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Autore: Rika88    19/07/2007    2 recensioni
Gennaio 1945: in una Germania devastata, Alphonse Elric, arruolato per una guerra ormai persa, lascia i figli a casa del fratello Edward. Tuttavia, come Thomas e Charlotte Elric scopriranno presto, i problemi non si limitano alla difficile convivenza tra due caratteri troppo simili, come quelli del bambino e di Ed: l'abitazione e la libreria sotto di essa sono il fulcro di un movimento incessante e, forse, anche pericoloso.
Genere: Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Allora, progetti per quest'estate...hmmmm...
[Rika88 beve rumorosamente il succo di pompelmo con la cannuccia]
Assolutamente nessuno.
Yeah, vacanze, divano e computer!
[Puro sogno, temo..]
Rispondo un attimo a qualche questione sollevata nelle recensioni:
    Yolei87: "Peccato che Margarethe non conosca ancora Winry"...ehm, scusa, ma cosa ti dice che si conosceranno mai?
    Martel92: Per quanto riguarda lo...ehm..."scambio di opinioni" decisamente poco civile tra Ed e i suoi aggressori, io non avevo pensato ad un'incapacità del primo a difendersi: va bene, non è più un ragazzino, e probabilmente non si tiene in allenamento (trovare una palestra dev'essere complicato), ma sarà ancora in grado di sbattere gli auto-mail sulla testa di un avversario; avevo considerato, invece, la superiorità numerica degli avversari, l'effetto sorpresa e, soprattutto, il fatto che due di essi lo tenessero. Puoi essere un campione di lotta libera, ma se due brutti ceffi ti bloccano le braccia e un numero indefinito ti legna, potrai fare ben poco.
Piuttosto: EdxMargarethe? Sarà perchè sono un'amante delle EdxWinry, ma l'ipotesi mi pare poco probabile...Margarethe è una ragazzina e, se il padre si è fidato a lasciarla sola con Ed, vuol dire che è assolutamente certo che non corre rischi. Oltretutto, il signor Meyer è stato in guerra, quindi avrà imparato ad usare le armi...
    Mao_chan91: ovviamente, non ho la più pallida idea di come potrebbe comportarsi Ed innamorato. La mia malvagia beta-reader disse che, se Al è riuscito a dichiararsi ad una donna e a fare due figli, c'è speranza anche per lui, ma a me sembra difficile fare paragoni tra i due. Ammetto, nella fanfic, di aver aggirato il problema di una dichiarazione, ma Edward innamorato è uno dei più grandi grattacapi della vicenda.

    3. Una mano in più?

Non rividi Hanno fino al sabato mattina successivo, quando, andando ad aprire, me lo trovai di fronte; entrò subito, con aria circospetta.
- Avrei voluto venire prima, ma mio nonno mi controllava...cos'è quello? -
Ero sceso nel retro della libreria, seguendo le indicazioni di Margarethe, a prendere uno scatolone che conteneva la carta da bruciare nella stufa, al posto dell'ormai introvabile carbone: così, il mio amico mi vedeva con le dita ancora strette intorno alla maniglia e l'ingombrante oggetto tra le gambe.
Dopo avergli spiegato di cosa si trattava, mi feci aiutare a portarlo al piano di sopra, visto che Margarethe, dalla porta al primo piano, mi stava già lanciando occhiate sospettose per il ritardo, ignorando le sue proteste per il fatto che avrebbe dovuto stringere tra i denti l'eterno quaderno dalla copertina nera, col rischio di rovinarlo.
- Willi ti saluta, Margarethe. - disse subito Hanno quando arrivammo in casa, per blandire la diciasettenne - Oggi è andato alla visita medica per l'arruolamento, e in casa c'è talmente tanto fermento che nessuno si è accorto che stavo uscendo. -
Io e lei ci lanciammo un'occhiata in tralice: avremmo detto che ci dispiaceva, ma il mio amico sembrava orgoglioso del fatto. Così, rimanemmo in silenzio.
Appoggiate tutto qui, aveva già scritto il nostro tiranno sulla lavagnetta, e ora tendeva l'indice verso il divano che faceva da letto allo zio. Proprio per questo, mi venne in mente che non lo vedevo dalla sera prima.
- Dov'è Ed? - chiesi quindi.
Margarethe si lasciò sfuggire un sorriso di trionfo, mentre, ruotando solennemente il polso, indicava il piano di sotto.
- Sono giorni che non fa altro che studiare... - capii il motivo della sua soddisfazione - l'hai convinto a tentare per quel lavoro? -
Lui dice che ha deciso da solo, ma ne dubito.
Anche io: il crudele locatario, pur non potendo parlare, riusciva ad essere assillante con l'utilizzo di occhiate penetranti e continue; Ed doveva essersi stancato di tanta insistenza. Oppure, era scappato prima che Margarethe iniziasse un'altra volta a pulire tutta l'abitazione.


* * *


Mettiamo in chiaro una cosa: io non sono fissata con le pulizie. Semplicemente, in quella casa ero l'unica che badasse al disordine e alla polvere che si accumulava quotidianamente, sopportando sbuffi e proteste dai miei coinquilini. In quel momento stavo pulendo la cucina (cosa avrà causato quelle macchie vicino all'ingresso, in nome del Cielo?) insieme a Lotte, quando Thomas infilò la testa all'interno, perplesso:
- Margarethe, credo di aver sbagliato scatolone... -
Impossibile, c'è solo quello risposi, cercando di nascondere l'irritazione per la perdita di tempo.
Per tutta risposta, lui mi fece vedere parte del suo contenuto: vecchie foto, disegni lasciati a metà, parecchi fogli da disegno immacolati.
Tranquillo, è tutta roba vecchia, lo rassicurai, strappandogli di mano le prime, e gettandole nella stufa. Il ragazzino rimase a bocca aperta:
- Ma non sono ricordi della tua famiglia? -
Sorrisi leggermente, scuotendo la testa: quelli che aveva in mano erano vecchi oggetti appartenuti a mia madre, e non mi sentivo legata a quel che la mia distratta genitrice, aspirante pittrice, aveva dimenticato quando se n'era tornata in Austria, dopo il divorzio da mio padre. Se li avesse rivoluti indietro, avrebbe avuto quindici anni per farlo, ma non si era mai più fatta viva, quindi mi sentivo in diritto di disfarmi di tutta quella carta, specie in quel momento in cui avevamo un bisogno disperato di tutto ciò che poteva essere bruciato, e solo le lettere del signor Alphonse e di mio padre si salvavano.
- Anche i libri sono da mettere nella stufa? -
Arrossii, e feci segno a Thomas di andarsene.
I libri erano miei, di papà e del signor Edward, ma era decisamente meglio disfarsene.


* * *


Entrando in casa, l'ultima cosa che mi aspettavo era trovarmi di fronte l'amico di Thomas: invece, il trio di ragazzini era seduto per terra, senza che Margarethe lanciasse occhiate malevole ai pantaloni macchiati di Hanno Lindemann. Probabilmente, considerava gli sbaffi di farina la prova che il ragazzino dava una mano nel negozio di famiglia, a differenza di quello scansafatiche dell'affittuario che le era toccato. Oppure, ricordava a se stessa che la fairna può esere tolta con pochissima fatica, a idfferenza dell'inchiostro sui miei polsini.
Mi bloccai sulla porta, senza sapere esattamente cosa aspettarmi dal nipote del panettiere, poi decisi che non sarebbe stato un problema rispondere male, all'occorrenza.
(La persona che allunga il collo per sbirciare cosa scrivo mi fa notare, ridacchiando, che non ha ancora scoperto quando per me sarebbe un problema farlo)
- Buongiorno a tutti. - salutai.
Tre teste si voltarono verso di me.
- Buongiorno, signor Elric. - rispose Hanno.
Rimasi stupito dalla sua educazione, sebbene, in effetti, anche suo fratello Wilhelm fosse sempre molto gentile quando vedeva me o Margarethe in negozio; per il nonno che avevano, erano cresciuti straordinariamente bene.
- Quanto sei stato al piano di sotto? -
- Il tuo modo di salutare è quantomeno curioso, Thomas. Comunque, sono sceso stanotte: non riuscivo a prender sonno. -
- Papà dice sempre - interloquì Lotte, con aria saggia - che la notte è fatta per dormire. -
- Tuo padre ha sempre avuto più buonsenso di me. - ammisi, appoggiandole la mano sulla spalla.
Mi infilai in cucina per parlare con Margarethe: qualcuno avrebbe dovuto dire al piccolo Lindemann che non si fissa la gente, anche se ha fama di essere disfattista, mancante di attributi, di indulgere in atti impudichi con la propria locataria minorenne e chissà quali altre nefandezze...sebbene, in teoria, una opzione escluda l'altra, come Thomas aveva notato solo una settimana prima.
- Che mi dici del ragazzino? - domandai sottovoce alla diciassettenne.
Lei, che stava fingendo di pulire per poter origliare, si fermò a riflettere, prima di rispondermi a gesti: secondo me, gli fai paura, ma... non riuscii a capire il resto della frase.
- Ma...? - ripetei
Me lo scrisse: ma è incuriosito.
- Da me? - faticai a non ridere.
Sei pittoresco diceva la lavagnetta (dubito esista il termine "pittoresco" nel vocabolario gestuale di Margarethe).
- Hanno se ne va, lo accompagno alla porta! - gridò Thomas
Scossi la testa, divertito mio malgrado dall'idea di passare per il fenomeno da baraccone del vicinato: sempre meglio che fare la figura del pervertito.
 

* * *


- Tom, sei sicuro di stare bene? -
Sospirai, seccato:
- Vi siete messi d'accordo, tu e Ed? Anche mio zio da un po' di tempo continua a chiedermelo. -
- Sei un po' pallido... -
- Non mangio carne da settimane, - risposi, stizzito - ma gli altri sono nella stessa situazione.-
Hanno si mise il quaderno sotto il braccio, e si sfregò il naso lentigginoso:
- Senti... - iniziò, a disagio - l'ultima volta che ci siamo visti...ecco, io volevo dirti che...insomma, non volevo parlar male... -
Fece un cenno con il mento, ad indicare la scala da cui eravamo scesi.
- Sì, lo so. - risposi - Credo lo sappia anche Edward. -
- Anche se il nonno dice che è un disfattista e una spia degli americani... -
- Questa mi è nuova! - lo interruppi
- In effetti, è venuta fuori solo tre giorni fa, ma l'ha detto soltanto a Roggen...sai, il proprietario dell'emporio. -
- Ah, quello con le scarpe di due colori diversi. -
- Esatto. - il mio amico cercò di riprendere il filo - Beh, Willi e mia madre dicono sempre che, prima di giudicare una persona, bisognerebbe conoscerla: per cui, io ho deciso di non impicciarmi negli affari di tuo zio, nonostante quel che dicono gli altri e i libri proibiti che abbiamo visto in quello scatolone. -
Mi morsi il labbro, imbarazzato: avevo sperato che Hanno non se ne fosse accorto.
Lui, ignorando il mio disagio (o fingendo di ignorarlo), si mise in testa il berretto, riprese in mano il quaderno su cui disegnava e si preparò ad accomiatarsi:
- Ci vediamo presto, Tom. Appena mio fratello sarà partito, farò i turni al posto suo in negozio, quindi, se ti va, puoi passare a prendere il pane, o... - abbassò la voce, anche se nessuno poteva udirci - altro. -
I Lindemann vendevano sottobanco generi alimentari e parecchi altri articoli a borsa nera, provenienti da qualche parente sfollato in campagna: noi ricevevamo gli ortaggi dal signor Schulz, ma, anche se ne avessimo avuto bisogno, difficilmente Johann Lindemann ci avrebbe allungato qualcosa, vista l'antipatia per Edward. Ovviamente, per Hanno, l'idea di fare qualcosa di proibito rendeva la vita in negozio tanto eccitante da fargli dimenticare gli ordini dall'alto.
- Va bene, ma tu puoi venire a trovarci: controllerò io che Ed si comporti educatamente. -
Lui rise, ma io dicevo sul serio.


* * *


- ...così, adesso, nella lista dei crimini che ho commesso, dovrò aggiungere lo spionaggio. Sono un disgustoso spione pervertito. -
La mano davanti alla bocca, Hedwig rideva sonoramente; non potevo darle torto, perchè anch'io mi ero divertito parecchio quando Thomas mi aveva informato, con aria preoccupata, delle nuove voci che correvano su di me.
- Potevi evitare di far sapere che sei stato negli Stati Uniti. - mi prese il giro la mia amica.
- Meglio, potevo evitare di andarci a lavorare per due anni e restare qui a calcolare quanto rende una dannata mucca, o se quel bracciante ha davvero diritto a sette marchi in più... -
Mi interruppi, colpito dal rumore che avevo appena sentito in libreria, e dal risuonare di passi che ne era seguito; sbalordito, mi voltai verso la mia interlocutrice:
- Hedwig, per caso hai qualche potere magico? -
Lei continuò a ridacchiare: per la prima volta, avrebbe potuto ammirare quella che ormai anche io credevo una specie estinta.
Un cliente.
Uscii dal magazzino, andando a vedere di chi si trattasse, mentre la mia amica restava seduta comodamente sulla sedia.
Mi trovai di fronte ad un bizzarro individuo: un uomo senza età, che sembrava stare in piedi solo grazie al suo bastone dall'impugnatura d'argento. Indossava un abito costoso, ma, con le mani ossute e il viso così rugoso, sembrava un vecchio albero contorto strizzato in un po' di stoffa.
Aveva un volto familiare: forse era un cliente abituale della libreria, o del negozio di antiquariato, prima della guerra. Lui, comunque, era così assorto nell'osservazione di uno scaffale, da non notarmi neppure.
- Posso aiutarla? - domandai, formale
L'uomo sobbalzò, accorgendosi per la prima volta di me.
- Sì, devo... - balbettò, disorientato - avrei bisogno di due libri. Potrebbe essere così gentile da cercarmeli lei? La mia vista non è più quella di un tempo... -
Sorrisi, e mi feci dare i titoli, pensando che se io, a quarant'anni, ero già così miope, quell'uomo avrebbe potuto essere quasi cieco. Infilandomi tra gli scaffali, rischiai di inciampare in mio nipote, seduto come al solito per terra; dato che aveva appena terminato la sua lettura, riuscii a farmi dar retta:
- Mi passi quel libro? - chiesi, indicandogli un grosso volume proprio sopra la sua testa
Lui sbirciò il titolo: era un saggio di chimica.
- Non l'avevi già letto? - mi chiese, sardonico.
- Questa è una libreria, sai? Di solito vendiamo libri. - risposi a tono.
Tornai dall'uomo, rimasto ad aspettare a pochi metri da noi.
- Le faccio il conto. - dissi, avvicinandomi alla cassa.
- Si interessa di scienza? - mi chiese, per il puro gusto di far conversazione. Forse era anche cieco, ma di certo non sordo; e la voce di mio nipote, quando lui pensava di essere spiritoso, si faceva piuttosto acuta.
- Un tempo mi vantavo di essere uno scienziato. - risposi, evasivo.
Non mi piaceva chiacchierare. Avevo imparato dalle serpi che vivevano nelle case vicine che ogni parola può diventare un'arma a doppio taglio, e ormai da anni pesavo tutte quelle che mi uscivano di bocca, o quasi.
- Gli scienziati sono ormai tutti venduti alla guerra. - sospirò il vecchio - I pochi che non si piegarono, furono allontanati anni fa. -
- Oppure sono stati arruolati. - brontolai, pensando a mio fratello - Comunque, non è questo il mio problema. È da parecchio che non entro in un laboratorio. -
- Questo scempio mi disgusta. Lei lavorava qui a Monaco? -
Avevamo idee simili, a quanto pareva.
- Anche, ma ho viaggiato parecchio. -
Il mio ego aveva gongolato, quando ero stato assunto negli Stati Uniti per un paio d'anni, dopo il licenziamento in Germania. Il Vermont è gelido, ma almeno qualcuno apprezzava il mio lavoro.
L'uomo estrasse dal taschino un paio di occhiali dalle lenti spesse come fondi di bottiglia, e li inforcò, controllando il prezzo: il mio calcolo dovette soddisfarlo, perchè aprì il portafoglio senza fiatare. Mi allungò le banconote e, alzando lo sguardo, per la prima volta mise a fuoco il mio viso.
Lui mi riconobbe, io no. E non per colpa della miopia.
- Lei? - domandò, fissandomi con gli occhi sgranati.
- Come? - chiesi, perplesso.
- Cosa ci fa lei qui? -
Rimasi a guardarlo, chiedendomi se non mi stesse confondendo con qualcun altro, quando Hedwig, inconsapevolmente, mi fornì la soluzione. Arrivò alle mie spalle, stanca di aspettarmi, e riconobbe la persona che mi stava di fronte.
- Ed... - iniziò, prima di interrompersi bruscamente - Lei... che piacere vederla! - esclamò, allungando la mano perchè gliela stringesse.
- Signorina Steinglocke, piacere mio...è tanto che non vedo sua madre. - mormorò quello, a disagio, senza smettere di guardarmi come se fossi stato un serpente a sonagli.
- Vi conoscete? - chiesi.
- La famiglia di mia madre è proprietaria di un piccolissimo istituto di ricerca, l'Istituto Schneider, e questo signore è l'ex-direttore... - si interruppe, vedendomi impallidire.
Ebbi la netta sensazione che un fulmine mi avesse appena colpito.
Quante volte avevo scherzato con Al sul banalissimo cognome della donna che finanziava il nostro laboratorio?
Quante volte avevo maledetto la Schneider e tutta la sua stirpe, per aver messo sulla poltrona del direttore un verme a cui non importava altro che il proprio pingue stipendio?
Mi irrigidii, con un brivido di disgusto, riconoscendo l'uomo che avevo di fronte. Thomas, arrivato in quel momento e ignaro di tutto, si bloccò con la bocca spalancata.
- Nonno! - esclamò, sorpreso.
Karl Heinrich, la vecchia carogna. Non lo vedevo dal giorno precedente il funerale di Caroline, ma da allora sembrava che sulla sua figura fossero passati anni: lo ricordavo con i capelli ancora biondi, anche se forse erano tinti, il mento arrogantemente alzato, gli occhi sempre pronti a squadrare la gente per calcolare il suo conto in banca. Come si era trasformato nel cumulo di ossa scricchiolanti che avevo di fronte, quando non doveva avere più di settant'anni?
Eppure, un tempo avrei potuto descrivere quell'essere viscido fin nei minimi dettagli: avevo stampato in mente quel giorno in cui convocò me e Alphonse nel suo ufficio. Iniziò sfoggiando un'aria quasi sofferente, come se avesse dovuto separarsi da una parte di sè, per comunicare al mio fratellino che era stato promosso a vicedirettore. Non appena Al, ingenuamente, lo ebbe ringraziato (mio fratello non aveva ancora capito con che razza di individuo avesse a che fare), si voltò verso di me.
Ricordo perfettamente che sentii il sudore colarmi lungo la schiena, notando un luccichio perfido nei suoi occhi: faticando a nascondere l'espressione trionfante, fece notare a suo genero che avrebbe dovuto trovare dei soldi per quell'aumento di stipendio improvviso, ma che non si sarebbe dovuto preoccupare, perchè aveva già risolto il problema. Edward Elric, raccolga le sue cose e se ne vada. Lei è licenziato.
Il sorriso di Al morì all'istante: si slanciò in avanti, implorando l'uomo di non farlo.
Lo fermai, perchè era esattamente quel che Heinrich voleva, e me ne andai senza una parola, lasciando la porta dell'ufficio aperta.
Io e l'uomo dal bastone con l'impugnatura d'argento ci riscuotemmo, sentendo la voce di Thomas, e ci accorgemmo di essere rimasti immobili: lui con le banconote in mano, io con il palmo teso, come un mendicante. Lo avrei ritirato, ma mi costrinsi a pensare a Margarethe e ai ragazzi: non potevo fare il difficile sulla loro pelle.
Heinrich risolse il problema, come sempre, a modo suo: appoggiò i soldi sul bancone, per poi rivolgersi al nipote.
- Thomas, cosa fai qui? -
Mi resi conto che non avevo idea dei rapporti che intercorrevano tra nonno e nipoti.
- Vivo qui. Papà è al fronte. -
Non idilliaci. Il dodicenne era intimidito.
- Non ti sei neppure accorto dell'assenza del tuo vice? - gli domandai, tagliente, sapendo che non si faceva mai vedere in laboratorio.
- Ho avuto da fare, negli ultimi mesi. -
- Guardarsi le unghie crescere dev'essere impegnativo. - ribattei subito - O forse, calcolavi cosa comprare con l'ultimo stipendio? -
- Non credo che un libraio sappia cosa deve fare il direttore di un istituto di ricerca. - mi rispose, calcando la voce sulla parola.
- Negli anni in cui ho lavorato per te, in effetti, non l'ho capito. Forse perchè non ti ho mai visto fare niente. Dopo hai scaricato tutto ad Alphonse, non è così? -
Non poteva negare, sapevo che andava esattamente come avevo detto. Ogni tanto facevo visita alla famiglia di mio fratello, e immancabilmente ero accolto da mia cognata, che talvolta mi informava che Al non era ancora arrivato, talvolta che si era addormentato sul divano, stravolto.
Hedwig tossicchiò, per ricordarci la sua presenza.
- Suvvia... - iniziò, sfoderando il miglior sorriso di circostanza - non è il caso di scaldarsi così. -
Non mi presi la briga di contraddirla. Non pretendevo che una ragazza di buona famiglia capisse qualcosa di argomenti così venali.
- Grazie per i libri. - disse Heinrich, con freddezza, voltandomi le spalle.
Fissò per alcuni istanti Thomas, appoggiandosi pesantemente al bastone: stavo per intervenire, prima che offendesse mio nipote con qualche commento su suo padre, ma, con mio sommo stupore, si accontentò di carezzargli leggermente una guancia.
- Tua sorella come sta, Tom? - chiese, con una gentilezza inaspettata.
- Bene. - rispose lui - È al piano di sopra, la chiamo? -
Il vecchio scosse la testa, in cenno di diniego. Si allontanò lentamente, con aria sofferente.
Era stata la morte della sua unica figlia, realizzai all'improvviso, a ridurlo così. Per questo aveva rifiutato di vedere Charlotte: la bambina è sempre stata molto simile a Caroline.
La porta si era appena richiusa, quando, da qualche parte fuori del negozio, giunse un urlo terrorizzato.

* * *
 

Ci guardammo tutti e tre in faccia, spaventati.
- Lotte! - esclamai, correndo di sopra.
Sentii i passi di mio zio e della signorina Steinglocke alle mie spalle, mentre io ero già schizzato nell'atrio.
Margarethe e mia sorella stavano facendo le pulizie nell'appartamento di Ed: la diciassettenne aveva davvero un'ossessione per l'ordine. Trovai Lotte nella camera da letto, inginocchiata vicino al cassettone: alcune camicie le erano cadute di mano quando aveva urlato, e ora piangeva, terrorizzata, con Margarethe che tentava di calmarla.
- Lotte! - la chiamai, correndole vicino.
Lei mi buttò le braccia al collo, continuando a singhiozzare:
- C'è un...guarda, è orribile! -
Guardai nel cassetto ancora aperto, e sentii il cuore mancarmi un battito. Fu un attimo, perchè subito dopo mi resi conto dell'equivoco.
Lotte aveva visto una protesi d'acciaio dello zio: solo che quella aveva un rivestimento di un qualche materiale dello stesso colore della pelle umana, che la rendeva straordinariamente simile ad un braccio vero.
Cominciai a ridere nervosamente, mentre Ed sospirava, portandosi una mano sugli occhi.
- Lotte, sciocchina, - la presi bonariamente in giro - è finto, vedi? -
Ci appoggiai un dito sopra, cercando di non rabbrividire per il disgusto: faceva lo stesso effetto che toccare della pelle vera, ma era gelida. Pur sapendo che non era un braccio autentico, l'effetto era rivoltante.
Edward si sedette per terra, vicino a noi. Si tirò su la manica destra, per far vedere a mia sorella la protesi che portava al momento: non aveva rivestimenti che simulassero l'epidermide umana, e forse per questo era meno impressionante.
- Guarda, Lotte. Questo è un auto-mail, esattamente come quello lì dentro. -
Mosse le dita, sotto gli occhi perplessi di Charlotte. A onor del vero, devo dire che anche io e la signorina Steinglocke stavamo allungando il collo, incuriositi. Per quanto mi riguarda, anche se si trattava di mio zio, non avrei mai avuto il coraggio di chiedergli di farmi vedere quella...cosa.
- È... - Hedwig tossicchiò, imbarazzata - è tutto finto? Il braccio, intendo. -
- Fino alla spalla. - replicò lui
- Come...? -
- Un incidente, nella Grande Guerra. - mentì pronto Ed.
Evitai di guardarlo, mi alzai in piedi e lasciai vagare lo sguardo sul disordine della scrivania, da cui Edward, come al solito, non aveva tolto i quaderni su cui lavorava. In realtà, non vi era nulla di comprensibile, ai miei occhi: pagine e pagine vergate in una calligrafia veloce e disordinata. Nei margini, o più raramente su qualche foglio bianco, erano incastrate circonferenze di tutte le dimensioni, con inscritte figure geometriche, linee, scritte così minute da risultare illeggibili anche per me, che non ero miope come lui.
- Non pensavo che uno scienziato fosse così dotato artisticamente. -
Mi voltai verso Hedwig Steinglocke: non mi ero accorto che fosse dietro di me.
- Non è nulla... - si difese lui, saltando in piedi e raccogliendo i fogli in fretta. - disegni senza senso. Stamattina non ho fatto in tempo a mettere tutto a posto. -
Fu salvato da un rumore all'esterno: qualcuno bussava alla porta.
L'amica dello zio decise che era il momento di sparire, e io non potei fare a meno di sentirmi sollevato per lui: per ben due volte di seguito si era trovato in una situazione imbarazzante.
Fuori dalla porta c'era di nuovo Hanno, con il suo quaderno dalla copertina scura sotto il braccio e una luce strana negli occhi.
- Tom, posso entrare un attimo? - mi domandò subito.
- In casa? -
- Nell'atrio va benissimo. -
Preoccupato, lo lasciai passare e chiusi la porta alle mie spalle.
- È successo qualcosa? - chiesi.
Lui si guardò intorno, assicurandosi che non ci fosse nessuno. Mi fece cenno di avvicinarmi, come se dovesse rivelarmi un grande segreto.
- Mio fratello Wilhelm... - mi sussurrò all'orecchio - non ha passato la visita per l'arruolamento. -
Rimasi in silenzio: probabilmente, per la famiglia era considerata un'onta.
Forse era per questo che tutti, nella via, odiavano mio zio, visto che lui non aveva mai fatto mistero di come la pensasse in proposito.
- Oh... - non sapevo cosa dire. Si aspettava che mi mostrassi dispiaciuto? - Come mai? -
- Costituzione debole, o qualcosa del genere. - il mio amico si strinse nelle spalle - Il nonno lo ha preso a cinghiate. -
Sollevai un sopracciglio: da quel vecchio, me lo sarei aspettato.
- Senti, - iniziò lui, - io non ho niente contro di lui: so che non è colpa sua. Come immagino non sia colpa di tuo zio se... -
Lasciò cadere la frase: mi convinsi che la mia ipotesi era esatta, ed evitai di dirgli che Ed era ben contento di essere a casa sua.
- Insomma, volevo fare qualcosa per la mia famiglia. Appena si saprà questa cosa...sai come sono quegli altri. -
- E cosa vorresti fare? - domandai
- Quanto sei ingenuo, Tom. Mi voglio arruolare, no? -
Sgranai gli occhi, sicuro che stesse scherzando.
- Tu? - gridai
- Parla piano! - implorò - Sì, io. Conosco gente che l'ha fatto: basta mentire sull'età. -
- Che sciocchezza! -
Hanno parve deluso.
- Speravo che almeno tu mi aiutassi. -
- Dico solo che è una follia. -
- Libero di pensarla come vuoi. - era offeso dal mio atteggiamento - Non ti ho chiesto di venire con me. Anche perchè avresti paura. -
Mi consegnò il suo quaderno, con un gesto brusco.
- Vorrei che me lo tenessi fino al mio ritorno. - disse, calmandosi - Se mio nonno lo trovasse, lo distruggerebbe. Lo do a te perchè so che non guarderai. -
Lo presi in mano, stordito.
- Va bene, - acconsentii - ma... -
- E, per favore, non dire niente. Appena possibile scriverò una lettera ai miei parenti: prima di allora, fai finta di non sapere nulla. Non parlarne neppure con tua sorella, e neppure con tuo zio. -
- Va bene, Hanno, ma credo... -
- Tranquillo, - mi interruppe, con fermezza - quando tornerò, si saranno dimenticati tutti che sono scappato di casa. E mio nonno smetterà di dire che sono un buono a nulla. -
Rise, imitando il saluto militare, e uscì saltellando.
Ed arrivò in quel momento, chiudendo la porta del suo appartamento.
- Chi era? -
- Hanno, il mio amico. -
- Cosa voleva? -
Rimasi fedele alla promessa appena fatta.
- Nulla. -
A volte mi chiedo cosa sarebbe successo se avessi confessato a Ed i propositi di Johann, dando ascolto alla mia coscienza. Forse sarebbe andata diversamente. Forse Edward lo avrebbe rincorso, gli avrebbe schiarito le idee con due ceffoni e l'avrebbe rispedito a casa sua. Non lo saprò mai.

   
 
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