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Autore: Bonetz    03/01/2013    1 recensioni
La vita di Lavinia sembra come tutte le altre, ma le ombre del suo passato nascondono un dramma. E uno strano mondo parallelo la aiuta a superarle.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era un normale giorno di maggio, né troppo caldo, né troppo fresco. Una leggera brezzolina scuoteva le giovani foglie spuntate da poco sugli alberi del giardino. Lavinia, appena uscita di casa per andare in ufficio, si fermò a contemplare quel momento. Di tutto l’anno, quello era in assoluto il periodo che preferiva. I gigli cominciavano a sbocciare e gli uccellini cantavano a squarciagola motivetti vivaci come in ringraziamento a Madre Natura.
Lavinia, durante il tragitto per il lavoro, si era fermata più volte: aveva fatto colazione al bar del centro della sua amica, la signora Gerroni, ed era passata dal parrucchiere per fissare un appuntamento. Sebbene avesse solo ventisette anni, tra i suoi capelli si intravedevano le prime sfumature bianche e aveva pensato che una tinta non avrebbe fatto male. Dopo dieci minuti arrivò al palazzo. Suonò il campanello e aspettò che la portinaia le venisse ad aprire. Il suo lavoro le piaceva: lavorava già da quattro anni come assistente del presidente della più rinomata casa discografica del momento. Il suo capo, il signor Perrotti, era un uomo alto, sulla cinquantina e gentile. Più volte lei aveva fantasticato su quell’uomo, ma voleva assolutamente mantenere separata la vita privata da quella lavorativa.
Finalmente la porta si aprì. La portinaia le veniva sempre ad aprire con la chiave anziché usare il citofono solo per darle il buongiorno. Lavinia era sempre la prima ad arrivare. Ogni mattina alle otto era già li a mettere a posto varie scartoffie e a mandare mail. Verso le nove arrivavano il suo capo e il resto dei colleghi.
Scese le scale e aprì la porta principale. Il suo primo pensiero di ogni inizio giornata era aprire le finestre per cambiare l’aria viziata che si era prodotta durante la notte.
Da moltissimo tempo compiva queste azioni che, per la forza dell’abitudine, ormai le faceva sovrappensiero. Si accorse troppo tardi di ciò che era successo. Ormai aveva già chiuso la porta dietro di sé.
Il suo ufficio era al secondo piano, quindi avrebbe dovuto salire le scale invece di scenderle. Non ci sarebbe stato nessun problema: avrebbe riaperto la porta e risalito le scale arrivando così nel suo ufficio.
Peccato che nel palazzo non ci fosse un piano interrato, e, ovviamente,  nemmeno una scala che andasse verso il basso.
Lavinia cominciò ad agitarsi: - Che è successo?- Si chiese, nel panico.
Si girò verso il lato da cui era entrata. La porta non c’era più. Come avrebbe potuto tornare indietro ora?
Magari qualcuno si sarebbe accorto della sua assenza. Forse avrebbero provato a rintracciarla in qualche modo.
-Il cellulare- pensò. Così prese l’apparecchio e provò a chiamare in ufficio. Ma dopo il quarto squillo realizzò che era ancora troppo presto e nessuno poteva risponderle. Avrebbe riprovato più tardi.
Rassegnata, cominciò ad osservare il posto in cui era finita. Era una grande stanza con un normale mobilio e delle colonne. Poteva sembrare una comune stanza, tranne per il fatto che tutto era completamente candido, talmente bianco da far male agli occhi. Incuriosita e scossa allo stesso tempo, Lavinia provò a guardare fuori da una delle tre finestre in fondo alla stanza. Il risultato, per quanto ovvio che fosse, la sconsolò: fuori c’era una fitta nebbia, talmente fitta da sembrare un banco di nubi.
Continuò a girare l’ambiente. In un angolo c’erano una scrivania bianca, due sedie bianche e una cassettiera bianca con maniglie anch’esse bianche. Decise di concentrarsi sull’ultima, magari dentro avrebbe trovato qualcosa.
Aprì uno dei tre cassetti. Dentro c’erano vari raccoglitori di colore niveo. Prese il primo da sinistra e si sistemò sulla scrivania. Era pieno di fogli bianchi, ma, per fortuna o forse per beffa, erano ricoperti di parole nere. Ciò calmò Lavinia; finalmente aveva trovato qualcosa di veramente normale in quel posto.
Cominciò a leggere: nel testo si parlava della nascita di una bambina. Quando era nata, la madre voleva darle il nome di Elisa, ma per volere del padre le era stato dato quello di una lontana zia.
La bimba cresceva bene ed era viziata dai nonni. I fogli della cartella finivano al suo compimento del primo anno di età.
Lavinia ripose il fascio al suo posto e prese le due cartelle successive. Le sfogliò velocemente e le rimise in ordine e così fece con le altre successive. Ogni cartella riguardava un anno di vita della bambina e l’ultima del cassetto ne descriveva i nove anni.
Lavinia riordinò e si accinse ad aprire il secondo cassetto. La situazione era uguale: a dodici anni la fanciulla si era rotta un dito giocando, a quattordici aveva iniziato le superiori e a sedici era andata al mare con la migliore amica. -Tutte cose normali- pensava.
Ma ad un certo punto, leggendo la diciottesima cartella, le venne un colpo: la ragazza aveva appena preso la patente e, durante un tragitto in macchina con l’amica, il mezzo aveva sbandato e ed era finito in un fosso. L’amica era morta.
In quel momento, in Lavinia affiorò un ricordo, quel ricordo che cercava di reprimere da ben nove anni.

Quel giorno pioveva, ma tutto sommato era un giorno felice. Livy, neopatentata, aveva convinto i genitori a farsi prestare l’auto per andare al centro commerciale. Tutta felice, aveva chiamato Chiara, l’amica del cuore, per comunicarle la notizia e per chiederle se sarebbe venuta con lei.
-Certo- rispose la ragazza. -Quando passi a prendermi?-.
Così Livy era partita. Nel tragitto aveva recuperato Chiara e con lei era partita per una giornata di shopping.
Le ruote della macchina non erano mai state sostituite, anche se sarebbe stato tempo di cambiarle.
Ad un tratto le due ragazze, incuranti del pericolo, attraversarono una grande pozzanghera, e li iniziò il panico. L’auto sbandò per effetto dell’aquaplaning e le due ragazze finirono nel fosso.
Livy cercò subito di parlare alla ragazza, a dirle che l’ambulanza stava arrivando ed era tutto a posto, ma ormai il cuore di Chiara non batteva più.

Non c’era bisogno di leggere il terzo cassetto. Ormai Lavinia aveva capito: quella era la storia della sua vita.
Ma dov’era finita veramente? Che posto era mai quello? Chi o cosa l’aveva fatta arrivare li e a che scopo? Ma soprattutto come sarebbe uscita da quella stanza che, per quanto candida sembrasse, era così crudele?
Lavinia, distrutta, si mise a piangere. I sensi di colpa e il rimorso l’avevano tormentata per tutti quegli anni e nemmeno varie sedute di terapia l’avevano aiutata. Si buttava a capofitto sul lavoro in modo da cercare di distrarsi, e ogni volta che pioveva non si azzardava a toccare l’auto. Preferiva uscire a piedi arrivando fradicia a destinazione.
Da anni non riusciva più a divertirsi, la sera non usciva mai. Per quanto la sua vita potesse sembrare ordinaria e comune, era tormentata dai fantasmi del suo passato, da quel male che costituiva una costante nella sua esistenza.
Tutt’a un tratto, la stanza si illuminò di una luce calda e fioca. Una figura umana cominciò a formarsi e a prendere colore. Chiara, come un angelo, apparve nella stanza. Lavinia era senza parole.
-Ciao Livy. Sono io, Chiara. È passato tanto tempo da quel giorno terribile che ci ha separate. Tu sei rimasta, mentre io, ecco, me ne sono andata. Dopo l’incidente ho continuato a guardare il mondo, e vedevo che tu continuavi a incolparti per me e per ciò che è accaduto. Ma tu hai ancora molta strada da fare e molto da vivere. Quindi ti prego, accetta il mio perdono. Ciò che è successo è stato solo una tragica fatalità e nessuno ne ha colpa. Ma ti prego, io ora sto bene, e voglio che sia felice anche tu. Ora è arrivato il momento di salutarci. Addio cara amica, non ti dimenticherò mai-.
E nello stesso modo in cui apparve, Chiara scomparve, e insieme a lei anche la stanza bianca.
 Lavinia si svegliò nel suo letto. Era tutta sudata. Ciò che era accaduto era stato solo un sogno. Il sogno più strano, realistico e soprattutto magnifico che avesse mai fatto. Guardò la sveglia sul comodino. Mancava qualche minuto alle sette, così decise di alzarsi. Andò in bagno e, guardandosi allo specchio, provò a ricapitolare ciò che era stato solo una semplice produzione della mente, ma che per lei significava molto di più. Fissò la sua immagine riflessa. Un sorriso spuntò sul suo viso. Dopo molto tempo sentì una nuova forza vitale scorrere in lei. Una forza che era stata imprigionata  chissà dove per tanti anni.
Era ora di cominciare a prepararsi. Una nuova giornata e una nuova vita dovevano iniziare.
  
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