4.
Sentii
una mano tirarmi la manica e per un attimo mi convinsi di essere ancora nel
millenovecentonovantacinque. Invece la mia mente intorpidita da quel tuffo nel
passato appena notò la figura di mio marito che passava per il corridoio mentre
era al telefono, probabilmente con qualche suo cliente. La piccola bambina che
mi tirava il maglione era Jane, mia figlia.
Aveva
sette anni, i capelli biondi e due grandi occhi
azzurri, un viso tondo e morbido con un nasino perfetto al centro. Le labbra
erano rosse e piccole ma abbastanza carnose. Sarebbe diventata una bella donna.
La
presi in braccio e mi cinse le piccole mani attorno al collo.
“
Mamma quella sei tu? ”
Mi
voltai verso il computer e la foto del ballo studentesco capeggiava sullo
schermo. La chiusi immediatamente e spensi il computer, mentre Tom cantava
ancora qualcosa come “ It’s the worst damn day of my life ”. Puoi dirlo forte
amico, pensai. La voce di Mark però si catapultò nei pensieri e aggiunse “ It doesn’t hurt that much ”.
Mi
alzai e andai in cucina tentando di sgomberare la mente, eppure continuava a divagare
su quel periodo che avevo giurato a me stessa di dimenticare per sempre.
D’altronde
lui me l’aveva sempre detto, puoi bruciare i ricordi o farli a pezzi, ma appena
vedrai una fotografia o un dettaglio famigliare ti porteranno
alla luce quei pensieri e faranno più male di prima.
In
effetti era così, quella foto portò
alla mente altri spaccati di quell’anno che non ricordavo da parecchio tempo.
Per fortuna ero troppo occupata a badare a Jane e a iniziare a cucinare per
perdermi ancora a vagheggiare sul mio passato.
“
Scusa. Buongiorno. “
Mi
schioccò un veloce bacio sulle labbra e come al solito
sparì nel suo studio.
All’inizio
il nostro matrimonio era molto felice. Tutto ciò che avevo sempre desiderato.
In questo periodo potevo ritenermi sì soddisfatta, ma ormai passavamo più tempo entrambi a lavorare che a occuparci di noi stessi.
Io ero fortunata a poter lavorare anche da casa, lui invece pur avendo la mia
stessa possibilità si isolava nella sua stanza.
Mentre
le verdure soffriggevano in padella e mia figlia giocava con una Barbie, mi
voltai a guardare la città: San Diego non era poi così cambiata. Le strade
erano le stesse, i negozi forse erano nuovi ma anche gli edifici erano
identici. Le persone erano cambiate. Io ero cambiata.
Nonostante
questo fu facile trasalire quando una giovane dai capelli rossi passò mano per mano con un biondino. Era come se fosse ieri. In fondo le
strade erano le stesse.
Mancava
poco al diploma e prima di esso c’era solo una cosa che mi spaventava di più:
il ballo scolastico.
Non ci
ero mai andata, ma dato che si trattava dell’ultimo
anno ricevevo ormai da settimane pressioni da parte di Jane e fuori da scuola
si aggiungevano Caroline ed Andrew.
Non
capivo l’importanza di quella tappa che tutti consideravano ‘ fondamentale ’
nella vita di un giovane adolescente americano. Era una stupida festa con del
punch dal sapore orrido, insegnanti che ti additavano e tiravano fuori dal loro
armadio vestiti risalenti all’epoca dei tirannosauri con la febbre del sabato
sera e ragazzi vergini pronti a tutto pur di vedere un paio di mutandine.
Mentre
facevo tutte queste considerazioni il mio interlocutore
si era adagiato sul mio letto come se niente fosse, quasi certamente non mi
stava ascoltando.
“ Perché
quella scritta? ”
Mi
voltai e alzai gli occhi verso il soffitto. Mi tuffai sul letto anch’io, un po’
sfinita da tutte le mie blaterazioni.
“ Quando
avevo tredici anni dovevo dipingere la stanza. Io e
mia madre andammo a scegliere il colore, ma me ne piacevano troppi, e alla fine
li comprammo tutti. Giunte a casa decisi di dipingere solo il soffitto e uscì
questo. Volevo aggiungerci una scritta e mia madre mi suggerì quella… buffo è? “
Quando
guardai verso sinistra due occhi nocciola mi studiavano
con espressione incerta. La sua mano passò sul mio viso accarezzandomi. Per la
prima volta dopo mesi sentii ancora il cuore sobbalzarmi nel petto per Tom
DeLonge, perché era lui il ragazzo che era in camera mia.
Sarebbe
stata una scena troppo irreale vedere che mi prendeva il viso e affondava le
sue labbra nelle mie. Difatti mia zia Caroline mi chiamò e mi alzai di scatto,
catapultandomi al pian terreno.
Per
l’ennesima volta mi prese le misure, assicurandosi che non fossi né diminuita
né aumentata.
“
Perfetto… perfetto. “, sussurrò
tra i denti.
“
Dovresti essere felice che io mangi adesso, invece di continuare a misurarmi. “
“
Lo sai che è da quattro settimane che ti preparo il vestito?
E’ ovvio che deve calzarti a pennello! ”, tentennò e
prese due ciocche tra le mani. “ Questi capelli non ritornano
normali prima, vero? ”
Senza
rispondere sbuffai e ritornai di sopra, dove il mio amico mi aspettava a
braccia conserte e con un ghigno sulla faccia. Era stato lui a farmeli rossi.
“
Ancora la storia dei capelli? ”
“
Non si arrenderà mai. Ti odierà per
sempre. ”, lo guardai dal basso e gli diedi un buffetto sulla
fronte.
Da
quella sera di maggio io e Tom ci vedevamo
praticamente tutti i giorni. Anche Mark e Anne li vedevo spesso, capitava ogni due o tre pomeriggi di uscire e andare a San
Diego, passammo anche un week-end insieme al mare. Ma
con Tom era diverso. Lui ormai era parte delle mie abitudini e uno dei miei
migliori amici, in quanto io ero con tutta probabilità
la sua. Mi spaventava come avessi fatto in fretta a fidarmi di lui o come fosse
riuscito a comprendermi fin da subito, eppure in poco tempo mi era entrato
sottopelle come poche persone erano riuscite a fare e
difatti solo lui aveva l’onore di poter vedere casa mia.
Vidi che
stava lì in piedi a fissarmi.
“ Che
c’è? Te ne vai? ”
“ Ehm,
no… prima… ”
“
Cosa? ”, domandai
non capendo a cosa alludesse.
“
Niente, niente. ”
Ci
stendemmo ancora sul letto con la faccia verso il soffitto. Una strana luce
entrava dalla finestra, il tramonto si stava avvicinando. Iniziai a disegnare
le linee che la luce creava con un dito. A volte ci bastava il silenzio, non
avevamo bisogno sempre di chiacchierare. Forse perché eravamo simili. A dirla
tutta più che simili eravamo praticamente identici.
Conoscere
una persona come Tom mi scombussolò l’esistenza perché per la prima volta una
persona pensava le mie stesse cose, scherzava alla stessa
maniera e sembrava essere sulla mia lunghezza d’onda. Era come se mi avessero
trapiantato nel corpo di un ragazzo e viceversa.
Mi
voltai sorridendogli e lui mi diede un tenero bacio sulla fronte. Si mise a
disegnare anche lui quelle strane linee di luce e per un attimo mi persi ad osservarlo.
Ora
ricordavo e ritornarono le palpitazioni avute un attimo prima. Desiderai con
tutta me stessa che mia zia non fosse mai arrivata.
Spesso
mi ero persa ad immaginarmi fidanzata con lui ma li
consideravo pensieri frivoli e infondati. Alcune volte il sentore che anche lui
potesse provare i miei dubbi mi era giunto, tuttavia cercavo sempre di non dare
troppo peso a quelle mie riflessioni.
Eppure
in quel momento mi persi più del solito tant’è che dopo un po’ mi guardò e si
mise a ridere.
“ Chiudi
quella bocca da pesce Jos ”
Mi
ripresi e resi conto di averlo fissato con poca circospezione. Avrei voluto
nascondermi sotto al letto dalla vergogna.
“
Scusa, mi stavo… addormentando. ”, ridacchiai un po’ e mi sollevai, sedendomi sul letto. Mi
tirò giù per un braccio e continuò così ogni volta che tentavo di alzarmi. Dopo
svariate volte mi sollevò senza alcuna fatica e
affondandomi nel fondo del letto iniziò a farmi solletico. Non riuscivo a
opporre resistenza se non urlando o assestando qualche calcio fortunato che
partiva mentre mi agitavo.
Pian
piano si placò e con gli occhi pieni di lacrime riuscii a vederlo: aveva l’aria
soddisfatta ed i capelli spettinati, i vestiti
sgualciti. Io ero probabilmente in condizioni peggiori.
Mi alzai
e passandogli una mano tra i capelli glieli sistemai. Lui mi sfilò un dito
sotto l’occhio sinistro e tolse la matita in eccesso. Smisi di sorridere e
sentii che la sua mano calda era sempre sul mio volto.
Iniziai
a sudare e arrossii, il cuore mancava poco che schizzasse fuori.
Mi mise
una mano sul petto e sorrise un po’, bisbigliando qualcosa di
incomprensibile.
Sentii
che tremava ed anche io iniziai ad avere qualche
fremito. Lo stomaco mi si contorceva e la mente viaggiava veloce.
Presto
sentii le sue labbra morbide sulle mie, poi la sua bocca si schiuse e andrò in
cerca della mia lingua, che trovò subito. Mi baciava sempre con più foga e
passione, ma non era sgradevole, anzi.
In un
istante mi trovai sdraiata con lui sopra. Staccò il viso e mi guardo, con un
sorriso per cui sarei morta e resuscitata. Se il paradiso non fosse esistito non m’importava, io l’avevo già trovato.
Ritornò
a baciarmi e senza nemmeno rendermene conto misi una mano sotto la sua
maglietta. Non ci capacitammo del come e del perché, eppure io tolsi la sua e lui quasi strappò la mia. Dopodiché tento di aprirmi i
pantaloni, ma il bottone era più ostico del previsto.
Il
desiderio aveva preso ormai il posto dei sentimenti e
andavamo in cerca di quello che avevamo evitato addirittura di pensare in tutte
quelle giornate spese assieme.
Improvvisamente
si fermò e strabuzzò gli occhi. Anch’io capii e un po’ sbigottita mi rivestii.
“ Non
era esattamente così che l’avevo immaginato ”, furono le prime parole che
uscirono dalla sua bocca.
Annuii e
andai a risistemarmi i capelli.
Mentre
mi guardavo allo specchio provai ugualmente una sorta
di soddisfazione che mai avevo percepito a quel modo in tutta la mia vita.
Presto
sentii le sue mani cingermi i fianchi e quando mi voltai ancora una volta la sua bocca catturò la mia e mi persi ad assaporare
quel territorio a me sconosciuto.
L’ultimo
ragazzo che avevo avuto risaliva alla terza superiore, eravamo stati insieme
due mesi e poi avevo deciso di piantarlo, stufa di sentirmi costantemente oppressa
da una persona pesante e che portava all’esasperazione. Tom doveva aver avuto
dozzine e dozzine di ragazze, al contrario io ero decisamente
più inesperta.
“ Cosa stiamo facendo Thomas? ”
“ Quello
che avrei dovuto fare quella sera di aprile. ”
Neanche
mi era passato il pensiero di essergli rimasta impressa quella sera, ma a
quanto pareva non ero l’unica ad aver fantasticato nel letto quella notte.
“ Ti
ricordavi di me? ”
“
Eccome… ma te l’ho sempre ripetuto, della tua maglietta.
”
Effettivamente
potevo essere io come altre ragazze, eppure lui sembrava sostenere la sua causa
e ricordare perfino il periodo, perciò preferii non sminuire la sua
immaginazione.
Il
problema in questa storia è che io non ne andavo in cerca. Non ero pronta a
impegnarmi sentimentalmente per poi lasciarmi spezzare il cuore come chissà
quante volte aveva già fatto.
I suoi
racconti mi erano ormai noti: prendeva una ragazza
carina, se la giocava per bene e poi finiva per dirle che lui non aveva mai
definito il tipo di relazione e preferiva non impegnarsi in quel momento.
Questo oltre a non essere rassicurante, agli occhi delle altre lo rendeva
ancora di più desiderabile in quanto il fascino dello
‘ stronzo ’ era risaputo quante ragazze potesse abbindolare.
“ Ma tu non sei convinta… ”
Parlammo
a lungo di quanto questa relazione avrebbe compromesso la nostra amicizia, dal
canto suo lui disse che ormai con quei baci avevamo già fatto il danno e in
cuor mio sapevo che aveva ragione.
Elaborammo
qualsiasi ipotesi e ogni volta me le stroncò tutte quante. Quel che mi
domandavo era se avesse fatto così anche con le altre.
Alla
fine anche io ero esausta di pensare, era meglio
tirarsi su le maniche ed agire senza riflettere troppo, per una volta non
volevo essere vigliacca. Volevo cogliere il mio attimo e farlo durare per
sempre.
Sospirai
e mi guardò con aria interrogativa, neanche lui sapeva ciò che mi poteva
passare per la testa in quel momento, e io ne sapevo
ancor meno di lui. Feci quello che l’istinto mi suggerì.
“ Se tu
mi spezzassi il cuore io te ne farò pentire
amaramente, chiaro? “, non ero mai stata così seria con lui e
nemmeno l’avevo mai additato in quel modo. Indietreggiava per non
guardarmi negli occhi forse, così gli presi il viso e lo costrinsi a fissarmi.
Deglutì.
“
Ti farò cambiare idea. Ogni volta che mi
mentirai o vorrai fuggire da me ti sentirai l’essere
più ignobile di questo mondo. Quindi gioca pure Tom DeLonge, e
io giocherò la mia parte. ”
All’epoca
non potevo saperlo, ma più tardi mi chiesi «Perché
non te ne sei andato se già sapevi che avresti rovinato tutto?».
Shapespace:
finalmente siamo tornati al presente. Ovviamente c'è un ritorno al passato ma era bene tornare un po' anche al presente, ecco.
Spero che vi piaccia questa fan fiction perché mi prende molto scriverla e vorrei che arrivasse nel modo giusto (: Recensite se avete da recensire, se no... ~alla prossima!~