Sono un'autrice ignobile e crudele,
sì. E la maturità imminente mi rende ancora più malvagia.
2. Orgoglio e pregiudizio
Questo è il peggior compleanno che abbia mai avuto, pensavo.
Mi ero infilato nel letto, sotto le coperte, e me ne stavo con il mento
appoggiato sulle mani: a casa mia, il segnale inequivocabile che volevo essere
lasciato in pace, perchè ero di cattivo umore.
Rimuginavo sulla mia sfortuna, che aveva concentrato così tante magagne nel
giorno in cui compivo dodici anni: mio padre era partito, e io mi ritrovavo
lontano da casa mia, in casa di perfetti estranei, di cui uno particolarmente
esasperante.
Inoltre, nessuno si era ricordato del mio compleanno. A parte papà, che mi aveva
fatto gli auguri piangendo e salutandomi, mentre partiva per il fronte.
Fantastico.
Comunque, era destino che non potessi rimanermene da solo troppo a lungo: doveva
essere passata mezz'ora al massimo, quando sentii la voce di mia sorella, a
pochi passi da me:
- Thomas? -
Mi sedetti, togliendomi la coperta di dosso e sbuffando per farle capire che ero
ancora di cattivo umore
- Cosa c'è? - domandai
- Perchè ti sei arrabbiato con lo zio? - mi domandò a bruciapelo
Alzai il mento e misi il broncio, seccato per essere stato preso alla sprovvista
- Perchè ha detto delle cose brutte. E false. -
- E tu come lo sai? -
- Beh... - balbettai, mentre sentivo le guance scaldarsi - perchè non è vero. Lo
dicono tutti. -
Charlotte annuì, con aria di compatimento, mentre io, furioso con me stesso,
cercavo uno straccio di prova a sostegno delle mie tesi
- Insomma, - ripresi - a scuola, alla radio...sui giornali. -
Da qualche parte, tuttavia, una vocina mi ricordava quel che diceva mio padre;
Lotte la seguì a ruota:
- Papà diceva di non ascoltare quel che dicono radio e giornali -
A volte mi chiedo se mia sorella non sia telepatica: poi, concludo sempre che,
semplicemente, è più acuta di me. Da qualche parte devo avere un minimo
d'intelligenza, ma lo uso malvolentieri.
Quella sera, tuttavia, non volevo ammettere di aver sbagliato: innanzitutto, non
ne ero ancora del tutto certo, e poi, non potevo andare a scusarmi...il mio
orgoglio non me l'avrebbe mai permesso; così, presi la decisione più vigliacca:
mi tirai nuovamente lenzuolo e coperta sulla testa.
- Vai via, non ho voglia di parlare con nessuno! -
Sentii la delusione di Charlotte come se fosse stata fisica, ma decisi di non
curarmene.
- Buon compleanno, Thomas. - mormorò appena, andandosene.
- Chiudi la porta! - le gridai di rimando.
Rimasi di nuovo al buio, con l'unica compagnia del fischio del vento
all'esterno, che ogni tanto faceva tremare la finestra della camera: mentre
tornavo a sdraiarmi, ripensai alle parole di Lotte.
Ero certo di aver visto meno di una decina di quotidiani girare per casa nostra:
anzi, l'ultimo foglio di giornale conteneva delle uova comprate alla borsa nera.
Mio padre aveva fatto dell'ironia, dicendo che era il modo migliore per usare
quella cartaccia.
Cominciavo a non sapere più cosa pensare, quando udii bussare alla porta,
lasciata aperta da Charlotte nonostante la mia richiesta. Chiusi gli occhi:
l'ultima cosa di cui avevo bisogno era un altro attacco della mia irriducibile
sorellina, ben decisa a mettere pace.
- Posso entrare? -
Trasalii, riconoscendo la voce: mi tolsi le coperte di dosso, in tempo per
vedere Edward in piedi, sulla porta, ancora con le nocche della mano destra
appoggiate su di essa, la lavagnetta di Margarethe nella sinistra. Con un salto
mi sedetti sul bordo del letto, mentre lui spostava la sedia della scrivania e
ci si sedeva; evitai di fissarlo, mentre lui prendeva tempo fingendo di
osservare i fiocchi di neve che cominciavano a cadere fuori dalla finestra.
- Prima sono stato troppo brusco. - ammise, sempre senza guardarmi - Non avrei
dovuto alzare la voce. -
Per quel piccolo passo verso la riconciliazione, doveva aver ingoiato tutto il
suo orgoglio: rimasi per alcuni secondi in silenzio, prima di decidermi a fare
la mia parte.
- Io non avrei dovuto aggredirti, - dissi, grattandomi il capo per riordinare i
capelli scompigliati dal lenzuolo che mi ero cacciato in testa - nè offenderti.
-
Alzai leggermente lo sguardo, accorgendomi che anche lui mi stava guardando.
- Siamo stati entrambi troppo irruenti. - dichiarò lui, sorridendo - Direi che,
dato che dovremo vivere tutti insieme, sarebbe meglio evitare argomenti di
discussione troppo accesa-
- Allora... - mormorai, imbarazzato - basterà dire a Charlotte di tirarci un
calcio quando vede che ci stiamo scaldando. -
- Margarethe le darà man forte, temo! - annunciò Edward, alzandosi - Del resto,
ci ha tenuto a farmi sapere cosa pensava di me... -
Alzò la lavagnetta: sopra, c'era scritta una sola parola, in stampatello.
Cafone.
Fissai le lettere bianche per alcuni secondi, cercando di trattenermi: poi,
accorgendomi che gli angoli della mia bocca si stavano incurvando verso l'alto
senza che io potessi oppormi, finsi un colpo di tosse poco credibile.
- Ah, è così che mi difendi? - mi domandò infatti Ed - E io che volevo pure
farti gli auguri di compleanno! -
- Non li hai mai saputi, i nostri compleanni. Lo hai sentito da papà, oggi. -
esclamai
- Dubiti di me? -
- Francamente sì! -
Lui alzò le mani, in segno di resa: - I giovani d'oggi sono troppo astuti per i
miei gusti... - brontolò - Ti vanno dei biscotti, per festeggiare? -
Intendiamoci: nessuno dei due aveva cambiato idea, almeno per il momento.
Potremmo definire il nostro un armistizio. Nei giorni successivi, evitando tutto
ciò che poteva trovarci in disaccordo (quindi, tutto quello che riguardasse la
guerra), riuscimmo a conoscerci meglio; non posso negare che avemmo parecchi
battibecchi, ma nessuno di essi merita di essere riportato.
* * *
Sabato pomeriggio. In pratica, il mio giorno di vacanza, in cui potevo stare
seduto dietro il bancone o, più spesso, in magazzino, stiracchiando le ossa
doloranti per i lavori che riusciva a trovarmi il signor Schulz e immaginando
con sgomento le pulizie della domenica, quando il mio locatario buttava all'aria
l'intera casa e, puntualmente, ero oggetto di una variegata gamma di improperi
sullo stato in cui lasciavo i miei vestiti e i miei libri. Fortuna che usavo il
mio appartamento solo come studio, e la mia stanza da letto al piano di sopra
era occupata dai ragazzi.
Mi ero così impegnato a dimenticare il motivo della mia baruffa con Thomas che,
quando mi trovai in mano la prima lettera di Al, ci misi qualche istante per
farmi venire in mente perchè mi ricordava qualcosa. Appena ci riuscii,
sobbalzai, la infilai in tasca senza neppure aprirla e rientrai nella libreria:
Thomas e Charlotte erano appena tornati dal giro di spese con Margarethe, e il
maggiore si era già nascosto tra gli scaffali.
Non credevo che lasciarli liberi di curiosare nel negozio portasse a danni così
irreparabili: non c'era nulla di sconveniente o vietato che potesse arrivare in
mano ai bambini. Invece, avevo fatto i conti senza la curiosità di mio nipote, e
senza considerare il fatto che, tutto sommato, si annoiasse: in poco tempo,
trovò qualcosa che lo appassionava.
Non sapevo cosa pensare: io stesso posso estraniarmi dal mondo esterno,
rimanendo concentrato su un libro per ore, ma i nostri argomenti di lettura
erano e sono assolutamente opposti, visto che io m'interesso a libri
scientifici, dalla fisica alla chimica, alla biologia. Che un dodicenne potesse
leggere, capire ed apprezzare la letteratura tedesca (l'unica presente, ovvio),
mi risultava totalmente incomprensibile.
Beh, del resto è il figlio di una persona eccezionalmente dotata: Al ha passato
interi pomeriggi chino, insieme a me, su giganteschi tomi di alchimia che
risultavano ostici a molti adulti.
- Charlotte! Thomas! Posta! - gridai
Lotte saltò in piedi, per essere certa di essere la prima; suo fratello,
inaspettatamente, arrivò subito, senza che dovessi andare a cercarlo come al
solito.
Estrassi la busta dalla tasca, ed esitai alcuni istanti, sperando che quel
misero oggetto non riaccendesse litigi in casa. Decisi di fidarmi di mio
fratello, e spiegai la lettera.
Ci chinammo tutti e tre. Ugualmente delusi.
Pochissime parole, che a malapena riempivano un foglio. Un testo freddo,
analitico, che descriveva a grandi linee quel che succedeva in qualunque posto
Al si trovasse, e si riscaldava solo quando il soldato lasciava il posto al
padre che si preoccupava che i suoi figli sapessero quanto li amava: la firma
era frettolosa, ma con lo svolazzo finale tipico della mano di mio fratello. Il
mio nome era citato appena una volta, come semplice garante della salute di
Thomas e Lotte; più o meno a metà del testo, due linee nere parallele
interrompevano di netto la calligrafia pulita, ordinata e insolitamente
spigolosa di Alphonse.
Rimanemmo in silenzio per alcuni secondi, interdetti, poi Charlotte corse al
piano di sopra: ritornò dopo alcuni istanti, con una scatola di latta in mano
che profumava ancora dei biscotti che aveva contenuto fino alla sera del
compleanno di Thomas, quando si toglieva il coperchio.
- Mettiamola qui. - mi disse - Così, quando ne arriveranno altre, potremo
tenerle tutte insieme. -
Infilò nuovamente il foglio nella busta, appoggiò tutto sul fondo con cura
reverenziale, e richiuse bene il contenitore. Alla fine, quelle lettere
avrebbero preso un profumo di biscotto che si sarebbe sentito per mesi: qualche
anno fa, quando Al ritrovò la scatola e mi fece vedere la sua corrispondenza,
non potei trattenermi dall'avvicinarne una al naso, per cercare quell'odore. So
che anche Thomas lo ha fatto, quindi non è la vecchiaia che mi rende rimbambito.
Mentre Charlotte tornava al piano di sopra, mio nipote sospirò pesantemente:
poi, parva ricordarsi di qualcosa.
- Edward, Margarethe voleva sapere qualcosa a proposito di un paio di pantaloni.
- mi disse - Sul colore, mi pare. -
Sbuffai: - Ci sta ancora pensando? - brontolai
Due giorni prima, mentre stavo sistemando una mensola pericolosamente storta
nella cantina del podere di Schulz, il vecchio mi si era affiancato, avvolto
nella solita nuvola di fumo di sigaretta.
- Cercano del personale nel laboratorio...come si chiama?...quello di fronte ai
giardini. -
Dato che avevo un cacciavite in bocca, mi limitai a spostare brevemente lo
sguardo su di lui, prima di tornare al mio lavoro.
- Non le interessa? Pensavo che lei fosse un chimico. -
- Conosco il direttore: mi ha già licenziato una volta. -
- Il vecchio sta per andare in pensione...non vorrà passare tutta la vita a
farmi da contabile e riparare mensole?! -
- Come mai sa così tanto, lei che non esce mai da qui? -
- E chi dice che non esco mai? -
Se speravo di trovare un appoggio in mio nipote, mi sbagliavo: si alleò
immediatamente con Margarethe.
- Cosa ti costa provarci? -
- Tuo nonno potrebbe essere persino con un piede nella fossa, ma se sapesse che
sto tentando di farmi assumere di nuovo risorgerebbe all'istante. - sbuffai -
Quindi, perchè andare a mettersi in ridicolo? -
- Che c'entra, non è lui che prende tutte le decisioni... -
- Sì, certo. Non è lui, ma l'idiota che lo ha assunto. Hai da fare, o vuoi che
ti trovi qualcosa io? -
Lui mi lanciò un'occhiata assassina, e sparì dietro gli scaffali.
Perchè tutti si impegnano così tanto a farmi notare che guadagno una miseria?,
mi domandai. Va bene che vivono su quel che porto a casa, ma, accidenti, questo
non li autorizza a mandarmi in giro a lanciarmi in imprese perse in partenza.
Certo, però, che se davvero il vecchio Heinrich non c'è...
Mi accorsi del pensiero che si stava formando nella mia testa appena in tempo
per ricacciarlo indietro: no, non se ne parla. Ho ancora un minimo di dignità.
Allora dov'è la tua dignità, Edward, quando tuo nipote passa parte del già magro
contenuto del suo piatto alla sorellina, cercando di non farsi scorgere, ma in
modo così disastrosamente ingenuo da non poter sfuggire neppure ad un cieco?
Sospirando, diedi un'occhiata all'orologio, accorgendomi di aver perso la
cognizione del tempo. Infatti, in quel momento qualcuno entrò in libreria:
immaginando benissimo di chi si trattasse, mi voltai, in tempo per vedere la mia
cliente preferita richiudersi la porta alle spalle.
Puntuale come al solito.
- Posso esserle utile? - domandai, ironico
Lei si tolse il cappellino che portava, facendo passare gli occhi sui libri
esposti alla sua sinistra.
- Sì, - rispose, con noncuranza - cercavo un libro, ma non ricordo nè il titolo,
nè l'autore. -
- Questo richiederà del tempo per cercarlo. - insinuai, ridacchiando
Finalmente sua signoria si voltò a guardarmi, con aria maliziosa.
- Pazienza. Mi adatterò a passare un po'di tempo con un libraio arrogante e
sfrontato. -
Una donna affascinante, con capelli biondo scuro e occhi azzurri che non
perdevano occasione per deridermi.
Hedwig Steinglocke, la mia "amica speciale".
L'alter ego di Winry Rockbell, il cui cognome era la perfetta traduzione del
suo.
* * *
Lo so. Non è bello origliare, ma, credetemi, non mi ero accorto di nulla: ero
così preso dalla lettura che, quando sentii una risata femminile, per qualche
istante mi chiesi se non avessi le allucinazioni. Posai il libro e sbirciai
attraverso lo scaffale dietro cui me ne stavo seduto: riuscivo a vedere il retro
della libreria dove, appoggiati al tavolo per la mancanza di sedie, c'erano mio
zio Edward e una bella donna, a me sconosciuta. Parlavano molto innocentemente,
ma, anche solo per quel poco che lo conoscevo, potevo dire di non aver mai visto
Ed così espansivo.
Arrossii e smisi di guardare, vergognandomi per la mia curiosità: decisi di
filarmela alla chetichella, ma questo avrebbe significato passare di fronte
all'ingresso del magazzino e farsi vedere. Non me la sentivo di litigare con
Edward per una sciocchezza simile.
Inconsapevolmente, furono Margarethe e Lotte a salvarmi, arrivando in quel
momento.
- Ed, Margarethe vuole passare dalla panetteria, e io l'accompagno. - annunciò
la mia sorellina
- Abbiamo ancora delle tessere? - domandò lui, senza scomporsi
La diciassettenne gli fece un cenno veloce, che solo lui capì. Anche la bella
signorina parve ignorarlo, perchè si affrettò a domandare, curiosa: - Edward,
chi è questa bambina? -
- È mia nipote...dov'è Thomas? - aggiunse, dando le spalle alle tre e cercandomi
tra gli scaffali.
Mi alzai e uscii, chiudendo il libro che stavo leggendo, come se mi fossi
accorto in quel momento che c'era gente.
- Che succede? - chiesi, strofinandomi gli occhi arrossati.
Ti va una passeggiata? domandava la lavagnetta di Margarethe. Annuii,
ringraziandola mentalmente.
- Come mai ti occupi dei tuoi nipoti? - chiese la sconosciuta
- Mio fratello è al fronte...ragazzi, lei è Hedwig Steinglocke, una mia amica. -
ci presentò
Hedwig ci sorrise, con aria gentile: io sentii le mie orecchie riscaldarsi, ma
Lotte si fece seria. Come sempre, davanti ad un adulto a lei estraneo diventava
impenetrabile. Margarethe aggrottò le sopracciglia.
- Che c'è? - le domandai, quando fummo usciti
Che ne pensi della signorina Steinglocke? mi domandò, evasiva.
Io mi strinsi nelle spalle
- Non saprei...mi pare gentile. -
Lei storse il naso.
- Non ti piace? - domandò Lotte
No. dichiarò, lapidaria.
- E perchè? -
Margarethe riflettè per alcuni istanti, la mano con il gesso sollevata a
mezz'aria. Stava pensando ad una frase che una bambina potesse capire.
Cosa ha a che fare con il signor Elric? scrisse infine.
- Mi pare si piacciano... - ribattei, trattenendo le risate. In cuor mio,
pensavo che la padrona di casa dello zio fosse gelosa.
Lei scosse la testa, e fece alcuni gesti veloci, che nè io, nè Lotte
comprendemmo.
* * *
Gelosa?
Non credo che Thomas abbia mai pensato una cosa simile, era un ragazzino
intelligente. Il mio era solo buonsenso: cosa aveva a che fare una bellissima,
ricca e raffinata signorina con Edward Elric?
Mi spiegherò meglio: Hedwig Steinglocke era una di quelle donne stupende che
sanno benissimo di esserlo, ma hanno bisogno che sia loro ricordato in
continuazione. Per questo, necessitano di un uomo capace di farle sentire il
centro dei suoi pensieri e, mi spiace dirlo, quell'uomo non è decisamente il
signor Elric. Lui era capace di chiudersi per ore nel suo gelido appartamento,
attaccato alla scrivania, a lavorare incessantemente, incurante del mondo
esterno: poche donne sopporterebbero un uomo simile, e pochissime sarebbero in
grado di distrarlo dalla sua occupazione. Io ammetto senza difficoltà di aver
rinunciato in fretta, con buona pace di Thomas.
* * *
Margarethe non perse occasione per ricordarmi cosa pensava di Hedwig; la
ignorai, e non mi preoccupai nemmeno di ciò che potessero pensare Thomas e
Charlotte, vedendomi con una donna a loro sconosciuta: non avevamo nulla di
equivoco, nè, del resto, avremmo potuto averlo.
Supponevo di amare Hedwig, ma non accennai mai ad un fidanzamento, per svariati
motivi: innanzitutto, lei era di buona famiglia, mentre io ero un disoccupato
perennemente al verde; inoltre, non mi sentivo sufficientemente sicuro per
chiederglielo, e non solo dei miei sentimenti. C'era una sorta di ritegno tra di
noi, che immaginavo dovuto al fatto che nessuno dei due sapesse esattamente fin
dove ci si poteva spingere. Forse, quando avessi avuto un minimo di sicurezza
economica, mi sarei posto il problema di dare un aspetto ufficiale alla nostra
situazione: per il momento, lei si limitava a comparire ogni sabato pomeriggio,
alle cinque in punto. Discutevamo, chiacchieravamo, confrontavamo le nostre
idee, ma la cosa finiva lì, come si conveniva ad un uomo e ad una donna onesti.
Non ci eravamo mai sfiorati.
- Sono bambini graziosi. - disse all'improvviso lei, ripensando ai miei nipoti.
Ridacchiai:
- Non farti sentire da Thomas - la avvertii - Odia essere considerato un
bambino. -
- Ti deve somigliare... - suggerì, appoggiando la testa sulla mia spalla e
seguendo con un dito il profilo del mio naso, come a mostrarmi una
caratteristica in comune con mio nipote.
- Abbiamo già litigato, quindi direi di sì. Comunque, non somiglia per niente a
mio fratello. -
- Litigato? Perchè? -
Tamburellai le dita sul tavolo, restio a parlarne: - Divergenze di opinioni. -
risposi, evasivo.
Non comprese, ma evitò di insistere. Invece, approfittò della posizione
privilegiata per picchiettare il mio auto-mail con una delle sue unghie: sapevo
che l'idea di un braccio meccanico la incuriosiva, ma era troppo pudica per
chiedermi di tirare su la manica e lasciarglielo vedere. Sebbene avesse la mia
età, riusciva a dimostrare qualche anno di meno, ma, quando aveva quell'aria
combattuta, ricordava una ragazzina impicciona.
Una ragazzina impicciona che avevo conosciuto, anni prima.
* * *
Margarethe faceva raramente la spesa da sola, e solo in giorni stabiliti:
tuttavia, da qualche giorno usciva spesso con Charlotte, che riusciva ad
accattivarsi le simpatie di tutti semplicemente con la sua aria timida e
adorabile da brava bambina. Quel pomeriggio, comunque, non entrò neppure nella
panetteria, ma si limitò a fare un lungo giro dell'isolato.
Oggi c'è il vecchio, spiegò, con una smorfia, io entro solo quando c'è
il nipote.
- La passeggiata serviva soltanto per lasciar soli Edward e la signorina
Steinglocke? - domandai.
Margarethe mi rispose a gesti, poi si corresse, e afferrò la lavagnetta.
Non m'immischio negli affari del signor Edward. Per indicare lo zio, mi
accorsi comparando i gesti alle parole, si toccava la testa, come accennando
alla pettinatura di Edward. Era la prima volta che capivo qualcosa nei movimenti
della diciassettenne.
Stavamo per rientrare, quando risuonò l'allarme aereo, un lugubre boato che
faceva tremare la terra sotto i piedi. Margarethe si morse un labbro, prima di
deviare velocemente verso destra, mentre noi la seguivamo a ruota.
Nei mesi precedenti, i bombardamenti aerei su Monaco si erano fatti sempre più
regolari: passavamo quasi ogni notte nei rifugi. Da quando eravamo a casa di
Edward, tuttavia, era la prima volta che sentivamo la sirena, e ancora non
sapevamo dove fosse il bunker.
Eravamo appena entrati, quando alle nostre spalle comparve Ed, da solo. Hedwig
doveva essersene già andata.
- Mi sembrava strano che non venissero per così tanti giorni... - brontolò,
mettendoci una mano sulle spalle, per non perderci tra la folla.
Avrei preferito farne a meno, fu la risposta di Margarethe.
Non sono un osservatore esperto: mia sorella è molto più in gamba di me. Eppure,
da come buona parte delle persone presenti si voltò a guardarci, anche io non
potei non comprendere in fretta che Edward non era apprezzato nel vicinato:
sembrava che con noi fosse entrato un odore sgradevole. Lui ignorò l'atmosfera
creatasi, e andò a sedersi in disparte. Io stavo per seguirlo, quando qualcuno
mi chiamò:
- Thomas! -
Mi voltai, e vidi il mio migliore amico.
- Hanno! -
Mi avvicinai, seguito da Lotte, e un gruppo di donne lì vicino smise
improvvisamente di parlare, scrutandomi come se fossi stato un bizzarro animale.
Johann Lindemann, o Hanno, come lo chiamavano tutti. Ci conoscevamo dal primo
giorno di scuola: era un ragazzino piuttosto alto e molto magro, che dimostrava
qualche anno in più dei dodici che aveva; tuttavia, gli occhi chiari erano
ancora infantili.
- Sempre al lavoro, vedo! - risi
Indicai il quaderno dalla copertina scura che teneva sotto il braccio, e lui si
unì alla mia risata. Sapevo che amava disegnare, e si portava sempre dietro il
materiale necessario; non mi aveva mai permesso di guardare le sue creazioni,
perché temeva sempre che non piacessero.
- Cosa ci fai qui? - mi domandò, lasciandoci spazio per sederci di fianco a lui
- Vivo a pochi isolati di distanza, - risposi - da mio zio. -
I suoi occhi verdi si posarono su Ed, seduto poco distante da noi. Si strofinò
il naso pieno di lentiggini con un dito, tornando immediatamente a concentrarsi
su di noi.
- Abiti con... - abbassò la voce - con Edward Elric? -
Corrugai le sopracciglia, perplesso: - Sì. - risposi - perchè? -
Lui arrossì, imbarazzato. Probabilmente non mi avrebbe risposto, ma non aveva
fatto i conti con l'uomo alle sue spalle: suo nonno, Johann, il vecchio
panettiere, che prima stava parlando fitto fitto con il fratello maggiore del
mio amico, Wilhelm, il ragazzo timido che Margarethe cercava in negozio, quello
stesso pomeriggio.
- Bella sfortuna, ragazzo! - strillò, con la sua vocetta stridula.
Mi voltai furtivamente verso Ed, sperando che non avesse sentito: improbabile,
visto che l'ultima frase era stata urlata. Tuttavia, sembrava profondamente
assorto nell'osservazione di un qualche punto sulla parete di fronte a lui e,
del resto, non poteva sapere che stavamo parlando proprio di lui.
- Quello... - la voce di Hanno era poco più di un sussurro - ...insomma, perchè
non è andato in guerra? -
- Perchè non può. - risposi, come se fosse una cosa ovvia - È menomato, ha... -
Avrei continuato, ma il vecchio ritenne opportuno far sapere a tutto il
gruppetto come la pensava:
- Certo che è menomato: vi siete mai chiesti perchè non si è sposato? - disse,
alzando un dito con aria saccente e vanificando all'istante tutte le mie
speranze che Edward ignorasse ciò che veniva detto sul suo conto.
Le donne si voltarono dall'altra parte, sorridendo appena per l'impertinenza: i
pochi uomini lì intorno risero apertamente alla battuta sporca.
Avrei voluto sprofondare per la vergogna. Mi sembrava di sentire lo sguardo di
Ed perforarmi la schiena, anche se ero quasi certo che, in realtà, non stesse
guardando dalla nostra parte. Oltretutto, per una volta, Charlotte si comportò
come una qualunque bambina di sette anni:
- Che significa? - domandò, reclinando leggermente la testa, con sguardo
ingenuo.
Le risate aumentarono d'intensità, proporzionalmente al mio imbarazzo.
- Su, su... - una donna mosse stancamente la mano, per chiedere silenzio - Vi
sembrano cose da dire davanti a dei bambini? -
Lotte era confusa: mi tirò la manica della camicia, con aria perplessa:
- Cos'ha fatto Ed? - mi chiese
Ero - sono - principalmente un bastian contrario: davanti a simili dimostrazioni
di stupidità, dimenticai che non avevo una grande simpatia per Edward.
- Proprio niente. - le risposi, seccato - Questi signori non sanno nulla, ma
devono pur passare il tempo. -
Il vecchio panettiere sputò per terra: essere smentito gli dava sui nervi.
- Filate dalla casa di quel disfattista, prima che vi infili strane idee in
testa. - consigliò.
Distolsi lo sguardo dalla figura ossuta, a disagio: a giudicare dalla litigata
di qualche giorno prima, Ed poteva davvero essere considerato un disfattista. Ma
erano le stesse idee di mio padre, e a tutto potevo pensare tranne che papà
facesse qualcosa di sbagliato.
Wilhelm, che probabilmente conosceva già il ritornello, cercò di cambiare
argomento:
- Portate i miei saluti alla signorina Meyer. - ci disse.
Gli sorrisi appena, annuendo: sapevo che le era simpatico, perchè quando c'era
lui dietro il bancone della panetteria, la diciassettenne entrava da sola, dato
che Wilhelm leggeva la lavagnetta senza fare storie.
Un uomo alto e allampanato, che riconobbi come il calzolaio all'angolo, gli tirò
una cameratesca pacca sulla schiena.
- Ehi, vecchio Johann! - esclamò - Tuo nipote progetta di sposare la figlia
dell'antiquario, e tu non ci dici nulla? -
Sperai che la tempesta fosse passata, ma non avevo fatto i conti con la lingua
avvelenata del nonno di Hanno.
- Sciocchezze, ne abbiamo già parlato! Suo padre non gli darà mai il permesso. -
O forse, pensai, sarai tu a non darglielo.
- Nonno, per favore, non urlare... -
- Wilhelm, piantala di fare gli occhi dolci a quella mocciosa! Sposati una che
possa dare una mano in negozio, e non viva alle nostre spalle. -
Ovviamente. Margarethe era muta, quindi non avrebbe mai potuto lavorare da sola
in una panetteria.
- E poi... - il vecchio barbagianni si interruppe per tossire rumorosamente
- Nonno! - implorò il giovane - Non dire queste cose davanti a tutti! -
- E poi, - riprese implacabile l'altro - come puoi fidarti di una donna che vive
sola con un uomo? -
Esplosi. Mi ero ripromesso di non farlo, perchè, dalla litigata con Ed, avevo
imparato che apparire calmi fa saltare i nervi di chi ti sta di fronte molto in
fretta, ma non riuscii più a trattenermi. Forse mio zio non mi era simpatico, ma
quelle accuse infamanti non le meritava neppure lui. E parlare di Margarethe,
sempre buona con me e Lotte, in modo così offensivo mi faceva ribollire il
sangue.
Saltai in piedi come se qualcosa mi avesse punto.
- Queste sono... - come si diceva?, mi chiesi - Queste sono calunnie! Nessuno di
voi sa niente di Margarethe, nè di Edward. Però vi sentite in diritto di
inventare storielle sporche per passare il tempo, alle loro spalle...tra
l'altro, senza neppure un minimo di coerenza. -
Applaudii, con sarcasmo, mentre Johann fissava un punto oltre le mie spalle, con
una smorfia astiosa.
- Bravi, complimenti. - gridai - Persino io avrei più coraggio! -
- Su questo non ho dubbi. -
La mano d'acciaio di Edward si appoggiò sulla mia spalla, spaventandomi.
* * *
Sapevo di perdere la calma molto in fretta, ma era la cosa peggiore che potessi
fare: presi i miei nipoti e decisi di allontanarmi.
- Signori, buonasera. - dissi, voltando le spalle.
- Scappa a nasconderti, Elric. -
Ignorai Ameise, il macellaio. Le sue bistecche erano molto più intelligenti di
lui.
- Lotte... - Thomas prese per mano la sorellina, con un'aria profondamente
offesa che, mio malgrado, mi toccò.
- Chi è il pazzo che ti ha affidato dei bambini? -
- Sono tuoi? -
Risposi, evitando di guardare chiunque avesse parlato.
- Sono i figli di mio fratello. - replicai, neutro, raccogliendo il nastrino per
capelli caduto a Charlotte.
La moglie del calzolaio, sperando di non essere udita, fece sapere la sua
opinione alla vicina. Dimenticando di essere quasi sorda.
- Non aveva un posto più sicuro? - sussurrò a modo suo - Dopo che la polizia,
quella volta...-
- Non scomodate la polizia, Frau Müller, - risposi, fermandomi di colpo e
voltandomi a fissarla - perchè vostro marito e i suoi amici ne sanno sicuramente
più dei poliziotti. -
Rimasi alcuni istanti a godermi l'effetto della stoccata: ovviamente, chiunque
avrebbe potuto ribattere che stavo delirando, ma l'istante di silenzio furioso
degli uomini fu, per me, meglio di un'ammissione.
Portai i bambini da Margarethe: lei non fece cenni, ma capii cosa stava
pensando. Non potendo parlare, spesso le si leggeva in faccia.
- Ed... -
Mi sedetti per terra, appoggiando il mio cappotto sulle spalle di Lotte; Thomas
venne ad accovacciarsi di fronte a me:
- ...sei arrabbiato? - chiese, preoccupato.
- Thomas, - risposi, brusco - non provare mai più a fare una cosa simile. Ora
non ti lasceranno più in pace. -
- Stavano dicendo una marea di sciocchezze! - reagì lui
- E tu sei così stupido da ascoltarle? -
Margarethe mi colpì col palmo della mano sul braccio: nel suo linguaggio, era
come se avesse appena urlato il mio nome, con voce severa. Obbedii al mio
padrone di casa, e presi alcuni respiri per calmarmi; mio nipote, intuendo che
non era il momento per un'altra discussione, si sedette di fianco a me.
- Thomas... - ripresi - non voglio che tu ti metta nei guai per colpa mia. Tuo
padre non me lo perdonerebbe mai; e, tanto per essere chiari, non ho bisogno che
qualcuno prenda le mie difese. Non servirebbe a nulla, perchè quel gruppo di
vecchie mummie si diverte troppo a inventare fandonie, ma metterebbe nei guai
te. -
Lui rimase alcuni secondi in silenzio, mordendosi il labbro
- Di cosa parlava quella donna? - si decise a chiedere infine.
Chiusi gli occhi: - Del motivo per cui non sono venuto al funerale della tua
mamma. -
Era da parecchio che sospettavo che i miei adorabili vicini sapessero molto più
di quel che dicevano, ma le mie erano solo ipotesi. Io non riconobbi nessuno.
Era fine settembre, e il coprifuoco era appena terminato, quando uscii di casa:
il funerale di Caroline Heinrich in Elric sarebbe stato solo alcune ore più
tardi, ma preferivo restare accanto a mio fratello. Erano anni che non ci
vedevamo così spesso come da quando era rimasto vedovo: solo il giorno prima
avevamo passato l'intero pomeriggio insieme, pressochè in silenzio e,
andandomene, avevo intravisto i miei nipoti circondati dai parenti che facevano
a gara per porgere le loro ipocrite parole con cui si sarebbero scaricati la
coscienza. Per qualche minuto avevo pensato di andare a portar via i fratellini,
gridando a quegli individui che a due bambini che hanno appena perso la mamma
non gliene importa niente delle condoglianze di persone che avevano definito la
defunta una "sciocca idealista", perchè si era sposata con un dipendente di suo
padre. Lasciai perdere solo perchè non avevo la minima voglia di mettermi a
litigare davanti alla casa di Al.
Quella mattina, comunque, mi stavo recando di nuovo da mio fratello. L'aria era
piuttosto fredda, e c'era una leggera nebbia: rabbrividii, e tentai di stringere
il nodo della cravatta, sperando puerilmente che servisse da sciarpa.
La traversa in cui si trovava l'ex-negozio di antiquariato dei Meyer era la
quarta, prima che la via in cui sboccava andasse ad immettersi in una più ampia:
ero arrivato all'altezza della seconda, quando ebbi l'impressione di vedere una
persona sporgersi da uno dei balconi. Alzai la testa, ma questa era già
scomparsa nella casa di Müller.
Chiunque mi aspettasse, approfittò al volo della mia distrazione: mi arrivò alle
spalle, afferrandomi e gettandomi a terra. Lanciai un'esclamazione che risuonò
nella via deserta, ma parecchie paia di piedi sopraggiunsero, e qualcuno mi
colpì alla testa con un bastone, o un manico di scopa. Stordito, venni sollevato
per le braccia e trascinato nel vicolo: dovevano esserci sei o sette persone, e
sono assolutamente certo che nessuna di esse indossasse una divisa. Urlai più
forte, per tentare di attirare l'attenzione, ma fui zittito da un colpo tra le
reni, che mi piegò in due. Intrappolato nella stretta di due uomini, venni
colpito più volte al petto, al volto e dovunque capitasse e, quando riuscii ad
assestare un calcio con l'auto-mail ad uno di essi, ricevetti un pugno sulla
guancia sinistra che mi rovesciò al suolo.
Rinunciarono a trattenermi, immaginando che non avessi più la forza per
difendermi dai colpi: per alcuni interminabili secondi, in effetti, fu così;
poi, riguadagnai abbastanza lucidità da scattare in piedi, in uno sforzo
disperato, e correre via, prendendoli di sorpresa.
Non osarono inseguirmi nella via, dove c'era più luce: comunque, non credo che
il loro intento fosse uccidermi. Ci sono metodi più puliti.
Arrancai, zoppicando e ansimando, fino alla casa dei Meyer e, durante il
percorso, mi voltai più volte indietro, cercando con lo sguardo i miei
aggressori o altre persone sui balconi, sicuro che gli uomini della via avessero
assistito alla scena. Dopo qualche disperato tentativo, riuscii ad infilare la
chiave nella toppa, ed entrai nell'atrio. Chiamai Margarethe col poco fiato che
mi restava, e mi infilai nel mio appartamento; cercai di arrivare al letto, ma
caddi in ginocchio sul pavimento davanti ad esso.
La ragazza arrivò in quell'istante: si portò le mani davanti alla bocca,
sconvolta dalle mie condizioni, ma corse ad aiutarmi. Credo di essere svenuto
appena toccai il letto, perchè i miei ricordi ricominciano quando il mio solerte
padrone di casa, ben decisa a controllare che la sua fonte di reddito non ci
lasciasse la pelle, dimenticò il suo disgusto per il sangue: mi passò un panno
umido sul viso, strappandomi un gemito quando toccò le tumefazioni.
Thomas rimase in silenzio, senza guardarmi.
- Ricordo che non c'eri... - mormorò - ma papà venne da te quello stesso
pomeriggio, e ci disse che non era successo nulla di grave. -
Trasalii. Almeno ora sapevo come aveva scoperto cosa mi era successo: mi voltai
verso Margarethe, che scosse le spalle. Era stata lei, spiegò, ad accoglierlo,
non aveva mai pensato che volessi mantenere il segreto con mio fratello. Non lo
aveva fatto entrare per evitargli lo spettacolo poco edificante del fratello
maggiore ridotto ad uno straccio, ma Al doveva aver capito cos'era accaduto.
Il segnale del cessato allarme rimbombò nel rifugio: era ormai sera, noi avevamo
saltato la cena e io ancora non mi ero risolto a riflettere sulle parole del
signor Schultz.
Comunque, ero ben deciso a rifiutare.
Pensierino della buonanotte:
Cosa avevo detto all'inizio del capitolo? Che sono ignobile e crudele. Qualcuno
ha il coraggio di negarlo, dopo aver letto quel che capita a Ed?
No, non mi riferisco a Lindemann e al resto della combriccola, ma a Hedwig: è
così dolce&carina che vien voglia di tirarle un pugno...spero che voi la odiate
in misura proporzionale a quanto io la amo. Certo, io adoro Hedwig: non in
quanto donna, ma in quanto personaggio riuscito esattamente come io volevo.
Ah, le piccole gioie del narratore onnisciente!
E ora, meglio tornare anch'io alla mia scrivania, a ripassare: appena finirò
questa bolgia infernale della maturità riprenderò a scrivere.