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Autore: Frytty    29/12/2012    2 recensioni
Candice e Robert. Due vite e due sogni diversi, incompatibili con la loro voglia di amarsi. Candice parte per New York per frequentare la Julliard e coronare il suo sogno di danza; Robert rimane in Inghilterra con la speranza di riuscire a diventare un attore. E se, entrambi famosi, si incontrassero proprio a New York? E se non fosse tutto semplice? Potrebbero amarsi di nuovo?
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutte!

Dopo gli aggiornamenti di una settimana dopo l'altra, adesso mancavo da un po', causa ispirazione per la maggiore e, in secondo luogo, il raffreddore e la tosse che mi hanno colpita una settimana e mezza fa -.-" ora, però, sono attiva e pronta ad aggiornare (per vostra sfortuna xD).

Dunque, dunque, parliamo del capitolo: ho dovuto dividerlo necessariamente in due, ma non ci saranno una prima e una seconda parte; semplicemente qui c'è la prima metà della scena e nel prossimo ci sarà la seconda metà, un po' come quando il capitolo di un libro che adoriamo rimane "appeso", senza in verità esserlo sul serio (spero di essere stata chiara :D). In ogni caso, la notizia importante non è questa, quanto il fatto che voglio chiarire un paio di cose sul personaggio di Candice. Mi rendo conto che possa risultare, per la maggior parte di voi, un'estranea, nel senso che voi, al suo posto, non vi sareste mai comportate così e, mi rendo anche conto, che sia una di quelle ragazze che spesso (sempre, in realtà) pensano troppo, riducendo i pensieri a vere e proprie paranoie; anche questo atteggiamento potrebbe essere estraneo a molte di voi. Candice non è un personaggio facile, perché, per la maggior parte, rispecchia i miei atteggiamenti, le mie brutte abitudini di un tempo, ovvero, quelle che concentravano la verità negli altri e mi portavano a credere che avessi sempre il torto dalla mia parte, quelle cattive abitudini che mi facevano preoccupare fin troppo di ciò che potevano pensare gli altri di me e mi portavano a pensare a me stessa sempre di meno. Ovviamente, non posso dire di essere cambiata da un giorno all'altro, ma ci sono state situazioni che mi hanno fatta crescere e ragionare diversamente. Candice non è ancora a quel punto. E' divisa, in tutti i sensi, anche se non lo ammetterebbe mai e ha il terrore di fare del male a qualcuno, perché ha paura di rimanere da sola, di non farcela, di non essere abbastanza forte. Queste sono anche un po' le mie paure e, penso, le paure di un po' tutti, chi più, chi meno. E' per questo che appare così strana e lontana, così straniera, ma fa parte di ciò che ho in mente per lei ai fini della Ff e della sua crescita. Perché, così come io non sono cresciuta da un giorno all'altro, anche lei ha bisogno di scottarsi per poter decidere la sua vera strada e, prima o poi, succederà.

Dopo questo chiarimento-barra-sfogo, ci tenevo (ed è uno dei motivi per cui volevo riuscire ad aggiornare entro oggi) a fare a tutte voi (coloro che mi seguono da sempre, che mi hanno seguito precedentemente e ora non più, chi si avvicina alle mie Ff per la prima volta, chi legge soltanto, chi commenta, chi inserisce tra le preferite/seguite/da ricordare e ovviamente anche a tutte coloro che capiteranno qui per caso) un INIZIO 2013 SCOPPIETTANTE E SERENO, condiviso con le persone che amate e che vi amano. Che questo nuovo anno sia per voi una fonte inesauribile di gioia, serenità, felicità e che possiate dar vita a tutto quello che vi siete preposte. BUON ANNO A TUTTE! <3

Come sempre, volevo ringraziare le persone che hanno commentato lo scorso capitolo, che hanno letto, che hanno inserito la Ff tra le preferite/seguite/da ricordare *.* GRAZIE! Non saprei cosa fare senza di voi *.*

Ora che il mio sproloquio è concluso, non posso far altro che rinnovarvi i miei Auguri di Buone Feste e augurarvi anche una...

 

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Near To You-A Fine Frenzy

 

 

 

 

 

La primavera si stava avvicinando, l'aria era più mite e la brezza che soffiava dolce e che ti scompigliava i capelli, era tiepida. Il profumo degli alberi in fiore, dell'erba e quello inconfondibile della città, del traffico, dei ristoranti vicini, si fondevano, dando vita ad un'essenza diversa da quella che si respirava a Londra nel medesimo periodo, dove prevaleva l'odore dell'asfalto bagnato, della terra umida di pioggia e dei temporali vicini.

Quella giornata di fine marzo, tuttavia, era speciale non soltanto per il risveglio della natura; i miei compagni di Accademia, i miei amici, avrebbero affrontato uno degli esami di sbarramento più duri dell'interno anno accademico, esame che gli sarebbe valso un posto nel Saggio di beneficenza organizzato dalla Amnesty International.

Ero tesa, come se avessi dovuto affrontarlo io quell'esame, come se sentissi di non aver dato abbastanza, di essere stata una privilegiata perché, sì, lo meritavo, ero considerata una delle migliori allieve dell'Accademia, ma non avevo dato il meglio di me in quelle settimane, avevo dato per scontata la mia partecipazione all'evento, mentre i miei amici avrebbero dovuto combattere di fronte ad una commissione rigida e severa. Volevo che fossero con me ed Arthur su quel palco, volevo che avessero anche loro la possibilità di mostrarsi fieri del percorso che avevano scelto di intraprendere, di invitare i loro genitori e farli sentire orgogliosi del loro bambino. 

L'Accademia era più tranquilla del solito; gli esami erano già in corso e le lezioni erano sospese.

Mi diressi al piano superiore, verso una delle aule designate alla prova, sbirciando con curiosità.

Avevo sostenuto diversi esami di sbarramento durante quei tre anni alla Julliard, tutti molto difficili ed impegnativi, tuttavia, era la prima volta che osservavo la medesima situazione dal di fuori, non facendone parte, come una semplice spettatrice.

Si stavano ancora tutti riscaldando per la prima parte dell'esame ed incrociai, per un breve istante, gli occhi di Lucas, della sua fidanzata, Amanda, di Sam, di Sophia e di Juliana. Sorrisi a tutti, accennando un saluto con la mano e mimando un in bocca al lupo, ricevendo in risposta un sorriso e un pollice alzato.

Credevo di essere più tesa di loro: il cuore mi rumoreggiava fin nelle orecchie, mi sentivo le gambe molli e il respiro pesante e avevo voglia di mangiarmi le unghie, un vizio che avevo mantenuto durante i momenti di stress.

Sentii la porta dell'aula aprirsi e la voce di Lucas chiamarmi.

< Tutto bene? > Mi domandò, scrutandomi con attenzione. < Sei pallida come uno zombie. > Continuò, avvicinandomisi. Forse voleva solo salutarmi, ma aveva sicuramente cambiato idea non appena vista la mia faccia.

< Sì, sì, tutto bene, è solo che sono nervosa per voi e per quest'esame. Siete tutti così bravi... è una prova inutile. > Obiettai, cercando di calmarmi.

Sospirò e mi si avvicinò per abbracciarmi stretta, cullandomi appena.

< Non è così importante, è solo un esame di sbarramento e noi ne abbiamo affrontati tanti, no? > Avvertii il suo respiro tra i capelli.

< Stai mentendo, certo che è importante. > Mi imbronciai. Minimizzare quello che stava succedendo, non era mai una buona tattica per tranquillizzarmi. Lucas e tutti gli altri tenevano a quel Saggio tanto quanto me ed Arthur.

< Ok, d'accordo, è importante, ma l'hai detto tu stessa, no? Siamo tutti bravissimi e non avremo difficoltà a superare l'esame. > Alzò gli occhi al cielo, esasperato. Avrei dovuto essere io a tranquillizzarlo e non il contrario.

< Invece di tifare per voi e darvi la carica, sono qui, nervosa e sotto pressione come una mamma chioccia. > Sorrisi, separandomi dalla sua stretta.

< Non saresti tu se non fosse così. > Mi scompigliò i capelli e mi sorrise.

< Sei preoccupato? > Gli domandai dopo qualche istante, decisa a porre lui al centro dell'attenzione, i suoi sentimenti e non me.

< Solo un po'... > Fece spallucce.

< Andrai benissimo. Andrete benissimo, tutti quanti, ne sono sicura. > Gli strinsi un braccio per incoraggiarlo.

< Tsk! Pensi che non lo sappia? Ovvio che andremo benissimo! > Si atteggiò come una super-star, facendomi scoppiare a ridere.

< Ok, vai a finire il riscaldamento, Mr. Modestia. > Lo spinsi via verso l'aula e lui, prima di entrare, mi fece una linguaccia e mi mandò un bacio con la mano.

< Ci vediamo stasera, splendore. > Mi prese in giro prima di scomparire definitivamente.

E pensare che la prima volta che l'avevo visto in Accademia, prima ancora di conoscere il suo nome, di sapere che si era anche lui trasferito da un paesino vicino Londra, di capire che saremmo potuti diventare amici, mi ero quasi convinta di essermi invaghita di lui, di essere, a dispetto di tutto e tutti, riuscita a mettere il mio amore per Robert in un angolo e aver riaperto gli occhi su chi mi circondava, senza pretendere di ritrovarci sempre lui. Ovviamente, la mia cotta era durata il tempo necessario per capire che non saremmo funzionati insieme e che, comunque stessero le cose, non avevo voglia di impegnarmi, non avevo voglia di dimenticare Robert.

Mi voltai, decisa ad osservare l'esame, convinta che tutti avrebbero dato il meglio di sé.

Erano così assorti nei loro pensieri, così concentrati sull'obiettivo che si erano posti, che non avrei dubitato di nessuno di loro, sconosciuti compresi, eppure, soltanto cinquantacinque di loro avrebbero avuto accesso al Saggio.

< Ehi! > Mi riscossi, osservando un Arthur sorridente affiancarmi.

Gli sorrisi, voltandomi nuovamente per osservare i ballerini al di là del vetro.

< Ciao. > Borbottai soltanto, concentrata.

< Come sta la tua caviglia? > Mi domandò, occhieggiando alla fasciatura che ancora indossavo, più per precauzione che per reale necessità.

< Bene, credo che non ci saranno problemi con le prove. > Risposi.

< E' una buona notizia. > Rimanemmo in silenzio per un po', un silenzio che mi avrebbe sicuramente messa a disagio, se non fossi stata così concentrata su ciò che avveniva nella sala di fronte a noi. Da quando mi aveva confessato i suoi sentimenti per me, qualcosa nel nostro rapporto di amicizia, anche se non avrei saputo dire bene cosa, era cambiato. Non si trattava di un problema di confidenza, di fiducia, di voler bene all'altro... era qualcosa che, in qualche modo, in ogni caso, andava al di là anche della nostra comprensione: era il suo sguardo, che adesso interpretavo in maniera diversa, il rossore che si diffondeva sulle nostre guance, all'unisono, quando ci abbracciavamo, l'impaccio che avvertivo nel rimanere sola con lui, la paura di fare qualcosa di sbagliato che avrebbe potuto offenderlo, tutte le volte che mi ero offerta per raggiungere Robert in albergo da sola, piuttosto che farmi venire a prendere, e solo perché lui non fosse costretto a vederlo, perché non ne soffrisse.

< Senti... ehm... io... > Cominciò, abbassando lo sguardo, gli avambracci che, come i miei, sfioravano il metallo freddo della ringhiera che ci divideva dalla vetrata dell'aula.

Mi voltai verso di lui, conscia che le cose non avrebbero fatto altro che complicarsi ancora di più, qualsiasi cosa avesse detto.

< So che è impossibile, so che non accetterai mai, so che non posso cambiare quello che è stato, ma so anche che non posso non provarci ugualmente... > Continuò, arrossendo.

Aggrottai le sopracciglia, confusa e disorientata. Voleva farmi una proposta? Stava cercando di farmi delle avances?

< Conosci i miei sentimenti per te. Non era esattamente quello il modo in cui avrei voluto parlartene, durante una lezione di danza, anche perché, probabilmente, se Lucas non avesse tirato fuori l'argomento, non te ne avrei mai fatto parola, ma, in ogni caso, è successo e nonostante tu mi abbia rassicurato sul fatto che non sarebbe cambiato niente tra di noi, sento che non è così; non sei a tuo agio quando ti sono vicino, hai paura di sfiorarmi, anche se si tratta soltanto di eseguire una coreografia, non chiacchieriamo sul serio da secoli e sei schiva, timorosa, come se avessi paura di ferirmi. So che parlare di sentimenti cambia sempre le cose, specialmente quando si tratta di persone a cui teniamo molto, così come so che hai tanto a cui pensare in questo periodo ed io probabilmente non farò altro che far aumentare la confusione che sono sicuro domina nella tua testa, ma devo farlo, non posso tenermi tutto dentro, non ci riesco. > Proseguì lentamente, scandendo ogni singola parola, facendomi sentire colpevole: colpevole, perché aveva capito che c'era qualcosa che non andava nel nostro rapporto, che non era più come prima; colpevole, perché avrei voluto che le cose fossero rimaste quelle di un tempo tra di noi.

Mi morsi le labbra in attesa, muovendomi a disagio, come se mi fossi distesa su un materasso di spine.

< Io ti amo, Candice, non ho solo una cotta per te, non mi sono solo invaghito della ragazza che mi ha rivolto per prima la parola. Ti amo e può sembrare scorretto da parte mia, ma è la verità, la semplice e pura verità e non riesco a tacerla. Forse non ricambi i miei sentimenti, forse questo non farà altro che allontanarci ancora di più, ma era importante che tu lo sapessi, perché non riesco a fare finta di niente. > Sgranai gli occhi, sorpresa. Non che credessi qualcosa di diverso, perché sapevo che Arthur, se decideva di dedicarsi a qualcosa, lo faceva con tutto se stesso, che fosse la danza, l'amicizia o l'amore, ma non avevo previsto una dichiarazione simile, nonostante si fosse già dichiarato innamorato di me.

< Io... > Tentai di rispondere, ma lui mi fermò, sorridendo appena.

< Non devi dire nulla, non ce n'è bisogno. So come stanno le cose, so che non posso sostituire Robert, così come so che non cambierai idea su di lui. > Scosse la testa, recuperando da terra la sua tracolla, indossandola.

< Cambiare idea? > Domandai perplessa, ripetendo le sue stesse parole.

< Non vuoi davvero sapere cosa penso di tutta questa faccenda... > Tentennò, preso alla sprovvista.

< Voglio, invece. Hai detto che non cambierò mai idea su di lui; cosa intendi dire? > Mi voltai a fronteggiarlo, curiosa.

< Solo che, per quello che mi riguarda, ti sta usando: la storia di Kristen incinta, il fatto che vorrebbe prendersi cura di suo figlio con te, l'idea di trasferirsi qui perché siate più vicini... è come se avesse già progettato tutto fin dall'inizio, come se stesse seguendo un piano. Non hai potere decisionale su nulla, Candice, è stato già tutto scritto. > Rispose, avvicinandomisi di un passo.

< Come puoi affermare una cosa del genere? Con quale diritto? Tu non lo conosci! > Ribadii, cercando di dare un freno alla rabbia che sentivo montarmi dentro come un fiume in piena, pronto a straripare. Cosa credeva di poter fare? Voleva istigarmi contro Robert, fare in modo che lo disprezzassi, che corressi tra le sue braccia a lodarlo?

< Rimarrai soffocata in una vita che non desideri prima che tu possa anche solo rendertene conto, Candice! Perché non vuoi vedere? Perché sei così ossessionata da lui, da non renderti conto che ti sta legando a sé, senza possibilità di scampo? > Quasi urlò. Non l'avevo mai visto così furioso.

Indietreggiai spaventata.

< Sono io che ho scelto di rimanere al suo fianco, Arthur. Mi ha dato la possibilità di scegliere e questa, per me, si chiama libertà. > Risposi glaciale.

< E come avresti potuto rifiutare? Sei così presa da lui, da esserti dimenticata di tutto ciò che ti circonda. Ieri era il mio compleanno, Candice. I ragazzi mi hanno organizzato una festa a sorpresa e tu, tu dov'eri? La Candice che conosco, non sarebbe mai mancata al compleanno di uno dei suoi migliori amici, non avrebbe mai permesso agli altri di organizzare una festa a sorpresa senza il suo aiuto, non avrebbe mai dimenticato il resto del mondo per concentrarsi solo su se stessa. > Abbassò la voce, l'espressione triste e ferita.

Gli occhi mi si inondarono di lacrime, senza che lo volessi.

Cosa ne era stato della vecchia Candice? 

Robert mi aveva sconvolto così tanto, da farmi dimenticare di avere degli amici? Eppure, avevo cercato di esserci per loro, avevo cercato di mediare tra le due cose... ma mi ero dimenticata del compleanno di Arthur e di quello di Amanda il mese precedente...

< Non posso negare i miei sentimenti per te, ma non posso neanche fingere che tu non sia cambiata in questi mesi. > Mi diede le spalle, camminando in direzione delle scale.

Cos'era successo?

Mezz'ora prima stavo abbracciando Lucas, augurandogli buona fortuna per l'esame di sbarramento; mezz'ora dopo, stavo litigando con Arthur sul mio cambiamento.

Ero diventata davvero così?

Forse Arthur era soltanto geloso di Robert.

 

Mi svegliai di soprassalto, lo squillo assordante della sveglia nelle orecchie, la sensazione di panico che mi assaliva sempre quando ero convinta di aver fatto un brutto sogno.

Ero sudata e i capelli mi si erano appiccicati alla fronte, così come la maglietta che Robert mi aveva prestato per dormire.

Mi passai una mano sugli occhi, cercando di prendere visione della stanza, di rendermi conto che era stato solo un incubo, anche se così reale da sembrare la realtà.

Robert mugugnò dalla sua porzione di letto ed io mi voltai ad osservarlo, tentando di regolarizzare il respiro e il battito forsennato del mio cuore. Era disteso a pancia in giù, come sempre, le braccia sul cuscino, come se ci si volesse aggrappare, le labbra schiuse e i capelli in disordine e metà schiena scoperta.

Mi distesi nuovamente, recuperando il cellulare e disattivando l'allarme della sveglia.

Era il sedici marzo, il compleanno di Arthur. Forse ero così ossessionata da tutta quella storia, da aver addirittura sognato una nostra possibile litigata e proprio durante l'esame di sbarramento per l'ingresso al Saggio, che si sarebbe tenuto di lì a due giorni.

Dovevo essere davvero a pezzi e non mi riferivo soltanto alla caviglia che, in un modo o nell'altro, aveva deciso di essere magnanima con me e di non farmi pesare la storta che avevo subito, tornando attiva dopo appena ventiquattro ore e senza il consulto di un medico.

Sospirai, osservando assorta il soffitto bianco che andava pian piano inondandosi di luce.

Mi accorsi a malapena del braccio di Robert che mi circondò la vita e mi attirò a sé, baciandomi una spalla ancora ad occhi chiusi.

< Già sveglia? Non è il tuo giorno libero, questo? > Mi domandò, socchiudendo gli occhi e osservandomi.

< Ho promesso alle ragazze di aiutarle a preparare la festa a sorpresa per il compleanno di Arthur. > Risposi, accarezzandogli i capelli.

< Mmm. Sei sempre così impegnata... non hai mai tempo per me... > Brontolò fintamente, baciandomi il collo, accoccolandosi con la testa nell'incavo della spalla, solleticandomi la pelle accaldata con il respiro.

Sorrisi.

< Sei invitato anche tu, se non sbaglio. > Gli feci presente.

< Alla festa a sorpresa del tuo migliore amico? Che, per giunta, è anche innamorato di te? > Sgranò gli occhi all'improvviso, sollevandosi sugli avambracci per guardarmi negli occhi.

Annuii.

< Non se ne parla. Sono una star di un certo spessore, ho i miei impegni... > Si lasciò andare su di me, rischiando di schiacciarmi, voltò la testa dall'altra parte, ritornando, apparentemente, a dormire tranquillo.

< Smettila di fare il prezioso! > Lo punzecchiai io di proposito, pizzicandogli un fianco.

< D'accordo, accetto l'invito, ma solo perché non voglio che il tuo amico si avventi accidentalmente su di te con la scusa di aver esagerato con lo champagne. > Approvò dopo qualche istante, trascinandomi accanto a sé.

< Sei calda. Sicura di star bene? > Mi domandò dopo qualche minuto di silenzio.

< Sì, credo di aver fatto un incubo... > Borbottai.

< Cosa succedeva di così orribile? > Sorrise, baciandomi una guancia, cercando di tranquillizzarmi.

Scossi la testa. Non avevo voglia di parlarne.

< Niente di importante, solo che gli incubi mi lasciano sempre questa sensazione strana addosso, che... non so... non riesco a spiegare. > Mentii. Cosa avrei dovuto dirgli? Che nel mio sogno Arthur credeva che lui fosse soltanto un approfittatore? Che mi stesse rovinando il futuro?

< D'accordo. Posso fare qualcosa per calmarti? > Mi abbracciò, accarezzandomi la schiena e i capelli.

Scossi la testa e chiusi gli occhi. Andava benissimo già così.

< Una doccia ti aiuterebbe a rilassarti... > Soppesò, baciandomi gentilmente la nuca, mentre le sue mani sollevavano la stoffa della maglietta e saggiavano la mia pelle.

< Non ho tempo per una doccia; le altre mi aspettano tra un'ora. > Ribadii controvoglia, accarezzandogli la schiena ampia, aggrappandomi quasi a lui.

Mugolò contrariato, strofinando il naso sulla mia spalla, facendomi sorridere.

< Vuoi che ti accompagni? > Mi chiese, mentre io scivolavo via dalle sue braccia.

< Ti annoieresti, ma se ti va di dare una mano, perché no. La tua altezza potrebbe esserci utile quando appenderemo i festoni. > Feci spallucce, alzandomi.

< Sai che esiste un oggetto preposto alla cosa, vero? > Mi osservò divertito scegliere un paio di jeans e una maglietta, la coperta in fondo al letto, lui bellamente disteso, come un Adone pronto ad essere ritratto.

Gli risposti con una linguaccia, evitando di lasciarmi distrarre.

< Ti sei offerto tu di accompagnarmi. Vorresti trascorrere il tempo a guardarci lavorare? > Agganciai gli orecchini ai lobi e tentai di ordinare i capelli allo specchio.

Neanche mi ero accorta che si fosse, nel frattempo, alzato. Mi raggiunse alle spalle ed io, attraverso la superficie riflettente dello specchio, incontrai i suoi occhi, mentre le sue braccia mi cingevano la vita, sollevandomi appena, come per farmi raggiungere la sua altezza.

Mi baciò una guancia, facendomi arrossire, ma io, non ancora sazia, voltai il viso per incontrare le sue labbra umide, perfette.

< La proposta della doccia è ancora valida. > Sorrise furbo ed io lo spinsi via, gettandogli addosso i suoi vestiti, che lui afferrò divertito, dirigendosi verso il bagno.

< Ok, ok, ho capito! > Rise, alzando le mani in segno di resa.

Mentre mi accingevo a preparare la colazione, non potei non pensare allo strano incubo che avevo fatto poco prima di svegliarmi.

Stavo impazzendo, senza ombra di dubbio. D'accordo, probabilmente Arthur mi amava, non aveva solo una stupida cotta passeggera per me, ma cosa avrei dovuto fare?

Niente. Se ne farà una ragione, prima o poi. Ami Robert, o no?

Certo che lo amavo, non accettavo di discutere quel punto neanche con la mia coscienza, eppure... insomma, un fondo di verità in quello che mi ostinavo a definire un incubo, c'era; le cose tra me e Arthur erano cambiate, forse senza che ne avessimo totale consapevolezza, certo, ma erano cambiate e noi non eravamo più intimi come un tempo: ci salutavamo a malapena, evitavamo di trovarci da soli in una stanza per più di qualche minuto, mi sentivo in imbarazzo anche solo ad abbracciarlo o a ballare con lui. 

Forse era solo perché volevo che fosse felice come me, forse era perché, adesso che la maggior parte di noi era impegnato in una relazione, sentivo una stretta al cuore quando pensavo al fatto che lui non aveva nessuno da chiamare tra una pausa e l'altra, nessuno a cui dire ti amo; o forse era, più semplicemente, il fatto che, da quando mi aveva confessato i suoi sentimenti, non ero riuscita a fare a meno di pensarci, come se lui non mi avesse solo fatto una confessione, ma fosse andato oltre, come se mi avesse chiesto di scegliere cosa fare, se rimanere in bilico con Robert, oppure se tentare di capire come potesse evolversi il nostro rapporto.

Era assurdo e ne ero consapevole; d'altra parte, non avevamo parlato molto di quella mattina, a lezione, perciò non ero sicura di cosa intendesse con la sua dichiarazione. 

Amavo Robert e volevo bene ad Arthur: erano sentimenti opposti, non avrei potuto paragonarli, così come non avrei potuto paragonare un fidanzato ad un amico.

Era solo paranoia, sì, doveva essere così.

< Credo tu abbia appena bruciato il caffè. > La voce di Robert mi distrasse dai miei pensieri.

< Cosa? > Chiesi, sbattendo le palpebre un paio di volte per ritornare in me.

< Hai bruciato il caffè, non lo senti quest'odore? > Sorrise appena e aggrottò le sopracciglia, confuso.

< Oh. Ehm... devo essermi distratta... > Borbottai, spegnendo il fornello, arrossendo.

< Sicura che vada tutto bene? > Mi domandò, accarezzandomi i capelli, raccolti in una coda spettinata.

Annuii convinta, dandomi della stupida. Forse avrei dovuto parlarne con lui; in fondo, eravamo soliti dirci tutto un tempo, no?

< Sono solo preoccupata per questa festa, tutto qui. Non sono brava con le sorprese, lo sai. > Feci spallucce, mentendo, dandomi da fare per preparare dell'altro caffè.

< E la festa a sorpresa dei tuoi quindici anni? > Apparecchiò per due, riportandomi alla mente quel pomeriggio di diversi anni prima, quando, tornata a casa da scuola, non avevo trovato nessuno: mia madre non era in cucina e mio padre non era in salotto a leggere il giornale come al solito.

< Cielo, sono stati i minuti più traumatici della mia intera esistenza! > Sbuffai.

< Non è stato così tragico e poi hai anche pianto. > Ribadì.

< Certo, perché credevo che i miei genitori mi avessero abbandonata! > Ricordavo ancora la sensazione di panico che mi aveva invasa, mentre correvo per le stanze alla ricerca di mia madre e mio padre, fin quando, aprendo la porta del salone, non avevo sentito un sonoro pop e una miriade di coriandoli mi avevano invasa, insieme alle voci di tutti che gridavano Sorpresa! Buon compleanno! Ero stata così sollevata di notare i visi dei miei genitori in quella confusione, che mi ero messa a piangere come una bambina.

< Esagerata! Avevi quel vestito a fiori che mi piaceva tanto ed eri bellissima... > Continuò, abbracciandomi alle spalle, come poco prima, facendomi sorridere.

< Credo di averlo conservato, sai? Era anche uno dei miei preferiti. > Risposi.

< Peccato tu non abbia più quindici anni... > Sospirò melodrammatico, sciogliendo l'abbraccio per prendere posto su uno sgabello.

< Già... > Non volevo realmente tornare indietro, ma non potevo neanche negare che avevo trascorso spensieratamente il periodo della mia adolescenza, senza ragazzi che mi dichiaravano il proprio amore, mentre io non sapevo come comportarmi, con Robert sempre presente nella mia vita, come unica preoccupazione il compito in classe del giorno dopo o un esercizio di danza particolarmente difficile. Era tutto più semplice.

 

Tre ore dopo, non solo avevamo finalmente finito di decorare il locale scelto da Sophia per la festa a sorpresa, a quanto pare, uno dei più famosi di New York, sulla ventinovesima strada, che noi, grazie anche alle conoscenze del suo fidanzato, eravamo riusciti a prenotare per un evento privato con pochissimo preavviso, ma avevamo anche ordinato i tavoli e dato disposizioni al DJ e ai buttafuori.

< Che ve ne pare? > Sam aveva appena finito di sistemare l'ultimo festone con l'aiuto di Robert, mentre io e Sophia eravamo praticamente collassate sul primo divanetto disponibile.

< E' ok. > Rispose Sophia, alzando un pollice in segno di apprezzamento.

< Ok, direi che abbiamo finito. > Sistemarono la scala nel ripostiglio e ci raggiunsero.

< Chi è che ha l'album? > Domandò Sam, osservandoci.

Alzai una mano stancamente.

< Album? > Le fece eco Robert.

< E' il nostro regalo. > Spiegò Sophia. < Abbiamo raccolto tutte le foto di questi tre anni trascorsi insieme e le abbiamo sistemate in un album. > Continuò, facendo spallucce.

Ci era sembrato il regalo migliore per Arthur, che si era sempre lamentato di non poter far vedere ai suoi genitori nessuna foto della scuola o dei suoi amici, perché, per la maggior parte, le avevamo scattate noi.

Robert mi aveva fatto un regalo simile per il mio diciottesimo compleanno, ma le foto non erano state raccolte in un album, bensì in un quadro che avevo immediatamente appeso nella mia camera a Barnes e che, tutte le volte che ritornavo a casa, osservavo per ore, come se non avessi già imparato a memoria la disposizione di ogni singola fotografia che ci ritraeva da soli o in compagnia.

< Dev'essere arrivata la torta! > Sam e Sophia scattarono verso i fattorini che erano appena entrati con una enorme scatola bianca, mentre io mi avvicinai a Robert, accoccolandomi contro di lui, cingendolo con un braccio.

< Vuoi davvero che ti accompagni alla festa? > Mi domandò, accarezzandomi i capelli.

< Certo! Perché me lo chiedi? > Alzai gli occhi su di lui che fece spallucce e poi ricambiò il mio sguardo.

< Magari vuoi trascorrere del tempo in santa pace con i tuoi amici... > Soppesò.

< Arthur ha invitato anche te ed io non mi divertirei affatto sapendoti in albergo, da solo, a guardare la tv. > Risposi ovvia. E poi la sua presenza mi avrebbe aiutata a non pensare.

< D'accordo, ma non posso prometterti di non bere. > Scherzò, stringendomi a sé.

Risi.

< Credo che saremmo tutti brilli alla fine, considerato i cocktail che Sam ha scelto di far preparare. > Alzai gli occhi al cielo, osservando le mie amiche che discutevano con i fattorini, la torta, degna di un matrimonio reale, tra di loro.

< Sarà divertente osservarti, allora, considerato che non reggi neanche un bicchiere di champagne. > Mi prese in giro, ridendo.

< In verità, dò i numeri persino con un aperitivo... > Forse avrei dovuto evitare l'alcol, quantomeno per non fare una pessima figura. Avevo ancora in mente  ciò che era successo quando Sophia e Lucas mi avevano convinta a ordinare una birra e il cameriere si era presentato con un bicchiere pieno fino all'orlo, che io, pur di non dar loro la soddisfazione che sarei riuscita a ubriacarmi, finii e, non appena il cameriere tornò per recuperare i bicchieri vuoti, io cominciai, piuttosto spudoratamente anche, a flirtare con lui ad alta voce, scatenando l'ilarità di tutti i clienti. Decisamente un'esperienza da non ripetere.

< Ok, mi occuperò personalmente di sottrarti qualsiasi bicchiere tu abbia in mano. > Mi baciò i capelli, continuando a delineare con un dito il profilo della mia spina dorsale, facendomi rabbrividire di piacere.

Io speravo solo di riuscire a parlare con Arthur, anche se avrei potuto rovinargli la festa. Dovevo. 

   
 
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