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Autore: Luth11    02/01/2013    0 recensioni
Una ragazza insolita, un po' fuori dal mondo, un po' troppo chiusa nel suo mondo.
"Insomma, sono un vero disastro. Molto più strana e caotica di quanto il mio aspetto lasci credere: capelli mossi e biondi, occhi azzurro mare e un accenno di efelidi; chi si aspetterebbe mai una ragazza sempre in conflitto con se stessa, che si rifugia continuamente nei suoi libri, isolandosi dal mondo con un iPod mezzo distrutto, capace di usare una spada e con una passione per le armi bianche e la scherma antica?
Ma il motivo per cui eravamo lì quel giorno era un altro. Io ho sempre scritto, ma all’inizio era solo qualcosa di cui avevo bisogno. Poi, con il tempo, mi sono accorta di non riuscire a creare storie reali, e la cosa mi spaventa più di quanto voglia ammettere. Sentirmi così estranea al mio mondo mi sembra...sbagliato?
Non lo so nemmeno io."
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                        Lei si comporta come l’estate,
                                                                                                        e cammina come la pioggia



Chiusi gli occhi, cercando un idea.
La mia mente iniziò a popolarsi delle solite figure. La solita ragazza dai capelli rossi come il sangue, con i vestiti di pelle nera che risaltavano sulla carnagione diafana ed una casacca larga e grigia. Nella mano destra stringeva una spada. La lama cresimi era sormontata dall’impugnatura di acciaio brunito. Una fenice, le cui ali formavano la guardia, si avvolgeva sinuosamente sul freddo metallo.
I suoi occhi grigio fumo nascondevano così tanto. Odio, paura, forza, ma al contempo fragilità. L'unica cosa che temeva, l’unica da cui cercava di fuggire, era se stessa.
In qualche modo sapevo che quella ragazza controllava il fuoco.
Inspirai lentamente, non era quello che stavo cercando. Provai di nuovo.
Una dea, invidiosa della mortalità degli umani. Perchè per loro ogni attimo era unico, mentre lei, condannata ad un esistenza eterna, aveva lentamente smesso di dare valore alla sua vita, divenuta un grigio susseguirsi di eventi già visti milioni di volte.
Mi lasciai cadere sul prato umido, perchè non ci riuscivo?
Per quanto mi sforzassi, nella mia mente trovavo solo storie surreali.
Aprii gli occhi. << Perchè non riesco a raccontare nulla che abbia a che fare con la realtà? >> chiesi, sconfitta.
Fabio accennò un sorriso, come a volermi rassicurare:
<< Perchè non senti questa realtà come tua, ti sembra di non appartenerle. >>
Sospirai, chiedendomi per l'ennesima volta come facesse a sopportarmi. Insomma, sono un vero disastro. Molto più strana e caotica di quanto il mio aspetto lasci credere: capelli mossi e biondi, occhi azzurro mare e un accenno di efelidi; chi si aspetterebbe mai una ragazza sempre in conflitto con se stessa, che si rifugia continuamente nei suoi libri, isolandosi dal mondo con un iPod mezzo distrutto, capace di usare una spada e con una passione per le armi bianche e la scherma antica?
Ma il motivo per cui eravamo lì quel giorno era un altro. Io ho sempre scritto, ma all’inizio era solo qualcosa di cui avevo bisogno. Poi, con il tempo, mi sono accorta di non riuscire a creare storie reali, e la cosa mi spaventa più di quanto voglia ammettere. Sentirmi così estranea al mio mondo mi sembra...sbagliato?
Non lo so nemmeno io.
Non so nemmeno perchè ne abbia parlato a Fabio. Distesa in quel prato, cercando invano di costruire un racconto reale, mi sentivo una stupida.
Mi ero sempre sentita un po' fuori posto, non mi sembrava mai di essere a casa, dovunque fossi, le cose andavano a posto solo quando combattevo con la mia spada (si, che ci crediate o no esistono anche le palestre di scherma antica).
Tutti mi avevano sempre considerato “quella strana”, ma non me ne era mai importato di quello che pensavano gli altri;  però,  per qualche strano motivo, sapere che riuscivo a raccontare solo storie di mondi inventati mi spaventava.
Cercai istintivamente gli occhi grigio-verdi di Fabio.
Aveva un anno più di me, i capelli castano scuro gli ricadevano disordinatamente sul viso ovale.
<< Di cosa hai paura? >> mi chiese.
Stavo per rispondere, ma mi bloccai. Forse potevo mentire a me stessa, ma non a lui.
<<  Di rimanere tagliata fuori dal resto del mondo, di starmi allontanando sempre di più, da tutti, finchè non sarà per sempre.
Credo di aver sentito la solitudine che mi avvolgeva con il suo calore e la sua delicatezza,  ma stringeva così forte che per un istante ho temuto che non mi lasciasse più... >> confessai alla fine. Per la prima volta avevo pensato che forse avrei voluto essere normale, poter parlare tranquillamente con gli altri di cose altrettanto normali. Sapevo che quella non ero io, che quel comportamento non mi sarebbe mai appartenuto, mi avrebbe annoiata, ma avevo veramente bisogno di sentirmi capita, a casa; anche solo per una volta.
<< E poi? >> chiese lui, con una celata nota di preoccupazione nella voce. Nessuno di noi due avrebbe mai ammesso quanto tenesse all’altro, quanto ne avesse bisogno, ma andava bene così.
<< E poi non lo so... a volte è ancora qui che mi fa
compagnia. >> risposi chiudendo gli occhi.
Mi godetti per qualche istante il sole primaverile che mi accarezzava il viso, immaginando che l’aria portasse il profumo del mare fino a quel parco, immerso nella città.
<< Credevo che volessi urlare contro il silenzio...e invece sto finendo col farci amicizia. >> continuai. << E’ che ultimamente mi sento sempre così arrabbiata, non mi va di parlare con nessuno, anche perchè con chi potrei farlo? Ma a furia di stare in silenzio i miei pensieri stanno iniziando a soffrie di claustrofobia. >> esitai un istante << Sai quando dicono che le parole hanno il potere di una coltellata? >>.
Lui annuì.
<< Ecco, i silenzi invece sono direttamente una bomba atomica. >>
<< Ma ora stai parlando con me.  >> provò a ribattere lui.
<< Si, ma tra qualche ora non sarai più qui. >>
Seriamente, perchè cercava di aiutarmi? C’era talmente tanto caos nelle mia mente che io stessa faticavo (fatico) a capirci qualcosa, chi gli e lo faceva fare, a lui, di provare a dare un senso a tutto quello?
<< Perchè non riesci a parlare con gli altri?>> domandò all’improvviso, rompendo il silenzio.
Iniziai a giocherellare con il ciondolo a forma di gufo che avevo al collo, cercando una risposta. Era una domanda semplice, ma allo stesso tempo non lo era per niente.
<< Perchè loro pensano di essere così...straordinari. Ma come possono, quando non riescono nemmeno ad abbattere il muro dei loro pregiudizi? Sono così dannatamente attaccati alla loro normalità...grigi, ecco. Come se dietro a quel muro in cui si sono rinchiusi non arrivassero i colori, e perciò li temono, come quasi tutte le cose che non si conoscono... Ma potrebbero essere più coraggiosi, e scalare, bucare, distruggere... superare in qualsiasi modo il loro muro. >>
<< E non puoi aiutarli tu?>>
Portai le ginocchia al petto e vi appoggiai la testa.
<< Ammesso che ne avessi la forza, non è così facile. Sai, non mi sono mai sentita ne superiore ne inferiore a loro... mi sempre sentita parallela, il che complica un  po’ le cose. >>
<< Perchè la tua realtà non incontrerà mai la loro? >>
Annuii.
Fabio si alzò in piedi. << E allora? Non hai bisogno di cambiare a causa loro. Spesso la gente cambia senza avere minimamente idea di cosa vuole diventare. Tutta questa paura non è da te, sei molto più forte di quanto credi. E non provare a dirmi che mi sbaglio, ti conosco. Il tuo problema è che ti ci immergi troppo, nelle canzoni, nei libri, nelle persone. >>
<< Non ho intenzione di smettere. >> lo avvertii, forse suonando più dura di quanto volessi.
Lui sorrise: <<  E infatti non devi farlo. Ti sto solo dicendo di non lasciarti spaventare così tanto. >>
Si guardò intorno, come se stesse cercando qualcosa, poi si avvicinò ad un albero basso, staccando due rami lunghi circa un metro.
Me ne lanciò uno: << Sei o no un guerriero? >>
Scoppiai a ridere, ma parai lo stesso il suo affondo, rispondendo con una rapida serie di stoccate. Era più alto di me, il fisico asciutto si muoveva agilmente, schivando i miei colpi, ma non era comunque in grado di battermi.
Apprezzai lo stesso l’idea, allenarmi era miglior modo per tranquillizzarmi, mi conosceva abbastanza bene da saperlo.
Quando ci lasciammo cadere sul prato, esausti, mi voltai verso di lui. << Grazie >> sussurrai.
Sorrise, e nonostante l’avessi riempito di lividi, credo fosse il suo modo di dire: “ Ti voglio bene anch’io”.
  
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