Chiedo
scusa per l’enorme ritardo! Ma ammetto che questo capitolo mi ha dato non pochi
problemi! E’ stato veramente pesante e duro scrivere una cosa del genere.
Per ora vi saluto distrattamente, è tardi e il pc grida vendetta xd. Per cui
non posso far altro che salutarmi e ringraziarvi per l’appoggio che mi date! Il
prossimo sarà l’ultimo capitolo! E, si spera, arrivi presto!
Ciao
ciao!
Lore-Minako
~ A Beautiful Mortal
- Chicago 1918
capitolo 9: La
spagnola.
×
Il
tempo passò inesorabile e solo una mattina, mentre Edward faceva colazione,
notai con orrore che il calendario segnava il 5 Agosto 19018.
Ero in
quell’epoca da una settimana.
Con un sospiro, guardai con affetto quella
testa rossa che mangiava piano i suoi biscotti al cioccolato. Proprio come una
bambino.
Ma non c’era niente di infantile in quei due smeraldi che aveva come
occhi. C’era solo costante amarezza, angoscia, morte.
E, ogni volta che mi veniva
voglia di tornare nel presente, vedendomi specchiata li dentro il mio cuore si
stringeva in una morsa inequivocabile. Volevo stare con lui.
Forse per colpa
della litigata avuta con l’Edward del presente, forse perché volevo proteggerlo
e capire come mai ero riuscita a toccarlo… fatto sta che tutto ciò rendeva il
mio soggiorno lì più interessante.
« Io vado. » annunciò stanco Edward
senior, prendendo un cappello. La moglie gli schioccò un dolce bacio sulla
guancia, mentre il figlio gli fece un cenno col capo.
Ma in quel momento
iniziò a tossire, tanto che dovette sostenersi alla porta di entrata.
«
Dovresti stare a casa. » buttò lì Elizabeth apprensiva. « Ti prego, Edward. Hai
una brutta tosse. »
« Suvvia, amore. E’ solo un po’ di tosse. Mi è andato di
traverso il tè. »
Nessuno credette a quella scusa butta lì solo per zittire
la moglie, e quest’ultimo se ne andò. Lizzie sospirò.
« Edward, io esco. Vado
al mercato. Tu resta casa, mi raccomando. » disse la rossa, mentre Edward
annuiva stanco.
« Ciao tesoro. » annunciò baciandolo amorevolmente sulla
fronte.
« Ciao, mamma. » rispose Edward, più stanco e malinconico che mai.
E, con un sorriso triste, la donna uscii di casa, facendo svolazzare la gonna
elegante.
Rimasi da sola con lui.
Con un’aria stravolta e il viso solcato
da profonde occhiaie – che comunque non erano niente in confronto a quelle che
aveva da vampiro – si alzò, prendendo il piatto con ancora alcuni biscotti per
riporlo in cucina. Trascinandosi sui piedi, tornò al tavolo, e prese la tazza
vuota del tè.
Ma la prese male e, cadendogli di mano, finì sul pavimento in
un’esplosione di cocci.
« Dannazione. » imprecò alzando gli occhi al cielo.
Quindi si accovacciò per iniziare a prendere i pezzi più grossi, quando una
scheggia gli punse il pollice.
« Ahi. » esclamò, quando alcune gocce di
sangue si spargevano sulle piastrelle lucide.
Accadde tutto in un secondo.
Un profumo senza eguali si diffuse nell’aria: era un sapore terribilmente
dissetante, che fece scaturire in me le più fervidi bramosie.
E, prima che
potessi rendermele conto, gli fui addosso.
Sentii il suo corpo caldo su di
me, mentre cercavo di prendergli la mano. Lo lanciai lontano dal tavolo,
facendolo cadere sul tappeto del piccolo salotto.
In quel momento non capivo
più niente. C’era solo il sue sangue, tanto invitante da farmi inebriare i
sensi. E non diedi neanche troppo peso al fatto che potessi toccarlo, mentre
sotto di me chiudeva gli occhi gemendo.
Dentro di me volevo fermarmi. Volevo
alzarmi, porgergli una mano e curargli quella ferita come se niente fosse. Ma
non ce la feci. Avevo sete, terribilmente sete. Erano da giorni che non andavo a
caccia, e, supposi, i miei occhi dovevano essere onice pura.
Ero a poca
distanza dal suo petto, dove batteva forte il suo cuore. Pieno di sangue, pensai.
Stavo per
mordergli la pelle, quando lo sentii gemere più forte. E un’altra ondata di
odore squisito mi inebriò. Ma quando vidi un taglio profondo nella sua testa
perdere sangue, mi sentii male.
Di scatto mi allontanai, e tornai ad essere
un fantasma. Lo capii quando sorpassai per la fretta il tavolo.
« Edward. »
dissi senza voce.
Era a terra, il dito non sembrava neanche più così
invitante ora che vedevo cosa gli avevo fatto.
La testa continuava a perdere
sangue, se pur – notai – il taglio non era così profondo. E mi chiesi con cosa
mai avesse potuto tagliarla.
E solo quando notai che il mio anulare era
coperto di sangue capii che dovevo essere stata io.
Con
un gesto fulmineo mi ripulì, allontanandomi il più possibile dalla sua figura
che gemeva imprecando.
Era da questo che Edward si teneva sempre alla larga?
Era per questo che prendeva tante precauzioni?
Mi sentii uno schifo.
Tante
volte mi ritrovavo arrabbiata, sconvolta e perfino scocciata quando magari mi
teneva stretta a lui allontanandomi un secondo dopo.
Era da quello che mi
proteggeva?
« Voglio tornare a casa. » singhiozzai, senza versare neanche
una singola lacrima.
« VOGLIO TORNARE A CASA! »
Aspettai esanime che tutto
iniziasse a vorticare, segno che stavo tornando indietro. Ma non
accadde.
Rimasi lì, con il fiatone, a guardare il mio Edward rimettersi su a
fatica, mentre si toccava dolorante la testa, oramai piena di sangue. Ma, per
fortuna, non mi resi conto di quanto sangue gli fosse uscito. La sua chioma
rossiccia rendeva tutto molto confuso: non capii, stordita com’ero, quale rosso
faceva parte dei capelli e quale del suo sangue delizioso.
Passarono alcuni
minuti, nella quale oramai non riusciva neanche ad alzarsi. Probabilmente gli
girava la testa.
Alla fine, la maniglia del portone girò, ed entrò
Elizabeth.
Appena vide suo figlio, quasi svenne.
« EDWARD! » urlò con
voce roca, mentre lasciava cadere per terra il sacchetto con la verdura. Non
volendo vedere la scena, mi concentrai sui pomodori e le melanzane che
ricadevano disordinatamente sul pavimento.
Era colpa mia.
Era solo ed esclusivamente colpa mia.
« Va tutto bene. » bofonchiò
Edward, chiudendo gli occhi.
« No che non va bene. Cosa diavolo hai fatto! »
quasi urlò disperata, mentre piangeva forte. Tremante si buttò sul telefono,
facendo un numero a memoria. Aspettò alcuni minuti, e iniziò a singhiozzare più
forte.
« Mandatemi un dottore, ve ne prego. Mio figlio sta male. Perde sangue
dalla testa. » pianse preoccupata. Poi la sua espressione si fece a dir poco
disperata.
« No, non ha la spagnola. Si è fatto male e… pronto! PRONTO?!
»
« Mamma. Va tutto bene. Sono scivolato. » mormorò Edward, toccandosi la
testa, gemendo.
« Vuoi morire dissanguato?! Devo trovarti un medico! »
annunciò camminando verso la porta di uscita. E la senti chiamare disperatamente
un dottore.
« Edward? » mormorai avvicinandomi un poco.
« Edward? Mi
dispiace… » singhiozzai.
« Ti amo, Edward, ti prego, ascoltami, ti amo! »
ripetei accasciandomi a terra.
Poi, Elizabeth entrò con un uomo dietro.
«
Dio sia lodato, e anche lei. » mormorò tremante, mentre l’uomo – evidentemente
un medico che passava e l’aveva notata – chiudeva la
porta.
E
sobbalzai quando notai due occhi ambrati e dei capelli biondo cenere.
« Cosa
ti è successo? » gli chiese piano a Edward. Lui sospirò, e mormorò qualcosa che
non capirono, ma io sì.
« Penso di essere scivolato. » ecco cosa disse. Ma
evidentemente solo io e il mio udito potevamo scorgerlo, come anche Carlisle. Ma
non lo diede a vedere. Non doveva certo mettere in allarme anche sua madre
dicendo che aveva sentito un mormorio appena distinto.
Quindi, con fluidità,
lo prese in braccio, chiedendo a Lizzie dove poteva metterlo. Lei lo accompagnò
nella sua stanza, e io rimasi da sola con un enorme peso nel petto.
Avevo
fatto del male a Edward.
E non me lo sarei mai
perdonata.
«
E’ una taglio alquanto interessante. »
Sentii
la voce di Carlisle dire a Lizzie, quando, un quarto d’ora dopo, tornarono in
salotto, dove ero rimasta a rimuginare con i sensi di colpa.
« Si rimetterà?
» chiese preoccupata Elizabeth. Carlisle sorrise.
« Certo signora, non si
deve preoccupare. Anche le schegge che aveva nel braccio non daranno problemi.
Gliele ho levate tutte. »
Anche sul braccio? L’avevo ferito anche lì?
« Mi
dispiace per questa mia stupida agonia… ma sa, coi tempi che corrono. » iniziò
Elizabeth, dirigendosi verso il cucinino.
« Vuole del te? » chiese poi a
Carlisle. Lui negò con la testa.
« Mi duole non accettare l’invito, ma fra
poco è il mio turno all’ospedale. » rispose, guardando l’ora sul suo
orologio.
«
Capisco. Bè, che il signore l’aiuti. » disse in un sospiro Elizabeth,
accompagnandolo alla porta. Carlisle accennò un ennesimo sorriso.
« Anche a
lei, Miss Masen. Buona giornata. »
E con un’espressione tranquilla uscii,
lasciando la casa in un inusuale silenzio tetro. Quindi, sospirando, si diresse
verso il corridoio. Non mi alzai neanche per costatare dove era andata. Mi
sentivo un mostro.
« Voglio tornare da Edward. » mi ritrovai a mormorare con
voce sconnessa. Ma non successe niente.
Ma perché? Perché?!
Io volevo
tornare a casa, dannazione!
Ma, proprio quando stavo per urlare dalla
disperazione, il telefono iniziò a squillare. E in men che non si dica Elizabeth
ci si fiondò sopra.
« Pronto? » chiese sulle spine, le occhiaie più evidenti
che mai.
Passarono alcuni interminabili secondi, nelle quali comparve
perfino Edward sulla porta del corridoio, con aria stanca. Aveva una benda sulla
fronte e una sul braccio destro, entrambe sporche di sangue. Ma cercai di non
farci troppo caso.
Perché in quel momento Elizabeth posò il telefono sul
tavolo, e, con sguardo vacuo si voltò verso il figlio.
« E-era l’ospedale.
Tuo padre è malato. »
E le lacrime sulle sue guance iniziarono a scendere.
Edward iniziò a tremare.
« Malato? » ripetè, mentre la rabbia gli saliva fino
agli occhi.
« Smettila di trattarmi come uno stupido! Mamma, è malato o ha la
spagnola?! »
Le sue erano quasi urla. E sua madre gemette più forte.
« E’
spagnola, amore. »
Raggiungemmo
in pochi minuti l’ospedale. Elizabeth era talmente sconvolta da non negare
neanche a Edward di andarci, sanguinante com’era.
Solo quando Carlisle li
vide sgridò Edward.
« Non avrebbe dovuto alzarsi dal letto! » esclamò
vedendolo arrivare zoppicando. Ma Edward non gli diede peso, e lo sorpassò,
pietrificandosi poi di fronte al letto nel quale era disteso suo padre,
completamente esanime.
« Papà… » mormorò senza voce, sedendosi su una sedia
li vicino.
Elizabeth gli prese la mano, ma un medico si avvicinò.
«
Scusate, ma rischiate di prendervi anche voi la spagnola. » mormorò. Nessuno gli
diede retta.
E rimasero lì per tutte le ore seguenti.
Con
l’arrivare della sera se ne andarono. Io non ce la facevo più.
Ero stufa,
triste e amareggiata. Mi mancava Edward. Perché quello di fronte a me non era il
mio Edward.
No, non era lui.
Eppure… aveva il suo viso, la sua voce, i
suoi capelli.
Stavo forse impazzendo?
Poteva darsi.
« Edward. »
gemetti, quando tutti andarono a dormire.
« Voglio Edward. » singhiozzai,
dandomi dei pugni in testa.
« EDWARD! »
Passai
la notte così, a chiamare il nome di colui che amavo, di colui che mi
completava, e di colui che – forse – non avrei più visto.
La
mattina dopo Edward insistette per accompagnare la madre al mercato.
Decisamente, infatti, non stava bene. Per tutta la notte l’avevo sentita
tossire, e di certo non era sfuggito a Edward.
Quindi eccoli camminare per
strada con le buste della spesa, mentre io li seguivo a ruota. Tutto ciò mi
risultava parecchio pesante dal punto di vista emotivo. Ero a pezzi.
Ad un
certo punto Edward si fermò di fronte a una drogheria.
« Torno subito. »
annunciò a sua madre. Questa annuì, e lui scomparve all’interno del
negozio.
A quel punto, Lizzie ricominciò a tossire violentemente, piegandosi
su se stessa.
Quello che avvenne dopo mi diede il colpo di grazia.
«
Spagnola. » annunciò con poca sensibilità un dottore, avvicinandosi per
avvertire Edward. Lui rimase neutro.
Con la coda dell’occhio guardai
Elizabeth, accanto al letto del marito. E in lontananza notai Carlisle, che
fissava Lizzie.
« Lei sta bene? » chiese il medico squadrandolo dalla testa
ai piedi, soffermandosi in particolar modo sulle bende che portava alla
testa.
« Sì. » fu la sua unica risposta. Il medico, quindi, si
allontanò.
Con un sospiro Edward si avvicinò ad una finestra, da cui entrava
un leggero venticello estivo.
Guardarlo era una tortura. E quegli occhi color
smeraldo che mi avevano tanto affascinata, ora mi sembravano vuoti. E avrei dato
tutto ciò che avevo pur di vederli un attimo diventare ambrati, per riavere con
me il mio Edward. Poco importava se eravamo dei mostri. Lo amavo, e mi vergognavo di me stessa per averlo
incolpa così di qualcosa di cui non era sicuro.
Persa in quei miei pensieri,
non mi accorsi che Edward, appoggiato alla finestra, aveva chiuso gli occhi,
mentre si portava una mano alla testa.
Lo guardai curiosa. E iniziò a gemere
piano. Di sottecchi, in lontananza, notai Carslie che aveva alzato lo
sguardo.
Gemette più forte, e notai che il taglio aveva ripreso a perdere
sangue.
Di scatto mi allontanai, mentre Carlisle marciava verso di lui
velocemente, per poi toccargli la ferita.
« Perde sangue. » mormorò. Ma
quello che non si aspettavamo, fu che Edward si mettesse a tossire.
« Edward.
» mormorai a vuoto, mentre Carline lo guardava terrorizzato. Tossiva sempre più
forte.
« Dannazione! » sentii Carlisle imprecare, mentre Edward non riusciva
neanche più a respirare per quell’attacco di tosse. E poi, fece un passo avanti,
aggrappandosi a Carl per non cadere.
« Te la sei beccata pure tu! » esclamò
angosciato. Edward sospirò stanco. Feci un passo avanti.
« Edward. »
Aprii
gli occhi e incontrarono di miei. Non seppi se mi aveva visto o se il suo era
stata un’azione involontaria. In quel momento svenne, sotto i miei occhi.
Il
suo corpo cadde a rallentatore. Quel corpo delicato e colorato, quel viso stanco
e malato. Edward si era beccato la spagnola, e io non avevo potuto fare
niente.
Indietreggiai, mettendomi a singhiozzare, mentre Carlisle veniva
aiutato da altri medici per metterlo su un letto.
Quindi mi accasciai a
terra, gemendo.
« Voglio tornare a casa. Basta con questo potere. Non ne
posso più. Voglio vivere nel presente! »
E
tutto prese a vorticare moltissimo.
Nella mia testa si susseguivano video,
immagini, suoni…
Sei
figlio mio, Carlisle. Devi andare a caccia di vampiri stanotte!
Jasper,
il tuo destino è legato al mio. Non ti lascerò mai.
E’ un maschio,
signora Masen! Uno splendido maschietto!
Se troppo stupido e troppo
codardo per guardare in faccia la vita Emmett.
Con quel carattere non
andrai da nessuna parte Rosalie.
Tu
non mi sopporti, non è vero, Edward? Mi dispiace, forse eri abituato a vivere da
solo con Carlisle, ma prima o poi mi dovrai
accettarmi.
Sono
stufo di questo stile di vita. Per colpa vostra sono sprofondato nella
depressione!
Non
siamo padroni del tempo Edward, solo della nostra vita. Tu vuoi nutrirti di
umani? E sia. Non te lo impedirò.
Voglio qualcuno per Edward, Carlisle!
E’ troppo giovane e troppo solo, e lo sai anche tu!
Questa Bella Swan ti
sta dando alla testa! Siamo venuti per cacciare o per raccontarci le storielle
d’amore?
Volevi che finisse sotto quella macchina?! Eh, Rose?
Credo di essermi innamorato. Ma non ho speranze. Lei mi odia.
Brava
Rose, Bella non si è buttata! Fai un favore a te stessa e rimugina sulla
disgrazia che hai provocato! Edward è andato dai Volturi!
Ho promesso a
Jasper che sarei tornata. E se faccio una promessa a Jazz, io la
mantengo.
Ti amo Bella.
Sarei
morta. Sarei morta e basta.
Lo sentivo. Stavo viaggiando a velocità
rapidissima.
Sarei sprofondata nell’oblio di un tempo senza fine.
Sarei
morta per un capriccio da bambina.
Ma almeno, sarei morta, consapevole di
essere stata amata veramente da
qualcuno.