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Autore: MrsHousekeeper    03/01/2013    1 recensioni
Traduzione della bellissima "Something Old" scritta da Maple Fay su ff.net. Mrs. Hughes ha lasciato Downton Abbey, a causa di un certo maggiordomo e di una gran brutta situazione che sembra non poter trovare soluzione. Ma è davvero così? Oppure anche la ferita più grave, con il tempo, smette di sanguinare? Carson/Hughes molto atipica, ambientata qualche anno dopo il Christmas Special.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Si vedono molto più spesso da quando lei ha iniziato a lavorare per gli Strallan. Mai a Downton, non per il primo anno, almeno: lui arriva con un messaggio da parte di Lord o Lady Grantham, che avrebbe potuto benissimo essere consegnato con la posta o persino discusso al telefono, e si ferma per il tè. Lo bevono nella sala della servitù, però, mai nel suo salottino. Siedono uno di fronte all'altra e bevono in silenzio, gli sguardi incatenati, tutti gli altri domestici a mantenere un'educata distanza tra loro e quella coppia silenziosa.

C'è una storia dietro tutto questo, si alza un giorno una voce, quando c'è il pomeriggio di libertà e le cameriere diventano un po' più audaci nelle loro conversazioni sussurrate. Una storia d'amore.

L'idea è accolta con qualche brivido e sopracciglia sollevate. Ma lui non è sposato? Non ha una figlia?

Ah, sì – ma DOV'È sua moglie?

E perché la bambina non gli somiglia?

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Arriva in visita a Downton per la prima volta più di un anno e mezzo dopo Londra, molti mesi dopo il suo “ritorno”. (Non è mai tornata, non davvero, non nel modo in cui era prima.)

Gira il pomo della porta sul retro senza pensare, entra, respira l'odore di questo posto. Lo ha sognato quasi ogni notte da allora; forse per questo ora cerca di tenere i propri sentimenti sotto controllo.

La sala della servitù e quasi vuota, fatta eccezione per Anna, che ora indossa un abito scuro e un anello di chiavi legate in vita e sta dando da mangiare ad una bimbetta con un cucchiaio. La piccola alza verso Elsie occhi che non somigliano a nessuno che conosca, e la guarda male.

Ci sono lacrime e sorrisi incerti quando Anna corre verso di lei – un comportamento più che indecoroso per una governante, ma Elsie non ha proprio il coraggio di criticarla per questo – e le prende la mano, invitandola a sedersi nella sua vecchia sedia. Lei rifiuta con gentilezza, gli occhi fissi sulla bambina. « E così questa è... »

Anna annuisce e pulisce il viso della bambina con uno strofinaccio pulito. « Elizabeth Carson. Sì. »

Elizabeth Carson.

Ricorda fin troppo bene quando ha sentito per la prima volta quel nome.

_ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _

« Ha il mio cognome. Era il minimo che potessi fare. »

« Anche se sai...sapevi...? »

« Avresti voluto che l'abbandonassi? Che le voltassi le spalle, soprattutto dopo che sua madre se ne era andata? »

Conosceva la risposta, così lei non sprecò tempo a dirla a voce alta. « E come l'hai chiamata? »

« Elizabeth. »

Era stato come uno schiaffo in pieno volto, caldo e bruciante e che le aveva fatto desiderare di piangere, di poter gridare la propria rabbia fino al cielo per tutta l'ingiustizia del mondo.

_ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _

Quando finalmente lui scende al piano inferiore ed entra nella stanza della servitù, la bambina è seduta accanto a lei e la guarda incantata scrivere alcune note nel libro di Anna, spiegare a bassa voce le cose che nessuno ha avuto il tempo (o le conoscenze necessarie) di dire alla ragazza. Lui si ferma sulla porta e osserva la scena mentre il suo cuore si spezza per quanto è sbagliata, per la facilità con cui potrebbe essere convertita nell'immagine di felicità che aveva immaginato per sé molti anni prima.

Lei percepisce la sua presenza e lo guarda, esteriormente serena mentre torrenti di emozioni restano imprigionati nelle profondità dei suoi occhi. « Mr. Carson. »

La bambina si illumina e stende le braccia verso di lui sorridendo. « Papà! »

Ed eccolo di nuovo: il bisogno quasi incontrollabile di gridare.

_ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _

« Sei buono con lei, » gli dice mentre camminano lentamente lungo il sentiero che conduce al villaggio dopo che lui si è offerto di riaccompagnarla alla stazione.

« Ci provo. Non le farei alcun bene se la lasciassi abbandonata a se stessa. »

Lei deglutisce, stringe con forza le mani. « C'è qualche novità da...? » Lascia la domanda sospesa; entrambi sanno che sarebbe troppo, per lei, finirla.

« Non negli ultimi quattro mesi. L'avevano vista a Brighton prima di allora, con lo stesso uomo; dove siano andati da lì in poi, non ho modo di dirlo. »

« Pensi che tornerà mai? Per Lizbeth? Per... » (Non dice “per te”; nessuno di loro crede che potrebbe accadere, comunque.)

« Non penso, no. »

Camminano insieme, perfettamente sincronizzati proprio come sono sempre stati. Il sole è limpido e freddo sopra di loro, o forse soltanto limpido, e il freddo che sentono proviene da loro.

Ma questo è vero soltanto all'esterno. Perché lui sa quanto rovente può essere il cuore di lei, e lei sa che lui non smetterebbe mai di amarla, anche se non fossero mai più liberi di parlarne.

Le cose potrebbero ancora funzionare per loro, forse: ma dovrebbe essere a costo della sofferenza di altre persone, e loro non lo vogliono, non l'hanno mai voluto, non tra l'onore di lei e il senso di responsabilità che ha lui. Potrebbero probabilmente serbare rancore: contro il mondo, o l'uno contro l'altro; lei più di lui (perché lui non glielo aveva chiesto quando ne aveva avuto il tempo, perché avevano deciso di aspettare, di tenere tutto in silenzio, inesistente, di non darsi un terreno su cui trovarsi, e protestare quando ne avessero avuto bisogno): ma questo non sarebbe saggio, e li renderebbe ancora più pieni di amarezza di quanto già non siano.

Così, non si soffermano sul passato.

Non discuteranno neppure il futuro. Segretamente, entrambi sperano che potranno “ritirarsi insieme”, dopo tutto: non accadrà presto, se mai dovesse accadere, ma la strada non è ancora del tutto chiusa. Ci sono ancora così tante cose da considerare, però: la bambina che aveva il suo nome, ma non il suo sangue; la donna, da qualche parte nel mondo, che con ogni probabilità aveva gettato via ormai da tempo l'anello che avrebbe dovuto essere dato ad Elsie molti anni fa; gli sguardi che la gente avrebbe rivolto loro se avessero oltrepassato la linea tra le congetture e la certezza.

C'è una grande differenza tra essere una donna innamorata ed essere un'amante, pensa, mentre conta i passi e respira profondamente nella speranza di catturare un'ombra della sua acqua di colonia nel vento.

Essere una donna innamorata è questione di ciò che provi, non di quello che fai.

_ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _

« Quando ti vedrò di nuovo? » le chiede mentre sono fermi al binario, una distanza corretta, propria, tra i loro corpi. L'attenzione di lei si concentra su una piccola piega nell'angolo del suo colletto e prova il desiderio di sistemarla con le proprie dita, di appoggiarsi contro di lui e lasciarsi andare.

Dimenticare per un attimo il mondo. Dimenticare tutto ciò che è accaduto. Tornare a come erano – vecchi e vecchio stile, comodamente bloccati in un solo istante, un giorno, una settimana, un mese, un anno, una vita insieme, quando ciò che provavano era la cosa più importante al mondo.

« Non sarà mai abbastanza presto, » gli risponde, e abbassa per un attimo le palpebre, guardando verso il treno che avanza lungo i binari, soffiando fumo ed avvolgendoli in una nuvola di vapore per un secondo o due. E ricorda qualcosa, parole pronunciate molto tempo prima – sembra un'altra vita, un altro tempo, un altro luogo – e gli sorride, tendendogli la mano. « Non ditemi che sentirete la mia mancanza. »

« Sì invece, Mrs. Hughes. Moltissimo. »

Lascia che lui le tenga la mano un po' più di quanto sarebbe strettamente necessario, e gli stringe le dita prima di lasciarlo andare.

Potrebbe essere tutto ciò che potranno mai condividere. Sarebbe stato abbastanza, una volta.

Ma non sarà mai più abbastanza.

Non permette a se stessa di sperare.

Ma sa che lo aspetterà per sempre, e che allo stesso modo lui aspetterà lei.

Tutte le ferite diventano cicatrici, alla fine.

  
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