sua pochezza di spirito o per la sua discendenza da Satana, ma perchè anche lei si è resa conto di essere quello che è.
Tutti lì dentro mi hanno mosso a compassione, a pietà, tranne mio zio.
Forse non è successo nulla di che, forse sono io che vedo il mondo con occhi differenti. D'altronde li ho incontrati solo sei mesi fa e non mi avevano fatto questo effetto.
Nulla da fare.
La piccola casa popolare in cui abitano da decenni è più ricca che mai.
Mai ho visto queste persone così povere, così spompate, così distrutte. E così fiere di esserlo, ciecamente ottimisti.
Non una polemica, non una parola di troppo, non un casino. Nulla. Calma piatta.
Sorrisi. Risate. Battute. Una normalissima riunione di famiglia sotto le feste.
Io però fumo in continuazione e l'angoscia mi sbrana.
Il pendolo batte le due e nonostante le quattro ore di sonno della sera precedente, la fila di cadaveri di sigarette, il vino e il caldo del termosifone non dormo. Ciò che nessuno dei commensali vuole ammettere, io lo accolgo. Mi faccio infettare.
Le luci dell'abete piazzato sopra il tavolino che sta davanti alla poltrona in cui passo la notte illuminano il fumo che sputo.
Mi viene addosso, mi afferra, mi trascina con sè. Mi vuole prendere e ci riesce benissimo, tanto che mi sento distintamente portare in avanti dalle braccia filiformi che si attaccano alle mie interiora e non le lasciano andare nemmeno quando il fumo si è dissolto.
Non ci sono regali per me. Nessun Natale è stato veramente così tetro, nemmeno quando ero in quello strano periodo che sono i sedici, diciassette anni.
Non mi sono messo nella poltrona perchè stavo stretto con mio padre e mio fratello nel grande divano letto del soggiorno, oppure perchè sono un cattivone cinico e solitario che rifugge il contatto umano.
No, l'ho fatto perchè volevo lasciare loro più spazio. Ma questo non si deve capire, perchè che io sia fulminato se si capisce che faccio qualcosa per gli altri.
La verità è che sono un arrogante, noioso narcisista senza autostima nè spina dorsale e bisognoso di tanto tanto tanto affetto, mascherato da un odioso senso di superiorità.
Quello stesso senso di superiorità che è cagione della mia competitività, un rimedio per il vuoto che ho dentro e contemporaneamente un mantra per dirmi che sono...bravo, semplicemente bravo. Null'altro.
Voglio sentirmi bravo, magari anche onesto. Vorrei guardarmi allo specchio la mattina senza affogare nella melma che i miei occhi nascondono e soprattutto senza compiacermene.
Voglio sentirmi bravo per non essere, come dire, me!
Tutto questo lo sapevo già, ma ora lo capisco e accolgo anche questa bruciatura, questa cicatrice, questa infezione.
Ma non posso scappare da quello che sono, e la prova sta di fronte a me, nelle volutte di fumo, nel dolore ai polmoni e nella mia crescente soddisfazione che provo a sabotarmi l'esistenza. Su cinque sigarette fumate, forse una può darmi soddisfazione. Non è la droga che apprezzo o che mi serve, ma è quella che voglio.
Ci ho provato, durante quest'anno.
Ho provato ad essere cordiale, a farmi amare, a non sabotarmi, ad essere più morbido con le persone.
A non essere me.
Ma appena non mi vedo, mi manco. Voglio tornare il prima possibile ad essere l'arrogante, il nevrotico, l'insicuro, l'isolato sociopatico e antisociale...quello che ci crede all'affetto e all'amore nonostante sappia tutte le ragoni biologiche, sociali ed economiche che ci sono dietro.
Recentemente mi è stato detto da chi è riuscito a conoscermi un po' meglio che sono sensibile. Che la mia è vera sensibilità, perchè vado dritto al nucleo delle persone, perchè le capisco e le proteggo. Il tutto senza entrare di prepotenza dentro di loro con metodi di analisi particolari.
Mi è stato detto da questa persona che sono un angelo.
Mi rimangono due alternative: la prima è che lui abbia ragione, e non sia altro che una grande grembo dove la testa di chiunque si può adagiare e ricevere una carezza...e nel sonno, sentire un sussurro d'amore, sentirsi amati ma non rendersene veramente conto.
La seconda è che io sia un distruttore, un rinnovatore delle coscienze, e dunque provo amore solo perchè mi immedesimo nella persona che mi sta di fronte, ovvero me stesso, tornando un guscio vuoto quando entrambi siamo cresciuti in una direzione...per camminare ancora e non riuscire mai ad avere un attimo di pace.
In entrambi i casi, io miglioro gli altri. Però non vorrei. È meno doloroso amare da lontano, senza farsi vedere, nella speranza che forse per una volta qualcuno potrebbe accogliere me e farsi carico del vuoto; cosa impossibile, visto che il vuoto si può solo riempire e che questo significherebbe che dovrei avere a che fare con qualcuno come me.
Non voglio che la gente sia come me.
Nemmeno io voglio essere come me.

   
 
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