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Autore: Alexandra_ph    31/12/2012    4 recensioni
Questa FF (scritta nell'ormai lontano dicembre 2007) è un piccolo regalo per il nuovo anno...
Questo racconto parte da un "E se...". Una storia che sa "di vecchio", ma anche "di nuovo".
Il mio personalissimo augurio a tutti voi di BUON ANNO!
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harmon 'Harm' Rabb, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2

 

“…I say love it is a flower,

and you its only seed...” [1]

 

 

 

Fu il profumo della sua pelle a risvegliarlo. Il profumo della sua pelle e i ricordi della notte appena trascorsa. Rimase ad occhi chiusi, ad attendere di riprendere lentamente coscienza, mentre un pigro sorriso gli distendeva le labbra.

Sarah…

Il ricordo di ogni singolo momento in cui l’aveva chiamata per nome gli procurò un piacere intenso: lo aveva pronunciato guardandola negli occhi mentre la spogliava; lo aveva sussurrato al suo orecchio toccandola… lo aveva mormorato col respiro affannato mentre entrava in lei. E ogni volta che lo aveva pronunciato, gli era sembrato che fosse un suono sempre più dolce.

Un suono dolce che, inspiegabilmente, lo turbava.

La pioggia, fuori, cadeva ancora. Più lenta, ma costante. Lo percepiva dal sommesso ticchettio che faceva da sottofondo al silenzio della stanza. Indugiò ancora per qualche istante con gli occhi chiusi, lasciandosi cullare dai pensieri.

Aveva fama di riscuotere un discreto successo con le donne; gli incontri intensi e senza legami, quelli che lui preferiva, non erano un problema.

Kate, ad esempio.

In genere evitava di avere storie con le sue partner, ma Kate Pike era diversa dalle altre, per questo era l’unica eccezione. Era disinibita e spiritosa, pronta come lui a godersi una notte di piacere senza complicazioni. Inoltre era tenera e appassionata, quel tanto che bastava per farlo sentire speciale. Aveva un unico difetto: Kate adorava ancora più di lui di sentirsi libera e non dava mai ad un uomo la sensazione di essere importante, se non tra le lenzuola. Con lei si aveva sempre la sensazione, non appena terminato l’amplesso, di poter essere immediatamente sostituito da un altro uomo, che lei avrebbe amato con lo stesso entusiasmo e trasporto.

Kate era fatta così, prendere o lasciare. E a lui, nonostante tutto, andava bene: nessun impegno, puro e semplice divertimento, quando entrambi ne avevano voglia.

Con Sarah, invece, era stato tutto diverso.

Anche lei, come Kate, era tenera e appassionata; un’amante perfetta, che lo aveva seguito senza indugi né inibizioni nell’intimo viaggio alla ricerca del piacere. Ma a differenza di Kate, con Sarah si era sentito completamente coinvolto, corpo e mente, poiché in lei aveva percepito il medesimo coinvolgimento di sensi ed emozioni.

Tutto questo era pericoloso, lo sapeva. Molto pericoloso.

Tuttavia il piacere, non solo fisico, provato con lei, lo tentava molto e lo stava spingendo su un terreno fragile, rischioso; ma gli era impossibile resistere.

Voleva averla ancora, una sola notte non gli bastava.

Sarebbe rimasto lì fino alla mattina successiva, poi doveva rientrare a Washington. E lei gli aveva detto, proprio poche ore prima, che avrebbe lasciato l’albergo solo l’indomani.

Mentre facevano l’amore, inspiegabilmente si era trovato a dirle che era meravigliosa e che voleva trascorrere dell’altro tempo con lei…

Era sembrata sorpresa: “Avevi detto solo per una notte…”.

“Hai ragione. Allora sarà solo per due notti…” aveva ribattuto pronto lui, cercando di sdrammatizzare ciò che temeva d’averle trasmesso poco prima, facendole quella proposta con più passione di quanta avrebbe mai immaginato lui stesso di sentire nella propria voce.

Lei lo aveva guardato negli occhi, turbata. Poi gli aveva detto, prendendolo in giro e tentando a sua volta di sdrammatizzare:

“Non sei così irresistibile, sai?”.

Eppure aveva colto un’emozione strana nel suo sguardo. Un’emozione pericolosa. Che tuttavia lo intrigava moltissimo.

Pigramente allungò il braccio, alla ricerca del suo corpo morbido, dalla pelle profumata e vellutata. Quel corpo morbido e invitante che aveva amato per tutta la notte e che desiderava ancora.

Incontrò solamente il lenzuolo.

Aprì finalmente gli occhi e si guardò attorno, confuso. Il profumo della sua pelle, che ancora aleggiava nella stanza, era soltanto un ricordo.

Lei se n’era andata.

 

***

 

Fiori. Tutti quei dannati fiori.

L’Ammiraglio gli stava parlando e lui non riusciva a concentrarsi sulle parole del suo superiore. Riusciva solo a pensare a quel dolce profumo di fiori.

La pelle di Sarah profumava allo stesso modo… Ed era liscia e vellutata al tatto, esattamente come lo sarebbero stati i petali delle rose bianche che riempivano quel giardino, se solo li avesse sfiorati. Ne era certo.

Aveva appena ricevuto una medaglia al valore, eppure l’unico ricordo che aveva di quel momento era l’attimo in cui aveva riportato l’attenzione sul presidente Clinton per ringraziarlo. Per tutto il resto del tempo la sua mente era stata invasa unicamente dal ricordo di lei.

Tutta colpa di quei dannati fiori.

L’Ammiraglio Chegwidden gli stava dicendo qualcosa riguardo al fatto che il guardiamarina Roberts avrebbe fatto parte del suo team, su consiglio del tenente Austen.

Qualcuno avrebbe dovuto sostituire Meg… il guardiamarina Roberts, pur volonteroso, era ancora troppo inesperto per diventare suo partner nelle indagini cui era solitamente assegnato. Doveva ancora farsi le ossa. Tuttavia sarebbe stato un valido supporto e avrebbe avuto modo di imparare.

Si stavano avvicinando all’uscita di quel giardino… forse, finalmente, sarebbe stato in grado di concentrarsi meglio. Invece, proprio in quel punto, sembrava quasi che il profumo di quelle dannate rose fosse ancora più intenso.

Era voltato verso Bud; gli aveva appena rivolto un sorriso d’incoraggiamento, per fargli capire che era felice d’averlo in squadra.

All’improvviso una voce gli fece esplodere il cuore nel petto.

Non era possibile…

Si voltò e si sentì mancare: in piedi, sull’attenti, c’era lei, che aveva appena salutato Chegwidden. Indossava l’uniforme verde militare dei Marine ed era bellissima.

Ancora più bella di come la ricordava.

“Capitano di Corvetta Harmon Rabb, Maggiore Sarah Mackenzie.”.

La voce dell’Ammiraglio che faceva le presentazioni gli arrivò lontana, come se giungesse da un altro pianeta: si sentiva come se gli avessero improvvisamente scollegato tutti i circuiti cerebrali. L’unico pensiero che riuscì ad attraversargli la mente fu che lei, poco prima di fare l’amore, non si era inventata un nome per accontentarlo, ma gli aveva rivelato il proprio.

Gli sembrò che fosse impassibile, per nulla turbata dalla scoperta di trovarsi di fronte allo sconosciuto che l’aveva amata per un’intera notte.

“Mac…”. Rivolgendogli un lieve sorriso, tese la mano verso di lui.

Che stava dicendo?

Mac?

Gli si stava presentando come Mac… già, forse l’abbreviativo di Mackenzie.

Un Maggiore dei Marine.

Non l’avrebbe mai detto.

Un Maggiore dei Marine non aveva il diritto di avere una pelle tanto morbida, di essere tanto bella e di profumare di fiori…

Doveva aver fatto qualcosa che non andava, perché improvvisamente si rese conto che tre paia di occhi erano puntati su di lui: quelli dell’Ammiraglio, sorpresi e indagatori; quelli di Bud, incuriositi, e poi i suoi… non riuscì a capire… sembravano… delusi?

Finalmente notò che lei gli aveva porto la mano, a mo’ di saluto, e lui non gliel’aveva neppure stretta.

Imperdonabile.

Ecco perché lo stavano osservando così.

Vide che stava per ritrarla e si affrettò a prendergliela, mormorando:

“Harm.”.

Il contatto tra le loro mani durò solo una frazione di secondo, ma per lui fu un tormento indescrivibile.

Nel frattempo l’Ammiraglio stava domandando, probabilmente sorpreso dal suo insolito comportamento, se già si conoscessero.

“Sissignore…” gli sfuggì dalle labbra.

Certo che si conoscevano. Eccome se si conoscevano!

“Nossignore.”.

No.

Contemporaneamente a lui, lei aveva detto no.

Saggia donna.

In fondo non si conoscevano affatto. Ricordava a memoria il suo corpo, ma non la conosceva. Sapeva come farla gemere tra le sue braccia, ma non sapeva altro di lei.

L’Ammiraglio lo stava guardando, ancora più sorpreso.

Si affrettò a bofonchiare qualcosa, inventandosi un’assurda storia che lei gli ricordava una donna conosciuta all’Accademia. Dopodiché seguì il gruppetto che si stava avviando all’auto. A quanto sembrava Sarah Mackenzie avrebbe preso il posto di Meg Austen come sua partner.

Nella mente gli transitò un solo pensiero: come avrebbe fatto a lavorare con lei?

 

***

 

Era tesa. Diffidente. Guidava concentrata, ma non smetteva un attimo di lanciargli occhiate.

Temeva che l’avrebbe tradita per la faccenda di suo zio oppure…

Oppure cosa?

Oppure stava disperatamente cercando di tenere a bada le sue emozioni, proprio come stava tentando di fare lui?

Dio, com’era bella.

Ogni fibra del suo essere stava fremendo dal desiderio… in quel preciso istante avrebbe voluto fermare l’auto e gettarsi su di lei come un selvaggio.

“Perché mi guardi così?”.

Santo Cielo. Cosa le saltava in mente di fargli una domanda simile proprio in quel momento?

“Perché sei bella… bellissima”.

“Dobbiamo parlare.”.

“Di che cosa?”.

“Di noi due. Di te e di me.”.

“Sarah…”.

“Mac. Io, per te, sono Mac.”.

“Cosa vuoi dire?”.

“Che Sarah non esiste. Non è mai esistita, tra noi.” La sua voce era fredda, determinata.

“E’ questo che vuoi?”.

“Tu che cosa vorresti?”

“Non lo so…”

“Ecco, appunto. Quindi io sono Mac.”.

“Ma…”

“Smettila, Capitano. Dovremo lavorare assieme. Non possiamo farlo se non scordiamo tutto quanto”.

“Tu ci riesci? Riesci a dimenticare?”.

“L’ho già fatto”, disse risoluta.

“Davvero? Tutto quanto?”.

“Tutto quanto”.

“Anche come ti sentivi tra le mie braccia? O come imploravi che ti facessi mia?”

Lo sguardo che gli rivolse lo fece sentire dannatamente sleale… ma non era riuscito a trattenersi. La vide arrossire ed inspirare profondamente.

No, non aveva scordato tutto quanto.

Le rivolse uno dei suoi sorrisi favolosi, sperando… sperando in che cosa?

Aveva ragione lei. Non c’erano possibilità per loro: lui non voleva complicazioni. Non le aveva mai volute, non avrebbe cominciato a volerne ora. Neanche se lei era la donna più sensuale e desiderabile con cui avesse fatto l’amore.

“Il tuo è un sorriso affascinante, Capitano. E di certo ti fa ottenere ciò che vuoi. Ma io non ti conosco e non ho intenzione di giocarmi la carriera per un’unica notte… “.

“Che cosa proponi, allora?”

“Cominciamo come colleghi, e poi chissà? Magari potremmo diventare persino amici.”.

Amici?

Grandioso.

 

***

 

Una pistola puntata alla schiena non era proprio quello che lui intendeva per “AMICI”.

Come aveva fatto a fregarlo così?

Che domanda idiota! Ovvio come c’era riuscita: gli aveva sorriso, lo aveva involontariamente sfiorato, lo aveva guardato…

E lo aveva fatto impazzire, per tutto quel dannato viaggio, facendogli desiderare di baciarla fino a farla implorare di prenderla, esattamente come aveva fatto l’altra notte, ogni volta che l’aveva baciata.

Poi lo aveva incuriosito con pochi sprazzi della propria vita e lui aveva desiderato prenderla di nuovo tra le braccia, ma per confortarla. Quella storia sul suo alcolismo l’aveva turbato.

Quindi l’aveva spiazzato, consegnandolo allo zio come suo prigioniero, dopo che era riuscita ad averlo sotto tiro.

Ed ora aveva di nuovo voglia di lei.

Suo zio, il Colonnello O’Hara, dopo che lo aveva  convinto a costituirsi con un discorso appassionato, promettendogli di difenderlo in tribunale, aveva appena domandato alla nipote dove lo aveva conosciuto.

Prima di rispondere, lei gli aveva rivolto una lunga occhiata. In quello sguardo, lui aveva potuto leggere tutto il suo desiderio. E scoprirlo, lo aveva nuovamente infiammato.

“In un giardino di rose, zio Matt”, aveva risposto alla fine, dolcemente, riferendosi al loro incontro ufficiale; ma in fondo la risposta poteva valere anche per il loro incontro “ufficioso”: la sua pelle profumava di fiori, e per lui era meglio di un giardino.

Il Colonnello si allontanò da loro, per andare a definire gli ultimi dettagli prima di consegnarsi alla giustizia.

Lei fece per seguirlo, ma lui la fermò, prendendola per una mano. Non appena la toccò, si pentì d’averlo fatto. Doveva mantenere le distanze, altrimenti non avrebbe resistito. Era troppo pericolosa…

“Credevo avessimo detto di diventare amici… è puntandomi un’arma alla schiena che avevi in mente di provarci?”.

Lei non rispose.

“Ok, Mac. Passerò sopra a questo insignificante dettaglio. E hai ragione tu: l’unico modo per riuscire a lavorare assieme è cercare di diventare amici… Posso avere il permesso di provarci? E senza trovarmi di nuovo con una pistola puntata contro?”.

Lei non rispose. Sorrise e s’incamminò per raggiungere suo zio.

Per un po’ lui rimase a guardarla allontanarsi.

Indossava un prendisole a fiori, che le accarezzava dolcemente fianchi e gambe, ondeggiando ad ogni suo passo. Aveva un modo così sensuale di muoversi che sembrava stesse danzando...

Quell’immagine gli riportò alla mente il suo corpo stretto al proprio mentre ballavano al pub… e una strofa della canzone, l’ultimo lento prima che la musica cambiasse:

“… I say Love it is a flower, and you its only seed…”

Ricordava d’aver pensato per un attimo che quelle parole potessero adattarsi a lei…

E anche ora, nel ricordarle, quel pensiero insidioso tentava di farsi nuovamente strada nella sua mente: l’amore è un fiore… e tu il suo unico seme…

Si impose di scacciare quell’idea al più presto, rapidamente, così come era venuta. Già lavorare con lei sarebbe stato un tormento, ma non aveva alternative… altri pensieri su di lei erano fuori discussione.

Aveva deciso: niente complicazioni.



[1]

 I versi che fanno da titolo o sottotitolo ai capitoli sono tratti dal testo della canzone ‘THE ROSE’, cantata da  Betty Midler. 

Un GRAZIE a DESI per avermela fatta scoprire attraverso il suo video.

  
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