Il
silenzio ha gusto di miele.
Giuliano
passa le dita tra i capelli di Iris e pensa.
Quella
storia lo spaventa, racconta un popolo antico e sfuggente, anarchico, senza
legami e senza catene. Vorrebbe chiedere a Iris quanto di vero ci sia, nelle
sue parole, ma sa che il ragazzo non capirebbe, si limiterebbe a guardarlo con
gli occhi turchesi e immensi, senza rispondere.
Vorrebbe
poter liquidare la leggenda come credenza ingenua, come mito cosmologico, ma
non può negare il fascino arcano che irradiava lo sguardo di Iris mentre
parlava; non può scordare la bellezza ultraterrena dell'acrobata conosciuto
quella sera, Fortunato, candida incarnazione divina; non può ignorare il potere
che avvertiva aleggiare intorno a loro, come destato dalla melodiosa voce amata.
Non può mentire, cancellando la folle impressione che occhi scuri, bui, li
spiassero dal cielo, e li proteggessero teneri.
Divini
difensori della libertà di un popolo, dov'eravate quando i vostri figli
venivano massacrati, cosa facevate mentre la vostra tragedia, la vostra
disubbidienza li invischiava nel sangue?
E adesso
dove siete, perché non alleviate le loro pene, perché non li prendete per mano
e li guidate sulla difficile strada, non insegnate loro di nuovo a vivere, come
avete insegnato a viaggiare, ad amare, perché non li aiutate adesso?
Siete
troppo lontani, superbi, come il nostro gelido dio, oppure siete incatenati al
cielo, all'aria, siete incatenati al firmamento da una corda di stelle, e
potete solo piangere questa pioggia gentile, che arriccia i suoi splendidi
capelli, potete solo gemere e lottare vanamente per liberarvi, ascoltando il
loro dolore?
Giuliano
ha la testa china e singhiozza sotto le gocce, sotto quel temporale
improvvisamente scoppiato, che oscura il cielo e gli occhi che Iris rivolge
alle nubi.
I
cavalli camminano e la città è ormai vicina, il racconto ha impegnato le ore e
sono tornati a casa, accompagnati da una nebulosa alba.
Il
terreno pare respirare, l'erba è bagnata e profuma di polvere, profuma di
muschio.
Giuliano
ha sempre amato questo momento, quando la tempesta è ormai calmata, e l'aria
sembra piena di eccitazione, di speranza.
È una
sensazione che minaccia di inghiottire il resto, troppo importante e quasi
pericolosa, quasi incomprensibile. Giuliano sente le emozioni attraversare il
suo corpo come le correnti il mare, e ricorda un pomeriggio ombroso, disteso
accanto al corpo addormentato di Iris, dopo l'amore. Ricorda l'odore della sua
pelle, quell'essenza selvatica e misteriosa, sfuggente, ricorda il colore dei
suoi capelli che gli scivolavano dalle dita. Era rimasto a guardarlo incantato
per qualche tempo, poi, rispondendo a un bisogno arcano, aveva poggiato
l'orecchio sul suo petto. Prigioniero di una fragile gabbia d'osso, il cuore
pompava il sangue verso le arterie, verso la periferia di carne. Ascoltando
quel battere ritmico, ipnotico, Giuliano aveva afferrato, per un attimo, la
vita.
Adesso
prova qualcosa di molto simile. Ha la certezza che presto qualcosa succederà,
che presto un evento imprevisto giungerà a cambiare quel mondo, a regalare una
nuova scintilla di verità.
Non
parla con Iris di questa sua percezione. Sa che l'amico conosce il futuro
meglio di lui, e legge i segni e le profezie rivelate dall'aria con miglior
abilità, forte di un'infanzia trascorsa tra mari e leggende.
Non
parlano.
Iris
guarda i muri colorati delle case che dipingono la periferia, guarda le
finestre addormentate e ascolta le risate soffocate che provengono dalle porte
chiuse.
I suoi
occhi sono stranamente scuri.
-Quando
ci vedremo?
Gli
angeli guerrieri non si sono ancora arresi, e sperano di strappare a Gregorio
almeno la promessa di un rapido ritorno. Libertà sorride e non parla, ascolta
la quieta risposta dell'uomo barbuto.
Dovranno
passare i giorni, forse anche i mesi. Gregorio non può saperlo di preciso. Ma
il momento arriverà, e ci sarà bisogno della forza di tutti, e dell'amore.
-Come
riconosceremo il momento?- chiedono ancora. Sembrano stanchi per la notte
insonne, stremati dall'attesa che si prospetta. Gregorio carezza loro i capelli
e mormora che la brughiera risuonerà di canti, e che i sogni si tingeranno di
azzurro. Allora verrà il momento che aspettano.
I
guerrieri non sembrano placati da quelle immagini poetiche, e non dissimulano
l'incertezza dei loro volti. Ma dovranno aspettare. Del resto, sono anni che
aspettano.
Iris e
Fortunato si guardano negli occhi, e tacciono.
Le loro
mani, le dita che si stringono con forza parlano per loro, le labbra che si
incontrano nei sorrisi baciati raccontano il desiderio di stare vicini, il
bisogno di ritrovarsi. Non servono le parole, per spiegare i cuori.
Giuliano
li osserva dalla sua posizione estranea, e sorride. È intenerito dall'amore che
lega i due ragazzi, entrambi troppo giovani per quei ricordi, entrambi troppo
fragili per quel dolore.
Sa che
Iris soffre nel lasciare l'amico, ma ha scorto negli occhi di Fortunato
l'agitarsi del vento, mulinelli di emozioni trascinati lontano da quelle
correnti violente, e sa che l'equilibrista ha bisogno di rimettersi in cammino.
L'essenza del gitano non è stata soffocata nei cuori di quegli acrobati, nulla
hanno potuto la guerra e la prigionia contro il loro bisogno di libertà.
La
partenza della carovana ha qualcosa dell'addio alla primavera, perché chi resta
sente il desiderio di inseguire quei carrozzoni, di unirsi a quegli spiriti che
proseguono le tradizioni scritte nel loro sangue.
Ed è
strana l'atmosfera che resta nella periferia.
Come di
una precarietà appena accennata, mascherata nel solito quotidiano per impedire
agli occupanti di scorgere la verità, dentro i movimenti limpidi.