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Autore: PollyTheHomeless    02/01/2013    1 recensioni
Quel pomeriggio lo aveva chiamato in uno slancio di coraggio. Era fermo sulla sua decisione, non poteva andare avanti così o di lì a poco sarebbe impazzito. La sua mente e il suo cuore non erano pronti a tutto quello, non lo sarebbero mai stati.
Dicono che le ferite dell'animo hanno bisogno di tempo per sanarsi; a volte mesi, anni. Ma non possono guarire se la causa di quelle ferite sei costretto a vederla ogni dannatissimo giorno della tua vita; se sei costretto a fingere che sia tutto come prima, che andate d'amore e d'accordo. Semplicemente è impossibile.
Quel comportamento non resentava, ma era puro masochismo. E l'aspetto più brutto di quella faccenda, era non avere nessuno accanto.
Nessuno con cui confidarti; nessuno vicino nei momenti di sconforto.
Quegli unici amici -se a questo punto possono definirsi amici- che non spendono mai una parola per te, un singolo attimo o anche semplicemente un insulso messaggio con scritto "Hey, come va?".
Nulla.
Tutti si comportavano come nulla fosse successo, come se tu fossi fatto di ferro. Tu non hai dei sentimenti, non soffri.
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ruki, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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There isn't word to define this

Bene, torno con una nuova fanfiction. Dovrei aggiornare Venomous Cell, lo so, ma al momento è un periodo un po' difficile, e non ho proprio voglia di continuare quella fic. È già tanto abbia scritto questa cosetta, ma l'ho fatto per sfogarmi per lo più. Non è niente di che, non mi fa nemmeno impazzire, ma ho voglia di pubblicarla proprio perché non pubblico qualcosina da tanto ormai! Mi scuso per eventuali errori di qualunque genere. Caso mai avvisatemi che li corrego.

I personaggi non mi appartengono. Questo mio scritto non a scopo di lucro non intende offendere nessuno nè tantomeno rappresentare veritieramente i personaggi descritti.



There isn't word to define this.




«No, mi dispiace Yutaka, non ce la faccio».

«Come sarebbe a dire "Non ce la faccio"? Non puoi abbandonarci!»

«E invece posso eccome. Credo mi sia rimasta almeno la libertà di scelta, in questa vita».

Il leader sospirò, rassegnato.

Quel pomeriggio lo aveva chiamato in uno slancio di coraggio. Era fermo sulla sua decisione, non poteva andare avanti così o di lì a poco sarebbe impazzito. La sua mente e il suo cuore non erano pronti a tutto quello, non lo sarebbero mai stati.
Dicono che le ferite dell'animo hanno bisogno di tempo per sanarsi; a volte mesi, anni. Ma non possono guarire se la causa di quelle ferite sei costretto a vederla ogni dannatissimo giorno della tua vita; se sei costretto a fingere che sia tutto come prima, che andate d'amore e d'accordo. Semplicemente è impossibile.
Quel comportamento non resentava, ma era puro masochismo. E l'aspetto più brutto di quella faccenda, era non avere nessuno accanto.
Nessuno con cui confidarti; nessuno vicino nei momenti di sconforto.
Quegli unici amici -se a questo punto possono definirsi amici- che non spendono mai una parola per te, un singolo attimo o anche semplicemente un insulso messaggio con scritto "Hey, come va?".
Nulla.
Tutti si comportavano come nulla fosse successo, come se tu fossi fatto di ferro. Tu non hai dei sentimenti, non soffri. Loro si, invece. Oh, eccome. E te lo sbattono in faccia in tutte le maniere possibili. Stai lì con loro, li conforti, ti preoccupi per loro, per ricevere in cambio cosa alla fine? Assolutamente niente.
Non una parola, una domanda.
E questo non fa altro che farti soffrire ancor di più. È un qualcosa che ti fa sentire insignificante.

"Se nemmeno i miei unici amici si preoccupano per me in questo mondo, allora che senso ha tutto ciò?"

Quante volte l'aveva pensato da quel giorno? Forse anche troppe.
Ma in realtà era troppo codardo per farla finita. Aveva paura della morte. Lui che non credeva in nessun essere superiore, era convinto non ci fosse nulla per lui una volta giunto alla fine. Solo fredda terra, e nemmeno il ricordo. E non provare più nulla, nessun sentimento, nessuna percezione: l'oblio più assoluto. Quello faceva nascere in lui quell'atavica paura di quella condizione ancor più primitiva.
Era quindi costretto a soffrire, in quella sua inutile vita.

«Si...» soffiò il moro dopo qualche attimo di silenzio. Seduto sul morbido divano in pelle nera del salotto di casa Matsumoto, teneva lo sguardo basso, fisso sull'interessantissima punta delle sue scarpe, il busto piegato in avanti, le braccia poggiate sulle cosce a sostenere il peso del corpo. Dopo l'ennessimo sbuffo, sollevò il busto, passandosi una mano tra i mori capelli già scompigliati. «Senti, io...»

«Non dire nulla per favore» lo interruppe prontamente il padrone di casa, «Non ne hai il diritto, nè tu nè tantomeno gli altri, soprattutto quei due» sibilò adirato, guardandolo dalla sua postazione -il secondo piccolo divano posto ad angolo con l'altro- con gli occhi a mandorla stretti in due fessure.

«Mi dispiace tanto, Taka...» riuscì a sussurrare il batterista, abbassando nuovamente lo sguardo in modo da evitare quello di Takanori, oramai pieno di risentimento.

«Ti dispiace?» una nota di velenoso sarcasmo insaporiva il suo tono di voce in quello domanda rivolta a tutti e nessuno. «Ti dispiace...» continuò poi, abbassando notevolmente il tono di voce. «Direi che è un po' inutile dispiacersi adesso... specie quando a nessuno di voi è importato niente di me!» esclamò con un tono che cercava d'essere rabbioso, quando in reltà ciò che provava era forse rammarico, o tristezza per lo più.

Il moro sussultò all'affermazione del vocalist, tanto da tornare a guardarlo in quelle iridi color del mogano. «Questo non lo puoi dire, Takanori! A noi importa eccome di te, siamo tuoi amici!» gesticolava ormai.

«Amici che non hanno fatto nulla per essere considerati tali! Tre mesi! Tre fottutissimi mesi di silenzio! Se solo foste intervenuti, magari ora non ci troveremmo in questa situazione! Perché parliamoci chiaro Yutaka, questa storia non coinvolge soltanto me, ma anche il resto del gruppo, lo sai bene. Nessuno, nessuno!» urlava ormai il biondo «si è quantomeno degnato di pensare a fare qualcosa, anche soltanto per i the Gazette!».

Tutta l'ansia, l'angoscia, il nervosismo e il dolore di quei mesi investì il cantante come un fiume in piena. A nulla servì sforzarsi di arginare quell'enorme quantità di lacrime che scalpitavano per uscire allo scoperto. Odiava mostrare le sue debolezze agli altri, per questo cercava di apparire sempre il più felice possibile. Appena se ne presentava l'occasione sparava cazzate su cazzate, tanto per farsi una risata con gli altri. Tanto per far credere vada tutto bene. Ed era la sera, quando si posizionava sotto le coperte, con la sola speranza di riuscire a prendere sonno in poco tempo, che incosciamente cercava di ricordare ogni particolare del suo viso, il suo tocco su di lui, il suo profumo. E quando si rendeva conto di non ricordare più abbastanza, ecco che le lacrime cominciavano silenzione a farsi largo sul suo viso perfetto, marchiandolo come fosse ardente fuoco.
Si coprì il volto con le mani, cercando di asciugare quel fiume di lacrime, prova ineluttabile della sua sofferenza.

«Oh mio Dio, Taka...» il batterista si alzò dalla sua postazione, raggiunse il suo amico e lo strinse fra le braccia, cercando di calmarlo come meglio poteva.

Solo dopo qualche minuto buono il biondo riuscì finalmente a calmarsi, ma rimase stretto in quel caldo abbraccio, uno di quelli di cui aveva davvero bisogno da molto tempo.
Il silenzio avvolse i due ragazzi, fin quando non fu spezzato da uno dei due.

«Taka, sei davvero sicuro della tua decisione?» chiese dolcemente, continuando a carezzare lentamente i capelli biondi del più piccolo.

«Si» affermò sicuro «Non ce la faccio più a vederli ogni giorno insieme. Sto morendo dentro Yutaka, non posso continuare così».

Da tre mesi ormai non viveva più. Da quando Yuu lo aveva mollato, da un giorno all'altro.
Nessun problema apparente, nessun perrché.
Una sera erano usciti tutti insieme, lo aspettava con ansia. Dovevano divertirsi. Amici, pizza, qualcosa da bere. Una serata perfetta, per lui.
Poi quella che doveva essere una bella serata si trasformò in una giornata orribile. Forse la più brutta della sua vita.
Yuu era arrivato, sorridente come al solito e quando si era alzato dal suo posto a tavola per salutarlo il moro l'aveva guardato con un'espressione indecifrabile, per poi rivolgergli un semplice "Noi due dobbiamo parlare". Inutile dire che si era sentito morire in quell'attimo. Come se il suo cuore già sapesse, ma il cervello non volesse accettarlo.
E lo ascoltò senza fiatare.

Si sentiva poco considerato, come fosse l'ultima ruota del carro; lo dava per scontato e lui si era stancato di quella situazione. Quella relazione era per lui una farsa da ormai qualche mese. Non lo amava più.

Poi se ne andò, liquidando tutti con la scusa del "I miei mi aspettano per cena stasera!".
Quando fu abbastanza lontano, Yutaka si avvicinò a lui, chiedendogli se andava tutto bene. Nulla si poteva nascondere all'occhio vigile di quel ragazzo. Abbassò lo sguardo, incapace di proferire parola, e scoppiò in un pianto disperato, tra le braccia del suo batterista. Quella sera gli stette vicino per tutto il tempo; Ryo poi propose di andare a casa sua, per passare un po' di tempo insieme e fargli dimenticare tutto. Un gesto grossolano ma molto dolce, il suo.
L'unico che sembrò non accorgersi di nulla fu Kouyou, che si dileguò anche lui subito dopo cena, dicendo agli altri tre di sentirsi poco bene.

Doveva immaginare qualcosa, ma non avrebbe mai pensato di ricevere un colpo talmente basso da quello che considerava uno dei suoi più cari amici. 
Colui con cui passava giornate intere a scrivere e suonare, solo loro due: con il quale passava anche parte del poco tempo libero a disposizione; con cui lavorava.
Mai si sarebbe aspettato un comportamento così irrispettoso nei suoi confronti.

Si, perché fidanzarsi con l'ex ragazzo del tuo migliore amico -nonché entrambi compagni di band- significa non avere rispetto nei suoi confronti.
Considerando poi il fatto che il loro lavoro dipendeva soprattutto dalla loro unione.

Che poi, buffo davvero, ma fino a quando lui e Yuu stavano insieme, Kouyou non aveva mai legato così tanto con il moro. Non che si trattassero come due estranei, ma non mantenevano nessun rapporto all'infuori del lavoro e delle attività di gruppo. Per intenderci, non quanto lo facesse invece, con Takanori.

Da quel fatidico giorno invece la situazione si ribaltò totalmente.

Cominciò a destare dei sospetti quando dopo nemmeno qualche settimana dalla loro separazione, sentiva i due parlare di discorsi noti solo a loro. E quando gli altri chiedevano di cosa stessero parlando, rispondevano con: "Voi non potete capire, discorsi nostri!".
Scoprì grazie ad uno di quei tanti discorsi -e non solo lui, ma anche i due della ritmica- che i chitarristi si vedevano praticamente ogni giorno: una volta a casa di uno, un'altra a casa dell'altro.

Inutile dire che Takanori peggiorava giorno dopo giorno. Oltre ad aver perso l'uomo che amava come mai aveva amato qualcuno, adesso anche il suo migliore amico sembrava voltargli le spalle. E forse ciò che faceva più male, era che lentamente la gelosia stava facendogli odiare i due uomini più importanti della sua vita. Ed oltre a questo stava mandando a puttane la sua passione per colpa loro.
Rifiutava totalmente il cibo, non riusciva a dormire bene, non usciva praticamente più di casa e non voleva farlo neanche per lavoro, perché oramai lavorare significava per lui aver sbattuta in faccia la complicità che si era venuta a creare tra i due chitarristi; quella complicità che prima apparteneva a lui e al suo ragazzo, a lui ed il suo migliore amico e di cui ora era fottutamente geloso.

Quelle che diedero il cosiddetto colpo di grazia al biondo furono le parole del moro chitarrista, che una mattina di prove arrivò tenendo per mano il biondo e -più raggiante che mai- aveva annunciato a tutti che adesso stavano insieme.

Inutile anche solo tentare di spiegare lo stato d'animo e le conseguenti condizioni psico-fisiche di Takanori dopo quella mattina.
Eppure era sempre lì, che cantava e scherzava con i suoi amici, come se quella situazione non lo sfiorasse minimamente.
Eppure ogni sera era sempre lì da solo, a piangere lacrime amare raggomitolato sotto le pesanti coperte del suo letto. Si, pesanti, perché era inverno, la sua stagione preferita. Che adesso odiava con tutto se stesso. Yuu era riuscito in pochi minuti a distruggere tutto ciò che era.

«Sembrerò ripetitivo ma, davvero Taka, mi diaspiace tantissimo» la voce dispiaciuta del suo leader arrivò alle sue orecchie come un sussurro.

Non perse neanche tempo a rispondergli. Non che proprio non credesse alle sue parole, ma ora come ora suonavano un tantino false, no?
Aveva avuto due mesi di tempo per evitare di dispiacersi adesso. Magari avrebbe potuto parlare con Uruha, magari poteva aprirgli un attimino gli occhi, fargli rendere conto di quanto il suo migliore amico stesse male. Non pretendeva certo di tornare insieme a Yuu e si rendeva perfettamente conto dell'egoismo del suo discorso, ma forse si poteva ancora sperare di salvare i the GazettE

Ma ormai era tardi per i forse.

«Yutaka, vorrei rimanere da solo adesso...» si alzò in piedi, invitando chiaramente l'altro a fare lo stesso.

«Si certo, tolgo il disturbo allora» replicò il moro, dirigendosi verso la porta principale dell'appartamento, raccattando giacca e zaino.

«Senti..» cominciò titubante il biondo attirando l'attenzione del batterista, che si voltò in sua direzione poco prima di uscire definitivamente da casa Matsumoto «...preferirei avvisassi tu gli altri. Mi dispiace per Ryo, ma non ho voglia di rivedere quei due».

«Ma Taka, sarà impossibile non rivederli almeno per un altro po' di tempo. Dovremmo parlare con il manager, senza contare probabili interviste o robe simili» il leader era realista come sempre.

Il biondo sospirò «Lo so bene, Yutaka. Ma vorrei cercare di ridurre al minimo gli incontri».

«Come preferisci. A presto, allora» salutò il biondo con un cenno della mano, iniziando a scendere lentamente le scale.

"Addio, Kai".



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Ok, torno qui sotto perché vorrei spiegare il sigificato dell'ultima frase.
Nella mia testa, quella frase, praticamente dovrebbe rappresentare l'addio di Takanori a Kai come membro dei the GazettE. Cioè, lo chiama infatti Kai, e non Yutaka. È anche un addio definitivo e "mentale" alla band, come per ricordare a se stesso che i GazettE praticamente non esistono più (e quindi non esisteranno più anche i loro relativi nomi da rockstar) @_@ Non so se mi sono spiegata, è un ragionamento un po' contorto nella mia mente *ride*
Va bene, detto ciò posso dileguarmi per davvero!
Un bacio,

Polly~





   
 
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