Anime & Manga > Naruto
Ricorda la storia  |      
Autore: rekichan    19/07/2007    8 recensioni


[Spin-off da Bande di Strada.]
[Naruto P.O.V.] Hands
Il segno di un’ustione.
Lì.
Dove la pelle tocca il grilletto.

Eyes
Più volte gli era stato detto che gli sarebbe bastato sbattere le ciglia per ottenere cosa o chi voleva.
Peccato che una volta, una sola volta, quegli occhi avevano fallito.
Ears
Appoggiò il capo sul cuscino, di fianco.
Così, per metà, non sentiva.
Walk
Non aveva un passo né maschile, né femminile.
Era, semplicemente, il suo modo di camminare.
Mouth

Quante verità erano uscite da quella bocca, e quante menzogne dalla propria, così vigliacca anche solo per ammettere una sacrosanta realtà.
Anche solo per scusarsi, l’ultimo giorno in cui aveva potuto parlargli.
Back
«Conosco la forma delle spalle di ognuno di voi. Non facevo altro che guardarle.Le sue, in particolare.»
«E perché?»
«Perché avrei voluto che le mie fossero così.»
Heart
«Ce l’hai fatta, dobe.»
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kiba Inuzuka, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Spin off sulla mia storia Bande di Strada, come promesso, punto di vista di Naruto.

Buona lettura. Alle note finali a piè di pagina.

-----------------------------------------

Hands

Le dita sottili strinsero, tremolanti, un sottile cilindro di carta.

Il tabacco, che forse tabacco non era, usciva dall’estremità superiore, cadendo a terra in piccoli riccioli.

Imprecò.

Le dita erano callose come quelle di chi maneggia da tempo un’arma da fuoco.

Per la precisione una Smith & Wesson mod.29, con canna da sei pollici e mezzo.

Tamburo rotante con dieci cartucce.

Non male.

Assolutamente, non male.

Frugò nella tasca alla furiosa ricerca di un accendino.

Le dita fremevano nel tentativo di percepire la presenza dell’oggetto, senza ottenere risposta positiva.

Merda.

Decisamente. Merda.

Sospirò, guardandosi attorno alla ricerca di qualcuno che avesse del fuoco.

Mosse qualche passo, tenendo sempre la cicca tra le dita; gli occhi azzurri scrutavano nervosi la folla.

Intravide un ragazzo con l’accendino in mano.

Gli si avvicinò.

«Scusa, hai da accendere?»

Sorrise, porgendo la mano con la sigaretta al tendersi della flebile fiamma.

Il ragazzo gli afferrò bruscamente l’arto, voltandolo e scoprendo il palmo.

Cicatrici vecchie come la sua età, sottili linee che determinavano la vita e il destino di un uomo.

E il segno di un’ustione.

Lì.

Dove la pelle tocca il grilletto.

«Ci rivediamo, Naruto.»

Eyes

Lo sguardo sfrecciava da un lato all’altro della strada, quasi febbrilmente.

Eppure il volto non esprimeva tensione, o paura, o qualsivoglia timore.

Era calmo.

Rilassato, per quanto potesse permetterselo senza sembrare un ingenuo o uno sprovveduto.

Solo gli occhi si muovevano, isterici.

Lampi di ghiaccio nelle iridi cerulee che si distesero solo quando i suoi piedi lo portarono nell’arteria principale del quartiere.

Adesso poteva davvero rilassarsi.

Difficilmente lo avrebbero raggiunto, a meno che i suoi occhi non lo tradissero.

Temeva la loro espressività.

Se riusciva a camuffare quella del volto, non era però in grado di controllare quei lievi scatti delle iridi in svariate direzioni.

Nervose.

Incostanti.

Azzurre.

Colore troppo appariscente per un paese come il Giappone, dove il nero e il castano erano dominanti.

Eppure erano sempre stati quegli occhi, sempre vigili e attenti anche quando parevano distratti, a salvargli la vita.

Sia per la mira con la pistola, sia per la loro bellezza.

Più volte gli era stato detto che gli sarebbe bastato sbattere le ciglia per ottenere cosa o chi voleva.

Peccato che una volta, una sola volta, quegli occhi avevano fallito.

L’ombra di un sorriso amaro passò sul suo volto, al ricordo di due iridi dissimili alle proprie che lo fissavano sprezzanti.

Deluse.

Amareggiate dal suo continuo chinare lo sguardo.

«Alza quella cazzo di testa e guardami quando ti parlo.»

Alzò gli occhi sul cielo terso, privo di qualsivoglia nube.

Ghignò.

«Adesso sei tu a dover chinare lo sguardo, per vedermi, ne?»

Cercò l’accendino.

Aveva bisogno di fumare.

E pensare che il non farlo era stato uno dei pochi elogi ricevuti.

Gli occhi cerulei si mossero, scattanti, sulla folla, alla ricerca di una qualsivoglia fiamma.

Vide un ragazzo mettersi l’accendino nella tasca posteriore dei pantaloni e gli si avvicinò.

«Scusa, hai da accendere?»

Non lo guardò negli occhi.

Tradiscono un po’ troppe volte; qualcuno avrebbe potuto identificarlo.

Sempre che sia possibile identificare chi, per la società, non esiste.

Scatto, e il ragazzo lo bloccò, incatenando i loro sguardi.

«Ci rivediamo, Naruto.»

Naruto rabbrividì e, dopo tanto tempo, chinò nuovamente lo sguardo.

«Sei cresciuto.»

«Sarebbe strano il contrario.»

«Hai gli stessi occhi, però. Belli come sempre.»

«A lui non piacevano.»

«No. – il ragazzo si portò il bicchiere pieno di saké, di ottima qualità, considerando la bettola in cui si erano infilati – A lui non piacevano.»

Ears

«Ci conosciamo da anni e anche adesso sembri ancora una ragazzina.»

Si rigirò nel letto, con aria scettica.

La frase voleva suonare come un complimento, ma lo infastidiva.

Da un po’ di anni a quella parte, ogni suono che non fosse il rimbombo della pistola, accompagnato dal suo rinculo, era stridulo e irritante al suo orecchio.

Appoggiò il capo sul cuscino, di fianco.

Così, per metà, non sentiva.

«Non ti sei scocciato, di fare la puttana?»

Ancora.

Stava sempre zitto, possibile che quel giorno avesse così tanta voglia di parlare?

«Finché mi permette di campare.»

Tono annoiato; le sue parole suonavano distanti a lui stesso.

Per qualche attimo regnò il silenzio, interrotto solo dall’inspirare del ragazzo al suo fianco.

«Eppure hai ucciso da parecchio il tuo primo uomo.»

Seccato, si protese verso il pacchetto semi-accartocciato di sigarette che riposava sullo sgangherato comodino.

La mano del ragazzo colpì maliziosamente le sue natiche – ancora arrossate, il maledetto; il rumore sordo dello schiaffo risuonò nell’aria.

«Sicuro di non voler partecipare a una battaglia?»

Scosse il capo.

Non gli piacevano le sparatorie.

Odiava quel rito d’iniziazione per diventare uomini.

Troppo rumore.

Preferiva il colpo sordo della propria pistola.

Un botto solo; isolato.

Senza silenziatore.

Perché il rumore di uno sparo, quando era lui a generarlo, riusciva a coprire perfino quello dei gemiti non suoi che ovattavano, maleficamente, le sue orecchie.

«Sicuro.»

«Dovresti tentare di diventare uomo.»

Bofonchiò qualcosa, lasciando cadere la cenere a terra.

Con un fruscio, si accucciò meglio nel letto, portando la mano sotto il cuscino, per premerlo meglio contro l’orecchio.

«Che hai detto?»

«Che lo sarò dopo oggi.»
Coperte spostate; scatto rapido e la pistola, nascosta sotto il guanciale, puntata sul cuore del ragazzo.

«Stronzo.»

«Come l’insegnante.»

Il rumore del grilletto che scattava e del colpo che partiva.

Il rantolo dell’ultimo respiro strozzato e un ghigno sul volto del – tra poco – morto.

«È per lui?»

Come risposta, solo il silenzio.

Sì, era per lui.

«Hai imparato in fretta.»

Ultimo fiato.

«Senza rancore, Gaara.»

Naruto uscì dalla stanza, lasciando dietro di sé il rumore dei piedi scalpiccianti dei membri della banda che accorrevano allo sparo.

La folla lo circondava, nascondendo, col suo cicaleccio costante, il suono dei suoi passi.

Soffocanti rumori.

Le orecchie tese, per percepire qualsiasi suono ostile, proveniente dai suoi inseguitori.

Se ce ne sarebbero stati, Gaara non era mai stato molto amato.

Sentì il bisogno impellente di fumare.

Cercò l’accendino, senza riuscire a trovarlo.

Merda.

Decisamente. Merda.

Scorse il crepitare di una fiamma e il meccanico fruscio – uguale a mille altri – di un oggetto che veniva riposto in tasca.

Si avvicinò al ragazzo responsabile di quel suono.

«Scusa, hai da accendere?»

Poté quasi udire il rumore delle dita che si stringevano attorno al suo polso.

«Ci rivediamo, Naruto.»

Voce atona, ma venata di rancore e malinconia.

Naruto, per un attimo, desiderò essere sordo per non udire i rimproveri che l’altro gli avrebbe rivolto.

Il fracasso della bettola copriva il rumore della loro conversazione, lasciandoli liberi di affrontare argomenti che il silenzio avrebbe svelato troppo facilmente.

«E così lo hai ucciso.»

«Non dovevo?»

«Cosa pensi di fare ora?»

«Non lo so.»

«Sempre il solito sprovveduto, eh?»

«A quanto pare.»

Fece roteare l’alcolico nel bicchiere.

Una, due, per tre volte il liquido cozzò contro i bordi, prima di essere inghiottito con un gorgoglio secco e uno schiocco di lingua.

«C’è troppo rumore qui.»

«Meglio, così non ci sente nessuno, mentre parliamo.»

«Lui odiava parlare. Lo faceva solo per rimproverarmi.»

«Tu no, invece.»

«No. – ammise, sospirando. – Io no.»

Quanto avrebbe pagato, per risentire ancora una volta la sua voce.

Walk

Per quanti anni fossero passati, non avrebbe mai perso quel modo di camminare.

Un ragazzo, di solito, cammina a gambe larghe e con passo deciso.

Scarica il peso dall’una all’altra gamba; la schiena e il capo diritti per affermare la propria presenza.

Lui, invece, no.

Una ragazza, di solito, cammina con passi piccoli e leggeri; quasi evanescenti.

Posa il piede con cura; prima la punta poi, lentamente, il tallone e tutto questo si ripete per ogni piede ad ogni passo, in modo da tenersi in equilibrio sui tacchi.

Movimento che, alla fine, diventa quasi naturale.

Lui, invece, no.

Aveva una camminata tutta sua.

Sicuramente diversa da quella degli altri ragazzi, ma neanche così femminile come quella di una donna.

Era, semplicemente, la sua camminata.

Lentamente, un passo dietro l’altro; come un equilibrista che cammina sulla corda.

Le curve sode del sedere ondeggiavano sensualmente a quel movimento, proprio come una ragazza.

Ma allo stesso tempo il passo è deciso e sonante; il peso si scarica su tutto il piede, come un ragazzo.

Non aveva un passo né maschile, né femminile.

Era, semplicemente, il suo modo di camminare.

Acquisito nel tentativo di essere – o sembrare – sensuale, in modo da attirare i clienti; perduto nel tentativo di diventare uomo.

Un uomo non poteva permettersi di ancheggiare come una donna, sebbene fosse stato considerato tale per anni e per altrettanto tempo si fosse comportato di conseguenza.

In ogni caso, era un atteggiamento che non si perdeva facilmente, ma si diluiva col tempo.

E lui, ancora, non riusciva a smettere.

O, più semplicemente, non voleva.

Quella era la sua camminata; il suo passo, quello che lui aveva conosciuto e che era in grado di distinguere solo dal suono dei piedi sul pavimento.

Si era sempre chiesto come facesse.

Lui, non aveva mai avuto di questi problemi.

La sua era una camminata dritta, virile in ogni caso.

Nonostante il suo passato, avanzava sempre dritto, come se nulla fosse successo.

Passo deciso.

Schiena dritta.

Solo la testa, di tanto in tanto, si abbassava.

Ma la cosa sconvolgente, era il suo passo felpato.

Non camminava.

Scivolava sul pavimento, in silenzio.

Come un gatto.

Lui, invece, sembrava di più un elefante, al suo confronto.

Rumoroso e ingombrante.

La sua camminata, in ogni caso, si era mantenuta calma appena uscito dalla stanza.

Se avesse corso, si sarebbe scoperto troppo presto.

Aveva, quindi, prudentemente mantenuto il suo passo leggero e tranquillo.

Solo una volta fuori dall’edificio, si era fatto frettoloso, rapido.

Frenetico in modo quasi maniacale, fino a quando non era stato sicuro di confondersi tra la folla.

Lì nessuno avrebbe notato il suo lieve ancheggiare – di cui ancora non riusciva a liberarsi – o la sua fretta.

Il passo rallentò, fino a diventare rilassato.

La situazione era abbastanza sotto controllo da concedergli il tempo di una sigaretta.

Ne prese una, frugandosi poi nelle tasche alla ricerca di un accendino.

“Merda” pensò, quando questa si rivelò vana.

Si guardò intorno, alla ricerca di qualcuno che avesse del fuoco.

Quando lo individuò, si avvicinò, accentuando appena il movimento delle anche; abitudine di quando doveva chiedere qualcosa. Erano sempre più favorevoli a concedergliela.

«Scusa, hai da accendere?»

Fece qualche brusco passo indietro, quando il ragazzo lo spinse per il polso, studiando la sua figura.

«Ci rivediamo, Naruto.»

Naruto desiderò, per un momento, essere libero di correre via.

«Mi sono sempre chiesto come facesse.»

«A far cosa?»

«A capire che ero io, quando gli arrivavo alle spalle.»

Mandò giù l’alcolico. Il piede batteva nervosamente sul pavimento, ansioso di muoversi.

«Beh, non era difficile.»

«Mh?»

Il ragazzo ghignò. Amaramente.

«È sempre stato bravo a riconoscere i differenti passi sul pavimento. Non sbagliava mai persona.»

«Capisco.»

«E se ti arrivava lui dietro, ti riconosceva da come muovevi il sedere camminando.»

«Ah.» un attimo di sorpresa. Compiaciuta, naturalmente. «Questo vuol dire che lo guardava, almeno.»

«Certo. E commentava anche. Solo che non lo faceva davanti a te.»

Altro sorriso. Soddisfatto, stavolta. Ma anche malinconico.

«E cosa diceva?»

«Che camminavi come una donnetta.» inghiottì un sorso d’alcol; Naruto corrugò le sopracciglia, irritato. «Che gli ricordavi il suo modo di camminare quando era puttanella.» ora il piede sembrava più frenetico nel suo dibattersi contro il suolo. Era un argomento proibito, quello. «E che avevi il miglior sedere mai visto.»

A quel commento, sorrise.

Contento, stavolta.

Mouth

Un’altra cosa di cui andava fiero, erano le sue labbra.

Morbide e vellutate; dalla linea delicata e leggermente incurvata agli angoli della bocca, così da conferirgli l’aria di un perenne sorriso.

Erano piene; di un tenue rosato e molti apprezzavano quelle labbra anche per la loro capacità.

Eh già, era abile ad usare la bocca.

Sia le labbra, che i denti, che la lingua, anche se quest’ultima non per parlare.

Quanto era riuscito a guadagnare, con quella bocca di rosa, come la definivano, non lo sapeva.

Fatto sta che gli aveva permesso di tirare avanti, assieme al resto del corpo.

Molti erano caduti preda del fascino di quella bocca.

Eppure, come spesso i membri della banda gli ricordavano, gli sarebbe bastato poco per essere il migliore.

No.

Non aveva avuto quell’onore.

Il primato per i lavori di bocca, nel gruppo di Gaara, lo aveva meritato una sola puttanella, nella storia.

E, chissà perché, la puttanella in questione era anche il solo ad aver rifiutato apertamente qualsiasi lavoro – di bocca o meno – che Naruto gli avesse offerto.

Si umettò le labbra, riarse per l’adrenalina sprigionata durante l’omicidio.

A volte si era chiesto come sarebbe stato bere il sangue delle proprie vittime, ma poi ci ripensava.

Era un’azione da Gaara, non da lui.

Lui lo avrebbe rimproverato.

«I morti devono riposare in pace.» gli avrebbe detto.

Quante verità erano uscite da quella bocca, e quante menzogne dalla propria, così vigliacca anche solo per ammettere una sacrosanta realtà.

Anche solo per scusarsi, l’ultimo giorno in cui aveva potuto parlargli.

Scosse il capo, portandosi una sigaretta alle labbra.

Ne succhiò appena l’estremità, come avrebbe fatto con la lingua intrusiva di un amante.

La lingua solleticò il tabacco – niente filtro, ovviamente – preparandosi a gustare appieno la nicotina in esso contenuto; bambino che ruba la panna in attesa dell’intero dolce.

Un piatto che, però, sarebbe stato lento da assaporare, in mancanza di fuoco.

Riprese la sigaretta tra le dita, lanciando un’imprecazione e cercando qualcuno che avesse del fuoco.

«Scusa, hai da accendere?»

Le labbra, piegate in un sorriso, si contrassero in una smorfia, quando il polso fu stretto in una morsa letale e la bocca del ragazzo a pochi centimetri da lui, sussurrò:

«Ci rivediamo, Naruto.»

Naruto, che solitamente usava molto la bocca per parlare a vuoto o per fare altre cose, desiderò, per una volta riuscire a pronunciare qualcosa.

Peccato che, in quel momento, la bocca fosse terribilmente secca.

Peccato.

Davvero.

«Sei davvero cambiato.»

Si umettò le labbra col saké.

A che bicchiere era arrivato? Non lo sapeva. Né gli importava, d’altronde.

«Perché?»

«Di solito parlavi molto di più.»

«Ho imparato il valore del silenzio.»

«Mpf.» sorrise. Sarcastico e velenoso come era sempre stato.

«Lui sapeva sempre quando era il momento di parlare, vero?»

«Non esattamente – bevve – diciamo che conosceva il momento in cui tacere.»

«Ma lui poteva dire quello che voleva.»

«Diciamo che aveva imparato ad ottenere di più stando zitto che parlando a sproposito.»

«Come facevo io?»

«Come fai tu, Naruto.»

L’alcolico bruciò in gola.

Naruto pensò che, in fondo, era una bella sensazione.

Almeno non diceva sciocchezze.

Back

Ogni volta che si guardava allo specchio, si rammaricava per le sue spalle.

Erano leggermente più curve di quelle di un ragazzo normale, quasi il suo corpo si volesse accompagnare al ruolo di puttana.

Spalle basse, vita stretta…chissà perché la Natura aveva scelto di farlo nascere uomo. Ma questo, ormai, non era più importante.

In fondo, adesso era libero. Adesso era un uomo e tale sarebbe rimasto.

Nessuno lo avrebbe più trattato da donna. Nessuno.

A patto che riuscisse a rimanere vivo. In fondo aveva appena ucciso un capo.

Eppure, non aveva paura. L’adrenalina non scorreva più lungo la spina dorsale, ormai e le spalle aderivano comodamente allo schienale di legno scheggiato di una sudicia sedia in un altrettanto sudicio locale.

Bevendo da un sudicio bicchiere, ma questo era un dettaglio.

Come il resto.

Stava comodo.

Questo era importante.

Era in buona compagnia.

Anche questo lo era.

Il resto, poco contava.

«Lo ammetto – ghignò – avrei dovuto riconoscerti subito.»

«Ero girato. Non potevi.»

«Oh no. Conosco la forma delle spalle di ognuno di voi. Non facevo altro che guardarle.»

«Mpf.»

«Le sue, in particolare.»

«E perché?»

Soppesò la risposta.

«Perché avrei voluto che le mie fossero così.»

Era una mezza verità, ma anche una mezza bugia.

Lui aveva spalle grandi.

Ampie.

Spalle a cui appoggiarsi e su cui fare affidamento.

A Naruto sarebbe bastato potersi far prendere in braccio e posarvi la testa.

Heart

Erano passati quanti? Cinque, sei anni?

Non aveva tenuto il conto.

Nessuno dei due aveva tenuto il conto.

In fondo, gli anni non erano importanti.

Erano cambiati, entrambi.

Erano cresciuti.

Uno era diventato un capo, l’altro era pronto per essere un uomo.

«Torna quando sarai diventato uomo.»

E Naruto, adesso, lo era.

Lo squadrò da capo a piedi.

Più alto di quando era solo una puttanella, sebbene ancora non lo eguagliasse in altezza – era proprio piccolo di costituzione – le mani ruvide, ma delicate; la camminata rapida, ma ancora femminile; la bocca pungente, ma sempre morbida; l’udito pronto, ma sempre incapace di ascoltare fino in fondo; le spalle dritte, ma basse; gli occhi…sempre uguali.

Lui ne sarebbe andato fiero?

Chissà.

Probabilmente avrebbe fatto un errore. O forse no. Chi poteva saperlo?

In fondo la loro vita era un continuo rischiare.

«Sei pronto a tornare?» domandò.

«Sono pronto.»

La mano estrasse la pistola dalla fondina.

Mirò all’occhio di una fotografia in un manifesto pubblicitario. Lo centrò.

Naruto estrasse la propria arma e ripeté il gesto.

Uno.

Due.

Tre.

Quattro.

Cinque spari, il sesto era già stato usato e sapeva di vendetta.

Centro perfetto.

«Sì, sei pronto.»

Kiba sorrise, mettendo la mano sulla spalla di Naruto e incamminandosi con lui lungo le strade di Tokyo.

«Ah, dimenticavo.»

Lanciò un oggetto semi-cilindrico, accuratamente avvolto nel giornale, al biondino che lo afferrò al volo.

«Cos’è?» chiese, soppesandolo interrogativo.

Il peso era considerevole per essere così piccolo, quindi, quando Kiba gli disse di aprirlo, non esitò.

E la lama di un coltello fece capolino dalla carta di giornale.

Era vecchio. Il manico lucido per il troppo uso e l’acciaio presentava qualche tacca di troppo, pur essendo, ancora, ottimamente affilato.

«Ma questo…»

«Era il suo.»

«Non posso averlo.»

«No. Non puoi usarlo. Non per adesso, almeno.»

«E allora perché me lo hai dato?»

«Quando sarai uomo, potrai usarlo. Per ora arrangiati con la pistola.»

Naruto annuì, osservando la schiena di Kiba che si allontanava.

Si passò la lama sotto il naso; poteva sentire l’odore del sangue che la impregnava – non se ne andava mai del tutto – e il manico che conservava il suo.

Sorrise e, allacciatosi il coltello alla cintura, seguì la schiena di Kiba.

Da qualche parte, non si sa dove, né quando, un ragazzo non più vivo, parve sorridere di fronte a quella puttana, finalmente uomo, mentre il vento sussurrava una frase che non gli era stato concesso di dire in vita:

«Ce l’hai fatta, dobe.»

Fine

------------------------

Finalmente, anche la storia su Naruto è andata.

Volevo fare una spin off dove raccontavo il passato della nostra Kitsune, ma invece ho optato per una dove si scopre il futuro della nostra "ex-puttanella".

Per chi non fosse stato attento - o semplicemente non ricordasse - la frase "ce l'hai fatta, dobe" è quella che Neji dice a Sasuke quando è in punto di morte, prima di affidargli Hinata.

Vista la circolarità che ha caratterizzato il capitolo 15 della fic, era logico che prima o poi Sasuke la dicesse a Naruto; quindi eccola qua.

Adesso, Bande di Strada si può considerare quasi conclusa. Aspetto solo la storia di Mika-mika e poi c'è un'altra spin off, scritta da una ragazza di manga.it, che aspetta solo di trovare pubblicazione.

(esorto quindi Kurenai88 a rintracciare il prima possibile un pc con internet ù_ù)

Riassumendo, le spin off sono le seguenti:

- 21 years [Temari] di Ross (L.A.D.L. su EFP; Mewsana su manga.it)

- Fairytale della sottoscritta

Io, ormai, il mio lavoro qui l'ho concluso e saluto una volta per tutte questi personaggi.

A presto con altri lavori.

   
 
Leggi le 8 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: rekichan