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Autore: Natalja_Aljona    30/12/2012    3 recensioni
Novosibirsk, 2013.
Aljona Sergeevna Dostoevskaja e Lev Fëdorovič Puškin, l’aspirante pattinatrice e l’ex terrorista.
Lei quindici anni di sogni, lui ventidue anni di illusioni.
Lei scandalosamente bionda, coraggiosa e incosciente come poche.
Lui troppo impulsivo e troppo innamorato.
Lei frequenta il penultimo anno del Ginnasio, lui ha passato sei anni in carcere per un attentato a Putin.
Perché lui davvero non ci riusciva, a non idealizzare quel Paese, quella Siberia feroce e opprimente, il cuore bianco e grigio della sua Russia sanguinaria e corrotta, a non cullare l'illusione di una Patria gloriosa sotto le macerie della violenza fine a se stessa e le sue stesse cicatrici di ragazzino che credeva ciecamente nel suo mondo immaginario, nei suoi miti bellissimi e impossibili, perché non c'era davvero quella gloria, non c'era davvero quella Patria.
Non c'era davvero quella luce, c'erano solo loro.
Lev con la pelle mangiata dalla prigione e il cuore rubato da Aljona e Aljona fatta di ghiaccio, musica, libri e capelli.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Quattordici

Quattordici

Tomorrow never knows

Domani non si sa mai

When the wheels touch ground

Quando le cose toccano il suolo

 

If I had my way

If I had to lose

Wouldn't take back one thing

Never had much to choose

 

Then it dawned on me

Coming down on you

Like a cold sky raining under a burning moon

 

Waiting all your life, your wish is coming true

Bless your heart for beating me right out of you

 

Miss the misery

Need a reason for a change

Need a reason to explain

So turn it on again

 

Don't change your mind

Your wasting light

Getting this?

 

Se fosse per me

Se dovessi perdere

Non sarebbe riprendere una cosa

Non ho mai avuto molta scelta

 

Poi mi sono accorto

Scendendo su di te

Come un cielo freddo di pioggia sotto una luna ardente

 

Hai aspettato per tutta la vita, il tuo desiderio si sta avverando

Benedici il tuo cuore a battere per me, fuori di te

 

Perdere la miseria

Hai bisogno di un motivo per un cambiamento

Hai bisogno di un motivo per spiegare

Quindi riaccendilo

 

Non cambiare idea

La tua luce sprecata

Per avere questo

(Miss the Misery, Foo Fighters)

 

Novosibirsk, 21 Gennaio 2013

 

-Papà... Papà!-

Fëdor guardò il figlio con due occhi terribilmente vacui, limpidi cristalli turchesi che ora sembravano sanguinare, come divorati da una luce lacerante.

Le sue mani tremavano, tutto il suo corpo tremava, scosso da spasmi violentissimi.

Le sue labbra cercarono di formulare qualche parola, ma non vi riuscirono.

Gli si spezzarono in gola, quelle parole, e si spezzò anche il suo corpo, trascinato a terra dai tremori e dalle convulsioni che ormai offuscavano tutto il resto, anche l’immagine di Lev, il suo Levočka.

Il suo adorato, unico figlio, il bambino che aveva cresciuto da solo e che era cresciuto prima di lui.

-Papà!- gridò ancora una volta Lev, terrorizzato, perché alle crisi di suo padre era abituato, ma di così violente ne aveva avute solo immediatamente dopo l’arresto di Anastasija, quando era anche lui in carcere, e Lev allora era troppo piccolo per poter ricordare, per poterlo aiutare.

Poi gli crollò era le braccia, quel padre.

Stremato, straziato, e infine svenuto.

L’epilessia gli aveva strappato ogni energia, ogni speranza di rimettersi in piedi.

Era sempre stato così, dal 14 Dicembre 1991.

Era sempre stato così, senza la sua Anastasija.

-Papà...-

Un sussurro quasi impercettibile, quello di Lev.

Sfiorò le palpebre di suo padre, che si mossero appena.

-Papà!-

Piangeva, Lev, come non faceva da anni.

Come un bambino in frantumi, con il cuore ancora troppo fragile e le certezze ancora troppo acerbe.

Come un bambino spaventato a morte ed inconsolabile.

Pianse tra le mani nivee di suo padre, che avevano appena smesso di tremare.

-Левочка... Мне жаль-

Levočka... Mne žal’.

Mi dispiace.

Ma lui non doveva dispiacersi.

Non doveva.

Era per il dispiacere che s’era ammalato, era il dispiacere che gli aveva portato via il cuore.

Il dispiacere di non avere più Anastasija e poi neanche Lev.

Il dispiacere, anzi, la disperazione.

Agli epilettici anche la felicità faceva paura, perché tutte le emozioni troppo forti scatenavano una crisi, anche quelle bellissime, aspettate da una vita.

Come l’evasione di Anastasija.

La sua Anastasija.

-Tornerà... Tornerà da noi...- mormorò, fra le lacrime.

Adesso piangeva anche lui, e abbracciava forte suo figlio.

Tremava ancora, ma stavolta d’emozione.

-Sì, papà, sì! Ce l’abbiamo fatta, adesso anche noi saremo felici...-

Fëdor sorrise debolmente, ma un attimo dopo un’altra terribile paura ferì la sua mente devastata.

-Dov’è?-

E allora anche a Lev crollò il mondo addosso.

Tutto il mondo, quello che aveva appena ritrovato.

Perché non sapeva dov’era sua madre.

E senza Anastasija lui e suo padre non ce la potevano fare.

Lei...

Solo lei poteva guarire Fëdor.

E l’avrebbe guarito...

Ma quando?

L’epilessia e la malattia mentale non potevano passare come una febbre.

Forse le crisi sarebbero diminuite, ma la pazzia non gliela potevano estirpare come un ciuffo di gramigna.

Anastasija l’avrebbe placata, sopita, domata.

Anastasija era sempre stata tutto, per Fëdor.

 

I’ve got another confession to make
I'm your fool
Everyone’s got their chains to break
Holdin' you

Were you born to resist or be abused?
Is someone getting the best, the best, the best, the best of you?
Is someone getting the best, the best, the best, the best of you?

 

Ho un’altra confessione da fare

Sono il tuo pazzo

Tutti hanno le loro catene da spezzare

Stringendoti

 

Sei nato per resistere o per subire abusi?

Qualcuno sta ottenendo il meglio, il meglio, il meglio, il meglio di te?

Qualcuno sta ottenendo il meglio, il meglio, il meglio, il meglio di te?

(Best of You, Foo Fighters)

 

[...]

 

Honey, I want the heart, I want the soul
I want control right now
Talk about a dream
Try to make it real
You wake up in the night
With a fear so real
Spend your life waiting
For a moment that just don't come

Tesoro, io voglio il cuore, voglio l’anima

Voglio il controllo di tutto adesso

Parliamo di un sogno
Cerchiamo di realizzarlo

Ti svegli di notte

Con una paura così vera

Passi la vita aspettando

Per un momento che non arriverà mai

(Badlands, Bruce Springsteen)

 

Il campanello li colse assolutamente impreparati.

Di visite mattutine, per quel giorno, ne era bastata una.

E poi, se non era la polizia, chi poteva essere?

-Vado io. Stavolta vado io- decise all’istante Fëdor, e Lev non poté fare altro che seguire il padre con un nodo in gola.

La ragazzina esitante davanti ai due Puškin aveva una lunghissima treccia bionda che le ondeggiava lungo tutto il fianco sinistro e due grandi occhi azzurri limpidi come zaffiri.
Sorrideva di un sorriso incerto, timido e appena accennato, e non aveva un’aria troppo spavalda, sebbene il coraggio, era evidente, non le mancasse.

Pareva un’Anastasija quindicenne solo un po’ più innocente, meno aggressiva, ma ugualmente Rivoluzionaria, ugualmente indimenticabile.

-Добрий день...- Dóbrij djén’... Buongiorno..., mormorò con voce incredibilmente sottile, simile a un soffio di vento, un fiocco di neve.

Lev raggiunse suo padre ed esaminò con fin troppa sfacciataggine ogni centimetro del corpo della fanciullina.

Ogni filo dorato dei capelli sfuggito alla treccia, ogni scintilla del suo sguardo turchino.

Ogni sfumatura della sua pelle candida fino all’inverosimile, ogni fibra di cotone del suo cardigan bianco che le sfiorava le ginocchia, stretto in vita da una cintura argentata, per poi scendere con lo sguardo sui suoi attillatissimi jeans neri e sui suoi stivali alti, di pelle nera lucida.
Non indossava alcun cappotto, ma non dava a vedere di soffrire il freddo, anzi.

Era come se ne fosse incantata, incantata da quel gelo sferzante che anche quel giorno, essendo Gennaio ed essendo mattino presto, sfiorava i sessanta gradi sotto zero.

Dopo un po’ lei distolse lo sguardo, terribilmente a disagio.

Pareva che le stesse contando anche le ossa, Lev, da tanto ch’era stupito e ammaliato dalla sua presenza.

-Sei proprio tu?- le chiese infine, senza fiato.

E prima ancora di ricevere la sua risposta, come se in fondo non ce ne fosse bisogno, le buttò le braccia al collo, stringendola forte come faceva Fedja con Nasten’ka prima dell'arresto, come se lei fosse l’unica stella rimasta, dal cielo, impigliata tra le sue mani.

-Accidenti quanto sei bella, Aljonka... Allora, cosa vuoi fare? Dove vuoi andare?

Hai già fatto colazione? Ti serve un fazzoletto, un calzascarpe? Cioè... Scusa.

Le hai già addosso, le scarpe, anzi, gli stivali. Il bagno è dritto a destra, la mia camera...

Beh, alla mia camera magari ci pensiamo un’altra volta. Grazie, grazie per essere venuta!

Sei una favola, un incanto. Sei la più straordinaria del mondo.

Non è che magari, uno di questi giorni... Anche un po’ più in là, se preferisci... Vuoi sposarmi? Beh, adesso va bene se ti preparo le castagne?
Non le brucio, ti giuro che non le brucio...

Anche se quando ci sei tu le brucio sempre, ma stavolta no, starò attento...-

Aljona era un pochino spaesata, un po’ tanto, in realtà.

Lo guardava con i begli occhioni celesti sgranati, mentre lui sembrava in Paradiso.

Per Lev era come se Aljona fosse stata sempre con lui, in tutti quei giorni in cui l’aveva sognata.
Come se sapesse già tutto, e per questo fosse lì.

Fëdor, poco lontano, si tratteneva a stento dal ridere.

Era davvero straordinario, il suo Levočka.

Straordinario come Anastasija.

-Io... Io adesso devo andare a scuola... Ma quando torno sono qui... Se tu vuoi...

Ti aiuterò a cercare tua madre, se vuoi-

Le mani tremanti di Lev su quelle gelide di Aljona, in una stretta così disperata, così sospirata che la piccola Dostoevskaja quasi ne fu spaventata, ma non si ritrasse, non si tirò indietro, da tanto che adorava quel dolce calore di ghiaccio che le dita di Lev lasciavano sulla sua pelle.

-Non andare, oggi non andare... Resta con me-


When the wheels come down
When the wheels come down
When the wheels touch ground
When the wheels touch ground
And you feel like it's all over
There’s another round for you
When the wheels come down

When the wheels come down

Quando le cose precipitano

Quando le cose precipitano

Quando le cose toccano il suolo
Quando le cose toccano il suolo
E ti senti come se tutto fosse finito
C’è un altro giro per te
Quando le cose precipitano

Quando le cose precipitano

(Wheels, Foo Fighters)

 

-Maledizione... Maledizione!-

Anastasija guardò con orrore crescente la profonda piaga che le squarciava la spalla destra, il sangue colato sulla sua camicia.

Si morse le labbra per non lasciarsi sfuggire alcun gemito di dolore, e ce la doveva fare.

Alla fine era stata lei ad avere la meglio.

Alla fine ci era riuscita, a fuggire.

Quella era l’unica ferita riportata dalla sparatoria appena fuori dal carcere, e poteva addirittura ritenersi fortunata.

Il proiettile l’aveva estratto, e sebbene la medicazione lasciasse a desiderare, più di così non poteva fare.

Degli altri vestiti erano impossibili da trovare, al momento, e in fondo a lei non faceva niente, rimanere con quella camicia con una manica sola, dato che la destra, già strappata dallo sparo, l’aveva usata per azzardare una fasciatura di fortuna.

Sembrava veramente una pazza furiosa, perfino più del solito, in quelle condizioni.

La camicia bianca di Fëdor, che s’era fatta portare pochi giorni da prima in carcere per avere qualcosa di suo marito su cui piangere almeno nella mente, da indossare e da sentire sulla pelle come le carezze di un tempo, ormai ridotta a uno straccio, ma per una buona ragione.

I lunghissimi capelli biondi arruffati e sparsi ovunque sul suo corpo esile e segnato dal carcere come una luminosa e fulgida criniera dorata, la coda incandescente di una stella cometa, le davano un’aria ancora più selvaggia, la splendente selvaggia dei vicoli ch’era stata da adolescente.

I jeans consunti e sbiaditi dal tempo e dai troppi lavaggi sbagliati, perché Fedja non la sapeva far andare un granché, la lavatrice, e un giorno glieli aveva portati di due tonalità di blu in meno, facendola sorridere.

E poi quella ferita, quell’emorragia fermata da poco, troppo poco, che ancora bruciava come fuoco vivo nella carne spaccata.

Ma lei era felice, felice come non mai, perché era libera, libera di tornare da Lev e Fëdor, o quasi.

Avrebbe voluto farsi una treccia, raccogliere i capelli in modo perlomeno dignitoso, ma anche se aveva trentasei anni lei a farsi la treccia da sola non aveva mai imparato, non senza combinare disastri assurdi che facevano sempre scoppiare a ridere il suo Fedja.

In genere gliela faceva sempre Fëdor, la treccia.

A casa, poi, aveva un colbacco identico a quello di Lara nel film del Dottor Živago, e con quello e la treccia che le sfiorava le caviglie sembrava proprio un’eroina d’altri tempi.

Assomigliava un po’ a Julie Christie, anche se la Christie non aveva i capelli lunghi come quelli di Nasten’ka e, a sentir Fëdor, che riconosceva sì una lieve somiglianza ma preferiva mille volte sua moglie, la Christie non era nemmeno bella quanto lei.

L’avevano visto insieme sul divano il 7 Gennaio 1991, il Natale prima che nascesse Lev, esattamente quattordici giorni prima, e lei era stata per tre ore e mezzo con la testa sulla spalla di Fedja, che le accarezzava piano i capelli e sorrideva continuamente.

Lei aveva ancora quattordici anni e Fëdor quindici, quel giorno.

Non avevano paura di niente, ma in fondo non sapevano ancora niente.

Erano passati ventidue anni, il loro bambino era cresciuto.

Il dvd del Dottor Živago chissà dov’era finito, chissà se Fedja l’aveva fatto vedere anche a Lev, un 7 Gennaio con la tempesta di neve fuori dalla finestra e il cuore in gola, un Natale come l’ultimo che avevano passato insieme.

Doveva stare attenta, doveva riuscire a raggiungerli.

Doveva far sorridere Fëdor come il giorno in cui era nato Lev.

-Fëdor, mio Fëdor... Giuro che tra poco sarò ancora lì con te-


And everyone I've loved before
Flashed before my eyes
And nothin’ mattered anymore
I looked into the sky

 

E tutti coloro che ho amato prima

Sono passati davanti ai miei occhi

E niente ha più avuto importanza

Ho guardato il cielo

(Wheels, Foo Fighters)

 

[...]

 

What might save us, me and you
Is if the Russians love their children too

 

Quello che può salvare noi, me e te

Ѐ che anche i Russi amino i loro bambini

(Russians, Sting)

 

 

 

 

Note

 

Tomorrow never knows, Domani non si sa mai, The Beatles.

When the wheels touch ground, Quando le cose toccano il suolo: Wheels, Foo Fighters.
Il 14 Dicembre 1991, il giorno della manifestazione in cui Anastasija ha ucciso il poliziotto, è ispirato al 14 Dicembre 1825, storica data della mia adorata Rivolta dei Decabristi a San Pietroburgo ;)

 

La reazione di Fëdor alla notizia dell’evasione di Anastasija, la seconda crisi più violenta della sua vita.

Lev e Aljona, il loro primo “approccio romantico”, per così dire ;)

Con un Lev fin troppo logorroico e un’Aljona fin troppo confusa, ma entrambi terribilmente emozionati e terribilmente vicini.

L’attuale situazione di Anastasija, che è rimasta ferita in una sparatoria fuori del carcere mentre cercava di evadere, ma è riuscita comunque a scappare, e adesso la troviamo...non posso ancora dire dove, se non l’avete già capito ;)

Una manciata dei suo ricordi d’adolescenza, dei suoi ricordi con Fëdor.

La maggior parte dei Russi è Ortodossa, e anche Anastasija, Fëdor, Lev e Aljona, quindi il Natale lo festeggiano il 7 Gennaio ;)

Ora lascio la parola a voi!

 

A presto ;)

Marty

  
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