Quattordici
Tomorrow never
knows
Domani non si sa mai
When the wheels
touch ground
Quando le cose toccano il suolo
If
I had my way
If
I had to lose
Wouldn't
take back one thing
Never
had much to choose
Then
it dawned on me
Coming
down on you
Like
a cold sky raining under a burning moon
Waiting
all your life, your wish is coming true
Bless
your heart for beating me right out of you
Miss
the misery
Need
a reason for a change
Need
a reason to explain
So
turn it on again
Don't
change your mind
Your
wasting light
Getting this?
Se fosse per me
Se
dovessi perdere
Non sarebbe riprendere una cosa
Non
ho mai avuto molta scelta
Poi mi sono accorto
Scendendo su di te
Come un cielo freddo di pioggia sotto
una luna ardente
Hai aspettato per tutta la vita, il
tuo desiderio si sta avverando
Benedici il tuo cuore a battere per
me, fuori di te
Perdere
la miseria
Hai bisogno di un motivo per un
cambiamento
Hai bisogno di un motivo per spiegare
Quindi riaccendilo
Non cambiare idea
La tua luce sprecata
Per avere questo
(Miss
the Misery, Foo Fighters)
Novosibirsk, 21 Gennaio
2013
-Papà... Papà!-
Fëdor guardò il figlio con
due occhi terribilmente vacui, limpidi cristalli turchesi che ora sembravano
sanguinare, come divorati da una luce lacerante.
Le sue mani tremavano, tutto
il suo corpo tremava, scosso da spasmi violentissimi.
Le sue labbra cercarono di
formulare qualche parola, ma non vi riuscirono.
Gli si spezzarono in gola,
quelle parole, e si spezzò anche il suo corpo, trascinato a terra dai tremori e
dalle convulsioni che ormai offuscavano tutto il resto, anche l’immagine di
Lev, il suo Levočka.
Il suo adorato, unico figlio, il bambino che aveva
cresciuto da solo e che era cresciuto prima di lui.
-Papà!-
gridò ancora una volta Lev, terrorizzato, perché alle crisi di suo padre era
abituato, ma di così violente ne aveva avute solo immediatamente dopo l’arresto
di Anastasija, quando era anche lui in carcere, e Lev allora era troppo piccolo
per poter ricordare, per poterlo aiutare.
Poi gli crollò era le braccia,
quel padre.
Stremato, straziato, e infine svenuto.
L’epilessia gli aveva
strappato ogni energia, ogni speranza di rimettersi in piedi.
Era sempre stato così, dal
14 Dicembre 1991.
Era sempre stato così, senza la sua Anastasija.
-Papà...-
Un sussurro quasi
impercettibile, quello di Lev.
Sfiorò le palpebre di suo
padre, che si mossero appena.
-Papà!-
Piangeva, Lev, come non
faceva da anni.
Come un bambino in
frantumi, con il cuore ancora troppo fragile e le certezze ancora troppo
acerbe.
Come un bambino spaventato a morte ed
inconsolabile.
Pianse tra le mani nivee
di suo padre, che avevano appena smesso di tremare.
-Левочка...
Мне
жаль-
Levočka... Mne žal’.
Mi dispiace.
Ma lui non doveva
dispiacersi.
Non doveva.
Era per il dispiacere che s’era
ammalato, era il dispiacere che gli aveva portato via il cuore.
Il dispiacere di non avere
più Anastasija e poi neanche Lev.
Il dispiacere, anzi, la disperazione.
Agli epilettici anche la felicità
faceva paura, perché tutte le emozioni troppo forti scatenavano una crisi,
anche quelle bellissime, aspettate da una vita.
Come l’evasione di Anastasija.
La sua Anastasija.
-Tornerà... Tornerà da noi...- mormorò, fra le
lacrime.
Adesso piangeva anche lui,
e abbracciava forte suo figlio.
Tremava ancora, ma stavolta
d’emozione.
-Sì, papà, sì! Ce l’abbiamo fatta, adesso anche noi saremo
felici...-
Fëdor sorrise debolmente,
ma un attimo dopo un’altra terribile paura ferì la sua mente devastata.
-Dov’è?-
E allora anche a Lev crollò
il mondo addosso.
Tutto il mondo, quello che aveva appena ritrovato.
Perché non sapeva dov’era
sua madre.
E senza Anastasija lui e suo padre non ce la potevano
fare.
Lei...
Solo lei poteva guarire Fëdor.
E l’avrebbe guarito...
Ma quando?
L’epilessia e la malattia
mentale non potevano passare come una febbre.
Forse le crisi sarebbero
diminuite, ma la pazzia non gliela potevano estirpare come un ciuffo di
gramigna.
Anastasija l’avrebbe
placata, sopita, domata.
Anastasija era sempre stata tutto, per Fëdor.
I’ve
got another confession to make
I'm your fool
Everyone’s got their chains to break
Holdin' you
Were you born to resist or be abused?
Is someone getting the best, the best, the best, the best of you?
Is someone getting the best, the best, the best, the best of you?
Ho un’altra confessione da fare
Sono il tuo pazzo
Tutti hanno le loro catene da
spezzare
Stringendoti
Sei nato per resistere o per subire
abusi?
Qualcuno sta ottenendo il meglio, il
meglio, il meglio, il meglio di te?
Qualcuno sta ottenendo il meglio, il
meglio, il meglio, il meglio di te?
(Best
of You, Foo Fighters)
[...]
Honey, I want the heart, I
want the soul
I want control right now
Talk about a dream
Try to make it real
You wake up in the night
With a fear so real
Spend your life waiting
For a moment that just don't come
Tesoro, io voglio il cuore, voglio l’anima
Voglio il controllo di tutto adesso
Parliamo di un sogno
Cerchiamo di realizzarlo
Ti svegli di notte
Con una paura così vera
Passi la vita aspettando
Per un momento che non arriverà mai
(Badlands, Bruce Springsteen)
Il campanello li colse
assolutamente impreparati.
Di visite mattutine, per quel giorno, ne era
bastata una.
E poi, se non era la polizia,
chi poteva essere?
-Vado io. Stavolta vado io- decise all’istante Fëdor,
e Lev non poté fare altro che seguire il padre con un nodo in gola.
La ragazzina esitante davanti
ai due Puškin aveva una lunghissima treccia bionda che le ondeggiava lungo
tutto il fianco sinistro e due grandi occhi azzurri limpidi come zaffiri.
Sorrideva
di un sorriso incerto, timido e appena accennato, e non aveva un’aria troppo
spavalda, sebbene il coraggio, era evidente, non le mancasse.
Pareva un’Anastasija
quindicenne solo un po’ più innocente, meno aggressiva, ma ugualmente
Rivoluzionaria, ugualmente
indimenticabile.
-Добрий
день...- Dóbrij
djén’... Buongiorno..., mormorò con voce incredibilmente sottile, simile a
un soffio di vento, un fiocco di neve.
Lev raggiunse suo padre ed
esaminò con fin troppa sfacciataggine ogni centimetro del corpo della
fanciullina.
Ogni filo dorato dei
capelli sfuggito alla treccia, ogni scintilla del suo sguardo turchino.
Ogni sfumatura della sua
pelle candida fino all’inverosimile, ogni fibra di cotone del suo cardigan
bianco che le sfiorava le ginocchia, stretto in vita da una cintura argentata,
per poi scendere con lo sguardo sui suoi attillatissimi jeans neri e sui suoi
stivali alti, di pelle nera lucida.
Non indossava alcun cappotto, ma non dava a
vedere di soffrire il freddo, anzi.
Era come se ne fosse
incantata, incantata da quel gelo sferzante che anche quel giorno, essendo
Gennaio ed essendo mattino presto, sfiorava i sessanta gradi sotto zero.
Dopo un po’ lei distolse
lo sguardo, terribilmente a disagio.
Pareva che le stesse
contando anche le ossa, Lev, da tanto ch’era stupito e ammaliato dalla sua
presenza.
-Sei proprio tu?- le chiese infine, senza fiato.
E prima ancora di ricevere
la sua risposta, come se in fondo non ce ne fosse bisogno, le buttò le braccia
al collo, stringendola forte come faceva Fedja con Nasten’ka prima
dell'arresto, come se lei fosse l’unica
stella rimasta, dal cielo, impigliata tra le sue mani.
-Accidenti quanto sei bella, Aljonka... Allora, cosa vuoi fare? Dove vuoi andare?
Hai già fatto colazione?
Ti serve un fazzoletto, un calzascarpe? Cioè... Scusa.
Le hai già addosso, le
scarpe, anzi, gli stivali. Il bagno è dritto a destra, la mia camera...
Beh, alla mia camera magari ci pensiamo un’altra
volta. Grazie, grazie per essere
venuta!
Sei una favola, un
incanto. Sei la più straordinaria del
mondo.
Non è che magari, uno di
questi giorni... Anche un po’ più in là, se preferisci... Vuoi sposarmi? Beh, adesso va bene se ti preparo le castagne?
Non le brucio, ti giuro che non le brucio...
Anche se quando ci sei tu le
brucio sempre, ma stavolta no, starò attento...-
Aljona era un pochino
spaesata, un po’ tanto, in realtà.
Lo guardava con i begli
occhioni celesti sgranati, mentre lui sembrava in Paradiso.
Per Lev era come se Aljona
fosse stata sempre con lui, in tutti quei giorni in cui l’aveva sognata.
Come se sapesse già tutto, e per questo
fosse lì.
Fëdor, poco lontano, si
tratteneva a stento dal ridere.
Era davvero straordinario,
il suo Levočka.
Straordinario come Anastasija.
-Io... Io adesso devo
andare a scuola... Ma quando torno sono qui... Se tu vuoi...
Ti aiuterò a cercare tua madre, se vuoi-
Le mani tremanti di Lev su
quelle gelide di Aljona, in una stretta così disperata, così sospirata che la
piccola Dostoevskaja quasi ne fu spaventata, ma non si ritrasse, non si tirò
indietro, da tanto che adorava quel dolce calore di ghiaccio che le dita di Lev
lasciavano sulla sua pelle.
-Non andare, oggi non
andare... Resta con me-
When the wheels come down
When the wheels come down
When the wheels touch ground
When the wheels touch ground
And you feel like it's all over
There’s another round for you
When the wheels come down
When
the wheels come down
Quando le cose precipitano
Quando le cose precipitano
Quando le cose toccano il suolo
Quando le cose toccano il suolo
E ti senti come se tutto fosse finito
C’è un altro giro per te
Quando le cose precipitano
Quando
le cose precipitano
(Wheels,
Foo Fighters)
-Maledizione... Maledizione!-
Anastasija guardò con
orrore crescente la profonda piaga che le squarciava la spalla destra, il
sangue colato sulla sua camicia.
Si morse le labbra per non
lasciarsi sfuggire alcun gemito di dolore, e
ce la doveva fare.
Alla fine era stata lei ad avere la meglio.
Alla fine ci era riuscita,
a fuggire.
Quella era l’unica ferita
riportata dalla sparatoria appena fuori dal carcere, e poteva addirittura
ritenersi fortunata.
Il proiettile l’aveva
estratto, e sebbene la medicazione lasciasse a desiderare, più di così non
poteva fare.
Degli altri vestiti erano
impossibili da trovare, al momento, e in fondo a lei non faceva niente,
rimanere con quella camicia con una manica sola, dato che la destra, già
strappata dallo sparo, l’aveva usata per azzardare una fasciatura di fortuna.
Sembrava veramente una
pazza furiosa, perfino più del solito, in quelle condizioni.
La camicia bianca di
Fëdor, che s’era fatta portare pochi giorni da prima in carcere per avere
qualcosa di suo marito su cui piangere almeno nella mente, da indossare e da
sentire sulla pelle come le carezze di un tempo, ormai ridotta a uno straccio,
ma per una buona ragione.
I lunghissimi capelli
biondi arruffati e sparsi ovunque sul suo corpo esile e segnato dal carcere
come una luminosa e fulgida criniera dorata, la coda incandescente di una
stella cometa, le davano un’aria ancora più selvaggia, la splendente selvaggia
dei vicoli ch’era stata da adolescente.
I jeans consunti e sbiaditi
dal tempo e dai troppi lavaggi sbagliati, perché Fedja non la sapeva far andare
un granché, la lavatrice, e un giorno glieli aveva portati di due tonalità di
blu in meno, facendola sorridere.
E poi quella ferita,
quell’emorragia fermata da poco, troppo poco, che ancora bruciava come fuoco
vivo nella carne spaccata.
Ma lei era felice, felice
come non mai, perché era libera, libera di tornare da Lev e Fëdor, o quasi.
Avrebbe voluto farsi una
treccia, raccogliere i capelli in modo perlomeno dignitoso, ma anche se aveva
trentasei anni lei a farsi la treccia da sola non aveva mai imparato, non senza
combinare disastri assurdi che facevano sempre scoppiare a ridere il suo Fedja.
In genere gliela faceva
sempre Fëdor, la treccia.
A casa, poi, aveva un
colbacco identico a quello di Lara nel film del Dottor Živago, e con quello e
la treccia che le sfiorava le caviglie sembrava proprio un’eroina d’altri
tempi.
Assomigliava un po’ a
Julie Christie, anche se la Christie non aveva i capelli lunghi come quelli di
Nasten’ka e, a sentir Fëdor, che riconosceva sì una lieve somiglianza ma
preferiva mille volte sua moglie, la Christie non era nemmeno bella quanto lei.
L’avevano visto insieme
sul divano il 7 Gennaio 1991, il Natale prima che nascesse Lev, esattamente
quattordici giorni prima, e lei era stata per tre ore e mezzo con la testa
sulla spalla di Fedja, che le accarezzava piano i capelli e sorrideva continuamente.
Lei aveva ancora
quattordici anni e Fëdor quindici, quel giorno.
Non avevano paura di
niente, ma in fondo non sapevano ancora niente.
Erano passati ventidue
anni, il loro bambino era cresciuto.
Il dvd del Dottor Živago
chissà dov’era finito, chissà se Fedja l’aveva fatto vedere anche a Lev, un 7
Gennaio con la tempesta di neve fuori dalla finestra e il cuore in gola, un Natale
come l’ultimo che avevano passato insieme.
Doveva stare attenta,
doveva riuscire a raggiungerli.
Doveva far sorridere Fëdor come il giorno in cui
era nato Lev.
-Fëdor, mio Fëdor... Giuro che tra poco sarò ancora
lì con te-
And everyone I've loved
before
Flashed before my eyes
And nothin’ mattered anymore
I looked into the sky
E
tutti coloro che ho amato prima
Sono passati davanti ai miei occhi
E niente ha più avuto importanza
Ho
guardato il cielo
(Wheels, Foo Fighters)
[...]
What
might save us, me and you
Is if the Russians love their children too
Quello che può salvare noi, me e te
Ѐ
che anche i Russi amino i loro bambini
(Russians, Sting)
Note
Tomorrow never knows,
Domani non si sa mai, The Beatles.
When the wheels touch ground, Quando le cose toccano il suolo: Wheels,
Foo Fighters.
Il 14 Dicembre 1991, il giorno della manifestazione in cui Anastasija ha ucciso il poliziotto, è ispirato al 14 Dicembre 1825, storica data della mia adorata Rivolta dei Decabristi a San Pietroburgo ;)
La reazione di Fëdor alla
notizia dell’evasione di Anastasija, la seconda crisi più violenta della sua
vita.
Lev e Aljona, il loro
primo “approccio romantico”, per così dire ;)
Con un Lev fin troppo
logorroico e un’Aljona fin troppo confusa, ma entrambi terribilmente emozionati
e terribilmente vicini.
L’attuale situazione di
Anastasija, che è rimasta ferita in una sparatoria fuori del carcere mentre
cercava di evadere, ma è riuscita comunque a scappare, e adesso la troviamo...non
posso ancora dire dove, se non l’avete già capito ;)
Una manciata dei suo
ricordi d’adolescenza, dei suoi ricordi con Fëdor.
La maggior parte dei Russi
è Ortodossa, e anche Anastasija, Fëdor, Lev e Aljona, quindi il Natale lo
festeggiano il 7 Gennaio ;)
Ora lascio la parola a
voi!
A presto ;)
Marty