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Autore: Dreamer91    31/12/2012    20 recensioni
E se il destino avesse voluto che in una città tanto grande come New York, due ragazzi dalle vite completamente diverse, finissero con l'abitare a meno di tre metri di distanza... sullo stesso pianerottolo?
Dal Capitolo uno:
"Stai scherzando spero!" mormorai
"Perché scusa? Non ci sono topi né prostitute per strada... per quanto riguarda i vicini non so... non li ho interrogati... però..."
"Sebastian!" lo bloccai passandomi una mano sul viso "Lower East Side... sul serio?"
"Non ti seguo, B..." mi fece visibilmente confuso slacciandosi la cintura
"Bastian dovrò vendermi un rene per pagarmi l'affitto... e quando avrò terminato gli organi, mi toccherà scendere in strada e fare compagnia a quelle famose prostitute per andare avanti!" gli spiegai concitato.
(...)
"Non fare l'esagerato Blaine... questa volta penso di aver trovato il posto giusto per te! Coraggio, scendi che te lo mostro!" mi incitò scendendo dall'auto e raggiungendomi sul marciapiede
"Anche l'ultima volta lo pensavi, Seb... e siamo dovuti scappare a gambe levate da un travestito in minigonna e tacchi a spillo!" gli ricordai lanciando un'occhiata al palazzo color porpora - innocuo e all'apparenza rispettabile - che si stagliava per ben quattro piani davanti a noi.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Just a Landing'
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Buon ultimo dell'anno a tutti e benvenuti all'ultimo capitolo di Just a Landing... ahhhhh dopo mille peripezie, un esame, dieci chili messi a causa delle feste, sono riuscita a finire il capitolo (che è lungo tipo venti pagine quindi... preparatevi XD) ed ora sono qui.. dunque... questo come ho detto è l'ultimo ed io... non ci credo.. sono passati sei mesi, ed io sento di essere cresciuta assieme a questa storia che rimarrà nel mio cuore per sempre così come ci rimarrete anche voi, splendide persone che avete deciso di dedicarmi il vostro tempo e il vostro affetto durante i 42 capitoli della storia. Dunque, come ho già accennato in passato, la storia anche se tecnicamente finisce qui, ha ancora bisogno del suo epilogo che questa volta non sarà unico ma sarà diviso in nove parti (una per ogni coppia, incluso il povero Artie che è sempre solo XD) in cui spero di riuscire a spiegare le ultime cose ed approfondire qualche aspetto che purtroppo nella storia mi sono dovuta lasciare alle spalle troppo velocemente. E poi non dimentichiamoci i MM (mi ci dedicherò, promesso ^^) e... sì insomma.. forse nella mia mente bacata si è già affacciata una piccolissima idea per un sequel ma.. è tutto da vedere.. ho un progetto da portare a compimento con il mio Dan prima, poi si vede ;) per il momento vi auguro buona lettura, buon finale di storia, buona fine per questo 2012 e un 2013 sereno e pieno di cose belle. Per i ringraziamenti, che sono d'obbligo, ci vediamo nelle prossime shots (che pubblicherò sempre qui in continuazione, solo come epiloghi). Un bacio a tutti e scusate ancora per il ritardo :*
p.s. Questa volta immagine speciale, sempre offerta dal mio Dan per celebrare l'ultimo capitolo... ;)
n.b. Pagina Fb (Dreamer91 ) Raccolta (Just a Landing - Missing Moments )




New York City. Ore 08.12 P.M. 04 Maggio 2012 ( Venerdì)


Io per principio non avevo mai creduto al caso, alle coincidenze, al disegno del destino già fissato e a tutto ciò che ne era correlato. Credevo invece ai sacrifici, agli sforzi fatti ogni giorno, alle sconfitte e ai successi - ed io nella mia vita avevo ottenuto soltanto i primi, in dosi davvero massicce - e soprattutto credevo davvero poco alle amicizie, all'affetto sincero di persone che non erano parenti prossimi e che quindi non avrebbero avuto nessun motivo per provarne nei miei confronti.
Ebbene, strano ma vero, in poco più di un mese, mi ero ricreduto su tutto.
Il destino esisteva ed era davvero scritto per ognuno di noi, le coincidenze erano tante ed evidenti e si incastravano perfettamente le une con le altre, il caso a volte funzionava in modo bizzarro e creava delle combinazioni a dir poco perfette in pochissimi istanti. La mia vita aveva iniziato a girare nel verso giusto agli inizi di Marzo e, lentamente ma soprattutto in maniera davvero inaspettata, si era portata dietro una serie di eventi magnifici che avevano rivoluzionato il mio mondo. Avevo perso il lavoro, avevo rotto con il mio ragazzo ossessivo e opprimente, avevo scoperto che aprirsi un po' di più con gli altri non era una brutta scelta, avevo guadagnato un paio di amici gay, ma soprattutto...
"Ehi..." la voce calda del mio ragazzo mi giunse vicinissima e difatti pochissimi istanti dopo sentii le sue braccia avvolgersi attorno ai miei fianchi e il respiro arrivarmi sul collo, solleticandomi. D'istinto mi ritrovai a sorridere
"Ehi.." risposi, abbandonando la testa all'indietro, per posarla sulla sua spalla "Sei diventato talmente tanto bravo a scavalcare la ringhiera del terrazzo, che ormai non ti sento neanche più quando lo fai!" mormorai divertito, facendolo ridacchiare
"In realtà... ho usato le chiavi per entrare." mi corresse, e sentii le sue labbra sorridenti posarsi con delicatezza sul collo.
Ah già, le chiavi.. quelle che gli ho dato io qualche giorno fa...
"Che ci fai qui al buio, tutto solo?" mi domandò qualche istante dopo
"Avevo bisogno di... prendermi qualche minuto tutto mio, per pensare." spiegai con un sospiro
"Oh..." lo sentii trattenere il fiato, tanto che dovetti girare un po' il viso per poterlo guardare negli occhi e capire cosa stesse pensando "Mi dispiace.. non volevo disturbarti... me ne torno immediatamente di là.." e, rammaricato, fece per allontanarsi, ma riuscii a bloccarlo per un braccio e a tenerlo stretto a me
"Non muoverti!" lo implorai, girandomi verso di lui e allacciando le braccia attorno al suo collo "Rimani qui con me, Blaine..." e affondando il viso nell'incavo tra il collo e la spalla, chiusi gli occhi, permettendo al suo profumo di cullarmi, al suo calore di invadermi e soprattutto abbandonandomi ai ricordi.

New York City. Ore 05.30 P.M. 03 Maggio 2012 (Giovedì)

L'attesa uccide. Più di qualunque altra cosa al mondo. Ti corrode, ti logora, ti fa perfino uscire fuori di testa. É insana, è pericolosa, è maledettamente dolorosa. Ed io le stavo provando tutte sulla mia pelle, proprio in quel momento, mentre aspettavo, seduto sulla mia poltroncina imbottita, assieme agli altri ragazzi che avevano sfilato quel giorno, il verdetto della giuria. Mi sarei voluto alzare e scappare via lontano, rifugiarmi da qualche parte in cui nessuno avrebbe potuto mai ritrovarmi e poi piangere, piangere all'infinito, anche se non avevo motivo per farlo.
Ma ero scappato troppo spesso e troppo a lungo quindi era decisamente arrivato il momento per fare un respiro profondo, stringere i denti e reagire. Ero forte, avevo il mio bel carattere e le mie spalle erano sufficientemente larghe per sopportare un altro po' di quell'ansia e di quel tormento che mi stringevano lo stomaco. Nella peggiore delle ipotesi, cosa sarebbe successo? Sue Sylvester, il guru della moda americana, avrebbe alzato i suoi occhietti azzurri su di me, magari inarcando perfino un sopracciglio, e mi avrebbe detto che non andavo bene, che la mia moda non era destinata ad approdare da nessuna parte e che il mio tentativo, per quanto coraggioso, era stato piuttosto vano e deludente. Io avrei ringraziato con rispetto tutta la giuria, e con la dignità un po' ammaccata ma ancora forte, avrei lasciato la sala e avrei raggiunto i miei amici e il mio ragazzo che attendevano al di fuori. Un sogno che si avvera e si infrange nella stessa giornata sarebbe stato davvero un bel record di cui andare fieri. Se non avessi vinto quel concorso, non sarebbe morto nessuno, la mia vita sarebbe ugualmente continuata, il mio lavoro al pub sarebbe rimasto, i miei amici avrebbero continuato a volermi bene e soprattutto... Blaine mi avrebbe amato, qualsiasi cosa fosse successa... per sempre e anche oltre.
In quel momento, proprio quando l'ennesimo crampo mi rivoltava lo stomaco, la porta si aprì e la giuria al completo rientrò nella sala. Raddrizzai istintivamente la schiena e strinsi i pugni sulle gambe, mentre gli occhi vagavano subito sulla figura esile ed elegante di Sue Sylvester e sulla sua espressione: seria, fiera, austera e decisamente imperscrutabile. Un militare.
La Signora Spencer, la stessa che mi aveva intervistato all'inizio della sfilata, ci chiamò sul palco e ci fece sistemare uno di fianco all'altro - eravamo in tutto dieci tra ragazzi e ragazze - e dopo un breve cenno con la testa, si risedette al suo posto e lasciò la parola alla Sylvester. 
Non ce l'hai fatta Kurt... hai perso...
"Dunque... prima di tutto credo sia doveroso da parte mia premettere alcune cose, affinché quello che in seguito arriverò a dirvi, sarà più chiaro e conciso possibile. E che a nessuno di voi salti in testa di lamentarsi o di permettersi di contraddire il nostro giudizio." iniziò rigida, squadrandoci uno per uno. La ragazza al mio fianco, una brunetta con gli occhiali e dei discutibili pantaloni zebrati, emise un leggero lamento, che forse era condivisibile da ognuno di noi su quel palco.
Guardati Kurt... cosa hai creduto di fare presentandoti qui?...
"Partiamo dal presupposto che... la moda non è per tutti. L'ottanta per cento di noi qui dentro non avrebbe dovuto neanche prendere in mano un ago, per quanto mi riguarda e quindi seriamente non capisco cosa vi abbia spinti ad aspirare verso qualcosa di così.. ambizioso. Sognando così in grande fate del male a voi stessi, ma soprattutto fate perdere del tempo a quelli che come noi, lavorano sul serio. Non ho mai creduto nelle seconde possibilità e non intendo darne a nessuno di voi qui dentro, per questo sarò davvero limpida nei miei giudizi." si concesse una pausa per inforcare i suoi occhiali e recuperare un foglio dal tavolo.
Hai sentito? Tu fai sicuramente parte di quell'ottanta per cento...
"Quelli che sto per chiamare, facciano per favore un passo avanti, senza aprire la bocca." ordinò perentoria, per poi iniziare un piccolo elenco "Susan Meyer... Jonathan Hobey... Paul Keaton... Derek White... Sandra Peterson... Rebecca Olsen... Marcus Vicent Bones..." risollevò gli occhi dal foglio, puntandoli sui sette ragazzi che avevano fatto un passo in avanti e strinse le labbra, in una mezza smorfia indecifrabile
Bene... ora dirà che chi non è stato chiamato può gentilmente accomodarsi fuori...
"Chi è stato chiamato... può uscire. Non avete minimamente sfiorato il punteggio minimo richiesto per poter rimanere su questo palco. Quindi.. grazie ed arrivederci!" annunciò seccata. Ci fu un momento di silenzio generale in quella sala, particolarmente imbarazzante, fino a che, la ragazza al mio fianco - quella con i pantaloni zebrati - non scoppiò a piangere e non scappò fuori, letteralmente disperata, seguita poi a ruota dagli altri sei, delusi e sconfitti. Non potevo crederci. Non mi aveva ancora mandato via, non mi aveva fatto scendere dal palco, ero ancora lì insieme ad altri due ragazzi - che sospirarono lentamente - e potevo ancora permettermi di sperare. Almeno un po'.
Caspita.. vuoi vedere che...
"Non fatevi strane idee voi tre... non vi ho fatti rimanere per annunciarvi che ho deciso di premiarvi tutti, perché sarebbe decisamente fuori discussione.. voglio semplicemente dirvi qualche parola perché.. ammetto che siete stati gli unici a colpirmi più di tutti oggi." specificò la Sylvester, abbandonando il suo foglio e liberandosi dei suoi occhialini sottili. Bene, prima di mandarmi via e dirmi che non ero portato per la moda, voleva aggiungere qualche altra cosa. Niente di più.
Ed io che mi stavo perfino illudendo...
"Dunque... iniziamo da chi mi ha entusiasmato di meno tra voi tre... Lucy Mattews... prego vieni qui davanti.." invitò una ragazza alta e magra, con i capelli biondi raccolti in una coda e lei subito si affrettò ad ubbidire e rimase in silenzio in attesa, nonostante le si leggesse chiaramente in faccia la leggera delusione per essere quella, tra noi tre, ad averla colpita di meno.
Merda... merda... merda...
Ascoltai a stento ciò che la Sylvester disse alla ragazza, perché ero troppo impegnato a torturarmi le mani, a stringere il tessuto della mia giacca e a cercare di ricordare come si respirasse, onde evitare un altro attacco di panico. Alla fine, però, mi accorsi con grande sorpresa che Lucy si era inchinata di fronte alla giuria e con un sorriso un po' deluso e forzato, aveva salutato tutti ed era uscita dalla sala. Oddio.. quindi neanche lei aveva... vinto?
"E alla fine rimasero soltanto in due!" esclamò ridacchiando uno dei giudici, uno di quelli che per tutto il tempo era rimasto in completo silenzio a quel tavolo, accanto a Michael Chang. La Sylverster fece una mezza smorfia, forse non apprezzando la battuta del suo collega e portò gli occhi su di noi. Avvertii tutto il sangue confluire nelle guance e farle diventare rosse e bollenti - che mi stesse venendo la febbre? - ed un leggero tremore alle gambe, che sentivo non avrebbero retto ancora a lungo. Sarei svenuto sul palco, sepolto da tutta quell'ansia, quell'attesa e quei maledetti occhietti azzurri che continuavano a guardare e a non esprimere un bel niente. E furono proprio quegli occhi a scuotermi qualche istante dopo posandosi su di me, raggelandomi e facendomi sentire immediatamente un idiota.
"Kurt Hummel!" mi chiamò ed io, anche se lei non me lo aveva affatto chiesto, feci un passo in avanti. Si schiarì la voce, congiunse le mani sul tavolo e fece un lungo respiro prima di parlare
"Tu sei senza dubbio stato quello che oggi mi ha colpita più di tutti. Sei quello su cui all'inizio non avrei scommesso neanche un'unghia, eppure... sei salito su questo palco e, nonostante il terrore che ti si leggeva negli occhi, sei riuscito a tirare fuori il carattere e la grinta e hai saputo tenere testa a me, il che è tutto un dire." la bocca le si inarcò appena in quello che sembrò addirittura un sorriso, ma che durò davvero troppo poco per stabilirlo con certezza.
Tu sei stato quello che oggi mi ha colpita più di tutti... cazzo...
"Ho osservato con attenzione i tuoi abiti e.. le tue cinque modelle e... non mi ci è voluto molto a capire che la maggior parte fossero delle dilettanti e che questa fosse la prima volta su un palco per loro. Eppure, nonostante questo, i tuoi abiti mi hanno piacevolmente distratta. Hanno un'ottima fattura e tu sei stato capace di legarli insieme in maniera davvero intelligente e raffinata. E poi quel colore che hai scelto.. devo ammettere che non ho mai amato il dorato.. l'ho sempre trovato alquanto banale e scontato, in alcuni casi perfino leggermente eccessivo, eppure tu sei riuscito, non si sa come, a renderlo... interessante ai miei occhi. Davvero bravo!" e fece un gesto eloquente con le mani, per sottolineare la sua sorpresa, mentre al suo fianco il giudice che poco prima aveva fatto la battuta e il Signor Chang annuivano soddisfatti.
Davvero bravo...
"La... ringrazio!" balbettai a stento, senza un briciolo di saliva né fiato in gola. Quella non era la mia voce e quello non stava succedendo a me. Non poteva essere vero.
"Non ti nego che la strada è ancora molto lunga e che ne dovrai fare di gavetta prima di raggiungere i risultati a cui ambisci. Però... hai un'ottima base e se verrai seguito attentamente e con il giusto criterio... potrai fare grandi cose, Kurt... te lo assicuro!" e quella volta un sorriso ci fu davvero e fu ben visibile, nonostante il tremore mi impedisse di stare fermo e il battito del cuore fosse così forte da rendermi perfino sordo. La grande guru della moda mi stava parlando e mi stava facendo i complimenti. E per di più, mi aveva sorriso, quasi con affetto, quasi come un'amica, quasi come.. una madre. Quasi.
"Ed è per tutti questi motivi che, io ed i miei colleghi avremmo preso una decisione importante su di te."
Sempre se non muoio prima...

New York City. Ore 05.47 P.M. 03 Maggio 2012 (Giovedì)

Era più di mezz'ora che Kurt era dentro a farsi torturare dalla Signora Fletcher - come l'aveva ribattezzata Sebastian - ed io continuavo a corrodermi nella mia ansia, sollevando ogni sette secondi esatti gli occhi dal pavimento fino alla porta della sala in cui si era tenuta la sfilata, sperando di vederlo uscire sorridente e soprattutto vittorioso. Ci aveva messo l'anima ed il cuore in quel progetto e non avrei sopportato di vederlo sconfitto, dopo tutti quegli sforzi e quei sacrifici e quegli anni trascorsi a sopportare una vita che non era adatta a lui e al suo talento. Perché lui ne aveva tanto e meritava di esprimerlo, con o senza signora Fletcher al seguito.
In meno di dieci minuti erano usciti quasi tutti gli altri ragazzi dalla sala, chi piangendo e chi invece inveendo contro la giuria, tacciandola di ignoranza e di presunzione. L'ultima ragazza aveva addirittura dato un calcio al porta-rifiuti che stava accanto alla sedia di Sebastian, facendo riversare a terra tutta l'immondizia e soprattutto spaventando il mio amico che l'aveva fulminata con lo sguardo e le aveva gridato dietro un
"Ehi.. vedi di calmarti Paris Hilton dei miei stivali... oppure la prossima cosa che riceverà un calcio qui dentro, sarà la tua faccia!" e, nonostante si fosse girata con l'intenzione di rispondergli male o magari di aggredire anche lui, lo sguardo del mio amico bastò a congelarla e a farla scoppiare in lacrime
"L'hai fatta piangere." mormorò Daniel al suo fianco, sconvolto
"Ben le sta. Se avessi reagito in questo modo tutte le volte che nella vita ho ricevuto un no... a quest'ora sarei già stato sbattuto in cella di isolamento!" borbottò incrociando le braccia al petto, seccato. Non ebbi neanche la forza per riprenderlo o perlomeno per ammonirlo con lo sguardo. Ero troppo preoccupato per Kurt, per il fatto che non fosse ancora uscito, per non sapere cosa lo attendesse nel suo futuro e se casomai questo qualcosa fosse compatibile con il mio. Una cosa era certa, se anche avesse avuto bisogno di trasferirsi o di cambiare addirittura città o nazione, io l'avrei seguito, perfino in Finlandia.
Dopo l'ennesimo sospiro e dopo essermi messo a grattare con l'unghia il rivestimento della mia sedia imbottita, qualcosa accadde: la porta della sala si aprì e finalmente uscirono gli ultimi due rimasti, tra cui anche il mio Kurt. Io, quasi rispondessi ad un comando impartito dall'alto, scattai in piedi e in meno di tre passi lo raggiunsi, agitato e tremante.
"Allora?" domandai subito, mentre alle mie spalle avvertivo un certo fermento, segno che anche gli altri si fossero avvicinati. Kurt fece un lungo respiro, dopodiché accennò un sorriso mite e...
"Non ho vinto!" esclamò soltanto e la semplicità con cui lo disse, unita a quella sua espressione rilassata e soprattutto, al senso di quelle tre parole, mi fecero perdere un paio di battiti
"Co..cosa?" fu Rachel dietro di me a parlare, o forse Santana... o probabilmente fui io stesso a farlo, senza rendermene conto
"Non ho vinto!" ripeté, sempre con estrema calma "Ha vinto lui!" aggiunse ed indicò l'altro ragazzo che, a pochi metri di distanza da noi, esultava con i suoi amici ed abbracciava un paio di persone, farfugliando qualcosa di incomprensibile. Come incomprensibile per me fu quello che Kurt mi disse: lui non poteva davvero non aver vinto, lui e i suoi modelli erano.. speciali, erano eleganti e meravigliosamente realizzati e stentavo a credere che quel tizio, di cui ignoravo perfino il nome e la nazionalità, potesse aver creato qualcosa di migliore. Era inaudito, inconcepibile, assurdo e... incomprensibile appunto. Doveva esserci stato per forza un errore o probabilmente Kurt si stava divertendo a prenderci in giro. Sì, era senza dubbio così.
"Oddio Kurt... mi ... mi dispiace!" balbettò desolato Daniel che intanto si era fatto più vicino, anche se io non riuscivo a vederlo. Non riuscivo a vedere nulla, al di fuori degli occhi di Kurt, dei suoi bellissimi occhi azzurri che, invece di essere disperati o magari perfino colmi di lacrime, erano luminosi, brillanti e colorati da una strana euforia. Lui non stava scherzando, altrimenti non avrebbe avuto quell'espressione così serena, non avrebbe saputo fingere fino a quel punto. Non Kurt, non in quell'occasione, non con me.
"A me no!" esclamò Kurt, ridacchiando quasi e stringendosi nelle spalle
"Cosa?" quella volta fu la mia voce, senza ombra di dubbio, a farsi sentire. Lui incollò gli occhi nei miei e fece un altro profondissimo respiro, un respiro lungo un'eternità, un respiro che mi fece perdere quei pochi anni di vita rimasti.
Se non mi uccide l'ansia, lo farai tu, Kurt Hummel...
"La Sylvester mi ha offerto di lavorare per lei. I miei modelli le sono piaciuti a tal punto che.. non vuole perdere la possibilità di avere nel suo staff uno con il mio talento e la mia faccia tosta e per questo non mi ha fatto vincere il concorso... perché altrimenti avrei preso i miei soldi e non avrei più... continuato a disegnare." spiegò, rivolgendosi completamente a me, senza spostare mai gli occhi, senza accennare minimamente al fatto che gli interessasse rendere anche gli altri partecipi della conversazione. Semplicemente mi aprì il suo cuore, come aveva sempre fatto, e mi spiegò realmente come mai fosse così emozionato e contento.
"Kurt.." mi scappò dalle labbra, mentre avanzavo di mezzo passo verso di lui, con
addosso una strana ed inarrestabile voglia di abbracciarlo.
"La più grande stilista dell'intera costa orientale vuole che io diventi uno degli stilisti della sua agenzia. Vuole me, Blaine... me!" e nel dirlo i suoi occhi di inumidirono e il suo sorriso così bello vacillò appena, a causa dell'emozione che cresceva come un'onda e con la stessa potenza, a breve, lo avrebbe travolto.
E a me bastò quello: vederlo così fragile, ma allo stesso tempo forte e rilassato e soprattutto, fiero di ciò che era riuscito a fare.. fu la mia personale conferma di quanto bastasse relativamente poco al mio bellissimo ragazzo, per raggiungere il picco estremo della felicità. Così mi fiondai su di lui per abbracciarlo, stringerlo forte a me, cancellare quel briciolo di paura rimasta e fondermi con quel corpo che, ci avrei giurato, stava ancora tremando. E in quel momento, mentre lui in risposta stringeva le braccia attorno al mio collo ed entrambi, sospiravamo all'unisono per il contatto, mi ritrovai a pensare che... ce l'aveva fatta, era un vincitore.. il mio vincitore.. aveva ottenuto, nonostante i problemi, nonostante gli attacchi esterni e i sabotaggi, nonostante degli episodi particolarmente spiacevoli durante la sua vita, tutto ciò di cui aveva bisogno per essere felice. Il mio piccolo e dolce Kurt.. lui che non credeva nei sogni; lui che era un semplice ragazzo disilluso e ferito dalla vita; lui che amaramente era arrivato a convincersi del fatto che non avrebbe mai ottenuto nulla dal futuro e che quello che aveva già bastava ed avanzava; lui che aveva gli occhi tristi e spenti quando avevo avuto il piacere di perdermici per la prima volta; lui che sorrideva con poco e si emozionava con molto meno; lui che era una bellissima persona e lo capiva soltanto ora; lui che aveva dovuto passarne tante per diventare l'uomo meraviglioso e forte che era e che tante ancora ne avrebbe dovute passare, per migliorare e crescere e andare avanti ed essere sempre estremamente fiero di sé, esattamente come lo ero io in quel momento. Io che insieme a lui stavo esaudendo tutti i miei sogni; io che dopo venticinque anni ero riuscito a trovare un motivo per cui valesse davvero la pena vivere; io che avevo sempre creduto di non valere a molto e di non poter fare nulla per gli altri; io che nel mio futuro vedevo solo infinite levatacce all'alba e notti insonni passate a comporre canzoni che tanto non avrebbero mai visto la luce; io che ero scappato dalla mia piccola Westerville perché non mi ero mai sentito realmente a casa e che a New York, magicamente, un giorno avevo trovato tutto ciò di cui avevo bisogno; io che in meno di un mese avevo trovato... lui.
Avrei voluto che Kurt andasse da ognuno di quelli che, soprattutto quando era un liceale di Lima, gli avevano detto che tanto non sarebbe andato da nessuna parte, che quelli come lui non avrebbero ottenuto un bel niente: Kurt avrebbe dovuto andare da ognuna di quelle persone e dire "Fanculo a tutti, io ce l'ho fatta!" e poi orgogliosamente girare le spalle a quel mondo di ipocriti e tornarsene nel suo.
Questo è ciò che si dice... prendersi le proprie rivincite...

"Ce l'hai fatta Kurt!" sussurrai direttamente nel suo orecchio, e solo allora mi resi conto di essermi commosso assieme a lui
"Anche tu, Blaine... anche tu..." rispose con la voce strisciata e la consapevolezza portata dalle sue parole, mi fece sorridere "Ce l'abbiamo fatta insieme!"
Insieme... ed insieme dobbiamo continuare...
"Ti amo... tanto!"
"Anche io ti amo... per sempre e anche oltre!"

New York City. Ore 08.15 P.M. 04 Maggio 2012 (Venerdì)

Esattamente dodici ore dopo, nel buio dell'appartamento di Kurt, ci ritrovammo nella stessa identica posizione: abbracciati, stretti fino quasi a far male, persi in chissà quale mondo parallelo a fare i conti con un destino che, forse per la prima volta nella vita di entrambi, aveva voluto farci un regalo e sorriderci. E la sensazione fu più o meno la stessa anche in quel momento: mi sentivo elettrico ma allo stesso tempo una strana calma mi avvolgeva lo stomaco, quasi sapessi di poter rimanere tranquillo perché tanto quel mio mondo tanto perfetto e il mio meraviglioso ragazzo non sarebbero andati da nessuna parte.
"Io non riesco ancora a crederci." la sua voce intimidita si fece sentire qualche istante dopo e fui costretto a fare appello ad ognuno dei miei sensi per percepirla completamente, in tutte le sue sfumature. Mi discostai appena dal suo abbraccio per poter intercettare quegli occhi chiari e poterli studiare con calma ed attenzione. E per mia fortuna, li trovai talmente tanto limpidi da sembrare quasi trasparenti.
"Devi crederci, amore... è la tua vita e finalmente sta iniziando a girare per il verso giusto!" esclamai con un sorriso, andando a percorrere con la mano tutta la lunghezza della sua schiena, che si rilassò visibilmente al contatto. Gli scappò perfino un sospiro dalle labbra che si infranse sulla mia guancia, dato che si era nuovamente avvicinato a me
"Ho paura che tutto scompaia... che si infranga sotto i miei occhi e che non possa fare nulla per impedirlo!" mormorò strofinando la guancia contro la mia, quasi come un gattino in cerca di coccole. E bastò quello ad accendere ognuna delle terminazioni nervose del mio corpo, soprattutto dalla vita in giù.
"Non dirlo neanche... quello che hai ora è tuo di diritto e non andrà da nessuna parte se non sarai tu a volerlo. Quindi smettila con questo pessimismo e.. solo... goditelo fino alla fine!" e di proposito citai le stesse parole che anche lui aveva usato qualche giorno prima, facendo riferimento ad Artie e alla casa discografica e per fortuna lui colse l'allusione e si lasciò andare ad una leggera risata. Una meravigliosa e leggera risata.
"Anche tu non andrai da nessuna parte? Anche tu sei..." ma si bloccò, spostando di nuovo il viso e permettendo ai nostri occhi di incontrarsi ancora. Sentii un brivido corrermi lungo tutta la schiena ma provai ad ignorarlo e a concentrarmi soltanto sulle parole
"Dillo!" lo incitai, trattenendo di proposito il respiro
"Anche tu... sei... mio di diritto?" domandò finalmente con la voce ridotta ad un misero respiro. Un altro brivido, quella volta più intenso.
"Io sono in cima alla classifica di ciò che è tuo... e spero di rimanerci il più a lungo possibile!" scherzai, riuscendo nuovamente a farlo ridere e il suono della sua risata, mischiata con la mia, ebbe strani effetti su di me, attorcigliandomi lo stomaco in un modo quasi assurdo ed inimmaginabile. Ma era tutto molto piacevole. Come piacevole sarebbe stato continuare a rimanere lì abbracciati, magari continuando a parlare sottovoce e a ridere o perfino iniziare a baciarci e... ma non potevamo, non in quel momento
"Dovremmo tornare di là... tutti gli altri si staranno chiedendo che fine abbiamo fatto!" esclamai, dopo avergli lasciato un leggero bacio sulla guancia
"E, conoscendolo.. Sebastian avrà già dato il via a qualche ipotesi a luci rosse!" azzardò lui ridacchiando
"Come minimo." confermai divertito. Lui, dopo avermi lanciato uno strano sguardo indecifrabile, allungò appena il collo verso di me e mi baciò: un morbidissimo bacio che suggellava teneramente quello che ci eravamo appena detti e che forse serviva ad entrambi per rendere il tutto un po' più reale. Ci staccammo solo qualche istante più tardi - decisamente troppo presto comunque - e rimanemmo a guardarci negli occhi, senza dire niente, semplicemente sorridendoci a vicenda ed ascoltando il battito dei nostri cuori che, come al solito, viaggiavano sulla stessa frequenza.
"Andiamo?" domandai e lui annuì, continuando ad illuminarmi con il suo bel sorriso, che si portò dietro fino a che non ritornammo nel mio appartamento, dove si stava svolgendo la festa che avevamo organizzato in suo onore. Lui, però, quando aveva acconsentito all'idea di organizzarne una, aveva specificato che fosse anche per me, per la storia della casa discografica e che quindi festeggiassimo assieme quelle due conquiste ed io.. beh, non avevo saputo dire di no, anche perché Kurt ormai sapeva bene come convincermi.
Nel mio appartamento c'erano davvero tutti ed era davvero piacevole avere così tanta gente lì per.. noi.
"Toh... ecco che tornano i coniugi De Coniglis... stavamo iniziando a scommettere su chi sarebbe... venuto per primo!" esclamò Sebastian malizioso come sempre, scatenando un'ondata di risate e l'imbarazzo di Kurt
"Ha parlato il puritano di New York City. Pensa per te, Smythe!" lo ripresi fulminandolo e ottenendo altre risate e una smorfia da parte del mio amico. Quanto si sarebbe divertito a prenderci in giro da lì all'eternità ma, d'altronde, lo avevo fatto anche io i primi tempi in cui era fidanzato con Daniel quindi... mi avrebbe reso pan per focaccia.
"Uh mamma... lo voglio anche io un coniglio! Possiamo? Ti prego!" si intromise la piccola Lea, saltellando davanti a Rachel e congiungendo le manine davanti al naso. Ci fu un lungo momento di silenzio generale, in cui tutti ci girammo verso la povera Rachel, che era arrossita in maniera spropositata.
"Sì mamma.. lo voglio anche io un coniglio!" si aggiunse Puck divertito, sorseggiando la sua birra direttamente dalla bottiglia. Quinn, seduta al suo fianco sul divano, gli tirò un piccolo schiaffo dietro la nuca per farlo tacere. Mi ricordavano qualcuno di mia conoscenza quei due.
"Ehm... ecco Lea... lui non intendeva..."
"Cosa te ne fai di un coniglio... non basto io come animaletto domestico?" le domandò Finn afferrandola per i fianchi e caricandosela su una spalla, come un sacco di patate. La bimba scoppiò a ridere e noi al seguito, mentre la povera Rachel sospirava di sollievo per essere stata tolta dall'imbarazzo. Con la coda dell'occhio, nonostante il momento di ilarità generale, non riuscii a non notare l'espressione del mio migliore amico: erano un paio di giorni che lo vedevo leggermente strano, assente più che altro e, nonostante le sue battute sempre presenti e puntuali, non aveva ancora dato il meglio di sé il che era decisamente troppo anomalo per uno come lui: c'era qualcosa, sicuramente qualcosa che lo preoccupava, altrimenti non sarebbe mai stato così pensieroso. Così, approfittando di quel momento di distrazione offerto da Finn e dalla piccola Lea, mi allontanai dal gruppo per seguire Sebastian che era uscito sul terrazzo, dove c'erano altre persone che parlavano a gruppetti. Lo affiancai nello stesso punto in cui, per ironia della sorte, avevamo parlato di quell'appartamento il giorno in cui me lo aveva fatto vedere per la prima volta, solo che in quel momento c'erano altre venti persone attorno a noi, era buio e quello ad avere un problema non ero più io.
"Sei un po' troppo pensieroso stasera!" esclamai con un sorriso, per tentare di allentare un po' di quella tensione che gli si leggeva a lettere cubitali sul viso. Lui si girò a guardarmi e accennò una mezza smorfia
"É che... sto per fare una cazzata!" mi informò con uno strano tono tormentato
"Mmm... se puoi, evita allora." scrollai le spalle, domandandomi che tipo di cazzata fosse e quanto grave potesse essere per ridurlo in quello stato. Era preoccupato per qualcosa, ormai era chiaro, tuttavia, con Sebastian le cose funzionavano in modo strano: detestava essere incalzato con le domande, anche se sentiva la necessità di parlare con qualcuno; se avesse voluto, sarebbe stato lui stesso a parlare, qualsiasi cosa lo affliggesse.
"Posso chiederti un consiglio?" mi domandò poco dopo, con un sospiro.
Ecco, appunto...
"Certo... dimmi pure." acconsentii, poggiando la schiena alla ringhiera del terrazzo e rimanendo in attesa. Lui fece un altro lungo sospiro ma, la cosa più sospetta, fu senza dubbio il girarsi un attimo verso l'interno del mio appartamento, dal quale provenivano ancora le risate degli altri.
"Ok... poniamo il caso che tu decida di fare qualcosa di diverso, qualcosa che non ti saresti mai aspettato di fare, qualcosa che non rientra neppure nella tua natura, ma senti il bisogno di farla, una necessità spasmodica che.. non ti fa né mangiare né dormire da quasi una settimana..." iniziò puntando gli occhi nei miei e sorprendendomi non poco
"Woah... deve essere proprio grave, allora." borbottai accigliandomi, ma lui mi ignorò
"Riusciresti a fare questa cazzata.. nonostante i dubbi e le incertezze e la stramaledetta paura che ti assale?" domandò infine, preoccupato e sollevato allo stesso tempo, forse per aver finalmente snocciolato il suo problema
"Se la reputo importante per me... sì, la farei." risposi stringendomi nelle spalle, con tutta la sincerità e la naturalezza di cui ero capace. Lui rimase fisso a guardarmi per un lungo istante, per poi deglutire un paio di volte di seguito, quasi cercasse le parole adatte per continuare
"E se questa rivoluzionasse la tua vita... per sempre?" tentò ancora, con gli occhi fissi sul panorama notturno dietro di me
"A maggior ragione." insistetti, mentre nel mio stomaco si agitava qualcosa. Che cosa stava succedendo? Perché era così angosciato e dubbioso? Che fine aveva fatto il Sebastian fiero e sicuro di sé che niente e nessuno avrebbe potuto abbattere?
"E se sapessi che, una volta imboccata quella strada, non potessi più tornare indietro?" tentò ancora, sempre più tormentato
"Tutte le scelte che facciamo ci conducono verso una direzione... bisogna solo trovare il coraggio di imboccarla." dissi allora e lui scosse la testa
"E se... io non ce l'avessi questo coraggio?" fu quasi con tono di sfida che mi porse quella domanda ed io non resistetti più
"Sebastian! Che diavolo ti prende?" domandai preoccupato, fregandomene di quale fosse la strategia migliore per parlare con lui o se questo potesse peggiorare la situazione. Non riuscivo a vederlo così, insicuro e combattuto, e morivo dalla voglia di sapere cosa diamine gli stesse succedendo. Ma lui, ovviamente, reagì male
"No io... niente!" scosse di nuovo la testa, quella volta con più decisione e si chiuse a riccio, come sempre.
Idiota che non sono altro...
Con un sospiro profondo, lanciai un'occhiata verso l'interno e scorsi di sfuggita Kurt che parlava con Rachel e insieme ridacchiavano complici, per qualcosa.
Che strano... lui lì con Rachel, io qui con Sebastian... se non è un caso questo...
"Ascolta, Bas... io non.. pretendo di sapere cosa ti stia succedendo.. sono affari tuoi, è la tua vita ed io non voglio costringerti a parlarmene, però... una cosa sento di dirtela e credimi... mi viene dritta dritta dal cuore." iniziai, riuscendo a catturare di nuovo la sua attenzione e i suoi occhi si puntarono nei miei, nonostante fossero ancora combattuti. Lo vidi annuire appena, segno che fosse ben disposto ad ascoltarmi e ne fui sinceramente felice. Quel testone era difficile che ascoltasse, soprattutto quando qualcosa lo tormentava in quel modo.
"Tu prima mi hai chiesto un consiglio ed io te l'ho dato ma... conoscendoti, non penso darai molto retta a quello che ti ho detto quindi... appena puoi, prenditi un momento solo per te, un momento per riflettere e chiedi un consiglio a Sebastian... chiedigli cosa farebbe lui se sapesse di poter fare una cazzata, qualsiasi essa sia, ma se sapesse che questa cazzata potrebbe cambiargli la vita positivamente. Sono sicuro che lui sia più adatto di me in questo momento per poterti dare un consiglio adeguato." dissi, mentre nei suoi occhi si accendeva qualcosa di molto simile ad un luccichio, debole ma ugualmente ben visibile
"E poi... pensandoci... io sono solo un idiota che si spaccia per tuo migliore amico... non credo di avere molta voce in capitolo su quello che decidi di combinare. Al massimo posso.. tentare di darti una mano, nel caso in cui il danno dovesse rivelarsi più grande del previsto!" e gli strizzai l'occhio, facendolo ridacchiare. Quel luccichio intanto si era intensificato e solo in quel momento, mentre Sebastian si mordeva un labbro e mi rivolgeva un sorriso sereno, mi resi conto che somigliava molto vagamente alla commozione.
Eh no.. non sono pronto a vedere
piangere
anche lui stasera...
"Non sei un idiota!" mi assicurò in un sussurro sorridente, scuotendo appena la testa
Oh sì che lo sono, solo che tu mi vuoi troppo bene per accorgertene...
"E.. penso che accetterò il tuo consiglio." aggiunse divertito ma estremamente serio "Almeno per questa volta."
"Mmm... ottimo! Posso dire di essere orgoglioso di te in questo momento?" domandai scherzando, per smorzare un po' di quella tensione rimasta
"Aspetta ad esserlo. Non sai ancora cosa potrei essere capace di.. fare!" mi avvertì con una smorfia. In effetti, nonostante quella discussione io non avevo risolto nulla: continuavo a non sapere cosa tormentasse il mio amico né se un giorno me ne avrebbe o meno voluto parlare. Eppure, mi bastava sapere di avergli alleggerito almeno un po' quel suo stato d'animo agitato e magari avergli dato una mano per.. decidere meglio.
"Mi fido di te!" assicurai con un sorriso, dopodiché scoppiammo a ridere insieme
"Ah.. ecco dove eravate finiti!" la voce di Daniel ci raggiunse proprio in quel momento e il ragazzo biondo sbucò dietro la schiena di Sebastian, e gli avvolse un braccio attorno allo stomaco
"Cosa avete da confabulare voi due?" ci domandò divertito, squadrandoci per bene. A giudicare dal rossore che si affacciò sulle guance del mio amico, intuii che il suo ragazzo fosse all'oscuro del tumulto che lo stava attraversando o di quella famosa cazzata di cui mi aveva parlato. Forse... Daniel ne era perfino coinvolto, indirettamente, il che avrebbe spiegato come mai Sebastian fosse stato così incerto.
"Solite cose... investimenti in borsa... problemi di politica internazionale.." risposi vago stringendo le spalle
"La conquista del mondo!" aggiunse lui con tranquillità e lanciandomi un'occhiata a mo di ringraziamento per non aver accennato a quello che ci stavamo dicendo. Forse un domani, neanche troppo lontano avrei scoperto cosa avesse in mente e probabilmente avrei anche scoperto che non era necessario preoccuparsi tanto, ma intanto avrei dovuto attendere ed avere fiducia in lui e magari, esserci anche quando non avrebbe avuto il coraggio di chiedermi di rimanere. Perché in fondo è questo quello che fanno gli amici. Soprattutto i migliori.

New York City. Ore 08.45 P.M. 04 Maggio 2012 (Venerdì)

"Dico ma... li hai visti?" la voce elettrizzata di Rachel mi arrivò alle spalle, spaventandomi appena. Girandomi la trovai a meno di un passo da me e con un sorriso quasi terrificante sul volto
"Di chi parli?" le domandai accigliandomi e lei si limitò a farmi un cenno con la testa verso il divano del salotto di Blaine, senza dire nulla: c'erano Finn e Lea, lei seduta in braccio al ragazzo e stavano parlottando di chissà cosa, che li coinvolgeva a tal punto da essersi perfino estraniati. Conoscendo entrambi, io avrei iniziato a provare una certa paura.
"Ah però... ce n'è di affinità tra quei due." mormorai sorpreso "Se fossi in te, inizierei ad essere un tantino gelosa!" e lei ridacchiò scuotendo la testa
"Non so neanche quando è stata l'ultima volta che ho visto mia figlia così serena con qualcuno. E non è neppure una cosa temporanea, Kurt... è così da quando lui frequenta più spesso casa nostra e a volte, quando lui non viene da noi a bussare e lei stessa che lo cerca." mi spiegò continuando a guardare verso i due, che in quel momento ridacchiavano complici
"Tesoro mio.. lo sai meglio di me cosa manca a quella bambina.. e sai anche che, molto probabilmente questo qualcosa lo abbia trovato in quel gigante panciuto e goffo che è lì con lei al momento." le dissi con un sorriso felice, mentre lei tornava a guardarmi
"Lo so. Ciò che manca a lei... manca anche a me, Kurt, credimi!" mormorò con un sorriso imbarazzato e colsi quell'allusione per tirare in ballo un po' di sana malizia, giusto per metterla ancora di più a disagio
"A proposito... ci sono novità per quanto riguarda quella piccola verifica che avresti dovuto fare su Finn?" le chiesi, provocandola e dandole una leggera spallata. Lei, neanche a dirlo arrossì violentemente e mi tirò uno schiaffetto sul braccio
"Ti sembra il luogo adatto per certe domande?" borbottò guardandosi attorno e facendomi ridere
"Coraggio, Berry... basta un sì o un no." lei mi fulminò appena, ma alla fine, dopo un sospiro lunghissimo ed essere arrossita ancora...
"S-sì..."
"Come scusa?"
"Ho detto di sì... non farmi gridare!" abbaiò praticamente paonazza. Io sollevai le sopracciglia, piacevolmente colpito
"Mmm... era ora... e dunque.. il verdetto qual'è?" la provocai ancora con un mezzo sorrisetto. Lei sbuffò per poi mordersi un labbro e lanciare un'occhiata veloce verso Finn
"Le tue teorie sono fasulle, Hummel." rispose soddisfatta, ma con un bel sorriso sincero sulle labbra "L'altezza non ha per niente influito!" e mi cacciò la lingua, divertita e ancora un po' rossa in viso, allontanandosi da me per raggiungere la sua bambina e il suo ragazzo ufficiale. La sua famiglia.

New York City. Ore 09.56 P.M. 04 Maggio 2012 (Venerdì)

Spinto dalle richieste di praticamente tutti i nostri amici, alla fine mi ero fatto convincere, avevo inforcato la chitarra e mi ero messo a cantare un paio di canzoni. E per tutto il tempo avevo guardato verso Kurt che mi guardava e mi sorrideva e mi faceva battere il cuore. Era bello sapere che, se solo ne avessi avuto la voglia, mi sarei potuto alzare e avrei potuto baciarlo, lì davanti a tutti, solo per il piacere di farlo. E nessuno in quella stanza avrebbe avuto niente da dire, non solo perché non eravamo l'unica coppia omosessuale lì dentro, ma anche perché la maggior parte di loro, avrebbe perfino fatto il tifo per noi.
Ad un tratto, proprio mentre terminavo l'ultima canzone e tutti applaudivano con entusiasmo, il campanello suonò così abbandonai la chitarra in un angolo e andai ad aprire. Alla porta, quasi fosse un déjà-vu, ci ritrovai Artie Abrams, con la sua sedia a rotelle, i suoi occhiali squadrati e il suo cardigan di discutibile gusto estetico.
"Oh... ciao!" lo salutai sorpreso
"Ciao.. scusa se ti disturbo a quest'ora... posso?" ed indicò l'interno dell'appartamento, proprio come la prima volta. Io mi feci da parte per farlo passare e lui entrò, muovendo agilmente le ruote. Nel mio salotto calò il silenzio: la maggior parte delle persone presenti, conosceva Artie e sapeva quanto fosse scorbutico e maleducato, quindi molti di loro storsero il muso nel trovarselo ancora davanti.
"Cosa ci sei venuto a fare qui, Abrams? Ti da fastidio il rumore che stiamo facendo, per caso?" lo provocò Rachel, scattando in piedi ed avvicinandosi. Artie si fermò al centro del salotto, guardando attentamente tutti quanti, soprattutto i suoi condomini
"In realtà... avrei bisogno di parlare con voi." annunciò, congiungendo come sempre le mani in grembo. I miei occhi saettarono verso quelli di Kurt, che trovai intenti a fissarmi. Non avevo idea di cosa volesse dire Artie, né tanto meno perché si fosse degnato di salire di nuovo nel mio appartamento, pur sapendo che ci avrebbe trovato tutte quelle persone, le stesse che si era divertito ad umiliare meschinamente. Nonostante ora lavorassi per lui, non avevo del tutto dimenticato cosa era stato capace di fare.
"E se noi non avessimo voglia di ascoltarti?" domandò Will, allontanandosi da sua moglie ed affiancando Rachel che si fece ancora più combattiva
"Avreste le vostre buone ragioni." ammise con una smorfia, sollevando gli occhi verso Kurt e poi su Tina "Ma vorrei che mi deste soltanto pochi minuti del vostro tempo per... provare a spiegare. Poi sarete liberi di decidere cosa fare con me... se mandarmi al diavolo oppure se farmi rimanere a.. festeggiare con voi." e mi lanciò un'occhiata. Rachel incrociò le braccia al petto, in attesa, ma per fortuna non disse niente. Beh perlomeno gli avevano dato una possibilità... ora toccava ad Artie sapersela giocare nel migliore dei modi.
"Io.. non credo di avere scuse per quello che è successo l'ultima volta che ci siamo visti e ne pretendo di averne. Vi ho trattati malissimo, senza motivo, e per di più ripensandoci non riesco neanche a capacitarmi di quanto odio e di quanta cattiveria io sia riuscito a tirare fuori in così poco tempo. Tutto quello che ho detto io non.. lo pensavo minimamente.. è stato tutto dettato da un momento di particolare sconforto che in questo ultimo periodo si fa sentire maggiormente e ho sfogato tutta la mia angoscia su di voi che eravate così sorridenti e sereni. In quel momento mi sembrava l'unica cosa da fare per... sentirmi meglio. Ora, a distanza di tempo, mi sembra soltanto un atteggiamento infantile ed immaturo." scosse la testa rammaricato per poi perdersi in un sospiro. Io approfittai della pausa per sollevare gli occhi e controllare le reazioni degli altri. Kurt stava lo guardando con un broncio tranquillo sul volto, niente di aggressivo o di prevenuto; Tina al suo fianco sembrò perfino dispiaciuta; Will abbandonò la sua espressione risentita per sciogliersi in qualcosa di più comprensivo; Finn - che probabilmente non stava capendo nulla - aveva un'espressione inebetita sul volto, come al solito; l'unica ad essere ancora leggermente restia fu Rachel, che continuava a squadrarlo con attenzione, forse in attesa di essere attaccata e di attaccare di conseguenza
"Per questo vorrei chiedere umilmente scusa ad ognuno di voi per quelle orribili cose che ho detto e spero che, se me ne darete la possibilità, in futuro possa trovare il modo migliore per farmi perdonare da voi, come spero di aver iniziato a fare già con il padrone di casa!" e nel dirlo si girò verso di me, strappandomi un sorriso. In fondo, per quanto fosse stato pessimo l'ultima volta, aveva comunque avuto il coraggio di affrontare tutti a viso aperto e chiedere scusa pubblicamente, perfino davanti a persone che neppure lo conoscevano. Era una bella persona, dopotutto, a modo suo. E ad accorgersene, oltre a me in quel salotto, fu anche un'altra persona, forse la più imprevedibile di tutte: la piccola Lea infatti sgusciò via dalla presa di Finn e corse a posizionarsi di fronte ad Artie che sollevò un sopracciglio, sorpreso di essere studiato in maniera così palese da una bambina così piccola. Rachel non riuscì nemmeno a realizzare cosa stesse succedendo, né provò a fermarla, che la piccola parlò
"Perché vai in giro seduto su questa sedia?" gli domandò, con la tipica innocenza di una bambina di quattro anni. Si avvertì distintamente il momento in cui ognuno lì dentro trattenne il fiato e perfino il versetto imbarazzato che scappò dalle labbra di Rachel. Ma nessuno si sarebbe mai realmente aspettato la reazione di Artie: si sporse leggermente verso la bimba e le rispose
"É colpa di un brutto incidente che ho fatto qualche anno fa. Ero alla guida della mia macchina e sono finito fuori strada. Se avessi avuto le cinture di sicurezza però, questo non sarebbe successo..." spiegò con calma e solo allora realizzai di non essermi mai realmente chiesto cosa fosse successo a quel ragazzo per ridurlo in quello stato. Grazie a Lea e alla sua innocente curiosità, lo avevo scoperto
"La mia mamma dice che si devono sempre allacciarle le cinture quando si porta la macchina... non si usa il cellulare e non si danno passaggi ai forestieri, non è vero mammina?" e la bimba si girò verso la madre che, paonazza, stirò un sorriso imbarazzato
"Certo, tesoro!"
"Tua madre ha perfettamente ragione... soprattutto sui forestieri. Sempre occhi aperti, piccola, mi raccomando!" affermò convinto, annuendo. La bambina lo studiò ancora, portandosi l'indice alla bocca e alla fine, dopo un'attenta analisi si avvicinò, fino a toccargli una gamba con la mano
"Posso fare un giro con te?" domandò in un soffio, arrossendo graziosamente sulle guance. Rachel, sconvolta, scattò in avanti per afferrare la figlia e magari rimproverarla per quella mancanza di rispetto, ma Artie fu più veloce di tutti: le sorrise - un sorriso aperto, uno di quelli che non gli avevo ancora visto, ma che lo rendeva senza dubbio più umano - e si batté una mano sulla gamba, come a volerla incitare. La bambina non se lo fece ripetere due volte, gli rivolse un sorriso radioso e gli si arrampicò addosso, per poi mettersi comoda
"Dove la porto, signorina?" le domandò Artie, stringendo le ruote. Lei si fece seria, stando al gioco ed indicò il tavolo con il cibo
"Ho voglio di un tramezzino, per favore!" e così lui si mosse in direzione del tavolo, sotto i nostri occhi stupiti e divertiti e quelli ancora imbarazzati di Rachel. Lea si divertì parecchio perché alla fine del giro, si permise perfino una trasgressione al suo codice di riservatezza, allungandosi per lasciare un bacio sulla guancia di Artie e scappò via, a nascondersi dietro Finn. E quindi Artie Abrams, lo scontroso ragazzo seduto sulla sedia a rotelle, sapeva perfino essere ironico e paziente con una bambina di quattro anni. Il mondo non avrebbe mai smesso di stupirmi.
Lui congiunse nuovamente le mani in grembo e rimase in attesa del giudizio di chi ancora lo guardava con attenzione. Alla fine, però, ancora rossa per l'imbarazzo, ma notevolmente più rilassata, fu proprio Rachel ad avvicinarsi e a tendere al ragazzo un bicchiere di coca cola, in segno di resa, che lui accettò, con un altro sorriso sorprendentemente aperto e cordiale.
 
New York City. Ore 09.15 P.M. 04 Maggio 2012 (Venerdì)

Dopo l'improvvisata che aveva fatto Artie Abrams alla festa, le sue scuse, e la riconciliazione con tutti, soprattutto con Rachel, accadde un'altra cosa particolarmente bizzarra ed inaspettata: il campanello suonò di nuovo e fu ancora Blaine ad andare ad aprire. E quella volta, fuori dalla porta, aspettava un uomo elegantemente vestito, espressione rigida e composta e una bottiglia di pregiato champagne stretta al petto.
"Signor Chang! Lei cosa ci fa qui?" domandai sorpreso, andando in soccorso di Blaine che sulla porta, lo osservava stranito, ovviamente non conoscendolo
"Mi scusi l'intrusione, signor Hummel... la signorina Lopez oggi all'agenzia mi ha detto che questa sera Lei avrebbe festeggiato il suo successo e allora, mi sono permesso di presentarmi per poterle fare i miei personalissimi complimenti e gli auguri per un futuro pieno di successi!" esclamò con un sorriso cordiale sul volto e alla fine mi indicò la bottiglia "Questo è per Lei!" e me la porse. Io l'afferrai stupito, chiedendomi quante migliaia di dollari avesse speso per uno champagne così prestigioso e soprattutto in che tipo di occasione avrei potuto usarlo, ma Blaine al mio fianco, schiarendosi la voce discretamente, mi ricordò che prima di tutto avrei dovuto pensare alle buone maniere.
"Oh... oh... la ringrazio Signore... io.. non so davvero cosa dire!" ammisi, sentendomi un idiota colossale ed arrossendo di conseguenza "Ma... prego.. cioè... entri pure. Mi farebbe piacere offrirle almeno qualcosa da bere per ringraziarla di essersi scomodato a venire fin qui!" e mi feci da parte per farlo passare. Lui, sempre molto zen e composto, accennò un saluto verso Blaine e oltrepassò l'uscio. Lo guidai fino al tavolo per riempirgli il bicchiere - cosa si da ad un uomo del genere, uno che ha già tutto e che regala ad un suo ex dipendente una bottiglia di champagne da qualche migliaio di dollari? - e attraversando il salotto lui salutò con un cenno sia Santana che Sam. Gli porsi un bicchiere di aranciata, con la mano leggermente tremante e stringendo ancora al petto, come un perfetto idiota, la mia preziosa bottiglia, fino a che Blaine, sempre molto discretamente non mi venne accanto e non me la sfilò delicatamente via, con la scusa di doverla mettere in fresco.
"Molto carino il suo appartamento, signor Hummel!" esclamò facendo un gesto vago per la stanza.
"Oh... no... questo non è il mio appartamento, Signore. Io abito di fronte, su questo stesso pianerottolo. Qui ci abita il mio ragazzo!" spiegai arrossendo e lanciando un'occhiata disperata sia verso Santana - che ridacchiava alle mie spalle - che verso Blaine, sperando che uno dei due venisse in mio soccorso. Ma alla fine, fu proprio Mr Chang ad aiutarmi
"Che ne dici se ci diamo del tu, Kurt? Anche se non sembra, non sono tanto più vecchio rispetto a te." mi propose ridacchiando.
Oddio, dare del tu al mio ex capo... merda...
"Sicuro... ne sarei onorato Signor Cha.."
"Michael... anzi.. meglio ancora se mi chiami Mike!" specificò con un sorriso, notevolmente più sciolto rispetto ai soliti di circostanza ai quali mi aveva abituato in quegli anni
"Mike!" ripetei tentando di alleviare un po' il nervosismo. Ormai potevamo considerarci amici, no? Mi aveva perfino detto di essere mio coetaneo o qualcosa del genere, quindi tutta quell'ansia a stargli accanto non era giustificata. Bevve un po' della sua aranciata, senza lamentarsi né della qualità, né tanto meno del fatto che gliel'avessi servita in un maledetto bicchiere di plastica - cazzo Kurt, almeno un bicchiere di vetro, no? - e alla fine sorrise ancora
"Devo farti i miei più sinceri complimenti, Kurt. Ieri alla sfilata non ho avuto modo di avvicinarti per via della confusione ma... credo tu abbia fatto un lavoro a dir poco eccellente. I tuoi modelli sono stati senza dubbio i migliori di tutta la competizione e se ne è accorta anche Sue... in questi ultimi dieci anni durante i quali ho avuto modo di lavorare con lei, non l'ho mai sentita tessere tutte quelle lodi verso qualcuno e soprattutto.. mai e ripeto mai, si è permessa di aggiungere nuovi stilisti alla sua agenzia. Quelli che ha, e sono davvero pochissimi ed eccezionali, hanno iniziato l'attività assieme a lei quindi.. penso che tu sia davvero un'eccezione, Kurt... un talento incredibile che merita di essere coltivato e seguito. Hai tutte le carte in regola... non mi ero affatto sbagliato sul tuo conto quando ci siamo conosciuti... mi spiace solo di.. non aver potuto fare molto per salvare il tuo posto." spiegò rammaricato. Quelle parole mi riportarono alla mente la questione David e tutto quello che mi aveva causato perdere il lavoro per colpa sua.
"Già... conoscere le persone sbagliate a volte può essere una vera rovina." borbottai con un sorriso amaro. Mike si accigliò
"Come scusa?"
"Sì insomma.. so perfettamente che il mio ex ragazzo.. David Karofsky le.. ti ha chiesto di raccomandarmi cinque anni fa per assumermi e che poi, ti ha perfino chiesto licenziarmi. Ne sono già perfettamente a conoscenza, purtroppo." mormorai sollevando le spalle. Non faceva più male pensarci e forse avrei perfino dovuto ringraziare quell'animale di David: se non fosse stato per lui, io non avrei mai partecipato al concorso della Sylvester e non avrei mai ottenuto un posto tanto prestigioso. Non tutti i mali vengono per nuocere, era proprio il caso di dirlo.
"Karosfky? Non so sinceramente chi sia questo tipo... e credimi.. non ho mai avuto bisogno che qualcuno ti raccomandasse... il tuo talento e la tua educazione hanno fatto a sufficienza, per questo all'epoca decisi di tenerti alla mia agenzia, finito il tirocinio. Per quanto riguarda il licenziamento... come ti ho già spiegato, è stato colpa di una perdita economica piuttosto sostanziosa.. proprio ieri ho dovuto dimezzare l'organico dell'ufficio stampa e perfino le addette alle pubbliche relazioni. Stiamo attraversando un momento davvero critico ma spero che l'agenzia possa risollevarsi presto e tornare a splendere come un tempo." disse tranquillamente ed io, seppure scioccato e senza parole, non riuscii a dubitare neanche per un istante delle sue parole. Cazzo.. David non c'entrava nulla.. né con la mia assunzione né tanto meno con il licenziamento. Era stato davvero un taglio del personale dell'agenzia di Chang e lui non era stato costretto a fare nulla, anzi; il suo dispiacere allora era sincero, quando avevamo parlato l'ultima volta nel suo studio. E quel fottuto bastardo di David si era inventato tutto quanto.. magari lui era già a conoscenza di un ipotetico taglio - lui e le sue maledette conoscenze - e sapeva anche che io vi sarei rientrato ed aveva colto la palla al balzo. Lui non aveva nessun potere su Chang e ormai neanche più sulla mia vita. Peccato che non potessi più togliermi la soddisfazione di andare da lui e sbattergli in faccia il mio successo: si sarebbe senza dubbio mangiato i gomiti.
Vaffanculo David Karofsky....
In quel momento, mentre mi perdevo in un sospiro di sollievo e mi concedevo un sorriso, intercettai un paio di occhi color nocciola guardare incuriositi verso di noi e subito dopo nascondersi altrove, imbarazzati. Con un sorriso, pensai subito che, se la mia buona stella in cui giorni aveva brillato così tanto da concedermi un contratto con la Sylvester, allora avrei potuto usare quella fortuna per dare una mano a qualcun altro.
"Mi scusi un attimo... vorrei presentarti una persona." gli dissi e senza neanche aspettare risposta mi diressi verso Tina, schiacciata contro la parete e le tesi una mano
"Verresti un istante con me?"
"Do..dove?"
"Vorrei... presentarti una persona!"

New York City. Ore 10.01 P.M. 04 Maggio 2012 (Venerdì)
 
La serata stava procedendo nel migliore dei modi fino a quel momento; avevamo avuto un paio di visite inaspettate ma tutto sommato graditissime - Artie stava parlottando con Sebastian e Will in terrazzo, tendendo di nuovo Lea sulle gambe e l'ex capo di Kurt, chiacchierava sul divano con la povera Tina, terrorizzata e viola dalla vergogna - e tutti sembravano divertirsi. 
"Sai che... penso di potermi sinceramente innamorare!" esclamò Puck avvicinandosi a me e sospirando
"Di chi?"
"Di lei!" ed indicò con un cenno del capo Quinn che se ne stava seduta accanto a Rachel ed Emma a ridacchiare serenamente e ad accarezzarsi la pancia. 
"Questa poi.. il burbero Noah Puckermann innamorato di qualcuno! Mi sa che i Maya avevano ragione.. quest'anno finirà il mondo!" esclamai divertito e colpito ma sinceramente felice che, perfino uno scontroso come lui, avesse trovato qualcuno che potesse renderlo felice
"Fai poco lo spiritoso ragazzino... e ricordati che, nonostante il tuo ingaggio alla casa discografica, tu rimani sempre un mio dipendente... quindi, attento a te!" mi minacciò, puntandomi l'indice contro. Alzai entrambe le mani in segno di resa e lui, dopo una smorfia, ritornò a sedersi accanto a Quinn, che lo salutò con un bel sorriso sereno, che ebbe perfino il potere di farlo arrossire.

New York City. Ore 10.03 P.M. 04 Maggio 2012 (Venerdì)

Nonostante tutta quella gente venuta lì per me e Blaine, io sentivo perfettamente la mancanza di qualcuno e difatti, approfittando di un momento di tranquillità, mi appartai in un angolo del terrazzo, con il telefono in mano e chiamai una persona particolarmente importante per me.
"Ehi Kurt... stavo giusto per chiamarti... mi hai anticipato di pochissimo!" esordì la voce allegra della mia amica dall'altro lato del telefono
"É perché io e te siamo sempre due gemelli siamesi divisi alla nascita, ricordatelo Cedes!" le risposi divertito, facendola ridacchiare
"Spero di non averti disturbato... che ore sono lì a Phoenix?" domandai
"Mmm... circa le sei e trenta di sera... nessun disturbo comunque.. sono appena uscita dalle prove e sto aspettando la coincidenza della metro per tornare a casa." spiegò e dal rumore che provenne dal telefono, dedussi che si trovasse in mezzo a parecchia confusione
"Come vanno le cose lì? Siete in pieno festeggiamento?" domandò curiosa
"Esatto... e, Cedes... manchi solo tu!" mormorai rammaricato, stringendo appena la presa attorno al telefono. Lei emise un piccolo lamento sconsolato e poi si lasciò scappare un lungo sospiro
"Lo so, tesoro, lo so... non hai idea di quanto mi senta male per non poter essere lì con te a festeggiare per questo tuo magnifico successo. Ma mi farò perdonare... appena ritornerò a New York ci ritaglieremo un'intera giornata solo per noi due, senza altri intrusi. Ho l'impressione che il tuo nuovo ragazzo non sia opprimente come quel bisonte di David!" scherzò facendomi ridere
"No... su questo puoi stare tranquilla.. non lo è affatto!" confermai, lanciando un'occhiata verso Blaine che all'interno dell'appartamento chiacchierava con Puck al tavolo delle bibite
Quanto sei bello, amore mio...
"Mi sta già profondamente simpatico questo Blaine, nonostante lo abbia visto praticamente solo due volte, una per giunta di sfuggita!" esclamò soddisfatta "Ma penso avrò modo di conoscerlo meglio la prossima volta che ci vedremo!"
"Senza ombra di dubbio." confermai ancora, sorridendo verso il panorama illuminato di New York
"A proposito... come si sta comportando.. 'tu sai chi'?" domandò, abbassando di qualche tono la voce. Non ci fu di certo bisogno di domandarle a chi si riferisse per capire: mi girai istintivamente verso un angolo del terrazzo, dove Sam chiacchierava con Artie Abrams. E sorrisi di conseguenza
"É docile come un agnellino e fedele come un pastore tedesco. Puoi stare tranquilla, amica mia." la rassicurai e lei si lasciò scappare un altro profondo sospiro
"Meglio così. Sembra strano ma la distanza inizia a farsi sentire. Per fortuna non manca poi molto." borbottò, palesemente abbattuta. Ah però.. quella che era iniziata come una cosetta da niente, si stava rivelando più importante di quanto potessi immaginare.
E brava Mercedes...
"Stringi i denti ancora per un po'... e poi potrai godertelo finché ne avrai voglia." le dissi, leggermente malizioso facendola ridacchiare
"Non vedo l'ora. Scusa, tesoro, ma ora devo andare.. è arrivato il mio treno. Ci sentiamo domani così parliamo meglio di questo tuo nuovo ingaggio e... soprattutto di Blaine. Lo sai che voglio sapere tutto, quindi preparati!" mi avvertì bonariamente.
Rachel due la vendetta...
"Sarà fatto... buona serata, Cedes.. a domani!" la salutai, con il sorriso sulle labbra
"Buona serata anche a te, Kurt... e sappi che ti porto nel cuore, sempre!"
Anche io Mercedes... anche io...

New York City. Ore 10.13 P.M. 04 Maggio 2012 (Venerdì)

"E dunque... ora che sei diventato famoso.. lascerai il pub?" mi domandò Brittany, circondandomi le spalle con un braccio e facendo dondolare la sua preziosa coda di cavallo bionda. Mi lasciai scappare una risata e neanche a farlo di proposito proprio in quel momento passò Puck al nostro fianco e ovviamente sentì tutto
"Sono mesi che cerco una scusa valida per sbatterlo fuori dal mio locale... forse questa è la volta buona!" borbottò per poi afferrare un bicchiere pulito e poi tornare a sedersi accanto alla sua Quinn. Io e Brittany ci lanciammo un'occhiata interrogativa
"Secondo te fa sul serio?" le domandai esitante
"Non so... questa volta sembra proprio di sì. Anche se, sono sicura che preferirebbe vendere cara la cresta, piuttosto che rinunciare a te!" e poggiò appena la fronte alla mia in un gesto di affetto che mi fece sorridere. Brittany a volte era di una dolcezza sconvolgente: con le persone con cui entrava in confidenza, sia uomini che donne, diventava così affettuosa da sembrare quasi una bambina cresciuta soltanto in altezza. Eppure non era mai stata infantile: il fatto di aver iniziato a lavorare ben presto per mantenersi gli studi e dare una mano a casa, le aveva garantito una maturità fuori dal comune. Era giovanissima eppure... aveva la testa perfettamente ancorata sulle spalle ed io mi sentivo estremamente lusingato ad aver stretto quel bel rapporto con lei.
Un'altra cosa di cui ero molto felice, era della sua relazione con Santana: non avevo mai sospettato che Brittany potesse essere lesbica, eppure vederla così serena ed affiatata con la modella ispanica, mi rendeva felice. Aveva bisogno anche lei di un po' di tranquillità e forse, insieme a Santana l'aveva trovata.
"Lo spero davvero, Britt... lo spero davvero tanto!"

New York City. Ore 00.45 A.M. 05 Maggio 2012 (Sabato)

Ci trovavamo distesi placidamente nel letto di Blaine, dopo aver fatto l'amore, ed io mi stavo divertendo parecchio a passargli le dita tra i ricci - pratica che avevo scoperto essere particolarmente distensiva per il sottoscritto e anche un po' per lui - quando il suo telefono cinquettò sul comodino, illuminando praticamente tutta la stanza.
"Non è un po' tardi per ricevere messaggi?" lo provocai divertito, sollevando appena gli occhi per incontrare i suoi, e riuscii a perdermici dentro, nonostante il buio che ci circondava. Il petto gli vibrò, mentre ridacchiava e si allungò per afferrare il telefono
"Considerando l'orario.. o è Sebastian che ha combinato qualche cazzata ed ha bisogno di conforto..." iniziò, accendendo l'abat-jour sul comodino
"Oppure?"
"Oppure..." sentii il fruscio con cui sbloccò il telefono e perfino il rumore dolcissimo del suo sorriso "Oppure è Cooper!" e mi passò il telefono, sempre sorridendo. Io lo afferrai, confuso e lessi il messaggio che suo fratello aveva mandato
*Era oggi pomeriggio la sfilata, vero? Spero di non aver sbagliato anche questa volta. Fai un grosso in bocca al lupo a Kurt e ricordagli che suo cognato fa il tifo per lui. ;) Un abbraccio ad entrambi. P.s. Quando avrò il piacere di entrare in un negozio di dischi ed ordinare il tuo primo singolo, schizzo?*
Una risata mi partì spontanea, perché Cooper era stato capace, non solo di ritardare di quasi due giorni quel messaggio di in bocca al lupo per la sfilata, ma soprattutto perché aveva scritto che... mio cognato faceva il tifo per me. Mio cognato.
"Credo di non avere neppure la forza di arrabbiarmi questa volta. Purtroppo dubito che imparerà mai ad essere puntuale e soprattutto capirà il fuso orario di New York!" scherzò lui, dando un'occhiata alla radiosveglia, che segnava quasi l'una di notte.
"Beh... io apprezzo ugualmente il gesto, così come feci il giorno del mio compleanno. E poi... hai visto? Attende con ansia il tuo primo singolo... fa il tifo anche per te!" esclamai entusiasta, ripassandogli il telefono, che riposò sul comodino
"Mmm... probabilmente Cooper è sempre stato il mio primo fan. E forse.. anche l'unico." mormorò ridacchiando
"Ehi... grazie tante, Anderson. Ci sono anche io nella folla!" gli ricordai, tirandogli un leggero schiaffetto sul petto. Lui con un movimento quasi fulmineo, si arrampicò su di me fino a sedersi sul mio stomaco, con le mani poggiate ai lati del mio viso e le labbra decisamente troppo vicine alle mie.
Oh Santa misericordia...
"Non mi sono affatto dimenticato di te, anzi... tu sei sempre in cima ad ognuna delle mie liste." sussurrò stringendo appena gli occhi e concentrandosi completamente su di me. Con l'eco del mio cuore che avvertivo in ogni cellula del corpo, portai entrambe le mani dietro al suo collo, per avvicinarlo maggiormente a me e potergli rubare un piccolissimo bacio
"Tutte quante?" domandai in un sussurro
"Mmm... tutte quante!" confermò con un mezzo sorriso sghembo per poi azzerare ancora la distanza, e congiungere le nostre labbra che non erano ancora né stanche né sazie di amarsi.
Io non sarò mai sazio di te...
Continuammo a baciarci con intensità rinnovata, nonostante ci fossimo da poco concessi il nostro momento di passione, ma d'altronde non mi sarei mai meravigliato se, in futuro non fossi stato in grado di frenare gli istinti con lui: Blaine accendeva in me dei sensi di cui prima non sapevo neanche l'esistenza e probabilmente neanche lui sarebbe stato tanto dispiaciuto di fare molta altra pratica. Era un modo come un altro per dimostrarsi amore ed io per lui ne avrei sempre avuto a dismisura, quindi... se le situazioni si fossero presentate in abbondanza.. meglio ancora.
"Sai cosa manca a questo punto per far sì che io sia completamente felice?" gli feci qualche istante dopo, mentre lui si schiacciava maggiormente addosso a me e posava la fronte alla mia
"Cosa?" domandò curioso
"Avrei voluto che... mio padre ti conoscesse." mormorai passandogli una mano tra i capelli della nuca distrattamente "Gli saresti senza dubbio piaciuto molto!" aggiunsi con un sorriso malinconico, cercando di immaginare un'ipotetica conversazione tra mio padre e Blaine: ci sarebbero stati senza dubbio degli imbarazzi generali all'inizio ma poi, magari rompendo il ghiaccio grazie a qualche commento sul football, avrebbero stretto amicizia e si sarebbero piaciuti a vicenda. Ne ero fermamente convinto. Mio padre era sempre stato un uomo alla mano, semplice e bonario e Blaine sarebbe stato per lui il perfetto genero per il suo figlioletto adorato. D'altronde, Blaine sembrava avere - senza il sembrava - tutte le qualità che lui mi aveva sempre raccomandato di ricercare in un uomo - o una donna, quando ancora non sapeva fossi gay - e quindi ero sicuro che, conoscendolo, anche lui avrebbe capito quale persona meravigliosa fosse Blaine Anderson e mi avrebbe perfino sorriso, sotto il suo cappellino da baseball preferito e mi avrebbe detto qualcosa come "Ottima scelta, ometto!"
Peccato che tu non possa dirmi nulla, papà...
Calò uno strano silenzio nella stanza, tanto che per un momento temetti che Blaine si fosse addormentato, anche se il suo respiro era troppo accelerato per crederlo davvero.
"Blaine?"
"Posso vederlo?" mi domandò a bruciapelo, sorprendendomi
"Chi?"
"Tuo padre... hai una sua foto?" specificò con la voce pacata e tranquilla anche se ridotta ad un misero sussurro. Io mi ritrovai a tremare sotto di lui perché tutto mi sarei aspettato, tranne che una richiesta di questo tipo: lui voleva... vedere mio padre? E perché? Cosa aveva intenzione di fare?
Senza dire niente, mi sporsi verso il pavimento, mentre lui scivolava giù al mio fianco per permettermi di muovermi meglio e recuperai il portafoglio dalla tasca dei jeans. Lo aprii, ancora con il cuore che batteva ad un ritmo davvero bizzarro, e ne tirai fuori una piccola fotografia, quasi del tutto consumata sui bordi, in cui il mio adorato papà sorrideva orgoglioso, per aver appena scoperto che il suo bambino era entrato nella rosa dei prescelti della NYADA. Quella era stata l'ultima fotografia fatta prima che morisse, prima che tutta la mia vita si rivoluzionasse: un semplice sorriso spontaneo e genuino che racchiudeva tutta l'essenza del mio papà e che era sufficiente per ricordarmelo sempre, in ogni momento della giornata. Gli porsi la foto e lui la prese con molta delicatezza, quasi con un certo rispetto e la posò sul cuscino, sistemandosi a pancia in giù. Rimase per un tempo quasi indefinito ad osservarla, piegando la testa prima da un lato e poi dall'altro, accarezzandone il bordo inferiore e poi sistemando perfino una piccola orecchia che si era creata su un lato, a causa del portafoglio. Alla fine, proprio quando il mio cuore aveva iniziato a perdere i primi battiti, a causa dell'attesa silenziosa, lui parlò
"Signor Hummel... mi permetta di presentarmi ufficialmente. Mi chiamo Blaine Anderson e sono... perdutamente ed incondizionatamente innamorato di suo figlio. Lo amo da impazzire, più della mia stessa vita e sarei disposto a qualunque cosa pur di renderlo felice. Io so quanto lei sia importante nella vita di Kurt e per questo mi permetto di parlarle con tutta questa schiettezza, quasi come se parlassi al mio stesso padre. Io vorrei che lei mi permettesse di amare suo figlio da qui all'eternità, che mi permettesse di prendermi cura di lui, di coccolarlo sempre, di accudirlo, di occuparmi della sua felicità e di fare tutto ciò che lei ora non sarà più in grado di fare. Non ho intenzione di sostituirmi a lei, questo no.. anche perché un padre non potrà mai essere sostituito ed io non vorrei mai che Kurt la dimenticasse.. solo.. mi permetta di essere un amico perfetto per suo figlio, un compagno, un confidente, un fratello, un sostegno e.. perché no anche un amante... ed io le prometto che non la deluderò mai ma soprattutto tenterò di non deludere mai lui. Ha la mia parola Signor Hummel." disse e alla fine accennò perfino un sorriso educato, visibilmente sincero e per niente forzato. Ed io, da sentimentale qual'ero, neanche a dirlo, mi ritrovai a piangere come una fontana: perché... cazzo... Blaine l'aveva fatto davvero, si era presentato a mio padre - nel suo personalissimo modo di fare - e nonostante tutto era riuscito a seguire le tradizioni e quelle parole.. Dio... con che speranza sarei riuscito a sopravvivere una vita intera accanto ad uno così? Se solo due parole dette davanti ad una fotografia mi facevano quell'effetto... sarei morto molto presto con quel ritmo.
Mi coprii la bocca con la mano, tentando di sopprimere i leggeri singhiozzi che mi stavano scuotendo, mentre lui afferrava la foto, sempre con molta delicatezza e la metteva al sicuro sul comodino, per poi girarsi verso di me e stordirmi con uno dei suoi innocenti e bellissimi sorrisi
"Dici che l'ho convinto?" mi domandò intimidito. Mi scappò una risata, mentre le lacrime scorrevano liberamente sulle guance ed io continuavo ad infischiarmene perché era davvero bello sapere di poter piangere per cose così. Per lui l'avrei fatto, sempre. Mi sporsi verso di lui, fino ad arrampicarmi addosso e incollai le labbra alle sue in un disperato e tormentato e passionalissimo bacio che mozzò il fiato ad entrambi
"Hai convinto me.. è questo quello che conta!" mormorai in risposta, mentre lui arrossiva appena e mi regalava un altro bellissimo sorriso.
"Ti amo, Kurt... tanto..." bacio "..tanto.." un altro bacio "..tanto.." un altro bacio ancora "..tantissimo!"
"Ti amo anche io... e finché continuerò a farlo... potrò dire di essere completamente felice."
E forse fin dall'inizio, fin dal momento in cui i nostri sguardi si erano incrociati e persi per la prima volta, doveva andare così; forse non c'erano altri epiloghi per una storia come la nostra; forse non sarebbe neanche stata la stessa cosa se in mezzo non si fossero messi tutti quegli imprevisti e quegli ostacoli che invece di dividerci, avevano soltanto alimentato il nostro legame; forse c'entrava il destino, o il caso oppure una combinazione fortuita di coincidenze; forse era semplicemente inspiegabile; forse l'amore non andava neppure capito, ma custodito e basta; forse la mia vita non sarebbe mai stata la stessa se quel giorno, esattamente il 15 marzo, Blaine non si fosse trasferito al 2113 di Lower East Side, a meno di tre metri da me; forse niente sarebbe cambiato o forse avrei ugualmente ottenuto tutto, perché due come noi si sarebbero incontrati comunque, anche tra dieci milioni di persone, anche in una città caotica come New York, anche se le nostre vite non si fossero mai incrociate, mai toccate, mai neppure sfiorate, anche in Paradiso. Ci saremmo trovati ugualmente, i suoi occhi dorati sarebbero entrati nella mia vita, sconvolgendola e ordinandola ed io avrei scosso un po' la sua ed insieme avremmo tessuto il nostro personale sogno, con il nostro amore a fare da decorazione. Ed io speravo con tutto il cuore che quel nostro personalissimo mondo sarebbe rimasto intatto e meraviglioso per sempre e che tra di noi, l'unica distanza rimasta ancora certa ed invariabile, fossero quei tre metri che separavano i nostri appartamenti, divisi... soltanto da un pianerottolo.
  
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