Nick Autore (Forum e EFP): TittiGranger
Titolo: Somebody that I use to Know
Personaggi: Hermione, Ron, signori Granger.
Prompt: Immagine, citazione, canzone, personaggio (signori Granger)
Canzone se utilizzata: Mona Lisa, Seal.
Citazione se utilizzata: Tratta dal film “le pagine della nostra vita”.
Contesto: più contesti (infanzia di Hermione, anni Hogwarts, post Hogwarts)
Genere: Missing moment.
Rating: Giallo.
Avvertimenti: Nessuno.
Introduzione: E’ una specie di viaggio nei ricordi di Hermione, tutti legati da
un unico filo conduttore.
Eventuali NdA: Mi sembra necessario fare delle precisazioni in merito
all’utilizzo dei prompt. Da brava incapace quale sono, non sono riuscita ad
inserire l’immagine! In ogni caso, mi sono ispirata all’immagine che mi avete
mandato, riproponendola nell’ambientazione della storia, il cui sfondo è
proprio una giornata autunnale di inizio novembre. Il pezzo della canzone che
ho scelto riprende il pensiero conclusivo della storia, perché ho trovato che
ne racchiudesse l’intero significato; inoltre mi piaceva l’idea di aprire e
chiudere la storia con lo stesso “pensiero”. La citazione mi ha fatto penare!
Ho scelto questa perché mi sembrava adattissima a Ron ed Hermione, anche se è
stato difficile (e allo stesso tempo spassosissimo, lo ammetto) pensare ad una
scena in cui Hermione dia del “figlio di puttana” a Ron, senza andare OOC:
spero che la scena non risulti troppo forzata.
Somebody that I use to Know
Many dreams have been brought to your doorstep
They just lie there, and they die there
Mona Lisa, Seal
Una folata di vento la fece rabbrividire.
Nascose il muso sotto il plaid di pile che
teneva sulle spalle, lasciando che l’aria fredda di primo novembre le
accarezzasse la pelle.
Hermione non si era mai lamentata del freddo,
anzi.
Amava particolarmente quella parte dell’anno,
quella dei primi freddi, delle caldarroste e dei maglioni di lana.
Lentamente prese una foglia che poco prima,
spinta dal vento, era atterrata sulla panca di legno accanto a lei. La tenne
fra due dita, seguendo con gli occhi i filamenti più scuri, più rossi.
Dopodiché mollò la presa, lasciando che la
foglia si unisse al resto della moltitudine di foglie secche sparse per il
giardino di casa sua.
Aveva detto a Ron che forse era il caso di
rastrellare il giardino per toglierne un po’ già da un paio di giorni,
altrimenti presto sarebbero stati letteralmente sommersi.
Al solito, Ron le aveva detto che ci avrebbe
pensato lui.
Dopo.
Hermione sorrise, stringendosi le ginocchia al
petto.
Sfiorò con le dita la copertina del libro che
si era portata dietro, sovrappensiero.
Sicuramente, la nozione del tempo era un
concetto che Ron avrebbe dovuto imparare da quel momento.
Ma dopotutto… erano tante le cose che doveva
imparare, no?
Che dovevano imparare insieme.
E lo avrebbero fatto, utilizzando ogni mezzo
possibile…
Questo pensiero la riportò al suo libro:
tenendosi stretto il pile sulle spalle, sfogliò le prime pagine, per
raggiungere il capitolo iniziale, ma prima che facesse in tempo a leggere anche
solo il titolo, la sua attenzione fu di nuovo distolta da un dettaglio che fino
ad allora le era sfuggito.
Una zucca, vicino l’ingresso.
La zucca di Halloween.
Scosse la testa, pensando che quella zucca era
là da giorni senza che Ron si fosse degnato di spostarla.
Pensava che l’avrebbe fatto lei, santo cielo?
Oh, da Ron ci si poteva aspettare di tutto,
certo.
Sarebbe anche stato capace di dirle che l’aveva
lasciata lì per lei, perché sapeva quanto amasse Halloween.
Bè… in realtà non era sempre stato così,
dopotutto…
Cioccolatini alla menta.
Stecche di liquirizia.
Lecca- lecca all’arancia.
Quello cos’era?
Ah! Un croccante alle mandorle.
“Mhm, queste cose sono deleterie per i tuoi
denti, Hermione. Lo sai vero?”.
Le parole della sua mamma le risuonavano nella
mente, più perentorie di quanto non fossero state in realtà.
Hermione sbuffò, indecisa, guardando il
cestello posto sul letto, pieno delle più deliziose leccornie.
In fondo, la mamma non le aveva detto di non
mangiarle, no?
Ma… allo stesso tempo, non poteva mangiarle,
sapendo che le avrebbero fatto male.
Sbuffò di nuovo.
La tentazione di prendere una pralina e
infilarsela in bocca era tanta, ma lo stesso sarebbe valso per il senso di
colpa poi.
Forse doveva prendersi un po’ di tempo per
valutare i pro e i contro; magari nel frattempo poteva finire quel disegno
sull’autunno che la maestra aveva assegnato il giorno prima.
Sì, avrebbe fatto così.
Con l’espressione più sconsolata che una bimba
di otto anni riesce ad avere, Hermione scese dal letto e stava giusto per fare spazio
sulla scrivania, quando qualcuno bussò alla porta.
- E’ permesso? - suo padre infilò dentro la
testa, accostandola leggermente. Hermione sorrise, annuendo.
Il signor Granger entrò. Indossava ancora il
completo con la giacca, quindi doveva essere appena tornato dallo studio.
Avanzò lentamente dentro, le mani in tasca, lo sguardo vagante.
- Ah! - esultò poi, indicando verso il letto su
cui era posato il cestello di caramelle - Caspita, mi avevano detto che quella
di ieri era stata una raccolta fruttuosa, ma mai avrei pensato tanto! -
scherzò, facendole un buffetto sulla guancia.
Hermione rise, andandosi a sedere sul letto
accanto a lui.
- Bè, allora… come sono? Le avrai assaggiate,
immagino. - disse suo padre, smuovendo le caramelle nel cestino con un dito.
- Oh, in realtà… la mamma mi ha detto che forse
non dovrei - rispose la bambina, osservandosi le mani - Sai, le carie…
Suo padre annuì, vigorosamente - Certo, certo.
Giusto - concordò - Ma…
Hermione alzò lo sguardo di scatto.
- Ma forse potremmo trovare una soluzione per
mangiare i dolci ed evitare le carie - disse, fingendosi pensoso, ma senza
riuscire a celare un sorriso - Forse ho quello che fa per te - e così dicendo,
sotto lo sguardo serio e speranzoso di sua figlia, il signor Granger infilò la mano
nella tasca interiore della giacca e tirò fuori un…
- Spazzolino D.S., appena brevettato, setole
mobili e base di acciaio - spiegò il padre, porgendole la sottile confezione -
Con il manico azzurro, ovviamente, come piace ad una certa bambina.
Hermione gli sorrise, mordendosi le labbra -
Allora posso?
Il signor Granger le strizzò l’occhiolino,
facendole una carezza sulla testa - Da quale iniziamo?
Diplomazia.
La diplomazia era una qualità che aveva sempre
ammirato in suo padre e che, si disse, avrebbe dovuto tenere a mente più
spesso.
Non che sua madre non fosse diplomatica,
naturalmente.
Solo che… più volte le aveva dato consigli che
magari non potevano qualificarsi come prettamente “diplomatici”, ma che
dopotutto si erano rivelati più veri che mai.
D’altra parte, certe volte non è possibile
risolvere ogni cosa diplomaticamente, no?
- Caspita! Punge parecchio questo freddo, vero?
- disse la signora Granger, sedendosi su una delle poltrone accanto al fuoco,
tutta imbottita nella sua tenuta da sci rossa - Vieni, tesoro, mettiti qui
vicino al fuoco.
Hermione obbedì, sfilandosi il cappello di lana
e osservando un gruppetto di quattro persone che faceva il check in alla
reception.
Sembravano tutti felici, allegri e spensierati.
Bè… perché mai non avrebbero dovuto esserlo?
Era quasi Natale, erano a sciare in Francia, erano tra amici. Cosa mancava?
Hermione sospirò, distogliendo lo sguardo.
Sua madre le accarezzò un ginocchio,
comprensiva - Sei sicura di non voler raggiungere Harry e Ron quest’anno? - le
chiese, facendo attenzione a dosare le parole. La signora Granger si era resa
conto che da quando sua figlia era tornata da Hogwarts per le vacanze di
Natale, aveva nominato i suoi amici solo di sfuggita, evitando l’argomento ogni
volta che lei e suo marito tentavano di tirarlo fuori - Potresti andarli a
trovare appena torniamo a Londra, sono sicura che gli farà piacere. O magari
puoi invitarli a casa nostra - tentò - Sai che c’è posto a sufficienza.
Hermione annuì cercando di sorridere - Non
credo che sia una buona idea - disse, rimanendo sul vago - Penso che Harry
abbia altro a cui pensare adesso.
- Capisco - fece sua madre, mordendosi le
labbra nello stesso identico modo in cui lo faceva di solito Hermione. La
signora Granger sapeva che quel ragazzo aveva una storia travagliata, ma non
era proprio sicura di conoscere tutti i passaggi. In ogni caso, qualcosa le
diceva che non era Harry il problema principale al momento - E Ron?
Hermione distolse velocemente lo sguardo,
mentre l’immagine raccapricciante di Ron avvinghiato a Lavanda le tornava alla
mente in modo tanto limpido che sembrava ce l’avesse davanti.
- Bè, mamma… sinceramente, penso che Ron non si
sia neanche accorto della mia assenza - disse, mestamente.
- Oh - sospirò la signora Granger, mentre i
pezzi del puzzle parevano andare ciascuno al proprio posto - Oh, ho
capito. Avete litigato.
- Sì… anzi no, no! - rispose Hermione, confusa
- Più o meno!
Sua madre annuì, allentandosi la sciarpa che
teneva stretta attorno al collo - Diciamo che avete avuto delle incomprensioni,
insomma.
- Più o meno - ripeté Hermione.
- Ed essenzialmente è colpa sua.
- Certo! - in questo caso la risposta di
Hermione arrivò rapida e sicura. La signora Granger trattenne un sorriso; stava
tentando di rimanere sul più vago possibile, non voleva che sua figlia pensasse
che si stesse “impicciando” e si chiudesse in se stessa. Anche perché aveva
capito che il problema principale non era poi tanto diverso da quello che hanno
tutte le quindicenni del mondo.
- Naturalmente - la assecondò sua madre - Bè,
vuoi sapere qual è l’arma migliore in questi casi?
Hermione annuì, attenta, mordicchiandosi le
labbra proprio come aveva fatto sua madre poco prima.
- L’indifferenza - rivelò la signora Granger -
E’ il modo più efficace per spiazzare qualcuno - le disse, seria, dandole un
colpetto con il gomito - Il modo migliore per attirare l’attenzione di una
persona è ignorarla.
Hermione valutò il consiglio.
Dopotutto, sembrava sensato. Avrebbe dovuto
ignorare Ron, Lavanda e i loro raccapriccianti approcci e forse sarebbe
riuscita a non pensarci e a non lasciar capire quanto in realtà la ferissero.
Sorrise, notando suo padre entrare dal portone
principale dell’hotel con gli scii in spalla e la neve sul giaccone - Forse hai
ragione - disse a sua madre, proprio mentre suo padre le raggiungeva.
Il signor Granger si sedette sul divanetto
accanto a loro, il volto arrossato e allegro - Allora, cosa mi sono perso? -
chiese, passando lo sguardo dall’una all’altra.
Madre e figlia si guardarono, scambiandosi
un’occhiata d’intesa, poi la signora Granger rispose - Ci stavamo giustappunto
chiedendo se fosse meglio un the o una cioccolata calda…
Hermione osservò due foglie passarle davanti,
come se si rincorressero, spinte dal vento.
Furbizia.
Una cosa che sua madre le aveva insegnato era
che, a volte, un tocco di furbizia non guastava mai.
Ripensò a tutte le volte che, soprattutto con
Ron, vi aveva fatto ricorso e di come il consiglio di sua mamma fosse stato
utile.
E mentre percorreva con l’indice il bordo del
libro che teneva fra le mani, pensò a come la facesse sentire bene il pensiero
di come lei e sua madre, anche dopo anni, avessero ancora quel rapporto di
complicità che si ha da bambine.
Sì, ecco. Era sicuramente questa la parola che
avrebbe usato per descrivere sua madre, complicità.
Se avesse dovuto sceglierne una che la facesse
pensare a suo padre… Ridacchiò.
Tempismo, sicuramente.
- Mi manchi tantissimo - disse Ron, d’impeto,
guardandosi le mani.
- Oh - sospirò Hermione senza parole,
voltandosi verso di lui.
Erano seduti sugli scalini della veranda che
dava sul giardino sul retro di casa Granger.
Uno a destra, l’altra a sinistra.
- Cioè… naturalmente manchi anche a Harry e… -
blaterò Ron, arrossendo furiosamente, dopo essersi reso conto di aver parlato
“troppo”- E anche a Ginny e… George!
- George? - chiese Hermione, stupita,
divertita dal suo imbarazzo.
- Cioè, bè, insomma, a tutti! - spiegò Ron,
passandosi nervosamente una mano tra i capelli, parte dei quali rimasero
scomposti per aria - A me di più però - aggiunse a mezza voce, senza guardarla.
Ad Hermione sorrisero gli occhi.
Strisciò sullo scalino, mettendosi più vicino a
lui.
- Anche tu mi sei mancato - gli disse, posando
il capo sulla sua spalla.
Non si vedevano da qualche giorno. Quando erano tornati dall’Australia,
insieme ai genitori di Hermione, Ron aveva pensato che forse era opportuno che
i signori Granger si riambientassero a casa loro, a Londra, al loro quartiere e
che Hermione rimanesse là, insieme a loro, il più possibile.
Ron cercò la piccola mano di Hermione, per
intrecciare le sue dita con quelle di lei.
- Come va con i tuoi? - chiese Ron, accarezzandole le dita - Hanno
“recuperato” tutto?
Hermione sollevò la testa, scostandosi un po’
per poterlo guardare - Più o meno. Hanno ancora dei piccoli vuoti ma… - scosse
le spalle - Sono cose di poco conto.
Quando avevano sciolto l’incantesimo di
memoria, quasi una settimana prima, si erano accorti che nonostante non ci
fossero stati problemi o lesioni gravi, i signori Granger avevano delle piccole
dimenticanze, su dettagli, conoscenti e piccole cose. Ma da quando erano
tornati in Inghilterra, il loro recupero era andato a gonfie vele, anche se
c’era ancora qualche piccolo momento di… vuoto.
Hermione si era documentata e aveva letto che
era assolutamente normale, considerato che la loro memoria era stata alterata
per oltre un anno.
Ma presto, avrebbero recuperato del tutto.
- Meglio così - disse Ron.
- E invece, come stanno i tuoi? - disse
Hermione, rattristandosi - Molly?
Ron scosse le spalle, mentre un velo di
malinconia scendeva sui suoi occhi azzurri - Così. Mamma mi chiede sempre di te
e dei tuoi genitori. Pensa che ha voluto che le raccontassi anche
dell’Australia - disse, lasciandosi sfuggire uno speranzoso sorriso.
Hermione gli accarezzò il braccio - Appena la
situazione si normalizza qui, dille che vengo a trovarla. Vengo presto -
ripeté, più a se stessa che a lui.
- Vorrei ben vedere! - esclamò Ron, sciogliendo
le dita da quelle di lei, per poter avvolgerle il braccio attorno alla testa e
avvicinarla a sé - E’ abbastanza deprimente, ormai mi ero abituato a vederti
gironzolare per casa, a confabulare con Ginny e… a baciarti ogni volta che ne
avevo voglia - confessione che gli costò un immediato avvampamento.
- Ah, sì? - fece lei, avvicinandosi più a lui,
mentre una mano già correva sul suo collo.
Ma proprio quando i loro respiri erano talmente
vicini da perdersi l’uno con l’altro, quando la loro mente stava per prendere
la via del non ritorno, quando ormai non esisteva più nulla intorno a loro…
- Hermione!
Due scatti repentini e la loro vicinanza di
poco prima era come se non fosse mai esistita.
Uno a sinistra, l’altra a destra. In piedi,
senza guardarsi, come se a malapena sapessero dell’esistenza l’uno dell’altra.
Ron si passò una mano sul collo. Una striscia
di dolore gli aveva attraversato la nuca, a causa del brusco movimento.
Sapeva che lo avrebbe scontato per giorni.
Ma questo non sembrava essere il suo problema
principale: in piedi, dritto, quasi sull’attenti, paonazzo, pareva un soldato
di Buckingham Palace.
Dal canto suo, il signor Granger, beatamente
ignaro del caos che aveva appena causato, se ne stava in piedi sulla veranda,
in completo giacca e cravatta, stringendo tra le braccia un’ingombrantissima
tavola da surf.
- Hermione, sono arrivate altre scatole
dall’Australia - disse, serenamente. Poi puntò la tavola a terra, davanti a
loro - Senti, mi puoi dire dove tenevamo le tavole?
Hermione incrociò le braccia, appoggiandosi
alla balaustra - Papà, noi non abbiamo mai avuto tavole da surf - disse,
scuotendo le spalle, gettando un’occhiata a Ron per controllare il suo stato di
iperventilazione.
- Non avevamo tavole da surf? - ripeté suo
padre, oltraggiato. Guardò la tavola, come se non riuscisse a credere a tale
rivelazione.
- E che avremmo dovuto farcene qui a Londra?
- Oh, d’accordo. Quindi non sai dove posso
metterle, dunque - disse il signor Granger, ricaricandosi la tavola in spalla.
Hermione allargò le mani, facendo spallucce -
In garage?
Suo padre schioccò le dita - Perfetto, le
sistemerò là - esclamò, facendo per rientrare - Tutto bene, Ron? - chiese,
preoccupato, notando lo sguardo pallido del ragazzo.
Ron annuì freneticamente, mantenendo la sua
posizione rigida.
Il signor Granger non fece in tempo ad aprire
la porta di servizio che questa si spalancò da sola, facendo strada a sua
moglie - Continuano ad arrivare questi carinissimi biglietti di bentornato -
annunciò ai tre, sventolando il mazzetto di cartoline che teneva in mano - Solo
che non riesco a ricollegare alcuni nomi alle facce! - si lamentò, sfogliando i
vari biglietti - Ad esempio: chi diavolo è Harry Potter?
Scosse la testa, pensando a quanto aveva riso
Ron di fronte a quella scena.
E a quanto si era sentita mortificata sua madre
quando le avevano spiegato che Harry Potter era proprio quell’Harry.
Invece, il ricordo più divertente per Hermione
era stata l’espressione impanicata di Ron quando aveva creduto che suo padre li
avesse “colti sul fatto”. Ne avevano riso per anni tra di loro e da quel
giorno il tempismo del signor Granger era rimasto nella storia. Nella loro
storia.
Hermione si aggiustò la coperta attorno alle
spalle, puntellando le dita sulla copertina rigida del libro, senza decidersi
ad iniziare a leggerlo, preferendo perdersi in quel viaggio di ricordi che le
stava insegnando tanto.
Che le avevano insegnato tanto…
Entrò in cucina, sbattendosi la porta alle
spalle.
La signora Granger, seduta al tavolo sotto la
finestra, intenta a controllare alcuni certificati dei suoi pazienti, saltò
sulla sedia. Lentamente, si sfilò gli occhiali dalla montatura alla moda,
guardando sua figlia che a passo svelto, schizzava da una parte all’altra del
soggiorno senza un fine preciso.
- Tutto bene, tesoro? - chiese, seguendola con
lo sguardo.
- Sì. Alla grande - fu la risposta secca di Hermione,
mentre tirava fuori la brocca del the dal frigorifero.
- D’accordo - la assecondò la signora Granger.
Posò gli occhiali sul tavolo e allontanò le carte. Conosceva abbastanza bene
sua figlia da sapere che Hermione non andava forzata.
Come aveva previsto, la ragazza la raggiunse al
tavolo, vi posò la brocca (la signora Granger ebbe il buonsenso di non farle
notare che non aveva preso i bicchieri) e infine, crollò di peso sulla sedia,
proprio davanti a sua madre.
Silenzio.
- Ron mi ha detto che non tornerà ad Hogwarts -
annunciò alla fine, incrociando le braccia.
La signora Granger non si stupì affatto; ci
avrebbe scommesso qualsiasi cosa che il problema fosse un battibecco con Ron
-Capisco - si limitò a dire.
- Dice che vuole aiutare suo fratello con il
negozio - continuò Hermione - Il che è una cosa che gli fa onore e, Merlino, io
lo ammiro per questo, ma… potrebbe farlo il prossimo anno, dopo aver preso il
diploma - proseguì Hermione, senza fiato, gesticolando velocemente . E intanto
gli darebbe una mano durante le vacanze di Natale e Pasqua! Lui vuole diventare Auror! Come può farlo
senza diploma? - continuò, nervosamente - Deve tornare, deve… E così sarebbe
tutto come dovrebbe essere!
Hermione si appoggiò allo schienale della
sedia, senza fiato.
La signora Granger non disse nulla.
Si alzò dalla sedia, attraversò l’immacolata
isola da cucina e tirò fuori dalla credenza due bicchieri lunghi.
Ne posò uno davanti ad Hermione, riempendolo,
sotto lo sguardo nervoso e arrabbiato di sua figlia.
- Tuo nonno voleva che facessi medicina
generale - disse poi, facendo il giro del tavolo e tornando al suo posto.
Hermione la guardò confusa, mentre sua madre, tranquillamente, riempiva anche
il suo bicchiere - Voleva che diventassi medico di famiglia e che portassi avanti
il suo studio medico - la signora Granger bevve un sorso di the - E all’inizio
mi andava bene - scrollò le spalle, lasciando oscillare il caschetto mosso,
fresco di piega - Solo che poi le cose sono cambiate. Studiando mi sono resa
conto che la strada che sembrava segnata non era quella adatta a me, che
preferivo fare altro, che sicuramente era più rischioso, ma che l’odontoiatria
era la mia strada.
Hermione ascoltava attenta, mentre il senso di
colpa iniziava a farsi strada nel suo stomaco.
- Non fu facile dirlo a mio padre, lui ne fu
abbastanza contrariato. Ma il punto è, Hermione, che se io avessi davvero fatto
ciò che gli altri si aspettavano da me, magari adesso non starei qui! - disse,
indicando, l’ambiente attorno a sé - Magari non sarei stata felice e
inevitabilmente… l’unica persona che avrei incolpato, sarebbe stata quella che
mi avesse impedito di scegliere.
Hermione si morse le labbra, distogliendo lo
sguardo da sua madre. Si voltò a guardarla, soltanto quando la signora Granger,
si sporse sul tavolo per toccarle un braccio - Non devi giudicare le sue
scelte, Hermione, anche se lo fai per il suo bene. Se vuoi aiutarlo, devi
semplicemente essere accanto a lui, mentre prende la sua decisione. E se
dovesse sbagliare… si è insieme nel bene e nel male, no? - le sorrise,
stringendole un’ultima volta il braccio, prima di infilarsi di nuovo gli
occhiali e tornare ai suoi documenti, lasciando sua figlia ai suoi pensieri.
Hermione rimase qualche minuto in silenzio, lo
sguardo basso, le labbra strette.
Poi, d’improvviso si alzò di scatto.
- Mamma, io…
- Saluta i signori Weasley da parte mia, tesoro
- disse la signora Granger, senza neanche alzare gli occhi dai fogli che stava
leggendo.
Hermione sorrise. Poi si Smaterializzò.
C’era forse qualcuno che la conosceva bene come
sua madre?
Hermione se lo chiedeva spesso e per quanto
amasse Ron, si rendeva conto che c’erano dei dettagli e delle sfumature del suo
carattere che neanche lui era e sarebbe mai riuscito a capire.
Non quanto sua madre, almeno.
Inevitabilmente, anche se c’erano stati dei
momenti in cui erano state lontane, sua madre era sempre stata una figura
presente nella vita di Hermione.
Lei e i suoi consigli…
- Senti Ron, sai che cosa ti dico? Fai un po’
come ti pare, ma sappi che questo tuo atteggiamento mi sta seriamente facendo
saltare i nervi! -gridò Hermione, guardandosi in giro alla ricerca della sua
borsa.
Si trovavano nell’appartamento che Ron
condivideva con George, sopra al negozio.
Anche se Ron aveva iniziato il corso per Auror
da qualche mese, aveva comunque deciso di rimanere a vivere lì per far
compagnia a George, il quale era stato ampiamente d’accordo.
Ed era proprio in quel piccolo appartamento a
Diagon Alley, che spesso si svolgevano le loro teatrali litigate.
Che si trattasse del troppo lavoro di lei, del
gatto, della gelosia di lui per qualche presunto collega del Ministero, dello
stress che entrambi accumulavano per i rispettivi impegni, di un banale
commento su uno stufato bruciato, di un incontro dimenticato o di semplici e banali
questioni, non faceva differenza.
I loro battibecchi iniziavano nel niente, per
poi ritornarci improvvisamente. Nel niente.
- Oh, ma grazie! - sbottò Ron, il volto
contratto dalla rabbia - E quindi adesso posso fare come mi pare! Sei proprio
sicura? - aggiunse in tono fastidiosamente ironico, andandole dietro - Sicura
di non avere un qualche ordine da impartire, come a quei poveri malcapitati del
Ministero che devono sopportarti tutto il santo giorno? Sai una cosa? Proprio non li invidio. Quei
poveracci che sono costretti a sbavarti dietro… che Merlino abbia pietà di
loro!
Silenzio.
Ron si rese conto un millesimo di secondo
troppo tardi di ciò che aveva detto e di come poteva suonare alle orecchie di
Hermione. Si morse le labbra a sangue, ma questo, purtroppo, non fu sufficiente
a farle dimenticare le parole che lui aveva appena pronunciato.
- Wow - fece lei - Fortuna che tu non devi
farlo - trovò la borsa, abbandonata sul divano nel piccolo salotto. Se la mise
in spalla - Me ne vado allora, non sia mai che la mia presenza ti deprima
troppo - si avviò a passo deciso verso la porta.
- Hermione, non hai capito…- fece lui,
rassegnato, abbassando il tono.
- Sai che cosa ho capito, Ron? - disse lei,
voltandosi d’improvviso e puntandogli il dito contro, rossa in viso - Che sei
un… arrogante figlio di puttana!
Dopo un iniziale spiazzamento, Ron a malapena
riuscì a trattenere un sorriso. Sapeva che quando Hermion ricorreva alle
parolacce era perché non aveva altri mezzi a disposizione. E che, quindi, la
situazione era ancora recuperabile.
La cosa migliore da fare era tentare
l’approccio più docile e sottomesso che riusciva a manifestare.
- Eddai, Hermione… Non vuoi restare con me? -
le chiese, afferrandola per un braccio.
- E
perchè? Guarda! Stiamo già litigando! - gli fece notare lei, con una mano
già sul pomello della porta. La aprì leggermente.
- Sì,
noi siamo così! Noi litighiamo, tu mi dici che sono un “arrogante figlio di
puttana” e io ti dico quando sei una rompicoglioni, e lo sei il novantanove
percento del tempo! E non ho paura di offenderti! Tanto ti bastano due secondi
di recupero per passare alla rottura di coglioni successiva.
- E allora?
- Allora non sarà facile, anzi sarà molto
difficile, e dovremo lavorarci ogni giorno, ma io voglio farlo perchè io voglio
te... - le disse, guardandola negli occhi, serio.
Hermione si rese conto che era sincero: lo
conosceva abbastanza da sapere che l’ultima parte della discussione era stata
un’infinita provocazione. Che lui l’aveva stuzzicata per il semplice gusto di
farlo, semplicemente per poi trovare un modo di farsi perdonare.
Era una vita che facevano quel gioco.
Ah, voleva giocare…
“L’indifferenza è l’arma migliore”… le parole di sua
madre le risuonarono nella mente come un campanello.
Con un colpo secco, richiuse la porta.
- D’accordo - disse semplicemente lei.
Sorpassò Ron, che la seguì con lo sguardo,
confuso.
- Non sei più arrabbiata? - fece lui, sorpreso.
Quasi dispiaciuto.
- No.
Ma Ron non si lasciò convincere del tutto. La
seguì, mentre lei prendeva la strada verso la cucina, quasi marciando.
Le afferrò una mano, sfoggiando l’espressione
più maliziosa che aveva in dotazione - Oh, dai Herm! - le disse, avvicinandosi
a lei e scansandole i capelli dalle spalle - Facciamo pace? - chiese,
sfacciatamente.
Hermione lo lasciò fare, guardandolo mentre
tentava di stordirla con il suo tocco furbo, poi gli sorrise e, prendendolo
alla sprovvista gli si avvicinò.
Niente fu tanto spassoso come lo sguardo di Ron
quando pensò di avercela finalmente fatta, di essere finalmente stato
perdonato.
Ma prima che avesse il tempo di comprendere
quale sarebbe dovuta essere la mossa successiva, lei gli schioccò un bacio
sulla guancia e lo allontanò.
Ron la guardò, confuso, mentre Hermione
esclamava - Pace fatta!
- Cosa?
- Certo, sciocchino! - lo prese in giro lei,
tentando di non scoppiargli a ridere in faccia - Era solo uno stupido
battibecco, no? Non c’è mica bisogno di… - ci pensò su - ingigantire.
Ron aprì e richiuse la bocca. Sollevò un dito,
come in procinto di dire qualcosa, sotto lo sguardo di sfida di Hermione.
- Naturalmente no - si arrese alla fine,
crollando su una sedia della cucina.
Hermione schioccò la lingua.
I consigli della mamma funzionavano sempre.
Ma basta pensare.
Era là fuori da parecchio e non aveva ancora
iniziato a leggere.
Decisa, riprese il libro e ne sfogliò le prime
pagine.
- Che ci fai qui fuori, non è troppo freddo?
Hermione richiuse di scatto il libro: forse era
quello il suo destino… rimanere chiuso.
Alzò la testa, guardando Ron scendere le scale
della veranda per andarle incontro.
- Si sta ancora bene. E poi ho questa - disse,
sollevando un lembo della coperta che
teneva ancora sulle spalle.
Ron si chinò su di lei, baciandola sulle labbra
- Ciao - le disse, dolcemente, sedendolesi accanto sulla panca. Le fece stendere le
gambe sulle sue ginocchia e prese a massaggiarle i polpacci, come faceva
spesso.
Lei appoggiò la testa allo schienale imbottito
della panca, sospirando e guardando verso di lui.
- Come è andata oggi? - gli chiese,
sfiorandogli un braccio.
Lui fece spallucce - Bene. Abbiamo avuto un
paio di segnalazioni da Diagon Alley, ma sono stati due buchi nell’acqua. A che
ora sei tornata?
Hermione ci pensò su - Le due e qualcosa. La
riunione è durata meno del previsto - disse, semplicemente.
Ron guardò l’orologio, sorpreso - Hermione, sono
quasi le sei! - la rimproverò - Se sei tornata a casa così presto, perché
non sei andata alla Tana? O dai tuoi?
Hermione chiuse gli occhi, esasperata - Oh,
Merlino, ti prego! Non ricominciare!
- Ma perché? Non vedo il motivo per cui tu
debba stare qui, da sola - insistette lui - A mia mamma faresti solo un
piacere se andassi là. E anche i tuoi non aspettano altro.
I lampioncini automatici del loro giardino si
accesero improvvisamente.
Erano le sei e la notte iniziava a fare
capolino dietro le prime stelle.
- So badare a me stessa, Ron - gli disse,
sbuffando.
Lui annuì - Lo so, lo so - ammise lui, alzando
le mani in segno di pace - Ma preferirei che non rimanessi da sola tutto questo
tempo. Potresti avere bisogno di qualcosa. E se io non ci sono…- farfugliò.
Hermione sorrise, allungando una mano per
sfiorargli la guancia e costringendolo a guardarla.
- E’ solo il quinto mese, Ron. C’è tempo.
Una folata di vento più forte, fece svolazzare
via il plaid che Hermione teneva sulle spalle, scoprendo il suo piccolo ventre
ricurvo. D’istinto, la ragazza si portò le mani sulla pancia, come a volerla
coprire dal freddo.
Ron si alzò, tendendole una mano - Rientriamo.
Non è il caso che le mie due donne preferite prendano freddo.
La aiutò ad alzarsi, avvolgendola in un
abbraccio.
- Hermione, il libro. Non lo prendi? - le
chiese, mentre rientravano.
Hermione voltò la testa, guardando il libro che
aveva lasciato sulla panca.
“Cose da sapere per diventare buoni genitori”.
Scosse la testa, posando il capo sulla spalla
di Ron. Si sfiorò la pancia, accarezzandola lentamente - No. Non ne ho bisogno.
So già a chi ispirarmi, mi sembra già di conoscerli - disse sovrappensiero,
quasi a se stessa.
E in quel momento pensò che nonostante tutti i
progetti, tutte le pianificazioni, tutti gli alti e bassi che nella vita aveva
affrontato, niente era paragonabile all’avventura che stava per vivere e che
fino a poco prima non sapeva neanche di desiderare così tanto.
Era un sogno che si era presentato alla sua
porta.
E lei, non vedeva l’ora di aprirgli, sapendo
che lo avrebbe fatto sotto la guida dei migliori maestri che avrebbe mai potuto
desiderare.
Alle giudici che hanno premiato questa storia con un primo posto al contest "Every Months has its present! Ron&Hermione contest!", Ciara e TurningSun, conferendogli anche il premio speciale "Best Hermione", oltre ai miei felicisssssssimissimi ringraziamenti per l'apprezzatissimo regalo di Natale, voglio fare i miei complimenti per la diabolicità dei pacchetti.
Care "giudicie", mi avete fatto dannare per cercare un filo conduttore e coordinare tutti i prompt <3
E la cosa mi-è-piaciuta-da-pazzi.
Naturalmente, il titolo della storia è ripreso dalla canzone di Gotye.
Grazie alle giudici, grazie a chi ha letto e grazie a chi è sempre con me, ad ogni storia.