S.
Nella
vita
ho incontrato tante persone strane, stravaganti anche per gli standard
del mio
mondo –il che non è facile-. Non ho mai avuto problemi a rapportarmi
con
qualcuno, più o meno ho sempre capito che atteggiamento adottare con le
persone
studiando il loro nei miei confronti. Eppure una sola persona è
riuscita a
spiazzarmi completamente, con lei non so mai cosa dire né cosa fare,
anche se
cerco di mascherare al meglio questa mia insicurezza. Mi irrita
terribilmente
non riuscire nella mia opera di inquadramento, ma in contemporanea mi
incuriosisce.
Certe
volte
mi chiedo se sia semplicemente lunatica, oppure geniale, o matta, o le
tre cose
messe insieme.
Fatto
sta
che Rose Weasley è in assoluto la creatura più strana che abbia mai
conosciuto…
tralasciando Schiopodi Sparacoda, Mantidi Cornute e tutti quei begli
esserini
che Hagrid ci porta a lezione.
La
prima
volta che la vidi, in una lezione mista Serpeverde Corvonero,
incrociandomi mi
lanciò un’occhiata piena di diffidenza e antipatia e passò avanti,
andandosi a
sedere accanto a suo cugino Louis. Dopo quel primo incontro avevo
deciso di
inserirla nella lunga lista di persone prevenute e seccanti, ma mi
dovetti
presto ricredere.
Un
paio di
lezioni dopo infatti, mentre il professore di trasfigurazione lodava il
mio
lavoro davanti a tutta la classe, facendomi eseguire nuovamente
l’incantesimo
che ci aveva appena spiegato, notai tra gli sguardi annoiati della
classe uno
più vivo, attento. Rose mi stava fissando, soddisfatta, forse ammirata,
e quando
si accorse che l’avevo scoperta arrossì un poco e mi regalò un breve
sorriso.
Non timido, compiaciuto.
Li
per lì
interpretai l’evento come uno sfoggio di ipocrisia: chi era quella
ragazzina
per guardarmi male e poi dopo nemmeno quindici giorni diventare tutta
sorrisi e
moine? Un’opportunista, una ragazzina stupida e dalla cotta facile,
ecco
cos’era.
Inutile
dirlo, mi ero sbagliato di nuovo. Nel mese successivo Rose Weasley
alternò
momenti di indifferenza totale nei miei confronti, ad altri in cui mi
osservava
attentamente, ad altri ancora in cui mi guardava con irritante aria di
sfida.
Era palesemente compiaciuta se riusciva a rispondere prima di me alle
domande
di un professore, per il resto però mi trattava come fossi un
conoscente di
poco conto. Ma mai una volta la vidi rivolgermi uno sguardo cattivo.
Per
anni
tentai di interpretare il suo strambo comportamento, e per anni fallii.
Con i
suoi cugini non c’erano stati problemi, i loro caratteri erano
semplici,
chiari, palesi, ma lei no.
Col
passare
del tempo cominciai semplicemente ad abituarmi a quella figura
indefinita che
era Rose, la relegai in un angolo del mio catalogo con un punto
interrogativo
in testa e smisi di pormi problemi.
Fino
al mio
quinto anno di scuola.
Era
una
giornata particolarmente fredda di inizio dicembre, la neve ricopriva
interamente il parco di Hogwarts, creando uno degli spettacoli più
suggestivi
su questa terra. Ed io ovviamente non potevo trovarmi che nel bel mezzo
del
parco, a zampettare infreddolito nella neve con la speranza di tornare
in
fretta tra le accoglienti mura della scuola.
Avevo
appena
trascorso l’ora di Cura delle Creature Magiche più sfiancante della
storia, in
cui il vecchio Hagrid, incanutito ma ancora appassionato di mostri,
aveva
deciso di farci mettere cappelli e sciarpe alla sua nuova passione:
mostriciattoli
con una grande testa da serpente e lunghe zampe da insetto. Il
guardiacaccia
pazzo ovviamente aveva dato loro un affettuoso nomignolo, quale
Formichelli
sibilanti, o Zamponi Bilingui (si la cara vecchia lingua biforcuta è
stata
sostituita da due schifosissime lingue). Per me comunque restavano
Schifosi
Mutanti.
Ero
rimasto
indietro rispetto ai miei compagni per farmi curare il polso, che
esibiva come
un raccapricciante bracciale uno sfogo rosso di bolle pruriginose,
causato da
una di quelle adorabili bestiole dalle lingue urticanti mentre tentavo
di
fargli un favore. Hagrid mi aveva preparato un impacco con uno strano
unguento
che aveva lenito il bruciore, aggiungendoci anche un po’ di neve gelata
“per velocizzare
la guarigione”. Aveva preso da un po’ l’abitudine di curare le ferite
dei
propri studenti personalmente, per evitare le innumerevoli sgridate
dell’infermiera. Per lo meno nel preparare antidoti per i danni delle
sue
bestiacce era molto bravo.
Mi
tastai le
dita della mano sinistra, che ormai avevano perso sensibilità a causa
dell’impacco gelato, e tirai un sospiro. Dovevo sbrigarmi a tornare al
castello, se no per pranzo mi sarebbe rimasto a mala pena un pugno di
briciole.
Stavo
per
raggiungere i gradini del portone quando uno strillo spaventato mi fece
voltare
di botto. Poco più in là una figura minuta era seduta per terra,
ricoperta di
neve dalla testa ai piedi. Avvicinandomi scoprii che si trattava di una
ragazza, si stava massaggiando la testa e borbottava parole sconnesse.
Quando
poi
scorsi un boccolo rosso tra il manto bianco di neve realizzai davanti a
chi mi
trovavo.
“Tutto
ok?”
quasi gridai, per sovrastare il vento. Rose Weasley alzò il viso verso
di me,
gli occhioni azzurri mi scrutarono spaventati, mentre mi accostavo.
“Attento
c’è
il ghiac…” mi avvertì, ma troppo tardi. Finii disteso nella neve,
accanto a
lei, ricevendo un poco piacevole colpo nel fondoschiena.
“Ouch…
non
bastava la mano, adesso anche il sedere” borbottai massaggiandomi,
mentre mi
issavo a sedere.
Rose
mi
guardò e scoppiò a ridere, inaspettatamente.
“Sei
tutto
pieno di neve!” esclamò tra le risate. La fissai incredulo, si era resa
conto
del suo stato?
“Weasley
non
sei in condizione di parlare, ma ti sei vista? Sembri un pupazzo di
neve!”
La ragazza arrossì un poco, si alzò con cautela e si pulì i vestiti con
gesti
secchi. La imitai.
“Beh,
vedo
che non hai niente di rotto, quindi…” provai a congedarmi, ma fui
interrotto.
“Sono
stati
i Formichelli?” stava guardando il mio braccio bendato “Che bestiacce,
sono
davvero pericolose… Hagrid non si dovrebbe ostinare a portarle a
lezione”
Scrollai
le
spalle, senza commentare.
“Come
hai
fatto?... Voglio dire, perché ti sei avvicinato così tanto..”
“Per
mettergli la sciarpa… Non sia mai che prendano un colpo di freddo”
risposi con
una smorfia. Rose ridacchiò. Poi senza preavviso mi prese la mano
ferita, la
portò all’altezza dei suoi occhi e iniziò a studiarla con espressione
assorta.
“Che
stai
facendo?”
“Sssh”
“Ma…”
“Ti
fidi?”
“Mi
fido…?
Ma che doman…”
“Ti
fidi si
o no?” mi interruppe di nuovo, spiccia.
“Mm,
si?”
feci titubante. Non riuscivo a ostentare la mia solita sicurezza di
fronte a
lei, la qual cosa mi urtò.
Rose
Weasley
agitò la bacchetta, pronunciò un incantesimo a bassa voce e subito un
piacevole
tepore mi percorse le dita.
“Stavano
andando in ipotermia, ti ho salvato la mano, 5 a 4 per me”
“Uhm
grazie…
aspetta ma 5 a 4 che vuol dire?” chiesi, aggrottando la fronte.
La
rossa si
portò una mano davanti alla bocca, sorpresa di ciò che lei stessa si
era
lasciata sfuggire.
“Niente
di
importante” balbettò un poco, poi però parve riprendere la sicurezza di
sempre
“Ora devo proprio andare, il pranzo mi chiama” si voltò verso il
castello, fece
qualche passo, poi si volse nuovamente verso di me.
“A
presto
Scorpius Malfoy!” gridò nel vento, mi sorrise vittoriosa, poi girò i
tacchi e
corse via definitivamente.
La
guardai
allontanarsi stranito, la testa piena di domande e dubbi. Lo stridio di
un gufo
che lottava contro il vento mi riscosse dalla trance. Mi avviai anch’io
verso
il portone, con una sola nuova certezza. Finalmente avrei potuto
togliere quel
fastidioso punto interrogativo dal volto di Rose e aggiungere una
definizione:
“Interessante”.
***
R
.
Arrivai
in
Sala Grande trafelata, ancora un po’ sporca di neve e disordinata.
Tutti gli
studenti erano già sistemati nei quattro lunghi tavoli delle case, e
qualcuno
di loro si voltò a guardarmi ridacchiando. Per lo più si trattava dei
miei cari
cugini e di qualche amico, per i quali ogni occasione era buona per
prendermi
un po’ in giro.
Corsi
al mio
tavolo, dove presi posto accanto alla mia migliore amica Helena Karim,
sfavillante nella sua bellezza esotica: pelle color cioccolato e
capelli
corvini, che amava acconciare nei modi più strani, salvo poi essere
sgridata
dalla nostra cara preside Minerva McGranitt, ormai novantenne e ancor
più rigida
che in passato.
Helena
mi
rivolse uno sguardo severo.
“Sei
sempre
in ritardo Rosie” esordì; i suoi occhi scuri si puntarono nei miei.
Risposi
senza prender fiato.
“Lo
so Elly,
scusa, mi sono attardata a sistemare la serra, e poi volevo fare delle
domande
a Nev… ehm, il professor Paciock, ma mentre tornavo al castello sono
scivolata
e…” mi lanciai nel racconto del mio tuffo nella neve, con tanta foga
che dopo
un paio di minuti Helena mi bloccò ridendo.
“Ho
capito,
ho capito, va bene così, sei perdonata” mi disse. Non ero ancora giunta
a
parlarle dell’incontro con Scorpius, ma in quell’istante decisi di
tenermelo
per me. In fondo, mi dissi, perché raccontare un evento così banale?
Le
sorrisi,
gettandomi finalmente sul banchetto, ricco come ogni giorno di ogni ben
di Dio.
Purtroppo i primi erano già scomparsi, ma in compenso mi riempii il
piatto di
costolette d’agnello, involtini di carne e formaggio e purea di patate.
Avevo
appena
iniziato a mangiare quando anche Scorpius Malfoy fece il suo ingresso
in sala.
Su di lui non era rimasta la minima traccia di neve, i capelli e i
vestiti
sembravano perfettamente asciutti e impeccabili. Malfoy aveva la strana
capacità di apparire sempre e comunque composto, elegante e fiero.
Invidiavo
quella sua capacità che in me era totalmente assente, ma la mia invidia
nei
suoi confronti si fermava puramente a quel livello. Intellettualmente
parlando
ero convintissima che ci sarebbe sempre stato un 5 a 4 per Rose, un
punto a mio
favore, un mezzo per innalzarmi sopra di lui.
Scorpius
Malfoy era intelligente, anzi, brillante, lo ammiravo per questo ed
ogni volta
che lo sentivo rispondere bene a qualche domanda o eccellere in qualche
campo,
in me qualcosa scattava, forse una sana voglia di competizione, o il
mio amore
per le sfide o per la cultura oppure per entrambe le cose. Fatto sta
che volevo
la mia rivincita. Sempre.
“Che
lezione
abbiamo dopo pranzo?” chiese Helena, cercando la sua agendina nella
borsa.
“Incantesimi”
borbottai, con la bocca piena. La mia amica mi guardò rassegnata.
“Finirai per strozzarti un giorno o l’altro”
“Oh
che
bello, i dolci!” esclamai ignorandola.
Veder
apparire torte, crostate e budini a volontà era sempre stata per me una
fonte
di gioia infinita. Forse a causa del fatto che in casa mia madre ci
teneva
tutti sotto controllo per evitare che mangiassimo troppi zuccheri, o
forse
perché lei i dolci proprio non li sapeva cucinare.
Mi
servii con
una generosa fetta di torta al cioccolato, Helena invece optò per la
crostata
al limone.
“Elly,
ti
spiace se prima di cena ci esercitiamo un po’ sull’incantesimo
rallegrante? Non
so, l’altra volta a lezione mi sembrava un po’ fiacco…”
“Ehm…
scusa
Rosie, non posso. Ho già promesso a Louis che avremmo fatto
Trasfigurazione
insieme”
“Aaaaah
Louis… il mio bel cuginetto colpisce ancora!” la punzecchiai. Helena
continuò a
fissare il suo piatto, arrossendo appena.
“Aveva
bisogno di aiuto, sarebbe stato scortese dirgli di no” rispose
semplicemente.
“Si
e io
sono Morgana. Elly non arrampicarti sugli specchi, ti conosco come le
mie
tasche ormai”.
“Rose,
guarda, i tuoi cugini ti chiamano” mi disse lei, cambiando totalmente
discorso.
Pensai
fosse
solo una scusa per cambiare argomento, invece alzando lo sguardo vidi
che Albus
si stava sbracciando nella mia direzione, dal tavolo dei Grifondoro.
“Torno
subito”
Mi
alzai e
raggiunsi il mio cugino preferito, compagno di giochi e di
chiacchierate sin
dalla più tenera età.
“Rosie
buongiorno!” mi accolse allegramente “non ci siamo ancora salutati
oggi”
“Già”
sorrisi “come mai questo buon umore?”
“Niente
di
particolare, ho l’allenamento oggi” mi rispose. Sparsi per il tavolo
c’erano
gran parte dei miei familiari: James, a due posti di distanza, che ci
stava
provando spudoratamente con una biondina che non lo calcolava
minimamente, la
piccola Lily con Molly, entrambe al terzo anno, che discutevano fitto
fitto su
chissà cosa, Roxanne, un anno più piccola di loro, che rideva con un
folto
gruppetto di ragazzi, Hugo, altrimenti detto mio fratello, intento a
strafogarsi di dolci insieme al suo migliore amico.
Tutti
gli
altri erano o troppo piccoli o troppo grandi per frequentare Hogwarts.
“La
prossima
partita è contro Serpeverde giusto?” chiesi, pur sapendo la risposta.
“Già,
James
fa bene a farci lavorare duro, muoio dalla voglia di battere
quello”
sibilò.
Non
ebbi
bisogno di chiedere a chi si riferisse, in parte perché lo intuivo, in
parte
perché seguendo il suo sguardo di fuoco mi trovai a osservare Malfoy,
che
ignaro di tutto continuava a chiacchierare con i compagni.
“La
butti
troppo sul personale, Al, non fa bene ai nervi” lo stuzzicai.
“Niente
di
personale, è oggettivamente riconosciuto che Malfoy sia un arrogante,
buono a
nulla, figlio di papà, malfidato” snocciolò con rabbia.
James,
che
non era riuscito nel suo intento di conquista, si concentrò su di loro,
gridando “Cantagliele Al!”.
Io
personalmente non capivo tutto quell’astio nei confronti del biondo.
Non mi
sembrava che Scorpius Malfoy fosse particolarmente arrogante, né
tantomeno
buono a nulla. Si impegnava in tutto ciò che faceva, era determinato e
apparentemente anche piuttosto piacevole come persona. Interessante
insomma.
Probabilmente,
pensai, tutto l’odio dei miei cugini verso la figura di Malfoy era
dovuto al
fatto che da quando il ragazzo era entrato nella squadra di Quidditch,
Grifondoro non era riuscito ancora una volta a battere Serpeverde. Ma questo ad Al non l’avrei
mai detto.
“Come
vuoi,
ma non ti lamentare quando perderete… di nuovo!”
“Ehi!
Ma tu
da che parte stai?” si lamentò lui.
“Dalla
mia”
gli feci l’occhiolino, furbetta “Se voi e Serpeverde vi scannate a
vicenda sarà
più facile per Corvonero raggiungere la vetta”.
Al
mi
riservò uno sguardo pieno di risentimento, per poi tornare allegro come
prima:
d’altro canto, queste sono le regole della competizione.
“Ad
ogni
modo… mi hai fatto alzare solo per farmi fare un po’ di moto o devi
dirmi
davvero qualcosa?”
chiesi,
ironica.
“Direi
più
la prima...” fece pensoso “sai, in questo periodo ti vedo un po’
appesantita,
una passeggiatina non fa mai male”.
Serrai
i
denti e lo fulminai, mentre lui rideva a crepapelle per la mia
espressione
indignata: sapeva che nessuno poteva darmi della grassa, nessuno tranne
lui. Ad
Al era permesso tutto, o quasi.
“Beh,
allora
permettimi di tornare a poggiare il mio pesante didietro al mio tavolo.
Ah e
sappi che tiferò Serpeverde. A
presto
Albus Severus!”
In
compenso
io ero l’unica a poterlo sfottere sul Quidditch. E a poterlo chiamare
con il
suo nome intero.
Ci
regalammo
a vicenda un sorriso d’affetto e sfida, come sempre, prima di tornare
ciascuno
alle rispettive case, lezioni e compagnie.
Eravamo
come
fratelli, io ed Albus: potevamo permetterci insulti e prese in giro tra
noi, ma
nessuno doveva osare insultare uno di noi due, se non voleva incorrere
nell’ira
dell’altro. Allo stesso tempo però una profonda amicizia ci spingeva a
cercarci
sempre, a confidarci i nostri problemi, a ridere e piangere insieme.
Di
una cosa
ero profondamente convinta, niente e nessuno ci avrebbe mai allontanati.