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Autore: Rika88    15/06/2007    7 recensioni
Gennaio 1945: in una Germania devastata, Alphonse Elric, arruolato per una guerra ormai persa, lascia i figli a casa del fratello Edward. Tuttavia, come Thomas e Charlotte Elric scopriranno presto, i problemi non si limitano alla difficile convivenza tra due caratteri troppo simili, come quelli del bambino e di Ed: l'abitazione e la libreria sotto di essa sono il fulcro di un movimento incessante e, forse, anche pericoloso.
Genere: Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Sono un'autrice ignobile e crudele, sì. E la maturità imminente mi rende ancora più malvagia.

    2. Orgoglio e pregiudizio

Questo è il peggior compleanno che abbia mai avuto, pensavo.
Mi ero infilato nel letto, sotto le coperte, e me ne stavo con il mento appoggiato sulle mani: a casa mia, il segnale inequivocabile che volevo essere lasciato in pace, perchè ero di cattivo umore.
Rimuginavo sulla mia sfortuna, che aveva concentrato così tante magagne nel giorno in cui compivo dodici anni: mio padre era partito, e io mi ritrovavo lontano da casa mia, in casa di perfetti estranei, di cui uno particolarmente esasperante.
Inoltre, nessuno si era ricordato del mio compleanno. A parte papà, che mi aveva fatto gli auguri piangendo e salutandomi, mentre partiva per il fronte.
Fantastico.
Comunque, era destino che non potessi rimanermene da solo troppo a lungo: doveva essere passata mezz'ora al massimo, quando sentii la voce di mia sorella, a pochi passi da me:
- Thomas? -
Mi sedetti, togliendomi la coperta di dosso e sbuffando per farle capire che ero ancora di cattivo umore
- Cosa c'è? - domandai
- Perchè ti sei arrabbiato con lo zio? - mi domandò a bruciapelo
Alzai il mento e misi il broncio, seccato per essere stato preso alla sprovvista
- Perchè ha detto delle cose brutte. E false. -
- E tu come lo sai? -
- Beh... - balbettai, mentre sentivo le guance scaldarsi - perchè non è vero. Lo dicono tutti. -
Charlotte annuì, con aria di compatimento, mentre io, furioso con me stesso, cercavo uno straccio di prova a sostegno delle mie tesi
- Insomma, - ripresi - a scuola, alla radio...sui giornali. -
Da qualche parte, tuttavia, una vocina mi ricordava quel che diceva mio padre; Lotte la seguì a ruota:
- Papà diceva di non ascoltare quel che dicono radio e giornali -
A volte mi chiedo se mia sorella non sia telepatica: poi, concludo sempre che, semplicemente, è più acuta di me. Da qualche parte devo avere un minimo d'intelligenza, ma lo uso malvolentieri.
Quella sera, tuttavia, non volevo ammettere di aver sbagliato: innanzitutto, non ne ero ancora del tutto certo, e poi, non potevo andare a scusarmi...il mio orgoglio non me l'avrebbe mai permesso; così, presi la decisione più vigliacca: mi tirai nuovamente lenzuolo e coperta sulla testa.
- Vai via, non ho voglia di parlare con nessuno! -
Sentii la delusione di Charlotte come se fosse stata fisica, ma decisi di non curarmene.
- Buon compleanno, Thomas. - mormorò appena, andandosene.
- Chiudi la porta! - le gridai di rimando.
Rimasi di nuovo al buio, con l'unica compagnia del fischio del vento all'esterno, che ogni tanto faceva tremare la finestra della camera: mentre tornavo a sdraiarmi, ripensai alle parole di Lotte.
Ero certo di aver visto meno di una decina di quotidiani girare per casa nostra: anzi, l'ultimo foglio di giornale conteneva delle uova comprate alla borsa nera. Mio padre aveva fatto dell'ironia, dicendo che era il modo migliore per usare quella cartaccia.
Cominciavo a non sapere più cosa pensare, quando udii bussare alla porta, lasciata aperta da Charlotte nonostante la mia richiesta. Chiusi gli occhi: l'ultima cosa di cui avevo bisogno era un altro attacco della mia irriducibile sorellina, ben decisa a mettere pace.
- Posso entrare? -
Trasalii, riconoscendo la voce: mi tolsi le coperte di dosso, in tempo per vedere Edward in piedi, sulla porta, ancora con le nocche della mano destra appoggiate su di essa, la lavagnetta di Margarethe nella sinistra. Con un salto mi sedetti sul bordo del letto, mentre lui spostava la sedia della scrivania e ci si sedeva; evitai di fissarlo, mentre lui prendeva tempo fingendo di osservare i fiocchi di neve che cominciavano a cadere fuori dalla finestra.
- Prima sono stato troppo brusco. - ammise, sempre senza guardarmi - Non avrei dovuto alzare la voce. -
Per quel piccolo passo verso la riconciliazione, doveva aver ingoiato tutto il suo orgoglio: rimasi per alcuni secondi in silenzio, prima di decidermi a fare la mia parte.
- Io non avrei dovuto aggredirti, - dissi, grattandomi il capo per riordinare i capelli scompigliati dal lenzuolo che mi ero cacciato in testa - nè offenderti. -
Alzai leggermente lo sguardo, accorgendomi che anche lui mi stava guardando.
- Siamo stati entrambi troppo irruenti. - dichiarò lui, sorridendo - Direi che, dato che dovremo vivere tutti insieme, sarebbe meglio evitare argomenti di discussione troppo accesa-
- Allora... - mormorai, imbarazzato - basterà dire a Charlotte di tirarci un calcio quando vede che ci stiamo scaldando. -
- Margarethe le darà man forte, temo! - annunciò Edward, alzandosi - Del resto, ci ha tenuto a farmi sapere cosa pensava di me... -
Alzò la lavagnetta: sopra, c'era scritta una sola parola, in stampatello.
Cafone.
Fissai le lettere bianche per alcuni secondi, cercando di trattenermi: poi, accorgendomi che gli angoli della mia bocca si stavano incurvando verso l'alto senza che io potessi oppormi, finsi un colpo di tosse poco credibile.
- Ah, è così che mi difendi? - mi domandò infatti Ed - E io che volevo pure farti gli auguri di compleanno! -
- Non li hai mai saputi, i nostri compleanni. Lo hai sentito da papà, oggi. - esclamai
- Dubiti di me? -
- Francamente sì! -
Lui alzò le mani, in segno di resa: - I giovani d'oggi sono troppo astuti per i miei gusti... - brontolò - Ti vanno dei biscotti, per festeggiare? -

Intendiamoci: nessuno dei due aveva cambiato idea, almeno per il momento. Potremmo definire il nostro un armistizio. Nei giorni successivi, evitando tutto ciò che poteva trovarci in disaccordo (quindi, tutto quello che riguardasse la guerra), riuscimmo a conoscerci meglio; non posso negare che avemmo parecchi battibecchi, ma nessuno di essi merita di essere riportato.


* * *


Sabato pomeriggio. In pratica, il mio giorno di vacanza, in cui potevo stare seduto dietro il bancone o, più spesso, in magazzino, stiracchiando le ossa doloranti per i lavori che riusciva a trovarmi il signor Schulz e immaginando con sgomento le pulizie della domenica, quando il mio locatario buttava all'aria l'intera casa e, puntualmente, ero oggetto di una variegata gamma di improperi sullo stato in cui lasciavo i miei vestiti e i miei libri. Fortuna che usavo il mio appartamento solo come studio, e la mia stanza da letto al piano di sopra era occupata dai ragazzi.
Mi ero così impegnato a dimenticare il motivo della mia baruffa con Thomas che, quando mi trovai in mano la prima lettera di Al, ci misi qualche istante per farmi venire in mente perchè mi ricordava qualcosa. Appena ci riuscii, sobbalzai, la infilai in tasca senza neppure aprirla e rientrai nella libreria: Thomas e Charlotte erano appena tornati dal giro di spese con Margarethe, e il maggiore si era già nascosto tra gli scaffali.
Non credevo che lasciarli liberi di curiosare nel negozio portasse a danni così irreparabili: non c'era nulla di sconveniente o vietato che potesse arrivare in mano ai bambini. Invece, avevo fatto i conti senza la curiosità di mio nipote, e senza considerare il fatto che, tutto sommato, si annoiasse: in poco tempo, trovò qualcosa che lo appassionava.
Non sapevo cosa pensare: io stesso posso estraniarmi dal mondo esterno, rimanendo concentrato su un libro per ore, ma i nostri argomenti di lettura erano e sono assolutamente opposti, visto che io m'interesso a libri scientifici, dalla fisica alla chimica, alla biologia. Che un dodicenne potesse leggere, capire ed apprezzare la letteratura tedesca (l'unica presente, ovvio), mi risultava totalmente incomprensibile.
Beh, del resto è il figlio di una persona eccezionalmente dotata: Al ha passato interi pomeriggi chino, insieme a me, su giganteschi tomi di alchimia che risultavano ostici a molti adulti.
- Charlotte! Thomas! Posta! - gridai
Lotte saltò in piedi, per essere certa di essere la prima; suo fratello, inaspettatamente, arrivò subito, senza che dovessi andare a cercarlo come al solito.
Estrassi la busta dalla tasca, ed esitai alcuni istanti, sperando che quel misero oggetto non riaccendesse litigi in casa. Decisi di fidarmi di mio fratello, e spiegai la lettera.
Ci chinammo tutti e tre. Ugualmente delusi.
Pochissime parole, che a malapena riempivano un foglio. Un testo freddo, analitico, che descriveva a grandi linee quel che succedeva in qualunque posto Al si trovasse, e si riscaldava solo quando il soldato lasciava il posto al padre che si preoccupava che i suoi figli sapessero quanto li amava: la firma era frettolosa, ma con lo svolazzo finale tipico della mano di mio fratello. Il mio nome era citato appena una volta, come semplice garante della salute di Thomas e Lotte; più o meno a metà del testo, due linee nere parallele interrompevano di netto la calligrafia pulita, ordinata e insolitamente spigolosa di Alphonse.
Rimanemmo in silenzio per alcuni secondi, interdetti, poi Charlotte corse al piano di sopra: ritornò dopo alcuni istanti, con una scatola di latta in mano che profumava ancora dei biscotti che aveva contenuto fino alla sera del compleanno di Thomas, quando si toglieva il coperchio.
- Mettiamola qui. - mi disse - Così, quando ne arriveranno altre, potremo tenerle tutte insieme. -
Infilò nuovamente il foglio nella busta, appoggiò tutto sul fondo con cura reverenziale, e richiuse bene il contenitore. Alla fine, quelle lettere avrebbero preso un profumo di biscotto che si sarebbe sentito per mesi: qualche anno fa, quando Al ritrovò la scatola e mi fece vedere la sua corrispondenza, non potei trattenermi dall'avvicinarne una al naso, per cercare quell'odore. So che anche Thomas lo ha fatto, quindi non è la vecchiaia che mi rende rimbambito.
Mentre Charlotte tornava al piano di sopra, mio nipote sospirò pesantemente: poi, parva ricordarsi di qualcosa.
- Edward, Margarethe voleva sapere qualcosa a proposito di un paio di pantaloni. - mi disse - Sul colore, mi pare. -
Sbuffai: - Ci sta ancora pensando? - brontolai
Due giorni prima, mentre stavo sistemando una mensola pericolosamente storta nella cantina del podere di Schulz, il vecchio mi si era affiancato, avvolto nella solita nuvola di fumo di sigaretta.
- Cercano del personale nel laboratorio...come si chiama?...quello di fronte ai giardini. -
Dato che avevo un cacciavite in bocca, mi limitai a spostare brevemente lo sguardo su di lui, prima di tornare al mio lavoro.
- Non le interessa? Pensavo che lei fosse un chimico. -
- Conosco il direttore: mi ha già licenziato una volta. -
- Il vecchio sta per andare in pensione...non vorrà passare tutta la vita a farmi da contabile e riparare mensole?! -
- Come mai sa così tanto, lei che non esce mai da qui? -
- E chi dice che non esco mai? -
Se speravo di trovare un appoggio in mio nipote, mi sbagliavo: si alleò immediatamente con Margarethe.
- Cosa ti costa provarci? -
- Tuo nonno potrebbe essere persino con un piede nella fossa, ma se sapesse che sto tentando di farmi assumere di nuovo risorgerebbe all'istante. - sbuffai - Quindi, perchè andare a mettersi in ridicolo? -
- Che c'entra, non è lui che prende tutte le decisioni... -
- Sì, certo. Non è lui, ma l'idiota che lo ha assunto. Hai da fare, o vuoi che ti trovi qualcosa io? -
Lui mi lanciò un'occhiata assassina, e sparì dietro gli scaffali.
Perchè tutti si impegnano così tanto a farmi notare che guadagno una miseria?, mi domandai. Va bene che vivono su quel che porto a casa, ma, accidenti, questo non li autorizza a mandarmi in giro a lanciarmi in imprese perse in partenza.
Certo, però, che se davvero il vecchio Heinrich non c'è...
Mi accorsi del pensiero che si stava formando nella mia testa appena in tempo per ricacciarlo indietro: no, non se ne parla. Ho ancora un minimo di dignità.
Allora dov'è la tua dignità, Edward, quando tuo nipote passa parte del già magro contenuto del suo piatto alla sorellina, cercando di non farsi scorgere, ma in modo così disastrosamente ingenuo da non poter sfuggire neppure ad un cieco?
Sospirando, diedi un'occhiata all'orologio, accorgendomi di aver perso la cognizione del tempo. Infatti, in quel momento qualcuno entrò in libreria: immaginando benissimo di chi si trattasse, mi voltai, in tempo per vedere la mia cliente preferita richiudersi la porta alle spalle.
Puntuale come al solito.
- Posso esserle utile? - domandai, ironico
Lei si tolse il cappellino che portava, facendo passare gli occhi sui libri esposti alla sua sinistra.
- Sì, - rispose, con noncuranza - cercavo un libro, ma non ricordo nè il titolo, nè l'autore. -
- Questo richiederà del tempo per cercarlo. - insinuai, ridacchiando
Finalmente sua signoria si voltò a guardarmi, con aria maliziosa.
- Pazienza. Mi adatterò a passare un po'di tempo con un libraio arrogante e sfrontato. -
Una donna affascinante, con capelli biondo scuro e occhi azzurri che non perdevano occasione per deridermi.
Hedwig Steinglocke, la mia "amica speciale".
L'alter ego di Winry Rockbell, il cui cognome era la perfetta traduzione del suo.


* * *


Lo so. Non è bello origliare, ma, credetemi, non mi ero accorto di nulla: ero così preso dalla lettura che, quando sentii una risata femminile, per qualche istante mi chiesi se non avessi le allucinazioni. Posai il libro e sbirciai attraverso lo scaffale dietro cui me ne stavo seduto: riuscivo a vedere il retro della libreria dove, appoggiati al tavolo per la mancanza di sedie, c'erano mio zio Edward e una bella donna, a me sconosciuta. Parlavano molto innocentemente, ma, anche solo per quel poco che lo conoscevo, potevo dire di non aver mai visto Ed così espansivo.
Arrossii e smisi di guardare, vergognandomi per la mia curiosità: decisi di filarmela alla chetichella, ma questo avrebbe significato passare di fronte all'ingresso del magazzino e farsi vedere. Non me la sentivo di litigare con Edward per una sciocchezza simile.
Inconsapevolmente, furono Margarethe e Lotte a salvarmi, arrivando in quel momento.
- Ed, Margarethe vuole passare dalla panetteria, e io l'accompagno. - annunciò la mia sorellina
- Abbiamo ancora delle tessere? - domandò lui, senza scomporsi
La diciassettenne gli fece un cenno veloce, che solo lui capì. Anche la bella signorina parve ignorarlo, perchè si affrettò a domandare, curiosa: - Edward, chi è questa bambina? -
- È mia nipote...dov'è Thomas? - aggiunse, dando le spalle alle tre e cercandomi tra gli scaffali.
Mi alzai e uscii, chiudendo il libro che stavo leggendo, come se mi fossi accorto in quel momento che c'era gente.
- Che succede? - chiesi, strofinandomi gli occhi arrossati.
Ti va una passeggiata? domandava la lavagnetta di Margarethe. Annuii, ringraziandola mentalmente.
- Come mai ti occupi dei tuoi nipoti? - chiese la sconosciuta
- Mio fratello è al fronte...ragazzi, lei è Hedwig Steinglocke, una mia amica. - ci presentò
Hedwig ci sorrise, con aria gentile: io sentii le mie orecchie riscaldarsi, ma Lotte si fece seria. Come sempre, davanti ad un adulto a lei estraneo diventava impenetrabile. Margarethe aggrottò le sopracciglia.
- Che c'è? - le domandai, quando fummo usciti
Che ne pensi della signorina Steinglocke? mi domandò, evasiva.
Io mi strinsi nelle spalle
- Non saprei...mi pare gentile. -
Lei storse il naso.
- Non ti piace? - domandò Lotte
No. dichiarò, lapidaria.
- E perchè? -
Margarethe riflettè per alcuni istanti, la mano con il gesso sollevata a mezz'aria. Stava pensando ad una frase che una bambina potesse capire.
Cosa ha a che fare con il signor Elric? scrisse infine.
- Mi pare si piacciano... - ribattei, trattenendo le risate. In cuor mio, pensavo che la padrona di casa dello zio fosse gelosa.
Lei scosse la testa, e fece alcuni gesti veloci, che nè io, nè Lotte comprendemmo.


* * *


Gelosa?
Non credo che Thomas abbia mai pensato una cosa simile, era un ragazzino intelligente. Il mio era solo buonsenso: cosa aveva a che fare una bellissima, ricca e raffinata signorina con Edward Elric?
Mi spiegherò meglio: Hedwig Steinglocke era una di quelle donne stupende che sanno benissimo di esserlo, ma hanno bisogno che sia loro ricordato in continuazione. Per questo, necessitano di un uomo capace di farle sentire il centro dei suoi pensieri e, mi spiace dirlo, quell'uomo non è decisamente il signor Elric. Lui era capace di chiudersi per ore nel suo gelido appartamento, attaccato alla scrivania, a lavorare incessantemente, incurante del mondo esterno: poche donne sopporterebbero un uomo simile, e pochissime sarebbero in grado di distrarlo dalla sua occupazione. Io ammetto senza difficoltà di aver rinunciato in fretta, con buona pace di Thomas.


* * *


Margarethe non perse occasione per ricordarmi cosa pensava di Hedwig; la ignorai, e non mi preoccupai nemmeno di ciò che potessero pensare Thomas e Charlotte, vedendomi con una donna a loro sconosciuta: non avevamo nulla di equivoco, nè, del resto, avremmo potuto averlo.
Supponevo di amare Hedwig, ma non accennai mai ad un fidanzamento, per svariati motivi: innanzitutto, lei era di buona famiglia, mentre io ero un disoccupato perennemente al verde; inoltre, non mi sentivo sufficientemente sicuro per chiederglielo, e non solo dei miei sentimenti. C'era una sorta di ritegno tra di noi, che immaginavo dovuto al fatto che nessuno dei due sapesse esattamente fin dove ci si poteva spingere. Forse, quando avessi avuto un minimo di sicurezza economica, mi sarei posto il problema di dare un aspetto ufficiale alla nostra situazione: per il momento, lei si limitava a comparire ogni sabato pomeriggio, alle cinque in punto. Discutevamo, chiacchieravamo, confrontavamo le nostre idee, ma la cosa finiva lì, come si conveniva ad un uomo e ad una donna onesti. Non ci eravamo mai sfiorati.

- Sono bambini graziosi. - disse all'improvviso lei, ripensando ai miei nipoti.
Ridacchiai:
- Non farti sentire da Thomas - la avvertii - Odia essere considerato un bambino. -
- Ti deve somigliare... - suggerì, appoggiando la testa sulla mia spalla e seguendo con un dito il profilo del mio naso, come a mostrarmi una caratteristica in comune con mio nipote.
- Abbiamo già litigato, quindi direi di sì. Comunque, non somiglia per niente a mio fratello. -
- Litigato? Perchè? -
Tamburellai le dita sul tavolo, restio a parlarne: - Divergenze di opinioni. - risposi, evasivo.
Non comprese, ma evitò di insistere. Invece, approfittò della posizione privilegiata per picchiettare il mio auto-mail con una delle sue unghie: sapevo che l'idea di un braccio meccanico la incuriosiva, ma era troppo pudica per chiedermi di tirare su la manica e lasciarglielo vedere. Sebbene avesse la mia età, riusciva a dimostrare qualche anno di meno, ma, quando aveva quell'aria combattuta, ricordava una ragazzina impicciona.
Una ragazzina impicciona che avevo conosciuto, anni prima.

* * *


Margarethe faceva raramente la spesa da sola, e solo in giorni stabiliti: tuttavia, da qualche giorno usciva spesso con Charlotte, che riusciva ad accattivarsi le simpatie di tutti semplicemente con la sua aria timida e adorabile da brava bambina. Quel pomeriggio, comunque, non entrò neppure nella panetteria, ma si limitò a fare un lungo giro dell'isolato.
Oggi c'è il vecchio, spiegò, con una smorfia, io entro solo quando c'è il nipote.
- La passeggiata serviva soltanto per lasciar soli Edward e la signorina Steinglocke? - domandai.
Margarethe mi rispose a gesti, poi si corresse, e afferrò la lavagnetta.
Non m'immischio negli affari del signor Edward. Per indicare lo zio, mi accorsi comparando i gesti alle parole, si toccava la testa, come accennando alla pettinatura di Edward. Era la prima volta che capivo qualcosa nei movimenti della diciassettenne.
Stavamo per rientrare, quando risuonò l'allarme aereo, un lugubre boato che faceva tremare la terra sotto i piedi. Margarethe si morse un labbro, prima di deviare velocemente verso destra, mentre noi la seguivamo a ruota.
Nei mesi precedenti, i bombardamenti aerei su Monaco si erano fatti sempre più regolari: passavamo quasi ogni notte nei rifugi. Da quando eravamo a casa di Edward, tuttavia, era la prima volta che sentivamo la sirena, e ancora non sapevamo dove fosse il bunker.
Eravamo appena entrati, quando alle nostre spalle comparve Ed, da solo. Hedwig doveva essersene già andata.
- Mi sembrava strano che non venissero per così tanti giorni... - brontolò, mettendoci una mano sulle spalle, per non perderci tra la folla.
Avrei preferito farne a meno, fu la risposta di Margarethe.

Non sono un osservatore esperto: mia sorella è molto più in gamba di me. Eppure, da come buona parte delle persone presenti si voltò a guardarci, anche io non potei non comprendere in fretta che Edward non era apprezzato nel vicinato: sembrava che con noi fosse entrato un odore sgradevole. Lui ignorò l'atmosfera creatasi, e andò a sedersi in disparte. Io stavo per seguirlo, quando qualcuno mi chiamò:
- Thomas! -
Mi voltai, e vidi il mio migliore amico.
- Hanno! -
Mi avvicinai, seguito da Lotte, e un gruppo di donne lì vicino smise improvvisamente di parlare, scrutandomi come se fossi stato un bizzarro animale.
Johann Lindemann, o Hanno, come lo chiamavano tutti. Ci conoscevamo dal primo giorno di scuola: era un ragazzino piuttosto alto e molto magro, che dimostrava qualche anno in più dei dodici che aveva; tuttavia, gli occhi chiari erano ancora infantili.
- Sempre al lavoro, vedo! - risi
Indicai il quaderno dalla copertina scura che teneva sotto il braccio, e lui si unì alla mia risata. Sapevo che amava disegnare, e si portava sempre dietro il materiale necessario; non mi aveva mai permesso di guardare le sue creazioni, perché temeva sempre che non piacessero.
- Cosa ci fai qui? - mi domandò, lasciandoci spazio per sederci di fianco a lui
- Vivo a pochi isolati di distanza, - risposi - da mio zio. -
I suoi occhi verdi si posarono su Ed, seduto poco distante da noi. Si strofinò il naso pieno di lentiggini con un dito, tornando immediatamente a concentrarsi su di noi.
- Abiti con... - abbassò la voce - con Edward Elric? -
Corrugai le sopracciglia, perplesso: - Sì. - risposi - perchè? -
Lui arrossì, imbarazzato. Probabilmente non mi avrebbe risposto, ma non aveva fatto i conti con l'uomo alle sue spalle: suo nonno, Johann, il vecchio panettiere, che prima stava parlando fitto fitto con il fratello maggiore del mio amico, Wilhelm, il ragazzo timido che Margarethe cercava in negozio, quello stesso pomeriggio.
- Bella sfortuna, ragazzo! - strillò, con la sua vocetta stridula.
Mi voltai furtivamente verso Ed, sperando che non avesse sentito: improbabile, visto che l'ultima frase era stata urlata. Tuttavia, sembrava profondamente assorto nell'osservazione di un qualche punto sulla parete di fronte a lui e, del resto, non poteva sapere che stavamo parlando proprio di lui.
- Quello... - la voce di Hanno era poco più di un sussurro - ...insomma, perchè non è andato in guerra? -
- Perchè non può. - risposi, come se fosse una cosa ovvia - È menomato, ha... -
Avrei continuato, ma il vecchio ritenne opportuno far sapere a tutto il gruppetto come la pensava:
- Certo che è menomato: vi siete mai chiesti perchè non si è sposato? - disse, alzando un dito con aria saccente e vanificando all'istante tutte le mie speranze che Edward ignorasse ciò che veniva detto sul suo conto.
Le donne si voltarono dall'altra parte, sorridendo appena per l'impertinenza: i pochi uomini lì intorno risero apertamente alla battuta sporca.
Avrei voluto sprofondare per la vergogna. Mi sembrava di sentire lo sguardo di Ed perforarmi la schiena, anche se ero quasi certo che, in realtà, non stesse guardando dalla nostra parte. Oltretutto, per una volta, Charlotte si comportò come una qualunque bambina di sette anni:
- Che significa? - domandò, reclinando leggermente la testa, con sguardo ingenuo.
Le risate aumentarono d'intensità, proporzionalmente al mio imbarazzo.
- Su, su... - una donna mosse stancamente la mano, per chiedere silenzio - Vi sembrano cose da dire davanti a dei bambini? -
Lotte era confusa: mi tirò la manica della camicia, con aria perplessa:
- Cos'ha fatto Ed? - mi chiese
Ero - sono - principalmente un bastian contrario: davanti a simili dimostrazioni di stupidità, dimenticai che non avevo una grande simpatia per Edward.
- Proprio niente. - le risposi, seccato - Questi signori non sanno nulla, ma devono pur passare il tempo. -
Il vecchio panettiere sputò per terra: essere smentito gli dava sui nervi.
- Filate dalla casa di quel disfattista, prima che vi infili strane idee in testa. - consigliò.
Distolsi lo sguardo dalla figura ossuta, a disagio: a giudicare dalla litigata di qualche giorno prima, Ed poteva davvero essere considerato un disfattista. Ma erano le stesse idee di mio padre, e a tutto potevo pensare tranne che papà facesse qualcosa di sbagliato.
Wilhelm, che probabilmente conosceva già il ritornello, cercò di cambiare argomento:
- Portate i miei saluti alla signorina Meyer. - ci disse.
Gli sorrisi appena, annuendo: sapevo che le era simpatico, perchè quando c'era lui dietro il bancone della panetteria, la diciassettenne entrava da sola, dato che Wilhelm leggeva la lavagnetta senza fare storie.
Un uomo alto e allampanato, che riconobbi come il calzolaio all'angolo, gli tirò una cameratesca pacca sulla schiena.
- Ehi, vecchio Johann! - esclamò - Tuo nipote progetta di sposare la figlia dell'antiquario, e tu non ci dici nulla? -
Sperai che la tempesta fosse passata, ma non avevo fatto i conti con la lingua avvelenata del nonno di Hanno.
- Sciocchezze, ne abbiamo già parlato! Suo padre non gli darà mai il permesso. -
O forse, pensai, sarai tu a non darglielo.
- Nonno, per favore, non urlare... -
- Wilhelm, piantala di fare gli occhi dolci a quella mocciosa! Sposati una che possa dare una mano in negozio, e non viva alle nostre spalle. -
Ovviamente. Margarethe era muta, quindi non avrebbe mai potuto lavorare da sola in una panetteria.
- E poi... - il vecchio barbagianni si interruppe per tossire rumorosamente
- Nonno! - implorò il giovane - Non dire queste cose davanti a tutti! -
- E poi, - riprese implacabile l'altro - come puoi fidarti di una donna che vive sola con un uomo? -
Esplosi. Mi ero ripromesso di non farlo, perchè, dalla litigata con Ed, avevo imparato che apparire calmi fa saltare i nervi di chi ti sta di fronte molto in fretta, ma non riuscii più a trattenermi. Forse mio zio non mi era simpatico, ma quelle accuse infamanti non le meritava neppure lui. E parlare di Margarethe, sempre buona con me e Lotte, in modo così offensivo mi faceva ribollire il sangue.
Saltai in piedi come se qualcosa mi avesse punto.
- Queste sono... - come si diceva?, mi chiesi - Queste sono calunnie! Nessuno di voi sa niente di Margarethe, nè di Edward. Però vi sentite in diritto di inventare storielle sporche per passare il tempo, alle loro spalle...tra l'altro, senza neppure un minimo di coerenza. -
Applaudii, con sarcasmo, mentre Johann fissava un punto oltre le mie spalle, con una smorfia astiosa.
- Bravi, complimenti. - gridai - Persino io avrei più coraggio! -
- Su questo non ho dubbi. -
La mano d'acciaio di Edward si appoggiò sulla mia spalla, spaventandomi.

* * *


Sapevo di perdere la calma molto in fretta, ma era la cosa peggiore che potessi fare: presi i miei nipoti e decisi di allontanarmi.
- Signori, buonasera. - dissi, voltando le spalle.
- Scappa a nasconderti, Elric. -
Ignorai Ameise, il macellaio. Le sue bistecche erano molto più intelligenti di lui.
- Lotte... - Thomas prese per mano la sorellina, con un'aria profondamente offesa che, mio malgrado, mi toccò.
- Chi è il pazzo che ti ha affidato dei bambini? -
- Sono tuoi? -
Risposi, evitando di guardare chiunque avesse parlato.
- Sono i figli di mio fratello. - replicai, neutro, raccogliendo il nastrino per capelli caduto a Charlotte.
La moglie del calzolaio, sperando di non essere udita, fece sapere la sua opinione alla vicina. Dimenticando di essere quasi sorda.
- Non aveva un posto più sicuro? - sussurrò a modo suo - Dopo che la polizia, quella volta...-
- Non scomodate la polizia, Frau Müller, - risposi, fermandomi di colpo e voltandomi a fissarla - perchè vostro marito e i suoi amici ne sanno sicuramente più dei poliziotti. -
Rimasi alcuni istanti a godermi l'effetto della stoccata: ovviamente, chiunque avrebbe potuto ribattere che stavo delirando, ma l'istante di silenzio furioso degli uomini fu, per me, meglio di un'ammissione.
Portai i bambini da Margarethe: lei non fece cenni, ma capii cosa stava pensando. Non potendo parlare, spesso le si leggeva in faccia.
- Ed... -
Mi sedetti per terra, appoggiando il mio cappotto sulle spalle di Lotte; Thomas venne ad accovacciarsi di fronte a me:
- ...sei arrabbiato? - chiese, preoccupato.
- Thomas, - risposi, brusco - non provare mai più a fare una cosa simile. Ora non ti lasceranno più in pace. -
- Stavano dicendo una marea di sciocchezze! - reagì lui
- E tu sei così stupido da ascoltarle? -
Margarethe mi colpì col palmo della mano sul braccio: nel suo linguaggio, era come se avesse appena urlato il mio nome, con voce severa. Obbedii al mio padrone di casa, e presi alcuni respiri per calmarmi; mio nipote, intuendo che non era il momento per un'altra discussione, si sedette di fianco a me.
- Thomas... - ripresi - non voglio che tu ti metta nei guai per colpa mia. Tuo padre non me lo perdonerebbe mai; e, tanto per essere chiari, non ho bisogno che qualcuno prenda le mie difese. Non servirebbe a nulla, perchè quel gruppo di vecchie mummie si diverte troppo a inventare fandonie, ma metterebbe nei guai te. -
Lui rimase alcuni secondi in silenzio, mordendosi il labbro
- Di cosa parlava quella donna? - si decise a chiedere infine.
Chiusi gli occhi: - Del motivo per cui non sono venuto al funerale della tua mamma. -
Era da parecchio che sospettavo che i miei adorabili vicini sapessero molto più di quel che dicevano, ma le mie erano solo ipotesi. Io non riconobbi nessuno.
Era fine settembre, e il coprifuoco era appena terminato, quando uscii di casa: il funerale di Caroline Heinrich in Elric sarebbe stato solo alcune ore più tardi, ma preferivo restare accanto a mio fratello. Erano anni che non ci vedevamo così spesso come da quando era rimasto vedovo: solo il giorno prima avevamo passato l'intero pomeriggio insieme, pressochè in silenzio e, andandomene, avevo intravisto i miei nipoti circondati dai parenti che facevano a gara per porgere le loro ipocrite parole con cui si sarebbero scaricati la coscienza. Per qualche minuto avevo pensato di andare a portar via i fratellini, gridando a quegli individui che a due bambini che hanno appena perso la mamma non gliene importa niente delle condoglianze di persone che avevano definito la defunta una "sciocca idealista", perchè si era sposata con un dipendente di suo padre. Lasciai perdere solo perchè non avevo la minima voglia di mettermi a litigare davanti alla casa di Al.
Quella mattina, comunque, mi stavo recando di nuovo da mio fratello. L'aria era piuttosto fredda, e c'era una leggera nebbia: rabbrividii, e tentai di stringere il nodo della cravatta, sperando puerilmente che servisse da sciarpa.
La traversa in cui si trovava l'ex-negozio di antiquariato dei Meyer era la quarta, prima che la via in cui sboccava andasse ad immettersi in una più ampia: ero arrivato all'altezza della seconda, quando ebbi l'impressione di vedere una persona sporgersi da uno dei balconi. Alzai la testa, ma questa era già scomparsa nella casa di Müller.
Chiunque mi aspettasse, approfittò al volo della mia distrazione: mi arrivò alle spalle, afferrandomi e gettandomi a terra. Lanciai un'esclamazione che risuonò nella via deserta, ma parecchie paia di piedi sopraggiunsero, e qualcuno mi colpì alla testa con un bastone, o un manico di scopa. Stordito, venni sollevato per le braccia e trascinato nel vicolo: dovevano esserci sei o sette persone, e sono assolutamente certo che nessuna di esse indossasse una divisa. Urlai più forte, per tentare di attirare l'attenzione, ma fui zittito da un colpo tra le reni, che mi piegò in due. Intrappolato nella stretta di due uomini, venni colpito più volte al petto, al volto e dovunque capitasse e, quando riuscii ad assestare un calcio con l'auto-mail ad uno di essi, ricevetti un pugno sulla guancia sinistra che mi rovesciò al suolo.
Rinunciarono a trattenermi, immaginando che non avessi più la forza per difendermi dai colpi: per alcuni interminabili secondi, in effetti, fu così; poi, riguadagnai abbastanza lucidità da scattare in piedi, in uno sforzo disperato, e correre via, prendendoli di sorpresa.
Non osarono inseguirmi nella via, dove c'era più luce: comunque, non credo che il loro intento fosse uccidermi. Ci sono metodi più puliti.
Arrancai, zoppicando e ansimando, fino alla casa dei Meyer e, durante il percorso, mi voltai più volte indietro, cercando con lo sguardo i miei aggressori o altre persone sui balconi, sicuro che gli uomini della via avessero assistito alla scena. Dopo qualche disperato tentativo, riuscii ad infilare la chiave nella toppa, ed entrai nell'atrio. Chiamai Margarethe col poco fiato che mi restava, e mi infilai nel mio appartamento; cercai di arrivare al letto, ma caddi in ginocchio sul pavimento davanti ad esso.
La ragazza arrivò in quell'istante: si portò le mani davanti alla bocca, sconvolta dalle mie condizioni, ma corse ad aiutarmi. Credo di essere svenuto appena toccai il letto, perchè i miei ricordi ricominciano quando il mio solerte padrone di casa, ben decisa a controllare che la sua fonte di reddito non ci lasciasse la pelle, dimenticò il suo disgusto per il sangue: mi passò un panno umido sul viso, strappandomi un gemito quando toccò le tumefazioni.
Thomas rimase in silenzio, senza guardarmi.
- Ricordo che non c'eri... - mormorò - ma papà venne da te quello stesso pomeriggio, e ci disse che non era successo nulla di grave. -
Trasalii. Almeno ora sapevo come aveva scoperto cosa mi era successo: mi voltai verso Margarethe, che scosse le spalle. Era stata lei, spiegò, ad accoglierlo, non aveva mai pensato che volessi mantenere il segreto con mio fratello. Non lo aveva fatto entrare per evitargli lo spettacolo poco edificante del fratello maggiore ridotto ad uno straccio, ma Al doveva aver capito cos'era accaduto.
Il segnale del cessato allarme rimbombò nel rifugio: era ormai sera, noi avevamo saltato la cena e io ancora non mi ero risolto a riflettere sulle parole del signor Schultz.
Comunque, ero ben deciso a rifiutare.

Pensierino della buonanotte:
Cosa avevo detto all'inizio del capitolo? Che sono ignobile e crudele. Qualcuno ha il coraggio di negarlo, dopo aver letto quel che capita a Ed?
No, non mi riferisco a Lindemann e al resto della combriccola, ma a Hedwig: è così dolce&carina che vien voglia di tirarle un pugno...spero che voi la odiate in misura proporzionale a quanto io la amo. Certo, io adoro Hedwig: non in quanto donna, ma in quanto personaggio riuscito esattamente come io volevo.
Ah, le piccole gioie del narratore onnisciente!
E ora, meglio tornare anch'io alla mia scrivania, a ripassare: appena finirò questa bolgia infernale della maturità riprenderò a scrivere.

   
 
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