Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: kety100    29/12/2012    1 recensioni
Salve a tutti. Mi chiamo Chiara Tentoni, ho quindici anni, e odio leggere.
-----------------------------------------------------------------------------------
Una One Shot senza pretese. La devo dare alla prof. di italiano finite le vacanze, quindi una vostra recensione potrebbe aiutare la mia media!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Salve a tutti. Mi chiamo Chiara Tentoni, ho quindici anni, e odio leggere.
Perché odio leggere? Perché è una cosa noiosa, inutile, che porta alla scuola … ma, soprattutto, è una cosa talmente … vecchia. È una di quelle cose che ci sono da sempre.
E poi, vuoi mettere un lucido PC o ad un IPhone o uno schermo ultrapiatto confrontato con uno stupido ammasso di carta? I primi tre sono oggetti utilissimi, senza i quali non si potrebbe vivere! Ma … leggere? Quella è roba che si fa a scuola. E io la odio, la scuola. Non la sopporto, ti costringono a restare lì, seduto su quel banco, e tutti i prof. si divertono da morire a farti fare figure di merda. Che schifo. Fa tutto schifo a scuola. I muri scrostati, le materie che non ci serviranno a niente … perché diciamocelo: io non ci vedo niente di utile nel sapere che cos’è il soggetto, oppure nel saper fare un’espressione lunghissima con i periodici e tutte quelle cavolate. Vogliamo parlare della geometria? Roba da precisini. Se vuoi fare le case, allora te lo vai a studiare da solo, caro il mio cervellone. Che poi tanto in questo Paese basta una raccomandazione che ti passano davanti tutti, e anche con la tua laurea in geometria non ci fai niente. Per questo mi piacciono i soldi. Quelli portano in fretta lontano da tutto. Se uno c’ha i soldi può fare tutto, ha tutto, è tutto.
È per questo che li voglio, perché io senza soldi non voglio viverci. Io voglio una bella villa su un’isola, per lasciare il mondo fuori e ignorarlo, per far finta che tutti siano ricchi e che nessuno soffra la fame. Un’isola in mezzo al mare, per dimenticarmi di tutto e di tutti e ignorare le robe brutte che ci sono in giro. per dimenticarmi delle guerre insensate, dei politici che rubano tutto quello che possono e dei giudici che non li condannano. Vorrei diventare giudice solo per mettere dentro un politico. Berlusconi, magari. Una volta una mia amica, India, mi ha raccontato di un libro. Non è una novità: India adora leggere e scrive racconti. Ogni tanto, giusto per farla contenta, me ne faccio leggere uno e do un parere. Lei fa il classico, io invece sono andata all’artistico e ci resterò per tre anni, giusto per prendermi un minimo di diploma, poi andrò a fare estetista parrucchiera da qualche parte e dopo qualche anno finirò a fare un lavoro sottopagato. Tanto lo so come vanno queste cose. India ogni tanto mi ripete filo o storia o qualcos’altro, perché io non ho bisogno di studiare: noi non facciamo niente e ai prof sta bene. Ne abbiamo una che apre la finestra e si mette a fumare all’inizio dell’ora, e poi se ne sbatte di noi fino a che non suona la campanella. India invece è brava, brava davvero: studia, fa tutti i compiti e non sbaglia mai niente. Lei vuole fare la giornalista, o magari l’avvocato, e io non c’ho il coraggio di dirle che nessuno dei due lavori fa per lei: è troppo buona.
Io e India siamo amiche da prima delle elementari. Io ho un anno in più, ma sono stata bocciata in prima media perché non studiavo e lei mi ha raggiunta. Abbiamo studiato insieme, e lei ha passato l’anno con nove invece che con dieci. Io ho fatto fatica e prendere il sei, e anche così mi restava un cinque in mate. Però avevo un bell’otto in arte, e questo mi rendeva più orgogliosa di un sacco di altre cose. Mi piace l’arte. Non quelle mostre noiosissime di quadri, a me piace proprio disegnare: io lancio colori sulla tela come India lancia parole sui fogli.
Di questi tempi mi piace molto ascoltare India che mi legge i suoi racconti. È davvero brava, il suo è vero talento. Dovrebbe fare la scrittrice secondo me, perché certe cose non vanno sprecate. Come il mio saper imparare le lingue solo ascoltandole, oppure il saper riprodurre fedelmente un dipinto, tratto per tratto. Però io il mio talento lo so che non avrò mai voglia di svilupparlo, e che è uguale a quello di molti altri. C’e un sacco di gente brava quanto e più di me a scuola. Però India ha un talento raro, soprattutto fra i ragazzi. Lei trasforma le parole in immagini, ecco, e se hai voglia di leggerti o ascoltarti tutte le descrizioni, alla fine ti vedi tutta la scena che ha lei in testa, e viaggi in altri posti senza muoverti di un passo. Leggere le storie di India è una buona alternativa ai soldi.
Comunque qualcos’altro, oltre al fatto che è bravissima, l’ho notato: India scrive sempre di mondi fantastici, non l’ho mai sentita leggermi niente che fosse ricollegato al mondo reale. Soprattutto, le sue storie sembrano destinate a non finire mai. Non nel senso che sono lunghe, ma nel senso che si capisce che c’e altro, dopo. Un giorno le ho chiesto perché non parlasse mai del mondo reale e lei mi ha risposto una cosa che mi ha colpita molto: lei scrive di mondi fantastici perché, molto semplicemente, detesta quello in cui vive. E in quel momento mi sono ricordata perché io e India siamo diventate amiche: lei era nel parco e i suoi alcuni suoi amici volevano spingerla a buttarsi dallo scivolo alto, ma lei non voleva perché aveva paura e ha detto queste esatte parole: ‘io non mi butto perché ho paura e perché non sono capace. Quando avrò imparato lo farò’. Io il giorno dopo sono tornata al parco e ho sentito i suoi amici chiederle se ora era capace. Lei aveva detto di no, ed è continuato così per una settimana. Un giorno è arrivata un po’ in ritardo al parco e, tranquillissima, senza dire niente a nessuno, è salita sullo scivolo alto e si è buttata atterrando in piedi, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
È per questo che mi piace India, è una che conosce i suoi limiti e sa come superarli. Non centra molto con la risposta che mi ha dato, però è così.
Sta iniziando ad appassionare anche me con questa cosa delle storie, anche perché una volta mi ha detto che non sa mai come finirle. Vince il bene? Oppure il male? È una scelta difficile, molto. Non ha aggiunto altro, però io un po’ ci ho pensato, anche mentre mi ripeteva filo. È una bella materia, ti aiuta a pensare, anche se è un po’ troppo noiosa per i miei gusti. Mi sono chiesta perché per lei era così difficile scegliere se far vincere il bene o il male. In tutte le storie vince il bene, perché lui è quello che deve vincere, no? Insomma, a me leggere non piace, però un libro che finisce male mi viene ancor meno voglia di leggerlo.
Dieci anni dopo
Continuo a dipingere ‘Il Bacio’ di Francesco Hayez, copiando con cura ogni sfumatura, ogni gioco di luce. Gran bel quadro, il Bacio. Pieno di significato. Molto proficuo, soprattutto. Diecimila euro per un falso. Considerato che fra colori giusti, tela e viaggio andata e ritorno per la Francia ne ho spesi meno di mille, è un buon affare. Non uno dei miei migliori. Potrei anche dipingere da sola, usando la mia fantasia, ma nessuno compra i quadri di una figlia di nessuno, non qui in Italia. Considerato che so quindici lingue, senza contare greco, latino e tutte le varietà di inglese, e soprattutto che sto imparando il giapponese, sono certa che me la caverei egregiamente quasi ovunque. Do l’ultima pennellata e poi mi alzo dal mio sgabello facendo un passo indietro. Niente male, davvero niente male. Come al solito non si distingue il vero dal falso.
Mi stiracchio e lascio il mio laboratorio, decidendo che posso concedermi una doccia mentre il dipinto si asciuga. Considerato il tempo che ci mettono i dipinti ad olio ad asciugarsi, ho tutto il tempo che voglio.
Meno di due ore dopo sono in un bar, con una cioccolata calda fra le mani (non sopporto il caffè) e il Corriere sul tavolo. Mi sto leggendo l’ennesimo discorso del presidente uscente. Ce ne sono solo poche righe ma … per poco non mi rovescio addosso la cioccolata. Riconosco quel tipo di scrittura, e che io sia dannata se non è quello di India!
Mike, accanto a me, fissa la mia faccia stupita alzando un sopracciglio. Non è minimamente normale che io faccia così, ma proprio per niente. È il tirapiedi del mio capo, uno che spaccia droga, con problemi con gli sbirri. Beh, anche io ho problemi con gli sbirri, e non mi riferisco al falsificare quadri famosi: sono invischiata in affari ben peggiori. I quadri o lo spaccio di droga sono l’ultimo dei miei problemi.
“Guarda, quello là dietro è il mio capo” Mike me lo ha indicato, un tizio dietro al politico, seminascosto e con un sorriso viscido.
“E che ci fa lì?” la mia domanda suona piuttosto ingenua, e subito mi mordo un labbro.
“Non lo so, però è lui” ribatte l’idiota che mi deve far concludere l’affare con una alzata di spalle.
Penso a quel politico, che usa le parole di India per farsi eleggere. Perché solo lei potrebbe fare discorsi così, che ti arrivano dentro e ci restano, continuando a pungolarti finché non li hai ascoltati. Mi alzo di scatto. So che alcuni politici sono invischiati in faccende poco pulite, ma quello è il Presidente, e i presidenti non dovrebbero fare certe cose. Nemmeno le brave persone dovrebbero, ad essere sinceri, quindi io avrei solo da star zitta, ma dettagli.
Ho ancora il numero della nonna di India. Era in mezzo ad uno dei miei libri delle superiori. In prima India non aveva ancora il cellulare e vivendo con la nonna mi aveva dato il suo numero. Molto utile, fra parentesi. Dovevo dirle che cosa faceva il tizio per cui scriveva i discorsi … ma perché, poi? E cosa le avrei detto? ‘Oh, ciao India! Ti ricordi di me? Sono Chiara, la tua migliore amica fino alla quinta superiore. Volevo dirti che ho letto un pezzo sul giornale che potrebbe essere il tuo, e volevo informarti che quello per cui probabilmente scrivi i discorsi è invischiato nella malavita’. Già me la immaginavo. Probabilmente se non mi avesse denunciata sarebbe stato solo in nome dell’antica amicizia. E poi non avevo prove, eccetto la parola di un contrabbandiere che sarebbe scomparso in un nanosecondo solo se avessi accennato alla parola ‘processo’. Anche io sarei sparita in un nanosecondo se si fosse parlato di processi. Chiusi il telefono con un click. Ma che stavo facendo? Io ero quella che portava sulla cattiva strada, non quella che faceva del bene. Era India che avrebbe chiamato qualcuno per avvertirlo di quello che stava succedendo, non io. E poi, non ci vedevamo da anni. Aveva il diritto di vivere la sua vita.
Mi misi il telefono in tasca e andai a controllare il dipinto. Io non ero quella che faceva la cosa giusta. Non lo ero mai stata. 

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: kety100