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Autore: _Pikadis_    02/01/2013    0 recensioni
Un mondo futuro, sconvolto da una dittattura 'improbabile'.
Una civiltà che sta per essere distrutta da una guerra senza scampo.
Cinque ragazzi strappatti da morte certa per crearne altrettanta.
Ma la storia non si svolgerà come si era previsto.
[Quattro mani con CheshireCat_]
Genere: Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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                                 "La compassione non è un dono”

 

 

 

 

-Dante Silversword, lei è giudicato dalla corte…-

Freddo.

-…colpevole.- Paura, paura cieca s’impadronì del suo stomaco. –Per disobbedienza a ordini superiori, manovre non autorizzate e diserzione…- un brivido corse lungo la schiena dei presenti –lei è condannato a scontare l’ergastolo e l’esilio nel carcere di Jackson, Mississippi.- Il suo avvocato crollò il capo, le mani, aggrappate al pesante tavolo di legno, si rilassarono in segno di sconfitta. Tutto era perduto. L’imputato, che fino a quel momento era rimasto seduto al centro della sala del tribunale, incatenato ad una rozza sedia di legno, che aveva visto passare la peggior feccia dello stato, alzò le mani tremanti, per supplicare la liberazione. Il boia, con la sua impeccabile divisa, che tutto lo faceva sembrare tranne che carnefice, si diresse svogliatamente verso l’imputato, lo liberò in malo modo, in evidente segno della sua voglia di farlo fuori lì e subito, voglia che, per fortuna del condannato, non poté soddisfare. Il giudice, dal suo alto scranno, abbassò il capo e posò uno sguardo compassionevole sul ragazzo, poco più che ventenne, sentendosi in parte colpevole di quella sentenza; ormai, nel regime in cui erano costretti, i casi di giovani condannati alla morte o all’esilio, solo per la trasgressione di un ordine, non si contavano più. Dante, col cappuccio calato, fissò come un cervo che stava per ricevere il colpo di grazia dal cacciatore il giudice, ma, nel vano tentativo di confortarlo, l’avvocato, lo scuoté per le spalle, rivolgendogli un sorriso stanco e tirato, che non convinceva nemmeno lui. Il volto di Dante, cha pareva insensibile a tutto, fu rigato da un’unica lacrima: solo ora si rendeva conto che il suo mondo gli era crollato addosso, tutto quello in cui credeva si era rivoltato contro di lui. Chi l’avrebbe mai detto che l’allievo più promettente dell’Accademia avrebbe fatto questa fine? La sua carriera era destinata a toccare i gradi più alti dell’esercito e, invece, per aver peccato di compassione verso i suoi commilitoni, poveri uomini con una famiglia alle spalle, che, se fossero stati uccisi dalla guerra, non avrebbero potuto sfamare i loro figli, si trovava ad essere considerato un traditore. Con sguardo vuoto e tetro si avviò verso il corridoio d’uscita, dove l’attendevano due guardie pronte a scortarlo alla cella temporanea. Pima di oltrepassare quella porta, si voltò a guardare l’aula dell’udienza: il suo avvocato e alcuni tra gli spettatori, avevano uno sguardo apparentemente compassionevole, mentre il resto dell’aula aveva uno sguardo di disprezzo misto a soddisfazione per la sua fine.

Sì, tutto era perduto.

Il suono stridulo e sibilante della campana che segna la loro sveglia, interruppe il suo sogno e il suo incubo. Ormai, ogni notte, non riusciva a liberarsi del ricordo di quel giorno in cui tutto si distrusse. Lo avevano portato in quel carcere un paio di mesi prima e lo avevano sistemato nel piano interrato, quello predisposto per gli esiliati: ogni cella era larga due metri circa e lunga tre, ci stava a stento la branda e l’orinatoio, chiusa da un lato da sbarre larghe abbastanza da far passare a stento un braccio. L’intero piano era costituito da un lungo corridoio con un centinaio di celle, identiche tra loro, per lato. Lo stato in cui era arrivato era catalessico, non reagiva agli stimoli e se ne stava rannicchiato in un angolo, senza toccare cibo. La prima settimana dovettero ingozzarlo a forza. Su quel piano non era solo, una buona parte delle celle era occupata per lo più di ragazzi della sua età e raro era qualcuno sulla trentina. Molti di quelli che lo chiamavano ‘compagno’ e lo consideravano tale, visto il destino che li accomunava, avevano cercato di tirarlo su; nei rari momenti di conversazione che venivano lasciati ai prigionieri, lo riempivano di complimenti per aver salvato un intero battaglione, gli lanciavano pezzi di cibo, ma Dante rifiutava tutto. Continuava a tormentarsi, a considerarsi colpevole, perché lui si sentiva tale.

In realtà, lui non aveva commesso nessun reato, aveva solo salvato delle vite, ma, nella forma mentis che aveva, trasgredire un ordine, equivaleva alla pena capitale. Pian piano, gli inquilini del piano smisero di stuzzicarlo e lo soprannominarono ‘il muto’, visto che da quando era arrivato non aveva proferito parola, e, essendo per la maggior parte ribelli, a considerarlo un amico del regime. Col tempo si riprese, lentamente, certo, ma ricominciò a mangiare e a muoversi. Si era ristabilito completamente da un paio di giorni quando, quella mattina, al piano fu data la notizia: entro cinque giorni, tutti i detenuti, nessuno escluso, sarebbero stati trasferiti in un altro carcere.

-Finalmente! Forse questa volta mi capiterà un vicino più simpatico del muto!- commentò il suo dirimpettaio. A Dante, di tutta quella storia, non importava molto. Avrebbe cambiato carcere, sì, ma la pena sarebbe rimasta la stessa e la sua sorte non sarebbe potuta cambiare. L’indomani cominciarono a trasferire i primi prigionieri, ma nello sguardo delle guardie c’era qualcosa di strano. Di solito erano sempre mute e impassibili, mentre ora, nel oro sguardo, c’era o un velo di pietà o di ironia. 

Entro tre giorni toccò anche a Dante raccattare la sua roba e abbandonare la cella. Fu scortato da un paio di guardie fuori dal corridoio e poi lungo una scala, fino ad arrivare ad una sala d’attesa. Insieme a lui c’erano altri cinque detenuti e quattro guardie. Li fecero sedere sulle panche che costituivano l’unico arredamento della stanza e attesero.

-Perché siamo qui?- chiese il suo vicino. 

-È una visita medica. Serve per accertarsi della vostra salute prima del trasferimento.- rispose secco un ragazzo delle guardie. Il tipo si rilasso sulla sedia. Dalla porta chiusa, proprio in quel momento, venne fuori un uomo in camice.

-Nobbs?- chiamò. Il suo dirimpettaio si alzò e fu scortato da una guardia sulla stanza su cui si apriva la porta. Aspettarono una mezz’oretta prima che la guardia uscisse di nuovo. Di Nobbs nemmeno l’ombra. Con la guardia, venne fuori anche il tipo in camice.

-Silversword?- questa volta il nome che chiamò era il suo e uno strano brivido gli percorse la spina dorsale, mentre si alzava e veniva scortato da un’altra guardia all’interno della stanza. Era illuminata da luci a neon, come il piano interrato. Ma non si trovava nei piani superiori, dove arrivava la luce del sole? Percorsero un breve corridoio, fino ad arrivare ad un’altra porta. L’uomo in camice fece entrare entrambi: la sala era semicircolare, con l’unica parete lineare costituita da una lastra di vetro, dietro alla quale c’erano macchinari ed altri uomini in camice. Al centro della sala c’era una specie di sedia elettrica, con cinghie per tenere fermo chi si sedesse. Una molla scattò nella testa di Dante, qualcosa di molto simile all’istinto di sopravvivenza, che venne subito represso dalla suo stato di depressione. Uno degli uomini in camice fece segno alla guardia di legarlo alla sedia. Nonostante fosse all’erta, per la testa di Dante passò un idea che credeva tragica e bellissima insieme: e se avessero deciso di sopprimerlo? Finalmente avrebbe potuto scontare il suo peccato! Mentre la guardia lo assicurava con le cinghie, cominciò a tremare per la felicità. Un uomo dall’altra parte del vetro si avvicinò ad un microfono.

-Non si preoccupi, signor Silversword, andrà tutto bene.- Le parole risuonarono nella stanza con un suono metallico. L’uomo in camice che lo aveva guidato fin lì, fece segno alla guardia di uscire, in modo da lasciarlo solo. Dante era pervaso da un senso di pura beatitudine, si sentiva pronto ad affrontare il suo destino. Per alcuni istanti gli uomini al di là del vetro confabularono tra loro poi, il suo accompagnatore, premette un pulsante su di un pannello poco lontano.

-Signor Silversword- cominciò parlando al microfono- cerchi di rilassarsi e, se vuole, di chiudere gli occhi, per favore.- mentre parlava, dal soffitto della stanza, cominciò a scendere un macchinario alla cui fine c’era una siringa, il cui contenuto liquido era di uno strano fucsia così forte che bruciava gli occhi. Molto probabilmente era la puntura letale che gli avrebbe tolto la vita. Non provò paura, ma solo un senso di giustizia. Decise di chiudere gli occhi: era coraggioso, ma non così tanto. Il macchinario scese fino all’altezza del suo braccio e, dopo che fu premuto un altro pulsante, iniettò nelle vene di Dante il suo contenuto. Quello che sentì all’inizio fu un lieve prurito al braccio, ma, dopo alcuni secondi, l’intero braccio cominciò a formicolare. Dal braccio sinistro, il formicolio, passò al quello destro, per poi prendere anche il busto, le gambe e la testa. Il formicolio, da lieve e fastidioso, divenne sempre più forte, fino a diventare un dolore acuto e penetrante. Dante, per quanto sentiva di meritare quella morte, non riusciva a sopportare il dolore, era come essere bruciati vivi. Cominciò a contorcersi sulla sedia, in preda a convulsioni, gridò, con tutto il fiato che aveva in gola e spalancò gli occhi, ormai completamente bianchi e assenti, al soffitto, chiedendo a Dio di poter morire presto per poter smettere di soffrire a quel modo. Dopo alcuni minuti in questo stato, finalmente, smise di muoversi e crollò il capo. Svenuto.

 

 

Si risvegliò due giorni dopo, ancora su quella sedia, ma con le cinghie slegate. Si sentiva stanchissimo, affamato, sporco e sudato, ma del dolore lancinante che aveva provato, nemmeno l’ombra. Non ricordava cosa era successo nell’intervallo di tempo che aveva passato addormentato, ma doveva aver corso parecchio o aver avuto la febbre a quaranta. Si guardò un po’ in giro e vide che, dietro il pannello di vetro, c’erano ancora gli uomini in camice.

-Ben svegliato, Dante.- gracchiò la voce metallica del solito uomo. Tutti i membri dell’ equipe sembravano felici, o almeno così sembrava dal sorriso che esibivano.

-Se non ce la fai a parlare, lì, davanti a te, ci sono un foglio e un pennarello. Scrivici quello che vuoi e noi te lo faremo avere.- l’unica cosa di cui sentiva il bisogno, in quel momento, era qualcosa da mettere sotto i denti. Raggiunse foglio e penna e tracciò il disegno di ciò che voleva, perché, chissà come, sembrava non ricordarsi i caratteri che si usavano per scrivere. Lo mostrò al vetro e si mise ad aspettare. Nonostante fossero un po’ spiazzati dalla richiesta del giovane, gli osservatori mandarono a prendere ciò che chiedeva. Di lì a poco, nella sala dove si trovava Dante, arrivò una guardia, che gli porse un cono gelato al cioccolato, alzando gli occhi al cielo e storcendo la bocca. Il ragazzo, con gli occhi che luccicavano, afferrò il dolce e lo rimirò affascinato. Quando la guardia uscì, uno sguardo furbo passò nei suoi occhi, l’equipe al di là dello specchio lo guardava preoccupata. Osservando quel gruppo di uomini in bianco con aria di sfida, Dante, si spiaccicò il gelato in testa.

-Andate via, bastardi! Io sono un fottuto unicorno!- urlò. Lo sgomento, tra gli uomini, era palese. Mentre il ragazzo continuava a urlare frasi senza senso e correva per la stanza con il cono schiaffato sulla fronte, uno degli uomini si avvicinò all’accompagnatore di Dante.

-Sembra che non abbia reagito molto bene la fase successiva alla mutazione, Colby.- l’uomo si girò a guardare il collega.

-Bè, almeno è la reazione meno pericolosa che si sarebbe potuta avere.- sospirò- Finalmente ne abbiamo trovato un altro. Ero stanco di veder morire ogni singola cavia-

 

 

 

- - - - - - - - - - - - - - -

 

 

Salve! ^^

Questa volta a parlare è CheshireCat_, ma preferisco essere chiamata solo Gatto :3 (coff… come se qualcuno mi chiamasse poi… coff).

Beh, che dire… Non abbiamo avuto nessuna recensione, cosa che a me, personalmente dispiace, perché sapete, ci tengo a quest’originale :3 PERO’ non capite male, non sto elemosinando recensioni, ci mancherebbe, però dai, muovete un po’ quelle ditina che avete :3

Questo Capitolo è stato scritto per la maggiore da Pika, quindi se dovete fare i complimenti fateli a lei… PERO’ se dovete dire che la parte in cui Dante si spiaccica il gelato in testa è stata fiqua, beh, ringraziate moi :3

Ora passiamo ai ringraziamenti:

Allora, solo a terry5, che ha messo questa storia fra le seguite. Yo grazie sistaH! Vorremmo sentire però la tua opinione con una recensione, ci accontenterai? *occhi dolci*

Hem, in questo capitolo è stato presentato Dante Silversword, che ho creato io ** Che dite vi piace? Vi piace vero? Vorrei saperlo! Oh, a me piace, la prossima volta vi farò vedere l’immagine a cui ho preso ispirazione, e vi innamorerete di lui!

Piccolo spoiler sul prossimo capitolo:

Dante incontrerà altri quattro ragazzi che come lui, sono sopravvissuti all’esperimento cui sono stati sottoposti!

Beh, non è tanto. Ma nemmeno io so come sarà il prossimo capitolo visto che lo sta scrivendo sempre Pika, si sono una grande sfaticata, ditelo.

Beh, meglio che chiuda questo angolino, prima che lo faccia più lungo del capitolo.

Io e Pika vi salutiamo e attendiamo con grande speranza una vostra recensione :3

Ola~

  
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