1.
Dreamin’.
Sullo
schermo del
computer era proiettato ancora una volta il suo viso. Doveva essere
almeno la
millesima volta che in quei cinque giorni mi soffermavo a guardarlo.
Era una
cosa che non dipendeva da me, era lui che mi attirava a se ed io non
potevo far
altro che ubbidire.
Una foto in bianco e nero mi occupava l’intero
schermo del PC.
Una foto in bianco e nero scattata chissà dove
e chissà quando aveva monopolizzato i
pixel dello schermo del mio computer; sorrideva, uno stupendo sorriso
da
trentadue denti che, inevitabilmente, si era appiccicato come una
calamita alle
mie labbra.
Ormai erano dieci minuti che ero distesa bocconi
sul letto a rimirare quegli occhi incolore sognando che potessero
realmente
posarsi su di me e farmi sorridere con il cuore come non facevo da
tempo. Ah
quanto mi sarebbe piaciuto!
Sembrava quasi che la tenue luce che m’illuminava
da dietro confluisse in lui, unicamente in lui, nelle sue labbra
allargate a mostrare
i candidi denti, nei suoi occhi che mi scrutavano, nel suo volto
incantevole.
Allungai una mano per chiudere la parte superiore
del portatile e, di conseguenza, sottrarlo al mio sguardo. Era meglio
così. Quando
svanì fu come riemergere dopo una lunga apnea. Incrociai le
braccia sul laptop
appoggiandovi su il mento fissando un punto indefinito davanti a me.
Persa in
un’altra immagine in bianco e nero lasciai che
l’ennesimo sospiro fuoriuscisse
silenzioso dalle mie labbra e mi galleggiasse rumorosamente nella testa.
Basta vaneggiare su un futuro impossibile
d’avere. Mi facevo solamente del male così, ma era
talmente bello poter
fantasticare! Mi piaceva sentirmi leggera e poter volare senza pensieri
nel
nulla dei miei mondi incantati.
La sua voce continuava imperterrita a creare
suadenti armonie nelle mie orecchie.
“Louis
William Tomlinson chi diavolo sei?”.
Cambiò la canzone, cambiò il ritmo e la
musica,
cambiarono le parole e lui rimase lo stesso incanto custodito
nell’oscurità del
regno che si celava dietro le mie palpebre calate. Era lui la luce che
mi riscaldava
e teneva lontano i demoni che altrimenti mi avrebbero catturato e fatto
di me
il fantasma di ciò che ero.
Era la mia ancora.
Ritmo musica note.
Sentivo il cuore battere a ritmo con loro.
“Then
I see you
on the street
In his arms, I get weak
My body fails, I'm on my
knees
Praying”.[1]
Mi lasciai trasportare lontano da quella
melodia, lasciai che mi cullasse nel sonno in cui stavo lentamente
cadendo. Le
sue mani sicure mi sorressero stringendomi a sé mentre
cadevo nel vortice che
mi stava risucchiando. Il solito nero privo di qualsiasi cosa. Ormai
c’ero
abituata, non mi faceva più così paura come le
prime volte. Ma ora c’era lui,
ora c’era Louis a tenermi su e illuminarmi.
Bleh, quanta dolcezza.
Il punto è che era la prima cosa cui mi
appassionavo dopo quello che era successo.
Dopo il dopo non ero più riuscita a farmi
prendere da nulla, avevo avuto paura, mi ero sempre tirata indietro,
non volevo
che le cose mi risucchiassero distruggendomi come già
successo. Mi ero completamente
estraniata dal mondo affrontando tutto con fredda
superficialità. Poi… Poi
erano arrivati loro, era arrivato lui, e tutto era semplicemente
riniziato.
Non mi sentivo in quella maniera da un’epoca a
quello che ricordavo. Così emozionata, piena, felice, viva.
Sentivo il cuore pomparmi nel petto, lo
sentivo rimbombare, sorridevo; certi giorni sorridevo così
tanto che, sotto le
coperte, la notte, dopo che mi ero coricata e con la mente avevo
ripercorso velocemente
la giornata appena terminata, mi dolevano le guance. Erano sensazioni
conosciute ma, al tempo stesso, estremamente nuove da renderle
sorprendentemente mozzafiato.
«Hey
Fee
[N.d.A.: in tedesco si legge Fii] svegliati,
piccola è ora che ti svegli» sentii sussurrare da
una voce roca al mio
orecchio. Calde labbra si adagiarono appena sotto per rendere
più dolce quel
risveglio che non voleva arrivare.
Mugugnai
qualcosa nel sonno, contrariata, in
totale disappunto con chiunque mi stesse disturbando. E chi me lo
faceva fare
di svegliarmi? Non ci pensavo proprio.
Tirandomi le
coperte fin sopra la testa
ignorai completamente ciò che disse il mio compagno e mi
voltai dall’altra
parte dandogli le spalle. Ancora non avevo voglia di aprire gli occhi e
abbandonare il bellissimo sogno che mi inebriava la mente.
La voce roca
risuonò in una leggera risatina.
Il cuore, fino
ad allora assopito, prese a
pompare a massima velocità.
«Fai i capricci come i bambini?»
proseguì
con tono dolce e sommesso il ragazzo.
Nuovamente
grugnii qualcosa di
incomprensibile. Le palpebre pesanti tremolarono sotto il secondo bacio
di
quella mattina dato sull’angolo destro della bocca. Con uno
sforzo immane riuscii
a rimanere immobile fingendomi profondamente assopita. Volevo vedere
Lui come
si sarebbe comportato. Sì, Lui, perché ormai ero
più che certa si trattasse di
un lui in generale se non proprio di lui Lui, Lui il ragazzo
più perfetto dell’universo.
Avvertii il
tocco caldo delle sue mani
risalirmi lungo la schiena e poi le molle protestare cigolando sotto il
suo
peso che si aggiungeva al mio. Mi aveva scavalcato mettendosi comodo
sul mio
letto. Non avevo vie di scampo: da un lato il suo corpo
dall’altro il muro. Ero
in trappola. Una favolosa trappola a dire il vero.
Di nuovo le
sue mani sul mio corpo, questa
volta avevano oltrepassato l’ostacolo delle spesse coperte e
stavano
percorrendo la mia pelle facendola increspare. Avrei resistito ancora
per poco
con quella farsa. Per guadagnare qualche altro minuto scrollai le
spalle
cercando di levarmelo di dosso.
«Oh – commentò con tono triste
– mi scacci
via così eh Fee? Ed io che volevo farti un po’ di
coccole questa mattina» disse
malinconico e non mi fu difficile figurarmi il suo volto spento dalla
radiosa
allegria che era sua per eccellenza. Quel pensiero rese triste anche me.
Spalancai gli
occhi nel medesimo istante in
cui sentii la sua pesa svanire. Non volevo se ne andasse, era ancora
troppo
presto. Inoltre io volevo il mio buongiorno dato come si doveva. Senza
di
quello la giornata non sarebbe stata la stessa.
«No!» ribattei subito stringendogli
l’avambraccio preda del terrore di vederlo svanire assieme
agli ultimi residui
della dormita. «Resta, per favore. Sono sveglia,
sì sono sveglia» aggiunsi lasciando
che la voce scemasse nel silenzio. Vederlo lì davanti a me
fu come… Come… Era
un po’ come guardare la stella più luminosa e
bella di tutta la galassia seduta
in prima fila con pop-corn e Coca-Cola da mezzo litro. In parole
più comuni:
uno spettacolo mozzafiato.
Ora
sì che mi pentivo di non abbandonato prima
il sonno e tornare subito vigile quando mi era stato richiesto.
Automaticamente
avvertii le labbra contrarsi e
allargarsi in simultanea con le sue mentre si apriva in quel sorriso
capace di
far sciogliere tutti i ghiacciai dell’intero globo. Avevo un
angelo che con un
semplice sorriso era in grado di far prendere fuoco alla legna bagnata
disteso
nel letto accanto a me. Acquisendo quella consapevolezza i rimbombi del
cuore
aumentarono di volume e dovetti fare un grande sforzo per udire
ciò che stava
dicendo il giovane.
«Sei arrossita, e hai le guancie tutte
rosse. Sembri un pomodoro dagli occhi di smeraldo. Mi piace un sacco
vederti
arrossire» soffiò al mio orecchio con quella
maledettissima voce sexy che si divertiva
a tirare fuori nei momenti meno opportuni – come quello ad
esempio – solo per
il puro gusto di vedermi diventare bordeaux.
Se non fossi
stata paralizzata dalle emozioni
sicuramente l’avrei picchiato, un colpo ben assestato nello
stomaco non glielo
avrebbe tolto nessuno. Gli andava bene che ero ancora mezza
rincoglionita e
trovarmelo addosso di prima mattina mi metteva addosso un certo
irrazionale
buon umore.
«Vaffanculo William» riuscii a sibilare
senza voce. Avevo usato il suo secondo nome apposta, gli dava parecchio
fastidio quando lo facevo ed io mi divertivo apposta per quello. Era
una sorta
di vendetta personale anche se, ad essere sincera, mai sarei riuscita a
fargli
del male, nemmeno involontariamente.
Louis
assottigliò lo sguardo sfidandomi.
«Sai che succede quando mi provochi vero
dolce Fee» chiese retorico sorridendo in modo malizioso. Oh
sì che sapeva che
sapevo cosa sarebbe successo da lì a poco se non avessi
deposto le armi,
peccato che non avevo alcuna intenzione di lasciarlo vincere. Stavo
puntando
proprio alla “punizione” che mi sarebbe toccato
patire se lo voleva sapere;
però non glielo avrei detto, il gioco avrebbe perso tutto il
suo fascino in
quel caso.
Scrollai le
spalle restando vaga.
«E chi lo sa» ricambiai il sorriso con
altrettanta malizia appoggiandogli una mano sulla guancia calda e
appena ispida
per l’invisibile strato di barba che stava crescendo sulla
sua mascella. Punse
piacevolmente il palmo della mia mano, non l’avrei
più tolta da lì.
«Ah beh, se è così…
». Non terminò la frase
impedendomi di ribattere in qualsivoglia maniera adagiando le sue
soffici
labbra sulle mie. Il mondo esplose in mille coloratissime scintille
ardenti. Se
così si presentava la felicità, allora
sì, ero più che felice.
Gli feci
passare entrambe le braccia attorno
al collo per attirarlo maggiormente a me e la delicatezza del nostro
contatto
venne sostituita da una più forte passione e desiderio.
Schiusi appena le
labbra e subito la sua lingua s’intrufolò nella
mia bocca esplorando il
misterioso antro come se quella fosse la prima volta che veniva accolto
lì
dentro. I capelli di Louis ricaddero in avanti venendomi ad
accarezzare,
solleticandomi piacevolmente la fronte e le gote ora dello stesso
colore del
sangue che vorticava rumorosamente nelle mie orecchie.
Il tocco delle
mani del ragazzo si fece via
via più audace. Prendendomi per i fianchi mi fece aderire a
sé, schiacciandomi
contro il suo petto sodo e il suo bacino desideroso di darmi il
buongiorno a
sua volta. Il calore delle carezze si diffuse in breve tempo in tutto
il corpo mentre
mi sfiorava la pelle sotto la maglietta a mezze maniche, mi accarezzava
il
ventre e mi depositava seducenti tocchi sul collo.
Louis
continuò a baciarmi per un tempo che mi
parve infinito, e comunque troppo breve per non farmene desiderare
dell’altro.
Io baciai lui con quanta più passione avevo in corpo.
Ormai mi
sovrastava, era completamente disteso
su di me, le gambe intrecciate con le mie in un nodo indissolubile, si
reggeva
sui gomiti per non gravare troppo sul mio fragile corpo con il suo peso.
Mi piaceva
come buongiorno. Sì, si prospettava
davvero una bella giornata all’insegna del
buon’umore. Mi piaceva anche averlo
al fianco, mi faceva sentire meno incompleta. Non importava come, mi
bastava
averlo.
Con un sonoro
schiocco abbandonò nel bel mezzo
delle danze le mie labbra, scostandosi da me per rimanermi sospeso
sopra e
osservarmi rapito. Chissà cosa stava vedendo in quel
momento. Io, davanti agli
occhi, avevo la perfezione fatta a persona.
«Ben svegliato mio dolce mostriciattolo»
squittì allegro scoccandomi un sonoro bacio sulla punta del
naso gelato.
«Ciao» mi limitai a sospirare abbandonandomi
al suo abbraccio. Chiusi gli occhi per godere al massimo quel momento:
il suo
profumo, il calore del suo corpo, la sua presenza accanto a me, lui in
generale.
Accompagnata
da un sonoro sbadiglio aprii gli
occhi emozionata all’idea di poter vedere ancora Louis che mi
abbracciava così
forte da poter sentire ogni suo battito rimbombarmi addosso. Invece,
infausto
destino che ce l’aveva con me e si divertiva a giocare con la
mia vita, tutto
ciò che vidi non furono altro che buio, nulla e vuoto.
Ero nuovamente nella mia stanza, sola e
avvolta nelle calde coperte che mi avevano accompagnato in quel
favoloso sogno.
Perché sì, tutto quello che avevo vissuto fino a
poco prima non era stato altro
che l’ennesimo sogno che vedeva come principale attore Louis.
Trassi un profondo respiro per impedire alle
lacrime, che erano giunte a pizzicarmi gli occhi, di sgorgare fuori.
Non potevo
permettermelo. Non potevo, né volevo, piangere per un
ragazzo che nemmeno
conoscevo.
Mi sentivo talmente sciocca!
Da sotto il cuscino estrassi il cellulare
sbloccando lo schermo per controllare l’orario. Era un brutto
vizio quello che
avevo di nascondere il telefonino sotto il guanciale quando andavo a
letto, ne
ero consapevole; sapevo che faceva male e che avrebbe potuto causarmi
danni con
i raggi elettromagnetici che mandava, ma non me ne fregava un emerito
cazzo
detto con estrema sincerità. Avevo preso
quell’abitudine durante l’anno
precedente e, nonostante avessi lasciato andare molte cose di quel
periodo
cancellandole dai quaderni, dai ricordi e dalla mia vita, quel gesto
non ero
riuscita proprio ad estirparlo. Forse perché speravo ancora
in un messaggio
mandato a notte inoltrata, forse perché ogni tanto sognavo
ancora che tutto
fosse come allora, forse per non dimenticare proprio ogni singolo
istante che
avevo vissuto.
Un debole fascio di luce si proiettò fino al
soffitto squarciando con la sua delicatezza
l’oscurità che era calata con l’avanzare
della notte. Notai con piacere che Bill, instancabilmente, mi stava
ancora
sorridendo come quando l’avevo abbandonato prima di
concedermi a Morfeo.
Muovendo dolorosamente il collo mi accorsi di
essermi addormentata appoggiata sopra il portatile, che fatale errore!
Il
giorno dopo mi sarei ritrovata con il collo sicuramente bloccato.
Fantastico,
speravo vivamente di sbagliarmi perché il torcicollo proprio
non lo sopportavo.
Papà doveva avermi creduto profondamente
addormentata che non si era nemmeno azzardato a togliermi il computer
dalle
mani temendo di potermi svegliare. Facendo attenzione depositai il PC
sulla
scrivania tornado di corsa sotto le coperte. Quel piccolo tragitto era
bastato
a farmi ghiacciare i piedi. Ah come avrei voluto che Louis fosse
accanto a me
in quel momento, così avrei potuto sbatterglieli addosso e
avvertire meno gelo.
Scrollando la testa per scacciare quel
pensiero controllai l’ora.
Una lacrima ardente mi accarezzò la guancia
destra cancellando l’ombra del bacio che il castano aveva
finto di darmi durante
il sonno ingannatore.
“02:02,
esprimi un desiderio Felicity”.
[1] One Direction, Up all night, Columbia Records, 2011.