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Autore: Letocest    29/12/2012    1 recensioni
"Amore e dolore sono due parole che sono sempre connesse, come vita e destino."
Dopo questa citazione direi che è arrivato il momento di spiegare un po' la storia. Qualcuno si è mai chiesto perché Shannon avesse chiamato la sua batteria Christine? E da dove provenisse L490? Perché una melodia così triste? Beh, ho pensato di inventarmi una storia, ambientata negli ultimi anni dell'adolescenza di Shannon, che racconta di questa Christine, una bella ragazza che cambierà la vita al bel batterista. Spero che vi piaccia, ci ho messo anima e corpo.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Shannon Leto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 8 25th God's birth, 26th my birth.

Nostra madre rientrò la mattina tardi, con un maglioncino per Jared come regalo di compleanno e due occhi rossi allucinati.
-Buon compleanno Jared! Che la forza dell’aria sia con te.- Disse Constance, soffiandogli in faccia.
-Grazie ma’.- Rispose lui, socchiudendo gli occhi e sorridendo.
È vero, non era proprio una madre modello ma le volevo bene. Era strana, diversa dalle altre, strafatta ma in fondo ci voleva bene e anche se non c’era sempre quando c’era la sua presenza si percepiva eccome. L’odore che ricordo meglio? Quello di cannabis che portava in casa ogni volta che rientrava da una rave party o da chissà che orgia.
Si era preoccupata anche di comprare il pranzo e una torta per Jared.
Avevamo appena cominciato a mangiare, quando mio fratello dovette far crollare il mio mondo.
-Domani parto.- Disse, poggiando la forchetta sul piatto.
-Ah bene tesoro! Ma non ti dimenticare di venirci a fare visita ogni tanto.- Rispose nostra madre, probabilmente troppo fusa per capire quello che stava succedendo.
-E quando l’avresti maturata quest’idea?- Domandai, quasi ringhiando. –Stanotte?! Non puoi decidere da un giorno a un altro di partire, lasciare tutto e tutti, solo perché un deficiente come me ti ha regalato un biglietto.- Mi alzai sbattendo i pugni sul tavolo.
-Erano mesi che ci pensavo. Sapevi che volevo partire al più presto.- Rispose, tranquillo.
-Perché non vuoi capire?!- Urlai, sbattendo a terra la sedia e chiudendomi in camera.
Distrussi un’anta dell’armadio scaraventandoci sopra un pugno.
A quel punto Jared entrò, bloccando le mie braccia lungo i fianchi e costringendomi a guardarlo.
-Sapevi che volevo partire.- Sussurrò, cercando di tranquillizzarmi.
-Tu non ti rendi conto! Tu non ti rendi conto che con la tua partenza muore una parte di me! Tu non vuoi capire quanto questo gesto sia egoistico! Tu… Tu mi stai distruggendo!- Urlai, trattenendo le lacrime che spingevano violente per uscire. Ma io non piangevo mai, io ero duro, menefreghista e insensibile. Non sapevo cosa volesse dire piangere.
-Credi che io sia contento di lasciarti qua?- Domandò, alzando leggermente il tono di voce. –Non lo sono. Tu sei tutto ciò di cui ho bisogno, ma se non vuoi venire con me non posso costringerti a seguirmi. Ma io devo realizzare i miei sogni e non voglio arrivare una volta adulto a rimpiangere il mio passato, seduto su una sedia di un ufficio ad annoiarmi con la mia quotidianità. Io non voglio una vita monotona, io voglio provare a realizzare i miei sogni! Lo vuoi capire questo? Mi fa male lasciarti qua ma devo.-
Alle volte l’immagine che ci si crea di se stessi si impossessa della persona stessa, trasformandola in un mostro inumano. Altre volte quest’immagine viene distrutta in un battito di ciglia.
Lo guardai, guardai i suoi occhi limpidi e mi vidi. Vidi il mio viso devastato dal dolore, vidi i miei occhi gonfi di lacrime, vidi la mia bocca contorta in una smorfia di sofferenza.
Lui era sempre stato molto più che un fratello. Lui era stato tutto e tutti per me. Quando avevo un problema lui c’era e viceversa. C’eravamo sempre sostenuti a vicenda ma ora? Ora se ne stava andando, stava portando con lui anche il mio cuore, la mia mente e la mia anima. Come avrei fatto senza di lui?
Scoppiai a piangere, lasciandomi cadere ai suoi piedi.
In quell’istante mi sentii la persona più patetica sulla faccia della terra ma non potei fare a meno di supplicarlo, supplicarlo di non lasciarmi lì, immerso tra i singhiozzi.
-Ti prego… Ti prego non te ne andare.- Sussurrai, prendendo la mia testa tra le mani, inginocchiato su quel pavimento freddo e desolato. Quella casa, senza di lui, senza il suo odore, senza la sua voce. Che senso aveva? Ero una persona debole, lo ero sempre stato.
-Vuoi vedermi infelice?- Domandò, accucciandosi accanto a me e costringendomi a guardarlo.
Scossi la testa.
-Allora devo andare.- Concluse, rimanendo a guardarmi immobile.
In fondo aveva ragione, non avrei mai impedito la sua partenza ma… Ma quella notizia così improvvisa, aveva fatto crollare ogni mia certezza, riducendomi in brandelli.
-Jay… Come farò senza di te?- Sussurrai, lasciando che le lacrime silenziose scendessero sulle mie guance.
-Ci sentiremo tutte le sere, lo prometto e poi potrò tornare ogni tanto o potrai venire te.- Rispose.
-Non sarà la stessa cosa lo sai?- Domandai, tentando di normalizzare il mio tono di voce.
Mi abbracciò, lasciando che il pianto si impadronisse dei suoi splendidi occhi, macchiandoli di sofferenza.
-Ti amerò sempre, fratellone.- Disse, bagnando la mia spalla con le sue lacrime.
-Anche io. Anche io lo farò.- Risposi, stringendolo tra le mie braccia.
Conoscevo molte persone con fratelli o sorelle che si scambiano pochi anni ma io e lui eravamo l’unica coppia di fratelli che rasentava la perfezione. Ci amavamo nel modo più puro possibile, senza malizia. Non era l’amore che si riserva alla propria fidanzata o moglie, ma quell’amore fraterno che pochi conoscono.
E io lo amavo, lo amavo così tanto. E lui provava lo stesso per me e non sarebbe stato facile stare separati.
Ci avrebbe distrutto, lo sapevo e niente e nessuno avrebbe potuto migliorare la situazione che si andava a creare.

  
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