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Autore: Briseide    14/07/2007    7 recensioni
"Quella era l'avventura della loro storia. Un percorso seguito e creato insieme, tortuoso e confuso, fatto di strade parallele, di bivi che immancabilmente li avevano sempre condotti a nuovi incroci in cui si erano ritrovati entrambi, di nuovo fianco a fianco od occhi negli occhi, pronti a discutere, a scontrarsi, a quei litigi tra personalità dominanti e differenti nella loro sottintesa affinità"
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Harry/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Note: Questa fic è stata scritta per la seconda edizione del Harry Potter FicExchange.
Quindi un ringraziamento è più che dovuto alla mia giftee, Glowen, perchè era da troppo che volevo scrivre una Harry/Hermione senza trovare il pretesto. Beh, grazie per avermelo dato. =P

Note(2): La frase annotata dall'asterisco * non è mio copyright, bensì è proprietà dello sceneggiatore del film "A love song for Bobby Long".

L'ultimo incontro.

Il treno sferragliava velocemente sui binari, tirando dritto verso la sua destinazione, placido e imperturbabile come sono tutti i treni, romantici spettatori di vicende, addii, incontri e ultimi sguardi di chi ospitano nei propri vagoni. Nell'ultimo vagone, Harry Potter, una cicatrice sulla fronte e tante sul cuore, perdeva il proprio sguardo oltre i finestrini, confondendolo nella campagna inglese, monotona e quasi incolore.
Stava tornando. Non sapeva esattamente verso cosa tornasse e cosa fosse quell' impulso che lo aveva spinto a salire su quel treno. Aveva persino creduto che non esistesse più, sparito, che quella corsa fosse stata soppressa e il binario cancellato. Quando aveva detto a Ginny Weasley che aveva intenzione di tornare indietro, lei lo aveva scambiato per pazzo, soffocando un singulto di dispiacere in un sorriso lontano e tremulo, di dolorosa accondiscendenza. Ma lui non aveva dato alcuna importanza a quel sorriso e alla falsità di quella comprensione che Ginevra gli aveva offerto. Con la fronte imperlata di sudore per l'ennesimo incubo, si era semplicemente alzato e febbrile aveva iniziato a preparare una valigia. Si muoveva rapidamente nella stanza, arraffando di tutto e portando niente in conclusione, la valigia non era altro che un sacco con una maglietta e le sue speranze di ritrovarla. Ginny seguiva i suoi passi e i suoi gesti, sussultando di tanto in tanto, e poteva leggere nei suoi occhi una rassegnazione umida di lacrime che si stava sforzando di non versare.
Harry non si stupì di certo nel non sentirsi capito. Rare volte era capitato nella sua vita che qualcuno potesse mormorare a ragione so come ti senti. Il resto delle volte che se lo era sentito dire, aveva proposto un sorriso di facciata e uno sguardo di ringraziamento che però non gli raggiungeva ugualmente gli occhi. Quelle rare volte, gli unici occhi che non aveva saputo incontrare nei suoi muti ringraziamenti, erano quelli di Hermione.
Hermione. Un dolore dolce accompagnava quel nome e il suo ricordo. Quella notte l'aveva sognata, dopo anni di abbandono completo, l'aveva sognata. Ginny non avrebbe mai potuto capirlo, ma non c'era davvero altro che Harry potesse fare dopo quel sogno, se non uscire da quella porta e non varcarla di nuovo fino a quando non avesse trovato Hermione.

+++

"Stanotte l'ho sognata. Io ero lì e poi è arrivata lei, ed era così reale. Ho sognato che mi toccava qui - proprio qui - e mi guardava negli occhi. Con quegli occhi, i suoi, voglio dire, erano i suoi e ha continuato a guardarmi come se fossi qualcosa di estraneo, smarriti. Sì, smarriti, erano smarriti, proprio lei che… io sono smarrito, del tutto perso, e lei invece mi ha guardato come se mi avesse appena ritrovato e non riuscisse ad essere felice.
E poi, le sue labbra. Le ha mosse. Erano pallide, le ha mosse appena, e mi ha detto di non andare. Sì, esattamente, di rimanere qui… ed è una cosa assurda. Lei non me lo avrebbe detto. Era così vicina, ma Hermione non mi avrebbe mai detto di non andare, la resa lei non sapeva neanche cosa fosse. Non ho risposto, avrei voluto, solo che non uscivano parole dalla mia bocca. E poi lo ha mormorato. Piano. Neanche un sussurro. "Si muore una volta sola, e per così tanto tempo"* e ha fatto un passo indietro ma continuava a non smettere di guardarmi, e io avrei voluto farne uno avanti ma… Io volevo riprenderla.
Poi li ho visti. I suoi occhi. Ero steso per terra e ho visto i suoi occhi. Non posso farlo, mi dispiace. Lo capisci? Si muore una volta sola, Gin. E per così tanto tempo. E avrò solo un paio d'occhi da guardare allora.
Credevo di non poter vincere Voldemort, invece non posso venire con te. Tornerà, io lo so che tornerà se andrò a prenderla. E sono quegli occhi che voglio guardare alla fine di tutto.
Lo so che ormai sono quattro anni. Lo so. Ma lo ha detto Hermione, e lei non sbaglia mai. È stata lei a dire che la vita non ci mette mai di fronte a qualcosa che non possiamo affrontare. E tu mi ci vedi qui, da qualunque parte, senza di lei? Voglio dire, dove vado? Hermione non sbaglia su certe cose. È una pessima cucitrice di berretti e non sa chiedere scusa, ma certe cose non le sbaglia. Quindi sì, tornerà, perché io senza di lei non vado da nessuna parte.
Devi credermi quando dico che mi dispiace, non doveva andare così, i piani erano diversi. Ma d'altra parte, quando mai li abbiamo rispettati noi, i piani? È colpa mia in verità, sono io che non li rispetto mai, Ginny. Dovevo tenerla stretta a me due anni fa e l'ho lasciata andare. È mia la colpa, tu non devi pagarne le conseguenze. Però la devo trovare, lo capisci questo? Ci staresti con uno che ha la testa completamente volta da tutt'altra parte? Così non ti guarderei mai negli occhi.
Lo so come la pensi. Pensi che sia la ricerca dell'invisibile. Ma lei c'è da qualche parte e sta tornando. Io le vado incontro. Augurami buona fortuna, Gin. Tornerò con lei.
O forse non torneremo, forse ci piacerà il posto in cui ci saremo incontrati. Allora un giorno verremo a prenderti, anche a Ron, e potrò raccontare di com'è vivere la propria vita con Hermione…"


+++

L'eco delle parole sconnesse che aveva rivolto a Ginny continuavano ad affollarsi inutilmente nella sua testa mentre scendeva dal treno. Aveva creduto lui stesso di star vaneggiando quando quella mattina si era svegliato su quel treno, già in viaggio. Non ricordava neanche come ci fosse salito, l'unica consapevolezza che aveva era stata la certezza sulla direzione da prendere. Hogwarts. Il punto di inizio, il ritorno alle origini, le uniche origini di cui potesse avere testimonianza. E non solo, Hogwarts era la loro origine. Se sul serio poteva trovarla da qualche parte, quello era il posto esatto.
Aveva saputo sin dall'inizio che non sarebbe stata una lunga ricerca. Mai quanto l'attesa di quattro anni. Quattro anni trascorsi in un ostinato mutismo, alla ricerca di indizi che Hermione potesse essersi lasciata alle spalle, e non aveva mai trovato niente, sembrava che semplicemente se ne fosse andata dopo l'ultima battaglia. Quel giorno si era svegliato nel bel mezzo della notte, stringendo in una presa di spasmodica disperazione il bordo del lenzuolo, cotone bianco tra dita che si erano macchiate di sangue.
Era rimasto immobile in quella posizione, gli occhi sul soffitto e un dolore sordo all'altezza del petto, preda di un angoscia d'improvviso feroce e impietosa, impietosa del suo bisogno di piangere lacrime che non riuscivano a vedere la luce.
Quando aveva realizzato che Hermione non sarebbe più tornata, aveva anche creduto che avrebbe pianto, e che non sarebbe esistito alcun modo perché potesse smettere. Aveva immaginato la sua vita, passata in un pianto lento e silenzioso, invisibile a chiunque non fosse stato il suo cuore. Un immagine molto sentimentale senza dubbio, di cui aveva trovato modo di ridere con lei - rideva sempre con lei, di tutto e di tutti, in quella complicità nata per caso, e per questo ineluttabile - almeno finché non era successo davvero, che Hermione sparisse, senza più tornare. E probabilmente, era stata solo colpa sua.
Hogwarts era quasi come la ricordava. Il suo antico splendore non era sbiadito nel tempo, né aveva ceduto alle intemperie né all'opera distruttiva di chi l'aveva assaltata. Si ergeva ancora tra le macerie sottostanti, portando i segni di una bellezza sfiorita e incisa, mostrando con dignità lo squarcio sulla sua fiancata, dove era crollata la Torre Ovest tra luci e grida di incantesimi, e silenziose cadute nel parco, trasformatosi in campo di battaglia, attutite dall'erba soffice e pregna di rugiada di una notte di Marzo. Harry, bacchetta ben serrata nella mano, aveva visto quei muri crollare, portando con sé nella loro rovinosa caduta, ricordi, conquiste e sconfitte. Quella notte era stata la notte della sua vittoria come eroe, della sua sconfitta come uomo.
Se c'era una cosa che Harry Potter aveva imparato, era che nel mondo non esiste alcuna coerenza. Aveva ascoltato la voce rude di Hagrid raccontargli la vera storia dei suoi genitori, e con una morsa di rabbia e di un dolore che non si sentiva neanche legittimato a provare, aveva giurato a se stesso di volerli vendicare in un modo o nell'altro, con la stessa convinzione con cui tempo dopo aveva preso atto di non essere in grado di uccidere. Aveva giurato eterno rancore a Malfoy nel bel mezzo di un corridoio senza luce, e poi lo aveva visto piangere, sussultare tra i singhiozzi come un bambino, con spalle esili e tremanti, e si era ricordato di quando le sue lacrime le sprecava tutte nello scantinato di casa Dursley, e per quanto fosse cieca la sua rabbia per la morte di Silente, di nuovo si era visto costretto a ritornare sui suoi passi, credendo che in qualche modo avrebbe potuto perdonarlo, sentendosi stavolta legittimato, e l'unico avente il diritto di farlo, lui che non aveva mai avuto grandi speranze per il suo futuro, da sempre guardato in lontananza, fosco e senza luce.

Allo stesso modo, nella stessa incostanza di pensieri e sensazioni, quella mattina di Marzo aveva scoperto quale fosse l'ultimo Horcrux e lo aveva stretto tra le proprie mani, che stentava quasi a riconoscere nel loro tremore e nel sangue di cui si erano macchiate. Hermione gli aveva sussurrato una notte nell'orecchio, fingendo di credere che dormisse sul serio, e gli aveva promesso in un soffio caldo, tanto caldo da raggiungerlo fino al cuore un po' atrofizzato dalla paura e dallo sgomento di quei tempi, che sarebbe stato in grado di perdonarsi un giorno, che lo specchio nel quale avrebbe incontrato i propri occhi gli avrebbe rimandato l'immagine di un nuovo Harry, addolorato, scalfito da mille cicatrici, gravato dal peso di rimorsi e rimpianti, eppure integro a suo modo, spettatore dell'inevitabile, costretto a prendere parte in una guerra che nessuno avrebbe meritato. Non era tutta colpa sua, questo sosteneva Hermione, da sempre, e con un accanimento tale che lo aveva portato - da sempre - a credere che fosse un modo di convincersi utilizzato da Hermione, una rassicurazione offerta anche a se stessa, dietro parole tremule e sguardi fuggenti, carichi di troppo sentimento perché potessero affrontare lo specchio della propria luce. Sì, delle volte Harry aveva creduto che a guardare Hermione dritto negli occhi, sarebbe rimasto abbagliato.
In ogni caso in quella giornata di Marzo ancora una volta aveva intrapreso la strada per uno scontro che lo aveva lacerato irrimediabilmente fin dal primo istante. Trovare l'ultimo Horcrux, trovarsi ad un passo dalla fine, e non volerla vedere, quella fine. Per niente al mondo. Se avesse potuto, allora sì, avrebbe lasciato trionfare quella codardia che gli premeva violenta sotto pelle, e dentro il cuore, e avrebbe sigillato quell'istante per l'eternità: la speranza stretta nel pugno di una mano, Hermione al suo fianco, con gli occhi velati di sollievo e terrore, e Ron poco più in là, timido partecipante di una guerra che non avrebbe potuto percepire a pieno, e non di certo per una qualche particolare colpa. Se aveva qualcuno da incolpare, allora quella era Hermione, così sagace e così inspiegabilmente partecipe di qualsiasi cosa capitasse nella sua vita, anche quella.

Harry avanzò di qualche passo, sguardo basso rivolto al cammino già percorso su cui stava mettendo i piedi, un viottolo conosciuto, spesso attraversato di corsa con un ritardo sulle spalle, altre volte affrontato con studiata lentezza. Il portone di Hogwarts lo guardava nella sua statica imponenza, e lui non poteva far altro che ricambiare l'attenzione, con gli occhi fissi sullo stemma di quattro Casate da sempre frammentate e unite da un odio e una paura reciproca, che avevano segnato la fine di tutti loro. Quella battaglia campale lui non l'avrebbe mai dimenticata. Quel giorno, al suo fianco, c'era Hermione.
Ricordava di aver fatto di tutto perché non lo seguisse, di aver cercato in ogni modo di spiegarle che era qualcosa di personale, uno scontro con il proprio destino, una guerra che nessun altro avrebbe potuto combattere per lui, e ricordava anche l'inutilità delle sue parole, il fallimento di quei discorsi davanti allo sguardo imperioso di Hermione. Occhi nocciola che tremavano rabbia e determinazione, la dichiarazione della leonessa Gryffindor, fiera e coraggiosa in difesa del suo branco. Con il tempo aveva capito che il suo branco non erano altri che lui, e forse Ron in virtù di un affetto che avevano tutti confuso con altro, in tempi lontani.

Di fronte a quello sguardo, Harry aveva quasi ceduto, quasi abbassato la bacchetta e quasi consentitole di schierarsi al suo fianco.

+++

"Hermione-"

Aveva provato a dirglielo, ma aveva incontrato la fredda e glaciale barriera dei suoi occhi. Le labbra serrate nel tentativo di non far vedere quel tremore che le scuoteva il corpo, di cancellare dal proprio sguardo la paura di morire e il puro terrore, dilagante, di veder morire lui. Harry aveva esitato, mentre macchie scure avanzavano nella spianata di Hogwarts verso di lui, sbaragliando qualsiasi difesa eretta dal corpo Auror prestato dal Ministero con incantesimi di rara accuratezza oscura.

"No".

Era stata la sua risposta ad una domanda che non gli aveva concesso di fare. Lui la aveva guardata con un moto di rabbia e forse di odio negli occhi verdi. Odio per quell'ostinazione che l'avrebbe portata solo ad una fine ineluttabile, rabbia per quel sentimento di gratitudine che straripava quasi nel suo petto, avrebbe voluto stringerla e urlarle contro al tempo stesso che non c'era bisogno di tutto quello, il destino lavora per l'uomo indipendentemente da meriti e richieste, e contro di lui la fredda razionalità di Hermione Granger non avrebbe potuto niente.

La cicatrice pulsava come non mai, fitte pungenti e affilate, ondate di nausea e panico, aveva portato una mano alla fronte piegato in due da un dolore che mai avrebbe saputo spiegare a chi glielo domandava con gli occhi, mentre Lord Voldemort portava avanti la sua avanzata presentandosi a riscuotere la propria vittoria, la resa dei conti, eppure Hermione al suo fianco non aveva mosso un passo, aveva poggiato una mano sulla sua spalla e stretto, stretto forte, tanto forte da imprimere le proprie unghie nella sua carne attraverso la stoffa logora del mantello sbrindellato, fino a farlo gemere per quel dolore di diversa natura. Un dolore umano.

"Tirati su".

"Hermione, è fuori portata. Ammetti i tuoi limiti".

Un sussurro rabbioso, mentre la cicatrice riprendeva a pulsare e il suo stomaco sprofondava chissà dove insieme alle sue speranze di potercela fare. Unica consolazione, il pensiero di essere arrivato in qualche modo alla fine.

"Io ho ammesso i miei".

Aveva soggiunto poi, quasi dolcemente, con un sorriso stanco di rassegnazione e matura consapevolezza. Aveva letto lo sgomento negli occhi di Hermione, e sentito di nuovo la sua mano affondare nella sua spalla. Ma stavolta non provò alcun dolore, non gli fece male, la disperazione di quel gesto sembrava aver sopraffatto la fisicità.

"Non voglio che tu muoia. Non conosco altri modi per dirtelo".

A due passi dalla fine delle incertezze.

Lord Voldemort, liberatosi dei suoi seguaci, lo aspettava, con il suo cuore vuoto, i suoi occhi freddi, il suo respiro illusorio.

"Non me ne faccio niente della mia vita, se tu non ci sei, a dividerla con me".

La prima dichiarazione d'amore mai ricevuta. Ebbe modo di guardarla negli occhi attraverso un velo di lacrime che neanche si era accorto di avere affollate agli angoli degli occhi, prima di sollevare la bacchetta dritta davanti a sé, e pietrificarla, schiantandola lontano.

+++

Quella era stata l'ultima volta che aveva visto Hermione. E mentre lottava per la propria sopravvivenza contro un nemico che da sempre aveva avvertito come più grande di lui, cercava di immaginare lo sguardo ferito che lei gli avrebbe rivolto vedendolo tornare, stanco e affranto, e il rancore che gli avrebbe lanciato addosso per averle impedito subdolamente di fare quel che avrebbe voluto: morire per lui. Ma sapeva che era una grande sciocchezza, per il semplice motivo che nessuno, nessuno vuole morire, persino Lord Voldemort, che era già morto da tempo non aveva trovato pace e da anni portava avanti quella guerra cercando di vincere la vita, da morto quale era. E anche lui, Harry, non voleva morire, ed era lì aggrappato con disperazione e ardore alle sue possibilità di vittoria, perché voleva sopravvivere e discutere con Hermione, lei non gli avrebbe parlato per anni dopo quello che aveva appena fatto, ma a lui sarebbe andato benissimo anche così, non parlarle, rimanere solo con lei nelle stanze dell'Ordine in un silenzio offeso, incontrarla per i corridoi e non salutarla se non con uno sguardo. Voleva avere l'occasione di chiedere scusa, di spiegarle le sue giustificazioni e poi di arrabbiarsi di fronte ad un suo rifiuto, scoprire di non aver alcun bisogno di giustificarsi, quella era la sua battaglia ed era giusto che fosse lui ad affrontarla, e dopotutto era del suo bene che si parlava, e aveva tutto il diritto di difendere ciò che per lui era la cosa più importante di questo mondo, quindi… quindi sì, l'aveva schiantata e allontanata, perché non poteva permettersi di perdere anche lei.
Non poteva sapere che tutto questo non glielo avrebbe più detto. Forse fu per questo motivo che riuscì a vincere quello scontro, contro le aspettative di tutti, ma non quelle di Hermione.
Tra tutte le incertezze che componevano i suoi diciotto anni di via, allora sapeva che qualsiasi cosa avrebbe scelto di fare, Hermione non avrebbe mai dubitato di lui. E inconsapevolmente, aveva sfruttato questa certezza come suo punto di forza, per tutto quel tempo, fino a quella battaglia, fino a quella che lui credeva la fine. Quando aveva sollevato gli occhi dalle rovine del Signore Oscuro, aveva cercato i suoi occhi, prima di svenire. E non li aveva trovati.
La prima promessa che Hermione Granger non aveva rispettato.

+++

Si era domandato spesso perché lei. Perché proprio lei. Avrebbe voluto chiedere a suo padre se anche lui un giorno si era domandato qualcosa del genere riguardo sua madre, se per un attimo aveva smesso di fare quel che stava facendo, e aveva preso atto, che era proprio Lily Evans, la donna che voleva per sé.

Almeno a lui era successo così. Il momento in cui aveva scelto la donna della sua vita era stato questione di un attimo. Hermione era entrata in quella stanza, sulle punte dei piedi perché Ron non si svegliasse e aveva cercato subito il profilo di Harry nella penombra della camera, certamente per capire come stesse dopo una sola occhiata, come accadeva sempre. Harry aveva incontrato la figura di Hermione baluginante nella scarsa illuminazione, e aveva capito. L'immagine di un secondo che dura una vita. E in quell'immagine c'èra lei. Così Harry aveva imparato che non contava neanche più chi avesse scelto chi, chi avesse dichiarato per prima l'altro "sua proprietà", contava solo quel senso di appartenenza che gli stringeva lo stomaco e lo prendeva alla gola e non lo lasciava più andare, e nel respiro affannoso di Hermione c'era la risposta alla sua tacita domanda: sì, era così anche per lei. Il giorno dopo poteva essere la fine di tutto, sapevano entrambi a cosa sarebbero andati incontro, poteva essere la fine, o poteva essere un inizio, quale che fosse ormai i loro sguardi erano troppo compromessi perché potessero fare finta di niente come per tutti quegli anni, durante i quali avevano nascosto predilezioni e affinità dietro la scusa di un quotidiano vissuto molto assiduamente.
Però alla fine sembrava che ce l'avessero fatta, lì, uno di fronte all'altra, era quello che volevano ma non avevano il coraggio di chiedersi: ritrovarsi alla fine di tutto, per potersi guardare negli occhi e far sì che quella fosse l'ultima volta che si guardavano da lontano in quel modo, prima di avvicinarsi, unendo le loro labbra, e poi la loro vita, e stavolta per sempre.
Le cose non erano andate come loro le avevano immaginate quella notte, tremanti sotto le lenzuola fredde nella camera di Hermione, mentre i loro respiri incerti e spezzati si soffocavano a vicenda, e le loro labbra si cercavano scontrandosi goffamente, mentre Harry imparava dove bisognasse poggiare le mani sul corpo di una donna, ed Hermione scopriva che se qualcosa era fallito nel suo piano, se per tutto quel tempo aveva creduto di poter non ascoltare quel che il cuore le diceva a proposito di Harry e ora veniva smentita, era solo perché aveva creduto che desiderio e bisogno fossero sullo stesso piano. Mentre sentiva le mani di Harry correrle lungo la schiena, timide ed urgenti come era lui, e gli chiedeva di baciarla, vergognosa e innamorata. Prendimi. Prendi ciò di cui hai bisogno, sembrava che il suo corpo gli dicesse. Ed Harry lo prese, con il cuore traboccante di amore e gratitudine, di disperazione e paura, di emozione e incertezze.

+++

Quella era l'avventura della loro storia. Un percorso seguito e creato insieme, tortuoso e confuso, fatto di strade parallele, di bivi che immancabilmente li avevano sempre condotti a nuovi incroci in cui si erano ritrovati entrambi, di nuovo fianco a fianco od occhi negli occhi, pronti a discutere, a scontrarsi, a quei litigi tra personalità dominanti e differenti nella loro sottintesa affinità. Lui non sopportava di doverle dare ragione e lei odiava non poter essere smentita riguardo ai dolorosi pensieri e supposizioni nei confronti di Harry. Harry odiava dover mettere a rischio la vita di Hermione, e lei di contro non poteva tollerare la sua più totale impotenza di fronte a tutti gli avvenimenti che abbattevano le mura di difesa che lui ogni volta costruiva.

Harry ed Hermione non erano stati altro che questo: un gioco di incastri, di spigoli appuntiti che il tempo aveva saputo appianare, di labirinti di bugie proclamate ai quattro venti e di verità taciute, svelate solo nella trama di un cuscino intrisa di lacrime di stizza e dispiacere.

Di fronte al buco del ritratto ormai andato perso davanti alla Sala Comune Gryffindor, Harry poteva solo prendere atto che il loro tempo era finito, si erano rincorsi, incontrati e separati, avevano urlato uno contro l'altra, e poi pianto separatamente, mai sulla spalla di qualcuno, conoscevano a menadito tutte le ferite e cicatrici dell'altro, custodendone anche la cura segreta e per strani motivi di paura ed orgoglio si erano negati un sostegno reale per troppo tempo. Si erano capiti con uno sguardo, amati per una serie infinita di motivazioni e sensazioni, e odiati per molto meno. Avevano lottato per i propri diritti, per l'affermazione del predominio in una coppia che di fatto c'era sempre stata senza che loro le concedessero il diritto alla vita. Avevano fatto l'amore e combattuto una guerra, avevano sperato e visto infrangersi le stesse medesime speranze, stretto i denti sulle stesse ferite, versato liquore sulle stesse cicatrici. Si erano regalati momenti di tenerezza rinnegati poi con vergogna di fronte a terzi, avevano parlato di notte e scherzato di giorno, si erano chiesti consigli, non li avevano seguiti e fatto i conti con i propri sbagli, si erano fatti del male senza trovare un modo per chiedere scusa, e alla fine si erano arresi, in silenzio, con sguardi feriti e sorrisi traballanti sulle labbra. La loro parola d'ordine per l'accesso ai reconditi nascondigli dei propri sentimenti non se l'erano mai rivelata, consci che forse non ne avevano bisogno, e forse era meglio non rischiare così tanto. Ma entrando in quella che un tempo era stata la Sala Comune Gryffindor, Harry desiderò con tutto se stesso, il possesso di quella parola d'ordine che gli consentisse di ritrovarla, in un modo o nell'altro, presto o tardi, oggi o domani.

+++

La stanza era esattamente come loro l'avevano lasciata. Il tavolino nell'angolo a sinistra, dove albergava una pila immensa e invecchiata di giornali datati, con riportate notizie che avrebbero fatto tenerezza ad essere lette in quel momento. Ma non era lì per quello. Harry era lì perché sapeva che gli indizi lo avrebbero condotto in quella stanza, davanti a quel camino, su quel divano in cui molte notti si erano addormentati tutti e tre, affaticati dallo studio, e dalle chiacchiere su sogni, speranze, immaginazioni, preoccupazioni di un domani che a loro sembrava sempre imminente, e che invece non era mai arrivato.

Harry sapeva che la loro avventura finiva lì. Avrebbe trovato qualcosa di lei tra quelle mura, ma non Hermione. Ed erano diversi minuti che cercava di accettarlo e di fare pace con quel senso di oppressione che gli gravava sul cuore impedendogli di respirare. Si era illuso che tutto potesse tornare come loro lo avevano lasciato, prima che Hermione sparisse dopo quella battaglia, e lui tornasse vincitore, senza trovarla.

L'unico segno di lei, Harry lo aveva impresso nella mente, e se anche due o tre volte gli sembrò di sentire il suo profumo, dovette poi tornare indietro di un passo, chiudere gli occhi e ridere di sé. Non c'era alcun profumo che esulasse dall'odore di stantio lì dentro. Tutto era vecchio, come i suoi desideri e le sue utopie. E come l'amore che aveva per lei. Facevano eccezione quattro cilindri posati con ordine simmetrico sotto la finestra della stanza, quella che si affacciava dal giardino e permetteva di scorgere il profilo del campo da Quidditch. Poteva trattarsi di qualsiasi scemenza lasciata da un vecchio studente, ma Harry si chinò lo stesso, forte di una attrazione inspiegabile verso quegli oggetti. Non erano quattro cilindri, constatò sentendo il cuore salirgli in gola. Erano quattro piccoli pensatoi, si rese conto mentre il rombo del battito del suo cuore gli riecheggiava nelle orecchie. Ne sfiorò uno, ritraendo subito la mano, quasi scottasse e si accorse di stare tremando, quando lo sguardo scivolò sul cartoncino attaccato al collo del pensatoio. Riconoscere la grafia di Hermione fu un colpo ben assestato al centro dello stomaco, un proiettile tra i polmoni.

Significava che lei era stata lì, pensando a lui. Forse nello stesso modo in cui lui si ricordava di lei. Spostò lo sguardo, scoprendo che c'era un cartellino applicato ad ogni pensatoio. La grafia era nitida come era sempre stata, per quanto gli sembrasse di leggere un tremore tra i profili delle lettere.

Quello che vorrai ricordare.

Recitava il primo cartellino.
Passò rapidamente al secondo

Quello che cercherai di dimenticare.

E poi al terzo.

Quello che non riuscirai a dimenticare.

Sapeva già cosa vi avrebbe trovato dentro. E fu per questo motivo che dovette appoggiarsi al muro, iniziando sul serio a tremare da capo a piedi, scosso da un tremito febbrile, surclassato da quelle emozioni che aveva relegato in tutto quel tempo nel nodo di una malinconica tristezza. Lì dentro c'erano loro due. Lì dentro c'era Harry e c'era Hermione e poi c'erano Harry ed Hermione e averli lì, tutti per sé era quanto di più bello e doloroso potesse avere. L'ultimo cilindro non era un pensatoio. Scoprì che si trattava di un semplice vaso, con un fiore all'interno, probabilmente incantato perché si preservasse dal naturale invecchiare e sfiorire delle cose belle. Il cartellino che vi era appeso era in realtà una busta, e qualcosa gli suggerì di non aprirla, se non voleva morire di dolore.
Si muore una volta sola, e per così tanto tempo.

+++

All'interno della busta, c'era una Hermione bambina, di tre o forse quattro anni. Lo guardava dalla foto con un sorriso sornione e gli occhi timidi, di un colore diverso da quello che lui ricordava nell'Hermione che aveva conosciuto. C'era una venatura chiara a rischiare il nocciola profondo di uno sguardo consapevole nell'aria giocosa di un bambino.
Insieme a quella foto, nella quale agli occhi di Harry continuava a stonare qualcosa, scivolò sul pavimento un piccolo foglio ripiegato più volte su se stesso e dall'aria vissuta. Harry ne spiegò i lembi, sedendosi sul pavimento sporco della Sala Comune, con il cuore affaticato da un respiro ansante e un dolore annidato tra le sue pieghe da quattro anni, che molto probabilmente sarebbe rimasto lì per tutta la vita.

L'ultima cosa, per te. Un girasole. Questo è un fiore che guarda sempre in alto, a testa alta, e cerca la luce. Cercala anche tu, una nuova, e la mia tienila per illuminare i ricordi quando avrai voglia di intristirti un po' o vorrai piangere e non ci riuscirai.
Fai di me qualcosa che possa aiutarti ad andare avanti, e non un pretesto per restare indietro. Non approfittarti della mia assenza: esci di casa, continua a guardare la gente negli occhi e non cercarmi più. Ho sempre avuto un mio posto, e resterà tale per sempre: un po' nel tuo cuore, un po' tra le righe di vecchi libri, un po' negli occhi di tua figlia.
So ancora assumermi le mie responsabilità, e mi prendo anche la più onerosa, lascia che il dolore che ti ho dato, lo porti io sulle mie spalle, ora sono molto più leggera, ed è una fatica che posso sopportare. Libera le tue, e solleva il tuo cuore da un vincolo che finirà con lo stringerlo nella sua morsa, lacerandolo, senza ottenere niente in cambio.
Io non tornerò Harry, e la vita è troppo reale perché tu possa viverla confidando nei sogni, perciò non chiudere gli occhi la notte sperando di vedere me. Parla molto con nostra figlia, perché io l'avrei stordita di chiacchiere, e tu l'avresti abbracciata nei tuoi silenzi timidi e commossi, adesso tocca a te fare anche un po' del mio lavoro. Gradirei che imparasse ad apprezzare il dono della lettura, senza che sia un obbligo, e gradirei tanto, che sapesse come ci siamo innamorati. Ti chiederà un perché, e allora sentiti libero di dire la verità, che non lo sai, ma le cose funzionano così.
Ho creduto troppo nella ragione, e tu mi hai colta impreparata. Puoi spiegarle che la ragione parla di tante cose e offre tante soluzioni, ma è un linguaggio diverso da quello del cuore. Ed è giusto che segua anche quello, come abbiamo fatto noi, inciampando e cadendo. Però siamo sempre atterrati in piedi, non è vero? Con te, Harry, sono sempre caduta sul morbido, e fino all'ultimo, e per ultimo intendo ultimo, ho pensato a te con un amore che non saprei spiegare, come mio scopo e bene da preservare e da consumare al tempo stesso, a piccole dosi, per non rovinarti, fallendo sempre nell'intento di non esagerare soffocandoti di affetto. Ho sbagliato tanto con te, e in qualche modo sei riuscito a perdonarmi tutto, con quel sospiro e quel sorriso lontano che nascondevi tra i miei capelli mentre mi abbracciavi. Conserverò ogni ricordo di te, se mi sarà concesso, e se così non fosse, sai che troverò un modo. Ho chiesto a Luna e Neville di tenere un album di foto di nostra figlia, e di venire qui e lasciare una foto per quando saresti venuto. Baciala da parte mia, senza farglielo sapere.

Buona fortuna con lei, Harry. Sono certa che farai un ottimo lavoro.

Hermione.

+++

Harry da lì non tornò più, tanto meno venne a prendere lei e Ron, come aveva detto.

A Ginny piacque pensare che fossero realmente da qualche parte, e che fossero insieme. Forse lungo la strada avevano trovato una cittadina quasi dimenticata dal mondo e avevano deciso di farne il proprio guscio. Hermione aveva visto un cancelletto in legno con degli intarsi fini ed eleganti, ed Harry seguendo con lo sguardo il vialetto aveva scorto una casa, e subito aveva immaginato il profilo di Hermione alla finestra. Poco più in là aveva visto anche il divano e un fuoco nel camino, e le loro figure una accanto all'altra. Aveva percepito il tocco della testa di Hermione sulla sua spalla e visto il proprio braccio salire a circondarle le spalle in un gesto lento e assaporato come il bacio che le avrebbe dato. Allora al suo fianco Hermione aveva impresso una leggera spinta al cancelletto e fatto tre passi lungo il vialetto, verso la casa. Harry probabilmente glielo aveva lasciato fare, mentre si domandava come sarebbe stato crescere un figlio con Hermione in quella casa. Magnifico. Sarebbe stato magnifico, e di certo si erano dimenticati di condividere tutto quello con lei e Ron. Sarebbe stato magnifico e perfetto, pensò con un sorriso velato, un po' triste.

Forse anche troppo.

Fine



Queste, le richieste che dovevo rispettare:

Dalle 3 alle 5 cose che vorresti ricevere: post-Hogwarts - Harry/Hermione - Auror - Avventura
Dalle 3 alle 5 cose che non vorresti ricevere: Genere Comico o Demenziale - Lucius/Severus - Parodia
Rating: Qualsiasi, tranne NC17.

  
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