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Autore: Glenda    15/07/2007    3 recensioni
Lethia Ballard fa l'investigatrice virtuale e viene ingaggiata da una potente corporazione per un incarico delicato: trovare e intrappolare uno scissista, ovvero un pericoloso hacker dotato di poteri esp, che riesce a vagare nella rete scindendo la propria mente dal corpo. Ma l'incontro con Kevin Lockport è diverso da come lo immaginava e l'uomo le rivela qualcosa di completamente inaspettato...Dove porteranno le indagini di Lethia? E cosa c'entra in questa faccenda di inganni e potere l'ingenuo ragazzo biondo uscito da un lungo coma, che fa l'antiquario in una bottega che pare fuori dal mondo e dal tempo? Giallo cyberpunk con elementi sovrannaturali. VERSIONE RIVISTA E CORRETTA DELLA FAN FICTION POSTATA LA PRIMA VOLTA NEL 2007.
Genere: Science-fiction, Sovrannaturale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Capitolo 2

 

“Gli scissisti sono uomini assolutamente comuni, la loro abilità non è legata né a caratteristiche fisiche particolari, né a un quoziente intellettivo superiore”

Era una delle prime cose che si apprendevano alla Brain Watch, e anche alla WePI: tutti i poliziotti e gli investigatori della rete lo sapevano, e nel caso del soggetto in analisi quel principio sembrava avere la sua conferma visiva.

L’immagine sullo schermo gli rimandava il volto di un giovane uomo dall’aspetto impiegatizio, i lineamenti ordinari e un sorriso da fototessera, lineare e poco comunicativo. L’unico punto di quel viso su cui valeva la pena soffermare l’attenzione erano due piccoli occhi color ghiaccio dal taglio orientale, pittorescamente in contrasto con i tratti razziali chiaramente europei, che conferivano alla sua espressione un tocco di sottile arguzia.

Kevin Lockport, 29 anni, presunto scissista, aveva lavorato fino all'anno prima nel settore pubbliche relazioni di una grande agenzia pubblicitaria, poi si era licenziato e da allora in poi di lui non si avevano altre notizie.

Ma poiché la sua impronta non era stata registrata, nulla poteva garantire che il responsabile dell’infiltrazione fosse veramente lui, e Lethia non aveva idea di come la Omega fosse risalita proprio al suo nominativo.

Pazienza: il sacrosanto principio del non porsi domande inopportune vigeva anche in quel caso.

Richiamò il menù principale e cliccò sul video del colloquio di assunzione.

- Beh, vediamo che tipo sei... -

Sullo schermo comparve nuovamente l’immagine dell’uomo, stavolta a mezzo busto, un po’ più giovane e privo di quel lieve sorriso stereotipato. La voce fuori campo gli chiedeva i dati anagrafici, le tappe del suo curriculum, le esperienze lavorative, le motivazioni professionali che lo spingevano verso quel tipo di impiego. Lui rispondeva pacatamente, con una bella voce fluida, senza esitazioni. La situazione pareva non emozionarlo: la limpidezza della dizione, la postura del corpo, la tranquillità quasi incosciente dello sguardo facevano intuire una notevole sicurezza di sé, alla quale la foto precedente non rendeva giustizia.

- Sei bravo a nascondere i tuoi stati d’animo. Non sarà semplice, con te... -

Cliccò sul link successivo. Il file conteneva numerose riprese della telecamera di sorveglianza del suo ufficio: Kevin Lockport appariva un lavoratore meticoloso e affidabile, sempre pronto nel rispondere al telefono, amante del buon caffè, dei quotidiani e della puntualità. Delle sue relazioni sociali si poteva comprendere poco, tranne attraverso i colloqui telefonici, che mostravano un uomo con grande predisposizione alla conversazione, che conduceva con eleganza, buon senso e brillantezza.

- Mmm...tutto sommato sei un tipo interessante... -

Lethia estrasse il dischetto e lo ripose nella custodia.

- proviamo a conoscerci di persona, ora... -

Saltò giù dalla sedia girevole, prese il suo deck ed andò a accovacciarsi sul divanetto a due posti: la piccola stanza era in penombra, come le piaceva che fosse quando lavorava. Le serrande erano chiuse e sulla scrivania vi era una sola lampada da tavolo, che emanava una luce giallognola. Lethia adagiò il capo sul bracciolo, e cercò una posizione comoda: le ginocchia nude si distesero tra i cuscini. Sorrise, pensando alla faccia che avrebbe fatto Serjei Adrianov se l’avesse vista in quel momento, dopo che le aveva offerto le avanzatissime attrezzature della sua ditta, le sue comode poltrone deck-munite, e anche l’assistenza del suo personale. Ma non era quello il suo modo di lavorare. Lei, quando il mondo scompariva alla sua vista e la sua mente si apriva alle voci del sistema, desiderava essere lì, sdraiata su un antico divano in velluto rosso, con un paio di pantaloni corti e la t-shirt sdrucita. Uscire dal tallieur e dalle scarpe di vernice era come uscire dalla sua stessa vita, così come il mondo gliela aveva costruita addosso.

“Dentro Zeus non c’è vita. C’è solo il peccato originale di questa vita”

Con le dita cercò il fermacapelli su un lato della testa, ne sfiorò il freddo metallo perlato: “Lady Bird”, che nome buffo. Lo aveva chiamato così per la sua forma, una coccinella laminata che aveva comprato da piccola, forse incantata da quella stupida storia della fortuna. Chissà chi gliel’aveva raccontata, poi...! Probabilmente qualche stupido assistente sociale che credeva di risolverle i problemi incoraggiandola a credere a babbo natale, o a Dio...! Beh, fortuna non gliene aveva mai portata, ma era un ottimo strumento per avere a portata di mano il lettore di comando mentale. Quando lo aveva fatto modificare, il tecnico aveva sorriso: ricordava il suo sorriso dolce, di chi aveva pensato che forse a quella stupida barzelletta sulla buona sorte ci si potesse credere.

Il dito pollice scivolò lungo il fermaglio: il sistema riconobbe la sua impronta digitale.

Di Kevin Lockport non conosceva quasi niente: solo la sua voce, e l’area del sistema in cui voleva entrare. Gli mancava qualsiasi indizio sulle sue abilità effettive e sulla sua eventuale pericolosità. Per sicurezza, selezionò una serie di programmi di protezione che l'avrebbero resa un po’ più lenta, ma pazienza, meglio essere prudenti.

- Bene. Vediamo di che pasta sei fatto... -

Lethia Ballard chiuse gli occhi e sprofondò nella sua seconda casa.

 

“Aiutatemi...mi sento sola...Aiutatemi...non riesco a uscire”

La voce scivolò nel fondo del suo cervello, scese giù per la schiena in un brivido lento, e scomparve.

Sarebbe venuto un giorno...

Sarebbe venuto il che non l’avrebbe più sentita...

Il dolce vuoto gli abbracciò la testa.

In fondo, sempre più in fondo.

Pochi attimi.

Quelle pace durava sempre troppo poco.

Poi arrivarono tutti, in massa, ossessivi, invadenti, confusi: l’onda si faceva spazio con prepotenza, resistergli era improduttivo, bisogna lasciarla scorrere, fluire senza ostacoli, mentre la sua mente scendeva, e scendeva...

Pensieri su pensieri, pensieri da ogni luogo, di ogni sorta: gioco, perversione, buisness, lacrime, risa, fantasie, parole, fino alle più rare e più complesse macchinazioni di hacker all’opera, che in altre occasioni e per altri committenti si era trovata a intercettare.

Ma quella volta, doveva andare oltre.

Per trovare uno scissista si doveva scendere fino nel centro di zeus, là, nel cuore del sistema, dove potevano permettersi di esistere menti di creature che avevano il raro e ricercato dono di poter recidere del tutto il contatto tra il corpo e la mente, permettendo a quest’ultima di muoversi lì, come un’entità autonoma.

Un’intelligenza umana che agiva come un’intelligenza artificiale.

Un’intelligenza artificiale con un legame di carne e sangue.

A Lethia era capitato di giungere fino lì solo per alcuni casi di recuperi di coscienza: a volte accadeva che hackers inesperti, o solo clienti con disturbi cerebrali che avevano usufruito di programmi di realtà virtuale senza prima consultare il medico, rimanessero intrappolati nella rete e non riuscissero a scollegarsi senza l’intervento di quelli come lei.

Ma uno scissista era diverso.

Per uno scissista la separazione dalla propria realtà fisica era volontaria, non costante, e non supportata da alcun collegamento elettronico al sistema: era puro atto mentale, spontaneo e reversibile.

Dei veri e propri esp della rete, come lei.

Almeno da questo punto di vista, era uno scontro ad armi pari.

Attivò il programma di interferenza; non sapendo di essere cercato, il suo bersaglio era in svantaggio: l’attacco a sorpresa era la tattica migliore.

 

In Zeus c’era silenzio.

O almeno, ce n’era abbastanza per calmare la sua mente.

Adorava il silenzio: in quello stato attendere non era un peso. Sperò comunque di non dover monitorare la zona a tempo indeterminato: il suo corpo era in posizione abbastanza comoda, ma di certo, se la cosa andava per le lunghe, si sarebbe alzata con il torcicollo e il formicolio sotto i piedi.

Passarono lunghe ore prima che finalmente percepisse una presenza non identificata. A quella profondità, i casi erano pochi: o era una coscienza dispersa, o era un genio del sistema, o era il suo obiettivo.

Concentrò la sua mente ed entrò nei suoi pensieri: fu meno difficile del previsto.

“Ti amo, Sen”

Ehi, ma che razza di pensiero era? Certo, non era un pensiero di quelli che si sentivano di solito nel cuore della rete, laggiù dove le menti sono così staccate dalla loro dimensione reale da perdere quasi il senso della realtà.

“Sen. Meglio ricordarsi questo nome”

Poi seguì un pensiero ben più chiaro: un comando mentale per accedere al sistema della Omega e...una password!

"Accidenti, accede ai loro file riservati con regolare password? Come diavolo l'ha presa? Notevole davvero!"

Richiamò la funzione immobilizzante, non riusciva a individuare dove si trovasse l’obiettivo, quindi la estese su un campo abbastanza vasto. La banda di controllo all’estremità alta del suo campo visivo rimandò un segnale di errore, e una voce parlò nel suo cervello.

- Ops. Un’intrusa. Poco carino non farti neanche vedere! -

Davanti agli occhi di Lethia si materializzò la figura di Kevin Lockport, o forse avrebbe dovuto più propriamente dire la sua proiezione virtuale, anche se il nome tecnico non rendeva giustizia ad un’immagine dall’aspetto tanto reale.

- Complimenti. Icona perfetta -

- Se è per questo, la tua non è da meno -

Sorrise, con la stessa espressione del video, così tranquilla eppure vagamente aggressiva: Lethia si guardò le mani, e si rese conto che il suo programma di invisibilità era stato neutralizzato senza che lei neppure se ne accorgesse.

- Forse dovresti tornare a casa, signorina. Sei fuori posto, qui -

I suoi occhi brillavano vividi: l’emissione vocale corrispondeva perfettamente ai movimenti delle labbra.

- E’ questa la mia casa - rispose lei con tono di sfida - come faccio ad andarmene? -

- Semplice. Ti accompagnerò fuori io -

Lethia ebbe appena il tempo di vedere il segnale di pericolo accendersi sul menù principale: l’attacco fu velocissimo, il suo sistema di protezione intercettò l’attacco e lo assorbì, ma una dolorosa vibrazione le passò ugualmente attraverso le orecchie.

- Puoi fare di meglio, mi auguro! -

- Naturalmente. Ma lo vorrei evitare - il ragazzo la guardò deciso - Vattene -

- Spiacente. Il lavoro è lavoro -

Si concentrò nuovamente sulla funzione immobilizzante: la piccola icona rossa comparve ai piedi dell’uomo. Lui scosse la testa.

- Banalità - sussurrò.

Socchiuse gli occhi: il rosso divenne nero, e poi fumo, e poi nulla.

- Ma tu...come...? -

- Non ti sei mai scontrata con uno scissista, vero? La Omega avrebbe dovuto metterti in guardia, prima di ingaggiarti e mandarti incontro a morte certa... -

Non aveva del tutto torto: le potenzialità di quell’individuo erano superiori alle proprie, aveva neutralizzato il suo attacco con un battito di ciglia. Inoltre, non avendo bisogno di utilizzare programmi, le sue mosse erano assolutamente imprevedibili. Ma Lethia detestava essere svalutata.

- Non ti conviene offendermi. Potrei diventare cattiva... -

- Mi dispiace...ma il fatto che tu sia stata così brava da trovarmi, non significa che tu lo sia abbastanza anche per difenderti da me... -

- Sono rischi del mestiere -

Kevin Lockport esitò un istante, poi distese le labbra in quello strano sorriso che non aveva espressione e la fissò negli occhi

- E’ vero. Sono rischi del mestiere -

La banda di controllo rilevò un segnale anomalo, e prima che avesse tempo di reagire una scarica elettrica le attraversò il corpo: un velo nero calò sulla sua vista, ma la mente non perse lucidità. Comprese la natura di quell’attacco: la stava sbattendo fuori dal sistema.

- Ehi, per chi mi hai preso? Credi sia così facile sbarazzarti di me? -

- Di certo meno facile che ucciderti: ma non è nel mio stile. Se mi credi un assassino, vuol dire che la Omega ti ha dato informazioni scorrette... -

Non poteva più vedere la sua proiezione, non poteva vedere cosa stava facendo, ma per un attimo intuì che doveva esserle estremamente vicino: riusciva quasi a percepire fisicamente quella vicinanza.

- ...e tuttavia... - lo sentì dire - questo non significa che non ti farò del male... -

Un dolore lancinante trapassò la testa di Lethia, un’ondata di gelo attraversò il suo corpo, e d’un tratto le parve di star precipitando nel vuoto, senza appigli.

Spalancò gli occhi e lentamente mise a fuoco lo sguardo sulle mattonelle del pavimento di casa: era caduta dal divano e aveva sbattuto la fronte.

  
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