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Autore: TempestBlackCobain    29/12/2012    3 recensioni
Il numero 12 di Grimmauld Place era ancora lì, logoro, e decadente, al centro di Londra, come l’aveva lasciato qualche anno prima. Ormai però era vuota, quella casa, piena di ricordi che sarebbe stato meglio dimenticare.
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sirius Black
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Altro contesto
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Questa one-shot alquanto oscena è per Silvia, una persona speciale conosciuta su Twitter; una Grifondoro completamente persa per il caro Padfoot. Indi per cui, perché non farla sul caro Black? L’avrò riscritta una ventina di volte, cambiando pezzi e sostituendo personaggi e ambientazioni, ma ancora non ne sono soddisfatta…sembra quasi irrisolta. Chissà magari sarà la volta buona che comincerò a scrivere ff a capitoli. Ad ogni modo, buona lettura.
 

Il numero 12 di Grimmauld Place

 

Dopo quella buffonata, capì che non l’avrebbe passata liscia. Capì anche che la scuola non faceva per lui. E così il giovane Black venne espulso da Hogwarts, senza sentire ragione alcuna.
Il numero 12 di Grimmauld Place era ancora lì, logoro, e decadente, al centro di Londra, come l’aveva lasciato qualche anno prima. Ormai però era vuota, quella casa, piena di ricordi che sarebbe stato meglio dimenticare; poteva ancora sentire le grida di sua madre, quando scoprì che era finito in Grifondoro e non in Serpeverde come tutti, di possibilità ce n’erano eccome, ma lui era la pecora nera, era uno dei pochi ad essere stato diseredato per una stupidaggine del genere. Lui la chiamava follia, gli altri la chiamavano giustizia. Eppure non sembrava dispiaciuto, tutt’altro. Regulus se n’era andato da mesi, il suo caro fratellino, quello perfetto e ammirato. Forse Kreacher, l’elfo di famiglia, era ancora lì, ma a lui non importava. Aprì la porta dell’ingresso, e piano salì le scale; prese una chiave d’oro dalla tasca del suo cappotto, la girò nella serratura sentendo un lieve clack e un ghigno gli si stampò in volto, girando il pomello in cristallo e aprendo quella porta piena di tarme e segni. Graffi e pugni l’avevano adornata per anni, come quel giorno in cui tornò tardi; successe prima di essere smistato, era luglio o agosto forse, la famiglia pensò che fosse uscito con i babbani, loro li odiavano, così per l’ennesima volta venne sbattuto su quella porta e punito. Walburga, la madre, usava spesso graffi, quei graffi così profondi che ancora poteva sentire sulla pelle, il disprezzo ogni volta si poteva leggere nei suoi occhi, mentre per Orion, suo padre, esisteva solo la bacchetta. Quante volte gli aveva lanciato contro maledizioni e incantesimi dolorosi. Pensava a quei giorni,  disteso  sul letto e sorrideva; forse anche la sua era diventata follia. Ma Sirius sapeva bene che lui, pazzo, non lo sarebbe stato mai, nonostante tutta la pazzia presente in quelle quattro mura. Sulle pareti poster e foto ricoprivano ogni centimetro, mentre la luce derivante dalla finestra illuminava una lettera ai piedi della scrivania. Il moro  si alzò e andò a raccoglierla. La scritta recava ciò:
 

 Caro Sirius O. Black

Le chiediamo gentilmente la conferma della sua iscrizione alla scuola di magia e stregoneria di Hogwarts

La lista dei libri di testo le verrà inviata via gufo al seguito della sua risposta

Il treno partirà il 1° settembre

Indi per cui la invitiamo cortesemente ad affrettarsi
                                                                                                                                                                         
                                                                                                                             La vicepreside

 

 

L’appoggiò su quel pezzo di legno marcio e scostò le tende impolverate. La gente camminava svelta sui marciapiedi grigi, i lampioni si accendevano uno dopo l’altro, il cielo azzurro era increspato da nuvole nere mentre faceva capolino  la lieve ombra della luna che si rifletteva sulle pozzanghere rimaste qua e la. Un sospiro e il giovane Black chiuse la porta per scendere in cucina. Da una porta accanto si intravedeva l’albero genealogico della sua famiglia. La sua foto, così come quella di altri suoi cari, come Alphard e Andromeda, era stata bruciata; al suo posto una macchia nera adornava il suo nome, accanto alle facce dei membri ‘ufficiali’.
Lui era un traditore, un ribelle, seguiva il suo cuore che non era certo di ghiaccio come quello degli altri famigliari. Si sedette su una sedia blu accanto al tavolo, anche lì mille ricordi si ricomposero ad ogni occhiata di quella stanza: un quadro, una tazzina, un piatto, ogni cosa gli ricordava i giorni infelici che aveva trascorso lì. Ce n’erano stati di buoni, ma ormai si erano affievoliti nella mente del giovane.
Voltò la testa e lo vide. Era un ciondolo d’oro a forma di serpente, liscio e recante uno smeraldo al posto dell’occhio; in realtà quel serpente era una S, la S di Sirius. Il dietro celava una scritta quasi impercettibile, ma che lui si ricordava bene. Fu il giorno del suo undicesimo compleanno che ricevette quella catenina, la madre aveva ancora un minimo d’orgoglio nei suoi confronti, così, speranzosa, glielo donò. Incisa vi era ‘per sempre, mio caro figlio’. La gioia che provò in quel momento svanì il giorno successivo, quando, dopo l’ennesima accusa, se la strappò dal collo e la lanciò nel camino, per poi fuggire e non tornare mai più, trasferendosi dai Potter.
In quel momento capì che figlio di quella strega non avrebbe voluto esserlo mai.
Se ne stava lì, seduto a rimuginare, e a sorridere, pensando che quel povero ciondolo era sopravvissuto al fuoco incandescente e a sua madre. Credeva l’avesse distrutto, ma non era così. Lo prese e se lo mise in tasca. Dopo una tazza di caffè e una pulita, tornò in camera e si addormentò, tra quelle lenzuola grigie e bucate.
Ormai erano passate alcune settimane dal suo ritorno in quella casa devastata dalle ingiustizie e dal terrore folle.
Un mattino, la rugiada brillava sul prato esterno e il sole splendeva sopra ogni cosa. Il giovane Black aprì la porta sbadigliando, scese i gradini del cortile e si avvicinò alla cassetta delle lettere.
Una busta bianca contornata di rosso con caratteri dorati era in bella vista all’interno; Sirius la aprì solo dopo essere entrato in casa ed essersi seduto sulla sua sedia blu. Gli bastarono le tre prime parole e una risata riecheggiò per l’intera casa; il sorriso non lo abbandonò nemmeno quando ebbe finito di leggere.
Parole soavi e estremamente rozze, ma piene di amore.
Pochi secondi dopo era fuori dalla porta, con i bagagli e un ghigno compiaciuto.
Un taxi si fermò davanti a lui, una figura indistinta si scorse dalla portiera e, tirando il moro per il colletto, richiuse la portiera dietro di lui.
“stazione di King’s cross…e in fretta”
La macchina si allontanò alla svelta come era stato detto.
“come mai nei paraggi?”
“spiritoso eh..sei sempre il solito, sono settimane che non ti si vede e tu che credevi di averla fatta grossa”
“non c’è stato nessuno sbaglio, abbiamo fatto tutti e quattro l’errore, eppure…”
“avanti Sirius, piantala con queste stupidaggini, Silente ha perdonato tutti e poi non è stata colpa tua quindi smettila”
“si certo, ad ogni modo lo so, perché è stata colpa tua Moony!”
“ma..”
Una risata rasserenò i due, mentre la stazione si avvicinava sempre più e il sole scaldava i cuori.
Volete sapere cosa c’era scritto in quella lettera?
Erano  solo poche righe che alla fine fecero tornare di buon umore il giovane Black.
 
 
 
Caro Padfoot,

alza il tuo adorabile fondoschiena,

perché sto venendo a prenderti!

E piantala di stare lì a pensare…tanto non è il tuo forte!
                                                                                                                                       
                                                                                                                            Tuo Moony
 
 

 

Quello che serve a Sirius Black, non è né una casa né una famiglia di sangue.
Quello che serve a Sirius Black sono amici sinceri, perché sono loro la vera famiglia di una persona.
E quello lo capì il giorno in cui lasciò il numero 12 di Grimmauld Place.
 

 
  
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