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Autore: eyesoftiger    02/01/2013    0 recensioni
Tre figli dei Tre Pezzi Grossi.
"Dalla nascita non si sono mai incontrati, e mai dovranno farlo" dice la profezia.
Eppure dice anche "i loro cammini si incroceranno solo in un caso di pura emergenza."
E quando per colpa della riunione di tre dee, e una strana scatoletta dal contenuto misterioso, il mondo va verso la sua fine, può essere considerato un caso di emergenza?
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Non abbiamo un piano migliore, ragazzini.




 


Camminava con le mani in tasca, le gambe doloranti e mille pensieri per la testa.
Questa è la  descrizione più o meno dettagliata di quello che stava facendo la giovane ragazza bionda da circa due settimane a questa parte.
Dopo la visita di Ermes, prima di partire per andare dove indicato dal bigliettino stropicciato aveva il bisogno e il desiderio impellente di raggiungere sua madre all’ospedale. Sapeva che non era la cosa più giusta da fare, sapeva che avrebbe dovuto sbrigarsi e seguire gli ordini che le avevano assegnato. Ma doveva avere la certezza che sua madre, l’unica persona a lei rimasta, stesse bene. Riuscì a vederla attraverso il vetro, e quando un’infermiera le chiese chi fosse, le rispose che era la figlia. Il presentimento che non avrebbe potuto farcela la assalì, ma cercò di scacciarlo dalla mente.
L’infermiera la informò che dovevano trasferire sua madre in un lontano centro dove un dottore specializzato avrebbe potuto risolvere il suo problema. Non volle sapere che tipo di problema, l’avrebbe solo fatta preoccupare di più. Le bastava sapere che c’era qualcuno in grado di curarla. Il problema era che questa clinica distanziava almeno due ore d’aereo, e lei non aveva ne i soldi ne il tempo per seguirla. Ma non le importava, l’unica cosa rilevante in quel momento era sua madre. Voleva solamente starle un po’ accanto prima di ripartire. Le servirono un po’ di giorni per racimolare i soldi per prendere l’aereo e tutti i documenti necessari. Giorni preziosi.
Dopo essere arrivata alla clinica, il dottore le spiegò che la madre non era il paziente più grave che gli fosse capitato, e questo la rincuorò. Quando però la ragazza decise di andarsene sentendo che sarebbe stata in buone mani, la fermarono dicendo che doveva aspettare in clinica, e che non poteva andarsene senza un tutore.
Concluse che sarebbe stato meglio scappare di corsa.
Sprecò altri giorni per elemosinare un po’ di soldi, sia per l’aereo, sia per mangiare.
Si ricorderà per sempre quelle notti fredde, rintanata in un angolo sul marciapiede, a sperare che tutto quello potesse finire il più presto possibile.
Ed eccola qua, dopo settimane, su per quella collina alla ricerca dell’entrata di questo così detto Campo Mezzosangue. Nome che non prometteva nulla di buono, ma dopotutto, non si stupiva più di niente, ormai.
Le foglie secche scricchiolavano sotto i suoi piedi. Il sole era ormai alto, ma le fronde degli alberi consentivano soltanto ad alcuni raggi di raggiungere il suolo, rendendo il bosco buio e freddo. Il capotto era ormai logoro, ma era l’unico oggetto che le impedisse di morire di freddo. Camminava a capo basso, quando vide l’ombra di una specie di grande insegna. E quando alzò lo sguardo per leggere le lettere si misero a roteare, e apparve la scritta “Campo Mezzosangue”
- Ti stavamo aspettando. – una voce roca la fece sobbalzare. Vide proprio davanti a lei, oltre il confine, un uomo basso e tozzo, con un’appariscente camicia hawaiana e uno sguardo decisamente annoiato. Lo sguardo della ragazza era abbastanza sospettoso e diffidente, ma l’uomo sembrò leggerle nel pensiero.
- Pandora Winchester. Immagino che tu debba rimanere qui per un bel po’. -


-


-Oh cielo, Chad, vedi di non ucciderti con quella spada! – gridò abbastanza esasperata Abbie.
I lunghi capelli mori erano raccolti in una coda alta, e gli intensi occhi scuri erano incorniciati dal suo solito trucco nero.
Le era stato affidato l’arduo compito di avviare gli altri due semidei verso l’arte del combattimento, ma i loro sguardi dimostravano che erano poco pratici in materia. Sospirò, e si massaggiò le tempie.
L’unico in seria difficoltà era Chad, mentre sembrava che Susan avesse qualche tipo di talento innato per maneggiare armi di piccola taglia, come i coltelli.
Le onde dei suoi capelli rossi le ricadevano sulle spalle. Impugnò il coltellino nella mano, mentre i suoi splendenti occhi verdi erano concentrati sul manichino davanti a lei. Con un gesto fulmineo lanciò l’arma, centrando il bersaglio nel bel mezzo del torace. Sulla sua bocca si modellò un sorrisino soddisfatto.
Abbie le lanciò una veloce occhiata, e poi riportò la sua attenzione su Chad. Il ragazzo biondo maneggiava la spada in maniera goffa e inesperta.
- Stupido figlio di …  no, no! Devi impugnarla più in basso, in quella maniera ti mozzerai un dito! – Abbie corse verso il figlio di Zeus, prima che potesse commettere lo stupido errore di amputarsi una arto.
Gli prese la mano con cui stringeva la spada e la fece scorrere lungo l’impugnatura. Quel contatto con le mani lisce della ragazza lo fece rabbrividire. Probabilmente perché non se lo aspettava, oppure perché il suo corpo era terribilmente freddo.
Quando quest’ultima se ne andò, cerco di nuovo di concentrarsi sulla spada. Guardò il manichino davanti a lui, e strinse il pugno attorno all’arma.
Si schiarì la voce, mentre Abbie lo guardava con faccia accigliata.
Si assestò per bene al suolo e cercò di lanciare una sottospecie di fendente. Il manichino roteò su se stesso, e una delle sue braccia lo colpì diritto nello stomaco, facendolo ripiegare su se stesso mentre boccheggiava di dolore.
- Uhm … ah … - sbiascicò il ragazzo biondo.
Abbie sospirò.
- Devi tenerti ad una certa distanza quando tiri un fendente – una voce maschile, rauca e profonda intervenne da dietro di loro. – Altrimenti l’avversario che in futuro non sarà più un manichino, se abbastanza veloce, potrà benissimo perforarti l’intestino senza battere ciglio. - 
Chad sbiancò quando vide l’uomo con la cicatrice sull’occhio avanzare verso di lui.
- Chirone vi chiama. Sarà meglio che voi due lo raggiungiate. Io e il ragazzo arriveremo dopo. – sentenziò, guardando le due ragazze che lo fissavano.
 Abbie cercò di ribattere, ma Alex la zittì con un rapido sguardo, e lei e Susan, un po’ titubanti, si allontanarono senza proferire parola.
L’uomo fece un paio di passi verso il ragazzo, che cercò di rimettersi in piedi massaggiandosi comunque lo stomaco dolorante.
Gli intesi occhi azzurri lo penetravano, dandogli un senso di inquietudine e angoscia che non riusciva a spiegarsi. Il suo unico desiderio era di trovarsi da un’altra parte, qualsiasi essa fosse.
- Credo ti debba delle spiegazioni. – affermò Alex con il suo solito tono calmo e pacato.
- Sarebbero gradite. – rispose Chad. – Prima di tutto chi sei e cosa ci fai qui. -
L’uomo fece qualche passo verso le gradinate e si mise a sedere, facendo segno al ragazzo di seguirlo. Quest’ultimo accettò l’invito.
- Mi chiamo Alexander Stephen Crane, e vengo dal Texas. – incominciò. – Sono qui al Campo Mezzosangue per allenare i giovani semidei, come te, ad affrontare quello che c’è la fuori. Hai aperto la chiavetta che ti ho dato? -
- No. – rispose secco il ragazzo. E l’uomo si sentì soddisfatto. Soddisfatto del fatto che avesse seguito il suo consiglio, che non si sia fatto prendere dall’impulsività di aprirla per la curiosità. Perché l’impulsività e la curiosità, in un ragazzo così inesperto, ma anche così potente, sono un mix pericoloso.
- Bene. Adesso, quando vorrai, potrai aprirla. Ma attento a non tenerla troppo vicina alla faccia. – constatò l’uomo, con lo sguardo verso terra, sorridendo, e ricordando l’episodio di poco prima. Eh, già, il figlio di Zeus aveva proprio molto da imparare sulle armi, e non solo.
- Sei un semidio? –si azzardò a domandare Chad.
- Come lo sai? -
- Beh, per varcare i confini del Campo devi esserlo per forza. -
- E chi ti dice che non sia, che so, un satiro? –
- Nah, non puzzi così tanto. – se ne uscì Chad, e sul suo volto spuntò un sorrisino spontaneo.
L’uomo rise  a sua volta, mostrando i candidi denti bianchi.
Era una bella giornata. Nonostante il vento freddo, il sole illuminava ogni angolo dell’arena. Era tarda mattinata, e si sentiva il cinguettio degli uccellini suoi rami dei grossi alberi di pino lì accanto.
- E di chi sei figlio? – chiese nuovamente Chad, poggiando le braccio sui gomiti. Era decisamente più rilassato adesso, come se avesse una qualche familiarità con quell’uomo all’apparenza così duro e inflessibile. Alla domanda del figlio di Zeus, Alex restò in silenzio per qualche secondo. Adesso era lui ad essere a disagio, e nervoso. Strinse i pugni, e disorientato, si alzò in piedi.
- Forse è meglio se ci avviamo da Chirone prima che mandi una squadra di ricerca. –
I due fecero presto ad arrivare alla Casa Grande. Aprirono la porta d’ingresso che li condusse alla stanza dove i tre giovani semidei si erano incontrati la prima volta.
In piedi accanto al camino, con la sua solita espressione indecifrabile nel volto e le braccia incrociate si trovava Abbie. Attorno al tavolino basso invece, stavano Dionisio e Chirone, nella sua forma da centauro. Sul divano sedevano Susan e un’altra ragazza bionda che Chad non aveva mai visto.
- Sempre in orario. – constatò irritato come al solito il dio del vino, con la sua solita Diet Coke in mano.
- Hai di meglio da fare, per caso? – rispose prontamente Alex.
Dionisio sembrò sull’orlo di una crisi di nervi. Quel piccolo e insignificante mortale lo aveva già scocciato abbastanza, e dovette ricorrere a tutta la sua forza di volontà per non ridurlo in mille chicchi d’uva.
- Per i nuovi arrivati – intervenne Chirone – vi presento la nostra nuova ospite: Pandora. –
 
Dopo che il gruppo ebbe ascoltato la giovane riguardo al suo arrivo al Campo, Chirone si incupì subito.
Se davvero Eris e Nemesi si erano impossessate della scatola, dovevano assolutamente riprenderla.
- Quindi in pratica noi dovremmo allenarci qua al Campo, trovare due dee che non si sa dove siano finite, riprendere la scatola e riportala sull’Olimpo sperando che nel frattempo loro non liberino tutti i mali e distruggano il mondo? – riassunse Abbie.
- No, non possono aprire la scatola. – rispose Chirone. – Gli serve la chiave. -
- La chiave? – domandò Chad.
- Esattamente. Nessun essere, o cosa o potere soprannaturale può aprire la scatola, a parte Pandora. E’ per questo che è più prudente che tu rimanga qui, entro i confini del Campo. – concluse, rivolgendosi alla ragazza bionda, che annuì con poca convinzione. Il fatto di rimanere con le mani in mano tutto quel tempo, in realtà, non le andava molto a genio. C’era qualcosa che la attirava irrefrenabilmente verso la scatola, e volevo contribuire anche lei a recuperarla.
- Quindi adesso noi non dovremmo fare assolutamente nulla a parte allenarci? –
- Susan, mi pare l’unica alternativa. Non potete buttarvi in una battaglia che non potete affrontare. Resterete qui giusto una o due settimane al massimo, prima di partire. – rispose Alex.
- Ma nel frattempo loro escogiteranno qualche altro trabocchetto e diavoleria simile, non credi? –
- Beh, non abbiamo un piano migliore, ragazzini. Quindi fareste meglio a muovere quelle vostre chiappette flaccide che vi ritrovate e cercare di far roteare per bene qualche spada, altrimenti saremo tutti fottuti. – disse Dionisio.
- Pandora, tu potrai dormire qui, nella Casa Grande. Alex ti accompagnerà per fartela vedere e condurti alla stua stanza.- aggiunse Chirone.
- E adesso fuori di qui, canaglie. – brontolò il dio del vino. - Io e Chirone abbiamo una partita in sospeso. -
 

  
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