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Autore: kiara_star    30/12/2012    5 recensioni
[Crossover | Magnus Martinsson (Wallander BBC); Eric (Snow White and the Huntsman)]
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" La rabbia velocizza i miei passi, ed i cento metri mi sembrano esser solo poche falcate. Mi fermo respirando a pieni polmoni. Non posso farmi prendere dalle emozioni adesso. Sono un maledetto detective, anche se sembra che nessuno se lo ricordi.
[...]
«Polizia?» Sposta lo sguardo sul distintivo. «Non hai la faccia da poliziotto.» Un sorriso gli piega le labbra ed i suoi occhi sono di nuovo su di me. "
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chris Hemsworth, Tom Hiddleston
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Crossover is the way!'
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2. L’uomo dagli occhi di ghiaccio
Detective Martinsson



II. La differenza fra Indagare e Curiosare



«Signor Huntsman, lei non si è accorto di nulla stanotte?»
Devo tornare all’indagine. Sono qui per questo: indagare sul furto ai danni della signora Amanda Fustern.
Eric Huntsman è un potenziale testimone o, al limite, un potenziale sospettato. È solo questo. Deve essere solo questo.
Eppure faccio fatica a convincermene. Mi è incredibilmente difficile concentrarmi sulle sue parole senza lasciare che pensieri estranei mi affollino il cervello.
Sono abbastanza maturo per non cedere alle sue provocazioni (vedi battuta poco carina sui miei capelli), sono abbastanza “detective” da non lasciarmi incartare in qualche discorso al fine di sviarmi, sono abbastanza etero da non farmi distrarre dalla sua evidente avvenenza.
Lo sono.
Lo sono?
«Non so niente di ieri sera. Sono andato a letto presto e mi sono alzato altrettanto presto.» Un pezzo di legna in ogni mano «Non ho idea di quello che sia successo in casa di quella vecchia.» Mi supera ed appoggia i ciocchi sugli altri, ordinatamente allineati fra due paletti.
Seguo con lo sguardo ogni suo gesto. Appunto ogni sua parola. Studio ogni sua espressione.
Il suo viso è una tela affascinante: ci sono sottili linee che gli attraversano la fronte ed altrettante gli angoli della bocca quando sorride. Quando parla, tende a passarsi la lingua sulle labbra. Perché è ottobre e fa freddo, ed anche se sembra non accusarlo, l’aria secca di Ystad, non risparmia di asciugare quelle labbra carnose.

L’hai rifatto, Magnus. Hai di nuovo sconfinato con i pensieri.
Scuoto la testa.
«Quindi lei era in casa?» Mi lancia un’occhiata a stento e continua a sistemare altra legna.
«Te l’ho detto: sono andato a letto presto.»
«Quanto presto? Erano le 21? Le 23? Era prima o dopo mezzanotte?» Si ferma, mi guarda. Mi fissa. Mi ghiaccia con le sue iridi.
«Era presto.» Un tono che non ammette repliche e che si colora di un’evidente nota d’irritazione. Sembra facilmente irascibile. Dovrò stare attento a come mi muovo.
«Va bene, signor Huntsman.» Fingo di annotare qualcosa sul blocchetto, ma in realtà sto ricalcando il suo nome. «Lei vive qui da solo?» Non risponde immediatamente. Anche lui mi sta studiando, glielo leggo negli occhi. Reclina di qualche grado la testa dal lato destro ed aggrotta le sopracciglia.
Brutto segno, Magnus. Brutto segno.
«Non starai pensando che io c’entri qualcosa con questa storia, vero?»
No, in realtà ho smesso di pensare chiaramente da quando sono entrato in questa casa. Ma sotto la massa di patetiche riflessioni, c’è un vago sospetto.
«Assolutamente!» Cerco di essere convincente. Se un testimone/sospettato si mette sulla difensiva, è tutto più difficile. Già sto facendo fatica di mio a portare avanti quest’assurda indagine, se lui inizia a creare altre difficoltà, può solo peggiorare. «Volevo solo farle qualche domanda. Se non le dispiace.» Spero che il mio tono sia stato abbastanza cortese. Spero che non abbia tradito alcuna agitazione. Spero, soprattutto, che questa giornata abbia presto una fine. «Se è un problema, posso tornare più tardi, o questo pomeriggio.» Aspetto una sua reazione e non mi accorgo di aver appena iniziato a giocherellare con la penna che ho nella mano.
Controllo. Cerca di avere controllo.
Mi studia ancora e poi getta uno sguardo verso casa sua.
«Ti do cinque minuti.»
«Basteranno.» Gli sorrido gentile ma lui non ricambia. Conficca l’ascia nel legno del grosso ceppo e si avvia verso la porta sul retro. Non aspetto che mi inviti e lo seguo.

Se è possibile - e dubito fortemente lo sia - sono ancora più in soggezione di quanto non lo sia stato prima.
La casa di Eric Huntsman è il perfetto riflesso del suo carattere. Colori neutri, assenza totale di sopramobili. Assenza totale di dettagli che ne rivelino la natura. Solo linee primitive, solo l’essenziale.
Mi inquieta, mi agita.
Al centro dell’enorme salotto scarno, un tavolino di legno ed un divano di pelle marrone. Un grande camino sulla parete, che irradia la stanza di arancio e riempie l’aria di un caldo quasi asfissiante. Ma forse sono io ad avvertirlo troppo.
Mi siedo mentre lui va in cucina. È sulla parete destra, riesco a vedere solo le mattonelle di un pallido avorio. Mi allento il colletto del maglione e mi chiedo se non sia il caso di togliermi la giaccia. Non lo faccio. Sono solo cinque minuti, cinque caldissimi e soffocanti minuti e poi uscirò da qui.
«Prendi.» Mi volto quando entra nella stanza. Nella mano, una lattina di birra.
«Grazie, ma non posso bere in servizio.» Inizio a trovare irritante che si rivolga a me con tale confidenza, mentre io sono ancora fermo al “Signor Huntsman”.
«È analcolica» sospira poggiandola sul tavolo e si siede accanto a me.
C’è la presenza di un cuscino a separarci, eppure mi sento come se fosse un confine davvero troppo sottile. Trenta centimetri sono troppo pochi. Avrei bisogno di metri, di centinai di metri.
«Grazie.» Mi avvento sulla lattina e ne bevo un sorso. La sua è stretta nel palmo destro e credo sia quasi terminata, perché mentre beve, reclina molto la testa. Il suo collo è grosso quasi quanto la mia vita.
Magnus, scheletrico detective svedese!
Riappoggio la birra sul tavolo e riapro il mio blocchetto.
«Lei che lavoro fa, signor Huntsman?»
«Lavoro al porto. Allo scarico merci.» Come sospettavo, la sua birra è finita, e la poggia sul legno accanto alla mia.
«Oggi non lavora?» Sorride.
«Ho il turno alle 14.00.» Credo che trovi buffe le mie domande. Inizio a pensare che trovi buffo me, e quel pensiero mi innervosisce.
«Vive qui da solo?» Ripongo la domanda a cui non ha risposto prima, anche se ormai la risposta mi è chiara. In questa casa non vi è la presenza di qualcun altro, tantomeno di una donna.
«Sì.» Ha perso il sorriso, e quella singola sillaba è più un ringhio che altro. Vorrei indagate oltre. Vorrei sapere se era sposato, fidanzato. Se ha una qualche relazione complicata in corso. Ma non sono informazioni pertinenti al caso. Non devono essere neanche informazioni pertinenti alla mia assurda curiosità.
«Ehm... » Rileggo le risposte e mi rendo conto che non so che altro chiedergli. Non sa niente del furto, e questo non lo rende un testimone. Non ho prove né indizi a suo carico, per cui è escluso dai sospettati, almeno per ora. Eric Huntsman non è di alcuna utilità per il caso Fustern. Dovrei andare via e tornare alla centrale da Lisa. Dovrei.
«Hai finito?» Rialzo gli occhi su di lui. Ha un’espressione annoiata e la chiara voglia di vedermi fuori da casa sua quanto prima, stampata in quelle iridi di ghiaccio.
Vacillo nella risposta.
Si, grazie per il suo aiuto.” Dovrei replicare. Dovrei alzarmi ed uscire. Dovrei dirgli che se per caso ricordasse qualcosa, può chiamarmi e dovrei allungargli il biglietto con il numero della centrale. Dovrei uscire dal cancello e percorrere i cento metri. Dovrei infilarmi nella mia auto ed affidare il caso Fustern ad un altro.
«A dire il vero, avrei qualche altra domanda.» Ed invece finisco con il dire una frase tanto sbagliata quanto falsa. Mi guarda negli occhi e sbuffa, ed io inizio ad avere il panico perché non ho la più pallida idea di che cosa chiedergli. Ma mentre faccio a pugni con la mia stupidità, lui si alza dal divano.
«Hai fretta?» Non capisco il senso della domanda. Scuoto la testa come risposta. «Ok, allora aspetta qui.» Si allontana in direzione delle scale.
«Mi scusi-» Ma le mie parole sono bloccate.
«Vado a farmi una doccia.» Si volta appena «Non andartene a curiosare in giro. Chiaro?» Il suo sguardo è un fucile a canne mozze che mi ha appena sparato dritto al petto.
«Signor Huntsman, non oserei mai.» E gradualmente sparisce dalla mia vista.


Sprofondo le dita fra i capelli e mi poggio con i gomiti sulle ginocchia.
Ma che diamine stai facendo? Non è questo il modo di portare avanti un’indagine!
Sono troppo stressato. Ho bisogno di una vacanza, di una dannatissima vacanza lontano da Ystad, da Kurt, da Lisa e da tutto il resto. Volevo lavorare sull’omicidio di San Pietro, ed invece sono qui in casa di uno che di cognome fa “Cacciatore”!
Respiro a fondo. Questo fuoco mi sta ustionando.
Mi sfilo la giaccia e la getto sul divano. Poi mi alzò ed inizio a passeggiare avanti e indietro con le mani sui fianchi.
Devo ragionare: posso andarmene, non ho motivo di rimanere. Sì, posso farlo, anzi, devo farlo. Aspetterò che finisca la doccia, per educazione, e poi mi congederò come avrei dovuto fare da un pezzo.
Rispetta il piano, Magnus, e non avrai problemi.
Rallento i passi fino a fermarmi. Sposto lo sguardo sull’enorme camino e poi lo faccio vagare in giro. Questa casa è grande per una persona sola, ed Eric Huntsman è una persona sola. Almeno così ha detto.
Una casa grande e spoglia. Non un quadro sulla parete, non una foto. Niente di niente. Muri vuoti e mal tinti, pavimento privo di tappeti e mobilia che ha visto più anni di me.
Mi sono trasferito da poco.
Da dove? Da dove si è trasferito? Da un’altra città, o da un altro stato?
I suoi lineamenti non sono svedesi. Potrebbe essere solo puro caso, eppure qualcosa mi dice che non è così. La sua pelle è ambrata ed i suoi capelli rasentano l’ebano. Solo i suoi occhi tradiscono discendenze nordiche. Sono azzurri come pochi altri che ho visto in vita mia. Sarà per il contrasto con il suo viso - non so dirlo. Sono magnetici, sono affascinanti. Sono pericolosi.
Senza rendermene conto, guidato dai miei pensieri, mi avvio verso la cucina. Il suo monito è ora solo una lontana eco che la mia curiosità tende di ignorare.
È ordinata, luminosa ed accogliente. Mobili color panna, tende arancioni alla finestra. Sul ripiano del lavandino, stoviglie pulite che non sgocciolano più: una padella, due piatti, una forchetta, un coltello. Un solo bicchiere. Tutto ricorda la mia cucina, ma senza le buste di cereali sparse in giro.
Ha quell’odore di solitudine, di cene silenziose e colazioni veloci, di cui ritrovi i piatti sporchi al tuo ritorno, perché nessuno li ha lavati. Nessuno ti ha lasciato una lista della spesa attaccata al frigo e nessuno ti ha tirato le orecchie perché hai dimenticato di prendere il latte.
La vita di Eric Huntsman somiglia alla mia, eppure mi sembra più triste. Ma in realtà non la conosco e sono certo che lui non muoia dalla voglia di raccontarmela.
Sfioro con le dita la tovaglia plastificata sul tavolo e traccio il contorno dei grossi girasoli gialli dipinti sopra. Sorrido; era dai tempi di mia nonna che non ne vedevo una simile. Sono certo non l’abbia acquistata lui, ma che si trovasse già qui. Non ce lo vedo Eric Huntsman andare in giro per casalinghi a scegliere tovaglie di plastica! Anche se la cosa sarebbe divertente: la sua espressione corrucciata mentre soppesa la scelta fra i girasoli gialli e le pigne d’uva viola...
Scuoto la testa passandomi le dita sugli occhi.
Basta fare simili fantasie.
Torno nel soggiorno caldo e nudo, e guardo il divano senza provare desiderio di sedermi. Mi ha detto di non curiosare in giro, ma io sono un poliziotto! Curiosare fa parte del mio mestiere. E poi sarò silenzioso e rapido come un felino, e lui non se ne accorgerà. Credo. Più che altro lo spero.
Raggiungo le scale e guardo in alto. Non sento alcun suono.
Inizio a salire lentamente ogni piolo di legno facendo scivolare il palmo sul passamani liscio, e lentamente il rumore dell’acqua accresce nelle mie orecchie.
Dopo diciannove scalini, sono al piano superiore.
Stretto corridoio ed una porta sul fondo. Sulla destra, quattro altre porte chiuse ed una dietro di me, poco dopo un piccolo gomito di muro. Lo scroscio dell’acqua viene dal fondo, ed è anche l’unica porta da cui si intravede la luce.
Potrei dare un'occhiata in giro, magari aprire una di queste porte e scoprire se questo Huntsman nasconda qualcosa. Forse i pregiudizi della signora Fustern non sono infondati. Cerco di pensarla così, perché non voglio credere che le mie prossime azioni siano solo frutto di una natura inspiegabilmente curiosa verso quest’uomo.
Non sono neanche arrivato ad ipotizzare dove possa essere la sua camera da letto, che sento il getto chiudersi.
Accidenti!
Mi irrigidisco e butto giù un groppo di saliva ed ansia. Devo scendere prima che lui esca, se mi trova qui farò la fine di quei ciocchi di legna!
Scivolo giù dalle scale cercando di non fare troppo rumore, e torno a sedermi sul divano. Il calore del soggiorno pare aumentare di secondo in secondo, ma stavolta sono certo sia colpa dell’ansia di poc’anzi.
Mi avvento sulla lattina di birra, ormai imbevibile per via della temperatura troppo alta, e la tracanno senza prender fiato. Peccato non sia alcolica, mi sarebbe stata di certo più d’aiuto.
La bevo fino all’ultima goccia e con uno sbuffo esausto la poggio sul legno accanto a quella già vuota. La lattina di Eric.
Mi ritrovo a fissarla. Un pensiero mi attraversa la mente e lascio la mia per prendere l’altra. C’è ancora qualche goccia, come in ogni fondo di latta. La scuoto appena e vedo brillare l’ambra del liquido. Faccio scorrere gli occhi sull’etichetta, ma in realtà non la sto leggendo. Mi sto chiedendo perché provi l’inspiegabile desiderio di bere quel residuo di birra caldo. Mi sto chiedendo perché un omaccione di quasi due metri con dei modi alquanto bruschi e scostanti, mi desti tanta curiosità ed interesse.
La guardo ancora per qualche attimo e poi la poggio sul tavolino. Mi lascio affondare con le spalle al divano mentre mi tiro indietro i capelli.
I miei ricci... Ha detto di non aver mai visto un poliziotto con i ricci.
Non so perché, ma mi viene da sorridere.
«Che idiota... » sospiro appena. Ma non so realmente a chi dei due sia diretto.


Quando Eric Huntsman scende in soggiorno, ha una felpa pesante color fumo, con il cappuccio sul retro e due cordoncini bianchi che ricadono sul collo. Altri jeans dal colore più chiaro, ed i capelli sciolti ancora umidi.
Sembra meno austero, sembra quasi più disposto al dialogo. Mi chiedo se sia il caso di emettere tali sentenze per via di un paio di indumenti, forse sarebbe più opportuno concentrarsi sulla maniera con cui tirarmi fuori da questo mezzo casino.
Rimane in piedi a guardarmi con le mani sprofondate nelle tasche della felpa.
«Poteva fare con calma.» Mi riferisco ai suoi capelli, credendo che abbia deciso di non asciugarli per risparmiare tempo. Accenna ad un sorriso -che riesco a decifrare come un: "non credere che mi sia precipitato per te. La verità è che non vedo l'ora che te ne vai da casa mia."- e li tira dietro l’orecchio senza dire nulla. Una ciocca sfugge comunque al suo controllo e finisce con il rigargli una guancia. Sembra una criniera nero pece, ed i suoi occhi già pericolosi, sono diventati ora quasi letali.
«Che altro vuoi sapere? Non voglio portarti fretta, ma dovrei pranzare.» Fra la barba scura, il suo sorriso sembra sfavillare. Non è un sorriso generoso. Eric Huntsman è un uomo avaro di sorrisi. Sono accennati, tirati, quasi più una smorfia che altro, eppure nel suo modo di piegare le labbra, c’è un che di estremamente intrigante.
Esci da questa casa, Magnus. Ora! Subito!
«Mi scusi, ha ragione.» Mi alzo e stavolta riesco a seguire i miei stessi consigli. «La ringrazio per la collaborazione, signor Huntsman.» Ed infilo il blocchetto degli appunti nella tasca posteriore dei pantaloni.
«Non avevi da chiedermi nient’altro?» Osservazione corretta, anzi impeccabilmente corretta, e sono nuovamente preda di una soffocante agitazione. Nella sua testa sono certo stia balenando la domanda: “perche diavolo ha aspettato seduto qui se non doveva chiedermi più nulla?”. Sarei curioso anch’io di conoscere la risposta, dato che non ho la più pallida idea di quale essa sia.
«No. Credo che possa bastare così, signor Huntsman.» Afferro la giacca e la indosso «Se per caso dovesse ricordarsi qualcosa, anche solo un piccolo dettaglio, me lo faccia sapere.» Annuisce. «La ringrazio per la birra.» Mi avvio verso la porta e sento i suoi passi alle mie spalle.

Caldo, ancora caldo nonostante l’aria fredda che proviene dall’esterno. Varco la soglia e mi volto per allungargli il biglietto con il numero della centrale.
«Chieda del detective Martinsson.» No, non farlo, ti prego!

«Ok» alita vago afferrando il biglietto e guardandolo con diffidenza. I suoi capelli umidi odorano di mandarino. Usa uno shampoo al mandarino? Non mi sembra il tipo. Dovrei andarmene, ma resto a fissare la sua nuca finché non rialza lo sguardo. «Non ricordo il tuo nome.»
«Magnus. Magnus Martinsson» scandisco lentamente.
Non ricorda il mio nome. La cosa non mi sorprende, ciò che mi sorprende è il perché la sua dimenticanza mi abbia irritato. Non sono così egocentrico da pretendere che le persone si ricordino di me. Sono solo un soldato di un esercito anonimo. Siamo distintivi e pistole. Siamo turni e rapporti. Siamo “bastardi” e “salvatori”.
Eric Huntsman non ha l’obbligo di ricordare il nome di un tizio che gli è piombato in casa per fare domande sulla sua vicina poco simpatica. Eppure, Magnus Martinsson, sperava che lo facesse.
Scendo le scale e mi avvio verso il cancello. Getto un occhio all’auto e memorizzo il numero di targa. Non so perché, abitudine, presumo. Non mi soffermo a chiedermi se ci sia dell’altro.
Quando svolto per la strada, mi accorgo che Eric è ancora sulla soglia. Le mie gambe vanno più veloci finché non raggiungo l’abitazione della Fustern. I due agenti sono ancora sul posto.

«Io torno alla centrale. Informatemi se ci sono novità.» Il ragazzo annuisce e salgo in auto.
Ho un numero imbarazzante di domande che mi affollano il cervello e nessuna di esse riguarda il caso. Nessuna di esse riguarda il mio lavoro.
Mi confondono, mi agitano. Mi terrorizzano.
Quando sfreccio davanti alla casa di Eric, lui è già rientrato.

















Continua...






NdA.
Innanzitutto, un grazie enorme per aver apprezzato la storia, o meglio, la sua idea. Onestamente non mi aspettavo tanto successo. Perciò, ancora Grazie!
Spero vivamente di riuscire a portarla avanti con il piede giusto. Per ora, ho un mucchio di idee che non riesco neanche a scrivere tutte per quanto veloci viaggiano nella mia testa @_@
Beh, mi auguro che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento. La storia ha un ritmo abbastanza lento e spero non vi dispiaccia. In verità, non mi piace affrettare le cose, ma voglio che tutto si svolga nel modo più “reale” possibile. E poi, se proprio volete prendervela con qualcuno, prendetevela con Magnus che ha il cervello fritto dai sensi di inferiorità e complessi peggio di suo cugino Loki!
Il terzo atto dovrebbe arrivare a breve (credo)!
Vi auguro una felice fine ed uno spettacolare inizio di anno ^^
kiss kiss Chiara
  
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