Videogiochi > Assassin's Creed
Segui la storia  |       
Autore: La Mutaforma    28/12/2012    4 recensioni
“La cosa che più mi fa rabbia è che non riesco ad odiarti completamente. Ho paura di essermi innamorata come una stupida”
Altair tacque, e la osservò. “Nessuno si innamora in modo intelligente”
[...] La nave non giungeva e fuori la pioggia si versava sui tetti e sulle persone. Non era un bel giorno per cominciare il suo viaggio. E allora rimandava. E ogni volta che rimandava Altair la osservava in silenzio, chiedendosi quanto ancora sarebbe durato.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad, Maria Thorpe
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ecco, tutta la long fic è nata da questo capitolo. Il mio preferito, per la precisione. L'ho letto e l'ho riletto fino allo svenimento, ma non è importante. Avevo detto a blazethecat31 che ci sarebbe una scena lemon. Me duele, il momento era perfetto così come l'avevo immaginato lungo la strada per andare a scuola.

Non è la conclusione di niente, ma è la parte di rilievo di tutta 'sta storia. La conclusione, a mio parere, ha meno spessore, ma anche questo non è importante. Ci sono Altair e Maria. Già questo basta per farmi luccicare gli occhi.

Saluti, e join the brotherhood.

_mutata 

 



Dov’è amore, è dolore.

-Plauto

 

 

La mattina dopo Altair si svegliò da solo. Le braccia allargate nel letto, piene di sogni. Era così solo che pensò di aver sognato tutto.

Si convinse del contrario quando vide che la stanza che aveva rinchiuso i suoi desideri la notte precedente era quella di Maria.

L’assassino si sollevò dal letto, ancora confuso, e uscì dalla stanza, giusto in tempo per vedere Maria entrare dalla porta d’ingresso, con un cartoccio tra le mani.

“Oh, ti ho svegliato?”

Altair la guardò, assente, e indicò quello che aveva tra le dita. Lei sorrise e gli mostrò una forma di pane ancora fumante.

“Dovresti tenere più al sicuro le tue monete” disse la templare, con un sorriso scaltro. Lui si prese un pezzo di pane senza chiedere il permesso. Era morbido, si spezzava ma senza sbriciolarsi.

“E’ ancora caldo”

Maria lo assaggiò, e gli sorrise. “E’ buono”

Attesero, come se avessero dovuto riprendere a parlare da un momento all’altro, con il pane tra i denti e le parole a fior di labbra.

Quando i loro sguardi si incontrarono e videro il riflesso della consapevolezza del ricordo, di quel ricordo, abbassarono gli occhi, e si dileguarono in direzioni diverse senza proferir parola.   

 

Maria rimase inquieta per il resto della giornata. Anche quando il sole era ormai alto nel cielo, e mangiò da sola in silenzio, seduta su una sedia scricchiolante.

E rimase seduta lì anche quando non c’era più nulla da mangiare, fissando il vuoto.

Cercò di non pensare; era molto difficile.

Altair non era più uscito dalla sua stanza. Era chiuso lì, a scrivere chissà cosa. Con tutta probabilità traduceva, e magari non ricordava nulla di quello che si erano detti, di come si erano toccati.

Ti ricordi di me, assassino?

Ricordava che aveva intrecciato le dita alle sue, e lui l’aveva stretta forte, senza mai essere invasivo.

La cosa che più la terrorizzava era che avrebbe potuto farlo entrare nel suo cuore con la stessa facilità con cui l’aveva lasciato entrare nel suo letto.

Ma lui avrebbe potuto amarla come l’aveva rispettata nei suoi ricordi?

Maria non avrebbe mai permesso che lui sgusciasse fuori dai suoi pensieri come un’ombra, come un maledetto assassino.

Lo avrebbe odiato per tutta la vita.

Avrei preferito la tua lama nel collo, piuttosto che un dardo velenoso nel petto.

Se capisci cosa intendo.

Fece strisciare la sedia sul pavimento, e con passi belligeranti si diresse verso la sua porta. Aveva uno sguardo duro, i pugni stretti, le labbra serrate, ma quando aprì la porta si sentì improvvisamente svuotata di tutta quella sicurezza iniziale.

Era seduto alla scrivania, con una penna tra le dita. Esattamente come aveva immaginato. Quando si voltò verso di lei appurò che non era meno inespressivo del solito.

“Sei silenzioso, assassino”

Come sempre, d’altronde.

“Mi aspettavi?”

“Gli assassini non mangiano forse?” lo apostrofò lei, provocatoria.

“Non ho molta fame. Non credevo ti fossi abituata a mangiare con me” si accorse troppo tardi della cattiveria che aveva pronunciato, e mormorò un tiepido “scusami”

Le sue scuse era affrettate, e poco sincere. Le montò dentro una rabbia che vacillò rapida in frustrazione, e la costrinse a stringere i pugni più forte mentre si avvicinava allo scranno di legno, per osservare i suoi fogli.

Tra quelli, notò un disegno. Ed era strano come un foglio tra altri fogli potesse attirare l’attenzione.

Ma non è forse così che funziona l’amore? È una persona tra le persone. E tu la ami. Pur non essendo questa diversa dalle altre persone.

Maria lo tirò lievemente, e lo tenne tra le mani. L’assassino trattenne il fiato.

“Sei bravo. È la donna che ami?”

“Sì” rispose lui, conciso.

“Non mi avevi detto che Adha fosse una guerriera”

“Non è Adha”

Un freddo silenzio calò tra di loro. Poi tutto fu chiaro, come un lampo.  

“Ti odio” disse la donna, con una voce così chiara e precisa che non si sarebbe mai potuto sbagliare sul significato di quelle parole. 

“Maria…”

“No! Non voglio essere la tua schiava, né la tua concubina” affermò duramente la templare, glaciale, rimettendo il foglio sul tavolo.

L’espressione dell’assassino si indurì.

“Non mi sembra di averti mai trattata come tale”

“Smettila!” poi quasi lo sussurrò “Preferirei morire sotto la tua lama”

L’assassino la fissò con gli occhi sgranati. Lei indicò il suo braccio con un cenno del capo.

“Uccidimi, piuttosto. So che puoi farlo senza farmi soffrire”

“Smettila Maria” biascicò lui, mal celando un cupo rancore.

“Preferisci farmi vivere nella vergogna? Nel ricordo di quello che è successo ieri notte?”

Le parole le uscirono così, di bocca, senza ragione. Come spesso accadeva.

Le era capitato altre volte di parlare in preda alla rabbia, ma era la prima volta che diceva la verità. Qualcosa di velenoso, offensivo.

Altair strinse improvvisamente i pugni, irritato. “Cos’è successo?! Non è successo nulla di cui nessuno di noi due dovrebbe vergognarsi!”

Allora ricordi?

Respirava forte. Non era da lui irritarsi in quel modo.

“Sì invece” l’espressione di Maria era strana, enigmatica, i suoi occhi non riflettevano la battagliera vivacità che li aveva sempre caratterizzati. Il giovane siriano era senza parole, e non capì se per stupore o per rabbia. “Quella notte ti ho amato Altair. Ora me ne pento. Non avrei mai dovuto toccarti. La pelle degli assassini è viscida, e ora non riuscirò più a liberarmi di te”

L’espressione che ne risultò in Altair la fece vergognare per davvero: era quello il viso di un assassino ferito?

Altair si alzò dalla sedia, spingendola indietro.

Era la prima volta che si muoveva facendo rumore. Era strano da accettare.

Si avvicinò a lei e la afferrò con violenza per le spalle; pensò davvero che l’avrebbe uccisa. E forse aveva ragione. Non lo avrebbe biasimato.  

“Io ti amo, Maria. Da sempre. Ma non me ne vergogno”

La tirò a sé quasi con violenza e la baciò. E lei ebbe solo il tempo di spalancare gli occhi, prima di essere invasa dalla sensazione di quelle labbra umide, calde. Era una disperata passione, un’urgenza irrefrenabile, che forse davvero le aveva celato da sempre, fino a diventare il suo tormento.

Staccò con rabbia le labbra dalle sue e si allontanò, con la foga di non vedere i suoi occhi, stringendo i pugni e senza voltarsi indietro.

Maria osservò la sua schiena allontanarsi, e ricadde in ginocchio sul pavimento.

Urlò che lo odiava. Con quanto fiato aveva in gola.

Sperò sinceramente che non l’avesse sentita.

 

Per alcuni minuti lo odiò, come si può odiare solo chi si ama.

Era un rancore che si riversava dentro di lei, e la lacerava dentro, mentre stava seduta sul pavimento, con le ginocchia piegate contro il petto.

Lo odiava mentre piangeva, mentre non pensava che a lui, mentre si maldiceva, mentre gli augurava di morire. Mentre, contro ogni sua volontà, lo amava. Perché non riusciva ad odiarlo come aveva odiato i suoi genitori, suo marito, gli altri templari.

La pioggia.

Lo odiava più della sua stessa vita, da molto prima che lo invitasse nel suo cuore.

Tirò su con il naso, come quando era bambina, e andò verso la porta. Tirò verso di sé la maniglia e si sorprese di quanto fosse stato facile guardare fuori.

Era quasi sera, e per strada non c’era quasi nessuno. Il cielo era di un azzurro cupo, quel colore che tanto le piaceva, dopo il tramonto.

L’ultima luce per le strade, prima che diventasse tutto buio.

So dove sei.

Maria sgusciò dalla porta, richiudendola alle sue spalle. Quando realizzò di essere fuori fu troppo tardi; stava già correndo da lui.

 

Altair era seduto di spalle sulla punta del campanile. Da lì si poteva vedere ogni cosa, ogni particolare. Dove toccavi il cielo se ti mettevi in piedi la luce durava più a lungo, ed avevi un po’ gli occhi di Dio, guardando di sotto.

Maria lo raggiunse quando il cielo era già lucido di stelle.

Cielo d’oriente, che meraviglia. Si ingioiellava solo per gli amanti, e i cospiratori che si incontravano a tarda notte per tessere le loro trame.

Maria aveva rischiato più di una volta di cadere mentre si arrampicava lungo la fiancata della chiesa e poi lungo il campanile.

Solo per vederlo, e odiare il suo profilo color piombo sotto la luna.

“Sapevo di trovarti qui” disse, cercando di parlare il più lentamente possibile. Non voleva che capisse quanto fosse senza fiato per la corsa e la scalata. Non voleva che immaginasse la foga di arrivare da lui, il proposito di odiarlo mentre lo guardava in faccia.

“Perché sei venuta?” disse, alzandosi in piedi. Non sembrava temere il vuoto, camminava con notevole facilità su quella trave che sporgeva dal parapetto.

La raggiunse.

I suoi occhi erano scuri come l’acciaio, come la cattiveria.

“Ti odio” mormorò lei, più con rabbia che con sicurezza.

Altair rise leggermente, con tono beffardo. “Tutto qui?”

Non poté tollerarlo. Caricò un pugno all’indietro che gli colpì la spalla, e la sensazione di beatificazione che risultò da quel gesto la spinse a non fermarsi. Continuò a tempestargli il petto di pugni, gli tirò un calcio sul ginocchio, e lo picchiò piangendo. Sperando di fargli male. Molto male. 

Lo spinse in modo da fargli perdere l’equilibrio, si sedette su di lui strattonandolo per la tunica e riempendogli di pugni il petto.

“Ti odio! Ti odio! Odio quello che mi fai diventare! Odio quello che mi fai sentire! Odio quello che sei e come ti comporti con me!”

Il suo grido spezzò la notte, finché non cadde in singhiozzi sulla sua spalla. L’assassino non disse una parola, ma la strinse delicatamente a sé e le accarezzò la schiena.

“Va meglio?”

“Ti odio”

“Sì, ho afferrato il concetto”

Maria scivolò dalle sue braccia, scivolando di lato sulla nuda pietra. In alto, da qualche parte, brillava una falce di luna.

Rimasero in silenzio finché non ebbero il coraggio di voltarsi sulla schiena e di guardare in alto. Lui le cercò la mano, stringendogliela dolcemente.

La ragazza sussultò, in un singhiozzo.

“Stiamo prendendo la strada sbagliata Altair”

Non la guardò. “Non esistono strade sbagliate. Solo vie più difficili”

“Tu non parli” disse amaramente “Tu sembri sputare veleno”

Per quanto pensasse sinceramente quelle parole, gli strinse la mano, per sentirlo vicino e, strano a dirsi, per non lasciarlo più andare via.

“Mi dispiace” ammise lui, chiudendo gli occhi.

“Sai Altair” cominciò Maria, che non desiderava davvero le sue scuse “A volte credo di conoscerti, e penso di amarti, che potrei davvero donarti il mio cuore. Altre volte mi chiedo cosa ci sia sotto quel cappuccio, e ti odio, ti odio, ti odio di un odio così lacerante che devo smettere di odiarti, altrimenti potrei distruggermi” deglutì. La sua voce era un misto di rabbia, frustrazione, amarezza. Tutte figlie dell’amore. “Non sono stata una buona figlia, né una buona moglie, né una buona templare. Nemmeno una degna avversaria”

Altair si voltò su un fianco, deciso ad affrontare l’animo ferito di quella donna coraggiosa, battagliera, ma fragile e indecisa. Volubile come le onde, abbattuta come la curva di sabbia della baia. 

“Dovremmo esserlo?”

“Siamo nemici. Per nascita e per scelta”

“Tu ti sei allontanata dai templari” la corresse lui.

“Non puoi chiedermi di cambiare”

“Non lo farò. Non potrei mai. E non mi aspetto che tu lo faccia”

Maria sospirò. “Siamo destinati ad essere nemici”

“Siamo persone, Maria. E le persone si amano” sussurrò lui. Nel vento denso di profumi e di oriente, le sembrarono delle parole molto sagge.  

“Credi che sia lecito?”

Tutto è lecito. Le leggi degli uomini e i moralismi non possono regolare una cosa divina come l’amore, Maria”

Le venne da sorridere. Quell’uomo non si stancava mai di risponderle, di spiegarle. Si disse che era stata troppo dura con lui. Dopo tante bugie, Maria valutò che avrebbe voluto dire la verità. Una volta per tutte.  

E si stupì per come, a volte, dire la verità sia così semplice.

“Ho paura di essermi innamorata come una stupida”

Altair tacque, e osservò il cielo. “Nessuno si innamora in modo intelligente”

Si strinsero le mani e si abbracciarono sotto le stelle.

A quell’ora amarsi era quasi necessario. E i sensi di colpa erano distanti miglia e miglia; lì, ad un passo dal cielo, in un angolo di purezza e di candore, i loro tormenti non li avrebbero mai raggiunti.

Lo amò tutta la notte, e si addormentò sperando di amarlo ancora al suo risveglio.

 

 

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Assassin's Creed / Vai alla pagina dell'autore: La Mutaforma