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Autore: ClaryMorgenstern    02/01/2013    7 recensioni
Clary la ignorò e guardò meglio la statua. Non potè che concordare con Jace su quell'obbrobrio. Le ispirava un disgusto immenso, come d'altronde i demoni che voleva rappresentare. Le unghie sembravano scintillare di sangue fresco, e gli occhi erano vacui, scolpiti senza pupilla e..
Si mossero.
[Crossover The mortal instruments   /   The infernal devices]
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Author's corner: Ecco il primo capitolo del 2013! E' elettrizzante, non trovate? Siamo un po' più vicini all'uscita di CPss e CoFH, per non parlare del film di City of Bones. Sono tornata a casa ieri sera e, vogliate scusarmi, ero troppo rincretinita per aggiornare! Quiiindi, ecco che vi lascio il capitolo ventidue prima di cominciare a studiare. Direi che è proprio arrivata l'ora di prendere i libri, va'.  Bye!

And if it's good enough, it will last as long as there are human beings.
E. Hemingway

 

Capitolo XXII
Human beings


Le piccole fiammelle delle fiaccole sembravano danzare al ritmo della musica in allegretto dell'orchestra.
Clary chiuse gli occhi e si lasciò andare anche lei a dei movimenti brevi e sconnessi, come fosse anche lei una di quelle fiammelle ondeggianti e vive. Di sicuro, si sentiva in fiamme.
Oh si, era proprio ubriaca.
E pensare che aveva bevuto troppo solo all'addio al nubilato di sua madre, dove Isabelle aveva versato una bottiglia intera di vodka gelata nel punch alla frutta che aveva fatto Maryse. Aveva ballato come un'ossessa con sua madre e con Izzy. Aveva persino chiamato Jace e, in un impeto tragico di sincerità alcolica, gli aveva detto quanto infinitamente l'amasse, chiudendo poi la telefonata.
Inutile dire che Jace si era precipitato al Pandemonium, dove le ragazze stavano festeggiando la seconda ultima notte da single di Jocelyn, abbandonando l'addio al celibato di Luke. Quando arrivò, Clary notò che odorava di bosco e sangue, e si era chiesta cosa cavolo stessero facendo i ragazzi.  Dopo averlo rassicurato della sua sicurezza, sempre per quell'impeto di sincerità più alcolica che sua, l'aveva trascinato nello stanzino dove lui, Alec e Isabelle avevano incastrato l'Eidolon, la notte che aveva cambiato le loro vite. E lì, contro quella porta, l'aveva baciato con trasporto ignorando le risate di lui, mentre le cingeva i fianchi. Non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce, nemmeno da ubriaca, ma desiderava baciarlo già da quella notte.
E aveva baciato Jace a lungo anche durante la festa di Natale del 1892. Molto a lungo. Adesso stava nel corridoio che conduceva alla sala da ballo, aspettando che Jace ritornasse con la sua giacca, con un sorriso poco sobrio stampato sul viso.
Ma, ben presto, il sorriso abbandonò il suo viso quando un conato di vomito le risalì per la gola. Bagno. Ho bisogno di un bagno. Aprì la prima porta che le venne a tiro, sgattaiolò dentro la stanza - che aveva tutta l'aria di essere uno studio - e vomitò in una delle piante ornamentali. Dopo che il suo stomaco smise di ucciderla, si passò una mano sulla bocca e si lasciò cadere contro la parete della stanza, mentre il sorriso ebete tornava ad aleggiarle sulle labbra.
In un attimo di solitaria lucidità si rese conto di avere bisogno di aria fresca, e subito. Uscendo dalla stanza, che adesso non aveva più un così buon odore, vide che Jace non era ancora arrivato.
Scosse le spalle, andandosene verso il giardino. Tanto, si disse, Jace l'avrebbe trovata.
Lui l'avrebbe trovava sempre. Loro si sarebbero trovati sempre.
Uscendo dalla porta d'ingresso, uno dei mondani spalle larghe all'ingresso del palazzo reale le aveva sorriso, e Clary aveva appena accennato le labbra in risposta. Quello fece un piccolo inchino con la testa, mormorandole un augurio per una buona serata e, notando quanto Clary fosse poco coperta, gli aveva offerto la sua giacca. La ragazza aveva tentato di desistere, ma quello aveva insistito. Aveva un buon odore, come di bosco o qualcosa del genere.
Certo che erano strani, gli uomini Vittoriani. Ma forse erano solo gli inglesi, a essere strani. Cortesi, forse era più azzeccato. A New York non molti erano cortesi. Poteva avvenire un omicidio sulla 5th Avenue e nessuno avrebbe fatto nulla per impedirlo.
L'erba del giardino reale scricchiolava sotto i suoi stivali. L'aria fredda le arrivò sul viso, accendendole le guancie di un rossore intenso. Era una sensazione fantastica quel fresco dopo tutto il caldo che sentiva lì dentro.
Siccome era il ventitrè di Dicembre, fuori non c'era nessun altro. Non aveva nevicato di nuovo, ma delle nuvole scure in cielo promettevano pioggia. Negli spazi luminosi tra di esse, vi si intravedeva sprazzi di cielo coperti di stelle. Clary non ne aveva mai viste così tante in vita sua, né di così luminose.
Per tenersi un po' al caldo, passeggiava per il giardino. Intravide un cane correre tre le fontane, cercando di acchiappare una cavalletta.
Ad un certo punto del suo girovagare, vide Luigi De Luca, una delle due guardie di Simon, camminare a passo svelto a pochi centimetri dalla struttura, come se volesse rendersi invisibile. Lo aveva già visto, quella sera, ballare insieme a diverse compagne al centro della sala e anche insieme a Jessamine. Cosa ci faceva lì fuori?
Lo vide svoltare un angolo e quindi sparire dalla sua vista. Senza riflettere lo seguì, più silenziosamente che potè. Ma, quando poi si ritrovò lì, nascosta da uno spigolo del palazzo, colui che vide non fu Luigi, ma Ragnor Fell insieme ad un altro ragazzino giovane, che lei non conosceva.
Un ragazzo biondo, di appena vent'anni, con un lucente paio di ali nere sulla schiena.
Cameron.
Clary si nascose nuovamente dietro la parete e sfilò lo stilo dalla giarrettiera - ancora si stupiva di quando spesso le indossasse, quelle cose-. Si tracciò una piccola runa tonda alla base dell'orecchio, per acuire l'udito. Sentì quindi, la voce di Fell insieme a quella di Cameron, più alta e stridula di diverse ottave.
«Il ragazzo deve collaborare,» Stava dicendo quest'ultimo. «e fin'ora non ne ha voluto sapere..»
«Costringilo» fu la secca risposta di Fell. «L'ultimo esperimento come è andato?»
«Tutto perfetto. È andato e tornato sano e salvo»
«E la seconda cavia?»
«E' sopravvissuta all'esperimento, ma è morta dopo un paio d'ore, dopo aver smaltito il sangue.»
Sentì Ragnor Fell fare un ringhio strano, quasi animalesco. «Quindi bisogna per forza avere sangue d'Angelo, per sopravvivere?»
«Da quanto ci risulta, si.»
Ragnor disse una parola in una lingua che Clary non conosceva, aspra e dura. «Dannazione, ragazzino. Devi risolvere questo dannato problema, o non potremo farcene nulla»
In quel momento il cane che Clary aveva visto prima, quello che rincorreva la cavalletta, arrivò scodinzolante verso di lei abbaiando con forza. Clary tentò di fargli cenno di stare zitto, ma ovviamente fu invano.
«Chi va là?» la voce di Fell si fece sempre più vicina, mentre Clary tentava di scappare. Fu troppo lenta, e gli stregoni la videro.
Clary fu veloce. Si sporse a prendere una delle spade angeliche che teneva nascoste negli stivali - Per quella strana voglia femminile di essere letali e carine al tempo stesso - e una morsa glaciale le strinse le viscere, quando non la trovò.
Gliele aveva tolte Jace, perché aveva paura che si facesse male da brilla.
Bel lavoro, Jace.
Scattò di nuovo in piedi e corse verso l'entrata della tenuta reale. Dei lampi di luce le volarono accanto e le sembrò di essere entrata nell'ultimo film di Harry Potter, durante la battaglia di Hogwarts.
E fu proprio un lampo verde, infine, a colpirla e farla cadere a terra. Ma, al contrario dell' Anatema che uccide, quel lampo le aveva solo immobilizzato le membra, facendola cadere come un sacco di patate sull'erba umida.
Si sentì trasportare per gli stivali in un luogo più appartato, quindi delle mani artigliate la fecero voltare. Clary vide sopra di sé Cameron e Ragnor Fell. Il primo sembrava entusiasta, mentre il secondo parecchio confuso.
«La conosci?» chiese il Sommo stregone al suo discepolo.
«Si» rispose questo. «E' Clarissa Morgenstern, una delle due ragazze arrivate dal futuro»
Il ghigno entusiasta ora apparve anche sul viso di Fell. «Meraviglioso.» mormorò d'apprezzamento. «Portala al laboratorio e ripeti l'esperimento con il sangue della signorina.» disse. «Ti raggiungerò appena posso.»
«E se si chiedono dov'è finita?»
«Non preoccuparti» disse Fell. Prendendola per le spalle e facendola alzare. Clary odiò sentirsi così inerme e mai come nella sua vita volle sputare in faccia su quel ghigno contento. «La signorina tornerà dai suoi amici molto presto.» quindi, le strappò una ciocca di capelli. Clary sentì le lacrime salirle dal dolore. Se la strinse nel pugno chiuso e mormorò delle parole in quello che le parve purgatico. Quindi aprì la mano e gettò in terra i suoi capelli, che avevano cominciato a brillare di una forte luce rossa, come fili di rame incandescenti. Quelli cominciarono a muoversi e a cambiare, aumentando le loro dimensioni a dismisura. La materia malleabile divenne ben presto molto familiare, e Clary vide sé stessa davanti ai suoi occhi, uguale in ogni singolo dettaglio, persino nei suoi vestiti. Ragnor Fell le tirò un ricciolo in segno d'apprezzamento. «Mi sono sempre piaciuti, i capelli rossi» mormorò Cameron. «Adesso torna dentro.» disse alla lei che non era lei.
L'altra Clary si prostrò ai piedi di Fell in un modo che le fece venire la nausea, quindi s'incamminò verso l'entrata.
Clary sentì un moto di nausea, nel vedere che anche nel camminare era la sua esatta copia.
 
Nell'angolo Nord-Ovest del Palazzo di Wenstminster, anche conosciuto come House of Parliament, nel cuore di Londra, sorgeva il Big Ben.
Si supponeva che questo soprannome derivasse dal nome di un membro della camerata dei comuni, Benjamin Hall.
Nella tradizione degli Shadowhunters, non era così. Il codice diceva che il Big Ben era stato eretto in memoria di Benjamin Lightfire. Il primo Console della storia del Conclave che, insieme a Jonathan Shadowhunters aveva fondato Idris.
Ad Alicante, in una delle piazze principali, si trovava una sua statua che lo raffigurava ma, lo stesso Jonathan Shadowhunters aveva ammesso che fosse troppo poco per uno dei suoi più cari amici. Quindi aveva fatto innalzare, a suo nome, l'immensa torre che sovrastava la città natale del Console: Londra.
Era questo a cui Clary stava pensando quando il cavallo a cui era legata si era fermato davanti all'immenso orologio. Sul cavallo aveva sentito un formicolio strano alle membra, segno che l'incantesimo che l'aveva immobilizzata era scomparso.
Però riusciva a muovere solo tre dita per ogni mano e il collo: Il resto era stretto da delle corde ruvide che le avevano scottato le mani quando lei le aveva tirate.
Cameron, seduto dietro di lei sul cavallo, scese con un piccolo salto che fece svolazzare le sue ali color della notte. Quindi, tirando una corda, se la tirò di peso sul marciapiede. Cadde in piedi, per quel miracoloso equilibrio dei cacciatori, proprio davanti allo stregone.
Lui la stava guardando con gli occhi brillanti. Tese una mano e le accarezzò i capelli, con infinita delicatezza.  «Spero proprio che tu sopravviva» sospirò. «Potremmo andare in qualunque secolo vogliamo, qualunque età..»
Clary, per tutta risposta, fece scattare il collo e gli morse la mano. Cameron la tirò via e si allontanò di scatto da lei, reggendosi l'arto ferito. Clary fece un sorriso pieno d'astio.  «Fatto male?» chiese, con finta innocenza.
Lui le lanciò un'occhiataccia, per poi scrollare le spalle. Mormorò qualche parola e il sangue smise di uscirgli dalla mano e il piccolo segno dei suoi denti scomparve. Con quella stessa mano, poi, tirò un'estremità delle corde che la legavano per condurla all'interno.
«Sai, dovresti essermi grata» le disse, mentre strattonava la corda per farle oltrepassare l'uscio. Entrarono in un luogo senza luce, e tutto scomparve dagli occhi di Clary. La paura le congelò un attimo le membra. Non le piaceva per niente essere sola e al buio insieme a Cameron. Proprio per niente. «Grazie a me stai per entrare nella storia»
Clary alzò gli occhi al nero soffitto e non rispose.
Cameron seguì il suo esempio e la condusse per dei corridoi. Clary inciampò un paio di volte nei gradini che non riusciva a vedere. Svoltando una volta, una ragnatela le finì dritta in bocca. Scosse la testa cercando di togliersela di dosso. Una luce comparve all'improvviso da una fiaccola e Clary si ritrovò con le spalle al muro e Cameron davanti agli occhi. Le stava togliendo con tocco leggero la ragnatela dal viso, come se stesse sfiorando un cristallo prezioso.  Clary si scansò. «Cosa vuoi da me?»
Lui la guardava con sguardo infuocato. «Che tu mi aiuti col mio incantesimo» spiegò con voce roca. «E poi» allungò di nuovo la mano che era rimasta a mezz'aria per toglierle un ciuffo di capelli dal viso. «Tu mi piaci. Dal primo momento che ti ho vista»
Clary sgranò gli occhi. «Ma se è la prima volta che ci vediamo!»
Un urlo soffocato li distrasse, facendo alzare a entrambi lo sguardo verso l'alto. «Andiamo» disse lui. Le pose una mano sulla schiena, per condurla con dolcezza verso le scale adesso illuminate. Clary scosse la schiena, per levarsela di dosso.
Quella che oltrepassarono era una porta di legno scuro, logora dagli anni e dall'umidità. Cameron vi pose una mano e la aprì, sorprendentemente, senza cigolii. Quindi la tenne aperta, aspettando che lei entrasse. Quando Clary, ovviamente, non si mosse, lui sospirò e la tirò per un capo della corda. Clary inciampò nei propri piedi entrando nella stanza.
Essa era enorme. Una decina di metri per otto, all'incirca. Negli angoli e al centro della stanza dei grossi macchinari partivano dal pavimento e andavano ben oltre il soffitto, attaccati a delle grosse rotelle che giravano senza sosta con lentezza estenuante. Una grosse chiazza d'olio nero  andavano allargandosi vicino a ognuna di esse.
E, legato con grosse e fibrose corde a uno dei macchinari, c'era Luigi De Luca.
Clary urlò il suo nome, ma lui non si mosse. Il suo petto si alzava e si abbassava regolarmente, segno che era ancora vivo. La Nephilim strattonò le corde con cui Cameron la teneva legata, ma erano troppo forti. «Cosa gli hai fatto?» urlò allo stregone.
Lui ebbe pure la faccia tosta di avere un'espressione ferita. «Non gli ho fatto nulla» disse. «Si sarà addormentato.»
Cameron strattonò le corde e se la tirò addosso, a un centimetro dal viso, sciogliendo le corde che la tenevano stretta. Quelle caddero a terra con un tonfo sordo.
Sentì le braccia formicolargli e bruciare nei punti in cui erano più strette. Si allontanò di scatto da lui e corse da Luigi. Gli alzò il viso e, illuminato dalla luce, le sembrò il normale viso del ragazzo: la pelle di quel meraviglioso color cappuccino, le ciglia scure e le labbra piene, anche adesso con l'ombra di un sorriso. Lo scosse con forza e uno sfarfallio delle palpebre offrì a Clary la vista dei suoi occhi verdi. «Signorina Morgenstern..» mormorò. «Per l'Angelo, ha preso anche lei?»
«Si, ma non preoccuparti. Ce ne andremo da qui» gli disse lei col tono più incoraggiante che potè.
Cameron si avvicinò di qualche passo. «Mi dispiace contraddirti, mia cara, ma non potete.» disse. «Questa stanza è vincolata da un incantesimo. A meno che non lo conduca io stesso, nessun Nephilim può uscire da qui.»
Clary gli lanciò un'occhiata rabbiosa. «Non ci puoi tenere qui per sempre»
Il sorriso di Cameron andava da un orecchio all'altro. «No, è vero. Ma, se riesco a trovare il modo, posso sempre tornare indietro.»
 
«Non è qui, Jace.»  la voce di Isabelle gli arrivò fastidiosa alle orecchie, come un lamento. Ma forse il lamento era solo nella sua testa.
«Lo vedo da solo che non è qui!» Tirò un calcio alla parete, facendosi molto male. Il dolore gli schiarì leggermente la vista offuscata. Doveva vedersi con Clary in corridoio, per portarle la giacca, ma lei non c'era. L'aveva cercata ovunque in quel maledetto palazzo e nel maledetto giardino, ma niente. Adesso erano all'esterno, al freddo, a cercare Clary che, ovviamente, lì non c'era.
Ma c'era mai una volta che facesse ciò che le chiedeva, senza farlo uscire di testa? No, chiaramente, perché poi non sarebbe stata più la sua Clary. Si morse la lingua per bloccare il fiume di imprecazioni che gli bruciava la gola.
E allora la vide.
«Jace?» Eccola lì, spuntare dal nulla, col vestito bianco e oro che le svolazzava intorno nella fredda notte di Dicembre. A un certo punto della serata i fermagli non avevano retto più e i suoi capelli si erano sciolti e arricciati per l'umidità, come Jace li preferiva. Espirare tutta l'aria che aveva nei polmoni e correre ad abbracciarla fu una sola cosa. Sembrava quasi che le sue forme fossero fatte apposta per le sue mani: I fianchi appena pronunciati, le spalle sottili, la curva dei seni. Tutto in lei gli era familiare, come fosse il suo corpo.
E fu proprio per questo che la sbattè con forza contro la parete, bloccandole la gola con un braccio.
Lei respirò a fatica, cercando di prendere aria dalla bocca e mormorando, quasi in un'implorazione, il suo nome con la voce di Clary.
Ma a chi voleva darla a bere? Avrebbe riconosciuto Clary, la sua Clary, anche da cieco, sordo e muto. Lei aveva quel profumo di inchiostro fresco e erba tagliata e di casa. Solo stringerla tra le braccia gli faceva venire in mente un focolare caldo e un giardino. Figli che giocano e ridono, e lei incinta e felice tra le sue braccia.
Ogni volta, senza esclusione di colpi. Tranne quella. E poteva voler dire solo una cosa:
Lei non era la sua Clary.
Sentì con chiarezza Isabelle e Alec urlargli contro, senza sentire una minima risposta da parte sua. Le loro mani addosso per cercare di toglierglielo di dosso.
Con una scrollata di spalle, se li tolse di dosso. «Non è Clary» sibilò, velenoso, spostando lo sguardo da quella cosa con le sembianze di Clary. «Non è lei» ripetè. «E' un incantesimo»
Quella che sembrò la mano di Clary andò ad accarezzargli una guancia. «Amore, sono io» mormorò con voce flebile, sottile.
E quella fu la più grande delle conferme. Lei non lo aveva mai chiamato 'amore', e mai l'avrebbe fatto.  «Risparmiati le cazzate» le sibilò, duro. «Dov'è lei?»
E allora la cosa perse la sua maschera. Perse l'espressione dolce di Clary, e i lineamenti di lei assunsero un'aria ostile e cattiva. «E' andata. Fattene una ragione.»
Premette ancora di più il braccio, fino a che un respiro sordo non le uscì dalla gola, poi lo rilassò leggermente. «Di certo non hai un buon udito. Dov'è lei?»
Un leggero ringhio uscì dalle sue labbra. «Al laboratorio» disse, dura. «Ma non ho idea di dove sia»
Lo sguardo di Jace si assottigliò. «E' la verità?»
Lei fece un sorriso cattivo, con le labbra di Clary. «Io ti amo, Jace. Non ti mentirei mai.»
L'ira gli fece vedere rosso per qualche momento. Rosso, come i capelli che stringeva tra le dita. In un attimo di lucidità si rese conto che quelli erano davvero i capelli di Clary. Li aveva sentiti così tante volte, tra le dita, che li avrebbe riconosciuti ovunque.
A profondo malincuore, se ne avvolse una ciocca tra le dita e tirò, strappandogliela. Quella urlò, imprecando. Okey, forse in quello assomigliava a Clary. Quindi, si staccò da lei e andò da Alec e Isabelle, a poca distanza da lui che parlavano fitto fra di loro. Quando lei lo vide, corse dalla cosa con le sembianze di Clary, per tenerla ferma. Jace annodò la ciocca, quindi se la strinse nel pugno. «Alec, dammi il tuo stilo» disse. Il ragazzo glielo porse e Jace tracciò una runa sulle nocche sbiancate dallo sforzo.  La runa andò a fondo nella sua carne come avrebbe potuto fare una pietra nell'acqua di uno stagno. Chiuse gli occhi ma non vide oscurità. Ciò che vide furono ingranaggi su ingranaggi, cosparsi d'olio nero e grasso. Clary, seduta accanto a Luigi de Luca, con le palpebre pesanti mentre cercava di rimanere sveglia. In piedi accanto a loro, all'interno di un pentagramma di sangue, con le ali nere che si muovevano eccitate, c'era Cameron.
Aprì di scatto gli occhi. «So dov'è.»
 
Clary appoggiò le mani sul pavimento per farsi leva, alzandosi in piedi. Le gambe non le ressero a lungo, e dovette aggrapparsi alla colonna per non cadere. Cameron le aveva fatto bere a forza un decotto che le aveva levato le energie e che le faceva sentire le gambe deboli, e Clary lo avrebbe preso a calci volentieri. Probabilmente era lo stesso che aveva dato da bere a Luigi. Il ragazzo era sdraiato sul giaciglio da quando era arrivata. Alternava momenti di sonno a momenti assonnati di veglia.
«Da quanto tempo sei qui?» gli chiese Clary, a un certo punto.
Luigi aprì gli occhi assonnati. Alzò con lentezza una mano, per fare un gesto vago. «Due settimane, a occhio e croce.»
Clary strinse i denti. «Il decotto deve averti confuso le idee. Ti ho visto alla festa, stasera.»
«Non ero io» fece Luigi. Nonostante avesse usato un tono pacato, Clary capì che era piuttosto incazzato. «Gli servivano informazioni su di voi, così Cameron si è infiltrato prendendo il mio aspetto.»
Clary sbiancò. Luigi è simpatico, e sa un sacco di barzellette divertenti. Almeno, fino a un paio di giorni fa. Aveva detto Simon. Quanto era riuscito a capire, Cameron di loro? Dio, che idioti a non esserci arrivati prima.
«Non prendertela» le disse lui, tornando a chiudere gli occhi. «E' colpa mia. Mi sono fatto catturare come un cretino.» disse l'ultima parola nella sua madre lingua, e Clary trattenne una risata.
«Come è successo?» gli chiese lei.
La luce argentea della luna donava ai tratti angelici di Luigi un tocco più chiaro, come fosse avvolto da una nuvola di magia. «Stavo parlando con Jessamine, in giardino» un leggero sorriso comparve inconsapevolmente sulle labbra del ragazzo. «A un certo punto se né andata, lasciandomi solo all'esterno. Credo di essermi distratto a osservarla e a un certo punto mi sono ritrovato svenuto, credo per magia. E mi sono svegliato qui.»
Clary alzò gli occhi al cielo. «Jessamine Lovelace?» chiese con tono divertito.
«Proprio lei» confermò Luigi, con un sospiro. «La mia Beatrice. È bellissima, non è vero?»
Clary annuì, totalmente d'accordo, anche se di certo lei non la vedeva come la vedeva lui. «Già»
«E lei non mi ama» mormorò Luigi, con lo sguardo lontano secoli. «Mi ha sempre visto come un giovane viziato che ottiene sempre quello che vuole.» disse. «Ma non importa. Io so che prima o poi aprirà gli occhi e vedrà che il mio sentimento è puro come la neve.»
Luigi aveva paragonato Jessamine a Beatrice, la donna amata da Dante Alighieri. Clary sapeva, dai suoi studi, che Beatrice non aveva mai ricambiato i sentimenti del poeta. Una vena d'amarezza le corse per le vene, ma non disse nulla.
Appoggiandosi alla parete per camminare, Clary arrivò alla porta. La aprì: Vedeva solo un corridoio illuminato dalle candele e il ciglio delle scale. Alzò una mano, che le sembrava fatta di piombo, e fece per farla passare attraverso la porta, ma quella non la trapassò. Si poggiò come su una lastra invisibile, come se fosse fatta di un fumo solido. Cominciò a pensare di essere una perfetta idiota, lì in piedi con la mano a mezz'aria.
A un certo punto sentì una mano sulla sua. Un tocco caldo, leggero. Alzò gli occhi piena di speranza, amore e fiducia.
E provò solo disprezzo, quando vide che era la mano di Cameron. Clary la tolse subito, guardandolo con astio. Anche se era inutile: Più lei lo fulminava con lo sguardo, più lui le sorrideva. «E' il momento» con uno scatto veloce le prese il polso e la tirò fuori. Clary tentò di divincolarsi, ma nulla. Quella maledetta pozione le aveva distrutto le forze. «Su, principessa. Il nostro amico ci aspetta»
La condusse per il corridoio, stringendole con dolcezza un braccio. Le dava sui nervi tutto questo riguardo che aveva per lei, come se stesse cercando di impressionarla. Le faceva venire la nausea.
Oltrepassarono una porta a due battenti, entrando in una sala piccola. Clary gelò:
C'era una cosa, lì dentro.  Una cosa di metallo, lucido e scintillante. Ma aveva le sembianze umane, le braccia umane e un viso umano. Un umano di metallo, con gli occhi vitrei e spenti. Aveva persino dei capelli. Sembravano di lana filata e nera, lisci come spaghetti. Se ne stava ferma in un angolo, immobile come una statua. Si bloccò sulla porta. Cameron si fermò a guardarla, e seguendo il suo sguardo vide cosa l'avrebbe fatta bloccare. «Non preoccuparti di quello» tentò di tranquillizzarla. «Fa solo ciò che dico.»
«Ora sono molto più tranquilla!»
Cameron fece un sorriso sottile. «Adoro la tua lingua lunga» le si avvicinò, sinuosamente. Clary rabbrividì. «Chissà qual è il suo sapore..»
Clary era troppo debole, per quel maledetto decotto, e lui la stringeva con troppa forza. Non sarebbe mai riuscita a liberarsi. Lui si avvicinò sempre di più, fino a quando lei sentì il suo fiato sulle labbra. Tentò di scansarsi, ma lui si ritrasse immediatamente, l'ombra del sorriso ancora sulle labbra. «Tranquilla, mia cara. Sono un gentiluomo.»
E, detto questo, estrasse un coltello dalla lama d'argento.
  
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